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Autore: Deirbhile    28/03/2014    7 recensioni
Dalla storia:
“Magari è vero che le persone non sono mai come sembrano, Pirandello aveva perfettamente ragione. Ognuno di noi indossa una maschera. Solo che fino ad ora ero convinta che l'unica che usasse Roberta Della Corte fosse una maschera esfoliante per liberare i pori” constatò Chiara.
Chiara e Roberta sono due liceali qualunque: a Chiara piace leggere e studiare, stare in mezzo alla natura e portare i capelli rossi legati in una treccia. A Roberta piace ostentare la sua bellezza statuaria, mostrarsi in centro a fare shopping con il suo ragazzo e nascondere i propri pensieri in fondo all'alcol.
E allora perché, dopo quattro anni passati ad odiarsi, sentono lo strano desiderio di capirsi a vicenda?
Fra amiche iperprotettive, genitori sempre assenti, scontri diretti e qualche attacco di panico, Chiara e Roberta capiranno finalmente che c'è qualcuno disposto a cicatrizzare le loro ferite.
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Chiara non riuscì a dormire quella notte, si rigirò nervosamente fra le coperte come se delle spine le pungolassero la schiena e le braccia scoperte, fissando il soffitto in preda ad un’ansia subdola, un’inquietudine che sembrava non volerla lasciare facilmente. Sabrina era brilla quando si era accostata alla loro auto, per fortuna, quindi per Carmen e Ivan non era stato difficile dirottarla di nuovo verso il pub e rifilarle la scusa che quella Mini Cooper nera, era evidente!, non era la macchina di Riccardo. Dico, ma ti sembra Riccardo quello? Chiara aveva sentito la voce affannata dei suoi amici che si precipitavano verso di loro, Roberta che, rigida come un tocco, teneva gli occhi bassi cercando di confondersi nell’ombra. Sabrina le aveva fissate per qualche secondo, attonita, col volto malaticcio di chi ha bevuto un po’ troppo e le braccia molli, inerti ai lati del corpo. Poi si era lasciata docilmente guidare dagli altri due e tutti erano spariti dalla loro visuale. Chiara aveva ripreso a respirare solo quando in strada non fu visibile che la sagoma di un gatto randagio. Roberta, più pallida di un lenzuolo, l’aveva riaccompagnata come da protocollo in una stradina laterale, dove dopo una mezz’oretta Ivan aspettava in sella alla sua moto. Sua madre se l’era presa per l’ora tarda, aveva squadrato i capelli scarmigliati di Chiara ed aveva insinuato che ogni qual volta andavano al pub, Chiara sembrava sempre tornare a casa come se avesse bevuto d’un colpo una pinta di birra. L’aveva mandata a letto con la raccomandazione di essere sempre cauta e responsabile in quelle occasioni, poi se ne era tornata a dormire. L’orologio sul comodino della sua stanza contava l’una e dieci. Da allora, Chiara aveva perso il conto di tutto il tempo speso a cercare invano di addormentarsi. Non voleva voltarsi, aveva paura di scoprire ch’era già mattino. Di doversi alzare e magari trovarsi un messaggio di Sabrina o una sua chiamata, di dover rispondere alle sue domande, di doverle dare chiarimenti. Sperava che in virtù della sbornia non si ricordasse nulla. Ma Sabrina era una che ci andava pesante con l’alcol, di solito, ed era alquanto improbabile che per delle semplici birre andasse nel pallone. Roberta era stata silenziosa durante il viaggio di ritorno. Forse era maggiormente questo pensiero a tenerla sveglia. Le aveva mandato il messaggio della buona notte senza fare nessun accenno all’accaduto, forse perché non la voleva turbare. Era sempre così protettiva con lei, Chiara si sentiva stringere il cuore. Quando si erano salutate le aveva dato una carezza sulla guancia, come a dire “sta’ tranquilla, sei al sicuro finché ci sono io”. Adesso però Roberta non c’era e Chiara, stizzita e poco conscia, decise di alzarsi per fare quattro passi nella stanza. Cosa poteva succedere di così terribile? Al massimo avrebbero mentito, lei, Carmen e Ivan, e Sabrina avrebbe dovuto accettare passivamente, semmai si fosse ricordata qualcosa, che ciò che aveva visto era solo frutto della sua immaginazione. Non erano lei e Roberta quelle che si baciavano, l’una sull’altra, in quell’auto nel piazzale vicino al Black Devil. Proprio no.

“Sei una sciocca, Chiara” si disse di fronte allo specchio “sei proprio stupida. Pensi davvero che Sabrina potrebbe fare qualcosa di spropositato?”

L’ipotesi più temibile era quella di una semplice sfuriata sul perché l’aveva detto a Carmen e non a lei. Insomma, Sabrina era sua amica. Perché temeva così tanto il suo giudizio? Prima o poi, forse non quella volta, ma un’altra di sicuro, sarebbe venuto fuori che fra lei e Roberta non c’era esattamente l’inimicizia che tutti si aspettavano.  L’avrebbe saputo comunque. Tornò a letto, notando che il cellulare le si era illuminato per un messaggio. Leggendo che era di Roberta (e rendendosi conto che, cavolo, erano le tre e mezza), si precipitò a rispondere.

“Non riesco a dormire, ho paura che possiamo esserci cacciate nei guai. Non volevo dirtelo, ma se proprio dobbiamo condividere ogni cosa, tanto vale …”

Chiara, nonostante tutto, sorrise di tenerezza. Quanto voleva fare la forte, Roberta. E quanto poco le riusciva. Tutto questo solo per lei. Digitò velocemente, con l’ansia di farle sapere quanto si sentiva sollevata a quell’ammissione, desiderando di poterla avere accanto a lei e soffocare nei suoi capelli quelle ansie.

 Nemmeno io. Speravo di poterlo dire a qualcuno, ma non volevo metterti pressione. Ci stiamo facendo troppe paranoie. Ci ha rovinato bel momento, comunque”

Ed era vero! Roberta era stata così dolce, Chiara si compiacque di essere ancora in grado di sentire i suoi tocchi sulla sua pelle. Nell’attesa di una risposta, si appoggiò alla testiera del letto e gettò la testa all’indietro, liberando un sospiro. Dalle tendine scostate, la sua finestra lasciava filtrare due grossi raggi lunari che illuminavano di bianco gli oggetti sulla scrivania. Chiara vi scorse, con un’occhiata stanca, i libri di scuola ormai abbandonati al loro destino di oblio estivo, la borsa della palestra, penne sparse qua e là e le sue cuffiette. Iniziava davvero l’estate! La sensazione prepotente che le faceva tremare la spina dorsale glielo confermava. L’aspettavano intere giornate di sole, a partire da quella in spiaggia del prossimo sabato, tanti libri da leggere, pomeriggi passati in compagnia coi suoi amici e serate barbecue, gelati e bibite fresche, corse al parco con Roberta e intere ore a suonare la chitarra giù nel suo giardino ombreggiato. Sarebbe tornata in Irlanda, dai suoi nonni, quell’agosto, ma non prima di aver passato due settimane al mare. Quell’anno forse sarebbero scesi in Puglia. Si sarebbe abbronzata, dimentica degli stress che quell’anno scolastico l’avevano resa nient’altro che una macchina dai voti eccellenti, e si sarebbe divertita a fare nuove conoscenze con sua sorella. Ma ciò che più l’allettava, e doveva essere sincera con se stessa, era il fine settimana di libertà che i suoi genitori le avrebbero concesso a fine mese. Erano soliti, infatti, festeggiare il loro anniversario con un breve viaggio ogni anno e da quanto aveva compiuto l’età adatta non si facevano problemi a lasciarla sola in casa, previe interminabili raccomandazioni. Aveva già una mezza idea di invitare Roberta a stare da lei, ma al solo pensiero sentì la pelle accapponarsi dal nervosismo. Forse non era proprio una buona idea. Non sapeva cosa sarebbe potuto succedere e, anche se eventuali risvolti le erano ben chiari nella mente (forse fin troppo, per la sua salute mentale), si vergognava troppo per rimuginarci su con cognizione.  Solo che la sua mente non la stava a sentire e vagava, girava sempre in tondo a quegli argomenti che non aveva il coraggio di affrontare, preoccupandosi ora di sciocchezze come gli avvenimenti di quella sera, ora di ciò che da un po’ di tempo a questa parte la agitava: Roberta e lei, assieme, da sole. L’attrazione indicibile e bruciante che la portava a volere sempre di più. Quello era di certo un problema più urgente. Chiara constatò che, con quel calore, anche il suo cervello stesse cedendo ai colpi dei suoi ormoni. Il fatto di avere quasi diciassette anni e una ragazza incredibilmente bella non aiutava per nulla. “Ci risiamo, Chiara. Resetta. Pensa a qualcos’altro!” si disse, disperata. Lo schermo del cellulare si illuminò di nuovo.

Forse è stato meglio così” le scriveva Roberta, con una faccina ammiccante. Arrossì fin sopra le orecchie  e dovette soffocare un sospiro che, spontaneamente, le era sibilato dal naso. Forse era stato meglio così. Non era sicura di essere dello stesso parere. Quando se la sentì, quando il suo cervello fu in grado di formulare altro che immagini vivide di ipotetici finali diversi, provò a risponderle a tono, per mascherare quel caos che sentiva salirle dallo stomaco ed annebbiarle la vista. Roberta si divertiva a provocarla, questo era certo, ma lei non gliela dava mai vinta, un po’ per orgoglio, un po’ per pudore. O forse, perché sapeva che Roberta, in fondo, era più spaventata di lei da quella roba lì.

Smettila!

Roberta rispose dopo nemmeno cinquanta secondi.

Chiara fa la reticente, eh?” con una faccina sorridente che Chiara trovò altamente irritante. Decise di fare ammutolire anche lei.

Forse è stato davvero meglio così, miss. E forse è meglio che io non parli

Con quel misterioso sottinteso, chiuse gli occhi e lasciò il cellulare fra le lenzuola. Immaginò che Roberta fosse lì con lei, come se fossero ancora in macchina e Sabrina non le avesse mai interrotte. Cosa sarebbe successo? Chiara era sicura che si sarebbe ritratta, facendosi violenza da sola, e si sarebbero guardate come ogni volta che si avvicinavano troppo al limite. Roberta era sempre così premurosa con lei e Chiara non avrebbe potuto far nulla che potesse ferirla. Dopo la faccenda di Massimo, quella cosa del contatto fisico eccessivo (Chiara non riusciva a chiamarlo in nessun altro modo, tanto era impacciata su certi fronti) era da prendere con le pinze e con i guanti. Immaginò che fosse lì, fra le sue stesse lenzuola, e che avesse il capo poggiato sul suo grembo e che le stesse accarezzando quei meravigliosi, lunghi capelli neri. L’avrebbe fatto fino a che non si fosse addormentata, se fosse stato necessario. Ad un certo punto la sua fantasia si era fatta così fitta che non notò nemmeno la risposta di Roberta. Riuscì solo a vederla, dietro le sue palpebre arrossate, chinarsi su di lei e baciarla piano, con delicatezza, come aveva fatto quella e tutte le altre volte. Le sue mani fra i capelli e poi a cingerle la vita … “BASTA!”

Forse è meglio che andiamo a dormire

Scherzarono per un altro po’, l’argomento fu accantonato con imbarazzo da parte di entrambe e Chiara se ne andò davvero a dormire. Ci aveva ormai fatto l’abitudine a quella strana, vertiginosa sensazione che non riusciva né voleva identificare.

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Il mattino seguente fu svegliata dall’odore del caffè appena fatto e, stiracchiandosi, lasciò andare un profondo sbadiglio. Aveva preso l’abitudine di andare a correre, di domenica mattina, soprattutto nell’ultimo periodo, con tutti gli impegni ad esigere la sua massima concentrazione. Era un eccellente antidoto contro lo stress e decise che quella mattina, col sole alto e il clima mite, sarebbe stata perfetta per i suoi sei chilometri. Scese a fare colazione a passo leggero, quasi volando sulle scale. Si ricordò vagamente di un sogno fatto quasi all’alba, di lei e Roberta abbracciate, avvinghiate alla luce del sole in un’ampia stanza magnificamente arredata. L’ultima parte ora le sfuggiva, ma non ci fece caso. Sogni del genere erano quanto mai ricorrenti. Quando entrò in cucina, salutò con allegria sua madre, che già le aveva messo in tavola la colazione, e si accorse che erano ancora le otto e dieci. Adorava svegliarsi di mattina presto, nonostante quella notte avesse dormito sì e no quattro ore, e non perdeva quell’abitudine nemmeno in estate. Suo padre era in salotto a leggere il giornale, di fronte alla sua tazzina di orzo e il ronzio del telegiornale, a basso volume, riempiva timidamente quell’intimità domestica.

-Buongiorno cara- la salutò Margaret, indicandole la brocca del latte e la scatola di latta dove tenevano i biscotti. Chiara ne addentò uno e constatò con piacere che erano fatti in casa. Guardò sua madre con sorpresa, gustandone le gocce di cioccolato.

-Li hai fatti tu? Sono buoni- si complimentò, con sorpresa. Era raro che sua madre avesse il tempo di dedicarsi a cose di quel genere.

-Ho deciso di prendermi un po’ di giorni liberi dall’ospedale- alzò le spalle quella, tornando ad armeggiare con le arance, da cui stava cercando (piuttosto impacciatamente, segno che di solito era Matteo a stare ai fornelli) di ricavare una spremuta.

-Stamattina vieni con me a correre?- chiese allora Chiara, ingollando quasi di un colpo il suo bicchiere di latte. Margaret la rimproverò di fare piano.

-Verrei con piacere, devo rimettermi in forma, ma a pranzo abbiamo i tuoi nonni e sono indietro con il polpettone- continuò a spostarsi, mentre parlava, da una parte all’altra del bancone con aria velatamente disperata. Chiamò suo marito, intimandogli di darle una mano. Matteo salutò sua figlia con un affettuoso bacio sui capelli, poi, con l’aria di un esperto, passò in rassegna alle pentole che bollivano e ai vari ingredienti sparsi tutt’attorno.

-Lascia fare a me- batté le mani l’una contro l’altra come per cominciare quell’impresa; prima che entrambi fossero troppo assorbiti da quella ricetta, Margeret si ricordò di informare Chiara che qualcuno aveva chiamato, quella mattina, cercando lei. Chiara saltò quasi dalla sedia.

-Chi?- chiese cautamente. Sua madre alzò le spalle, non se lo ricordava.

-Era una voce abbastanza confusa. Forse era Sabrina o Carmen, ha staccato subito-

Chiara si rifugiò nella sua stanza con il cordless e compose il numero velocemente. Carmen rispose dopo venti secondi buoni, probabilmente stava ancora dormendo.

-E’ domenica mattina, Chiara- fece, infatti, funerea.

-Non mi hai chiamato, vero?-

-Ti pare che io ti abbia mai chiamato a quest’ora balorda del mattino?- sbadigliò pesantemente e Chiara sentì il fruscio delle lenzuola che venivano buttate giù dal letto.

-Scusa … allora è Sabrina che mi sta cercando. Negare e basta riuscirà a convincerla, sì? Ammesso che si ricordi- cominciava a farsi prendere dal panico, parlava velocmente. Carmen fece un verso contrariato, intimandole di smetterla.

-Tu non devi far menzione di nulla. Se lei ti dice qualcosa di sospetto, allora tronca tutto sul nascere. Sii coincisa e non tentennare, se tu neghi chiederà di certo a noi e io ed Ivan siamo di certo molto meglio di te a mentire- le disse sbrigativa, mentre in sottofondo si sentiva il gorgoglio del caffè che usciva dalla macchinetta. Chiara sospirò, preoccupata, ma non volle andare avanti con le sue paturnie.

-Mento, va bene. Non è difficile … non è difficile-

Volle farle accenno alla strana situazione con Roberta, per avere un parere, ma il timore di esporsi troppo, sebbene fosse la sua migliore amica, la trattenne dal farlo.

-Oggi a casa mia, no?- Carmen chiese conferma. Chiara, dopo un distratto cenno d’assenso, chiuse la chiamata e, dopo essersi sciacquata la faccia e spazzolato i denti forse con troppa foga, si decise a richiamare Sabrina. Fece due squilli e, all’improvviso, la linea cadde. Provò altre tre volte, ma c’era sempre al segreteria a risponderle. “Tanto meglio” si disse e corse a prepararsi per il footing mattutino.

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Oggi pomeriggio passeggiata al parco?”

Fermandosi un momento per rispondere al messaggio di Roberta, Chiara approfittò anche per prendere un po’ di fiato. Il suo contapassi segnava già quattro chilometri, ma si sentiva così nel pieno delle forze che avrebbe potuto andare avanti per ore. Fece un po’ di stretching e guardò l’orologio. Le undici meno un quarto. Per quanto l’allettasse un pomeriggio distesa fra le fronde con Roberta, magari a leggere qualche libro di poesie (visto che Roberta sembrava interessarsi sempre di più a quella che era la sua passione più grande), lei e Carmen si sarebbero dovute vedere per una maschera esfoliante all’argilla e proprio non se la sentiva di trascurarla. E poi, starsene distesa al sole con Roberta e le sue meravigliose labbra a vagheggiarle avrebbe potuto crearle qualche problema. Si riservò altri dieci minuti di corsa per pensarci e, aumentando il ritmo, notò che anche quella specie di tensioni sembravano attenuarsi, in qualche modo quelle energie impetuose doveva bruciarle. Stava appunto per girare all’angolo della strada principale, quella che portava direttamente al retro di casa sua, ed entrare nel quartiere residenziale, che si vide davanti, al bar di fronte, Sabrina ed Ivan che prendevano un caffè. Li salutò da lontano, rigida e completamente sudata, notando che l’amica aveva di poco alzato la testa dal suo cellulare e le aveva fatto un cenno del capo abbastanza indifferente. Ivan, coi suoi capelli arruffati, quella mattina sembrava più isterico del solito.

-Chi si allena duramente e chi si rilassa coi cornetti, altro che giustizia divina!- esclamò, continuando a correre sul posto. Ivan rise, Sabrina distese le labbra in un sorriso distante. Chiara sentì lo stomaco contrarsi come se le avessero appena dato un pugno,  ma sperò che nessuno dei due se ne fosse accorto.

-Non è che vuoi un po’ del mio succo d’arancia?- l’amico ammiccò scherzando ad un enorme bicchiere dall’aria dissetante. Chiara rifiutò stoicamente, attenta a decifrare ogni espressione facciale dei due amici. Sabrina fissava la bustina vuota dello zucchero, il volto era mezzo nascosto da una ciocca di capelli. Ivan non sembrava nervoso, ma qualcosa nei suoi occhi le trasmetteva incertezza.

-Allora … io andrei- fece Chiara, indicando la strada. Poi si ricordò di quella mattina.

-Ah, Sabri, mi hai chiamata tu stamattina?- chiese, sperando di suonare disinvolta. L’amica si girò verso di lei con calma, come se non avesse molta voglia di risponderle. Non aveva una bella cera, ora che ci faceva caso.

-Si, ma non dovevo dirti nulla d’importante, comunque-

Il suo tono non le piaceva, Chiara percepiva una sorta di diffidenza. “Non dare a vedere di essere nervosa, capirebbe” si intimò. Poi si allontanò con uno scatto di reni e in due minuti si trovò di fronte casa sua, col fiato corto e le gambe che le dolevano dallo sforzo.

Ho incontrato Sabrina, ma lasciamo stare le mie paranoie, ce ne occuperemo a tempo debito. Oggi pomeriggio fra amiche, comunque” scrisse a Roberta, un po’ dispiaciuta di utilizzare quel contesto per evitare di stare da sola con lei. Stava per ripensarci, d’altronde era solo un pomeriggio al parco. Si vide già distesa all’ombra di uno dei faggi, col capo sulle sue gambe, ad intrecciare le dita con lei e a leggerle qualcosa di Virgilio. Scosse la testa, aveva preso un impegno, e ricominciò a correre, non volendo ammettere che si trattava di una scusa bell’e buona.

Quel pomeriggio, mentre la maschera all’argilla le si essiccava sul naso e le rendeva difficile perfino fare una smorfia con la bocca, Carmen , distesa sul suo letto, cominciò a testa in giù a elencare con perizia gli ultimi pettegolezzi della compagnia. Il sole era ancora alto, bruciava già come se fossero in estate, e a Chiara venne da sospirare.

-Sai che oggi Roberta mi aveva chiesto di andare al parco?- tirò fuori, improvvisamente. Carmen alzò le spalle.

-E perché non ci sei andata?-

-A parte che avevo un impegno con te … vuoi che ti dica la verità?-

Carmen alzò di poco il busto, per guardarla meglio in volto.

-Stai arrossendo, attenta- ridacchiò.

-Ti prego, non rendere le cose più difficili di quanto non siano già- grugnì, coprendosi il volto con le mani. L’amica le si accostò, sedendosi anche lei sul tappeto, a gambe incrociate.

-Allora?-

-E’ che mi mette terribilmente in imbarazzo parlare di certe cose … -

Carmen fece segno di non capire dove voleva andare a parare.

-Di certe cose, hai capito, insomma-

-Ah, di sesso- specificò schietta Carmen.

-TI PREGO! Non riesco nemmeno a dirlo!-

L’amica le si fece più vicina, costringendola ad alzare la testa e a smettere di fissarsi le scarpe.

-Mi stai dicendo che ti fai paranoie anche in questo? Cavolo, siamo proprio rovinate- allargò le braccia e guardò pateticamente al cielo. Chiara le diede una leggera gomitata fra le costole.

-Lo sai che sono … - cominciò, ma non riuscì a finire la frase.

- … particolarmente pudica?- Carmen completò la frase per lei. Chiara annuì come se stesse ammettendo una gravissima colpa, ma non accennò a parlare.

-Quindi  ti sei rintanata a casa mia, nascondendoti quasi sotto il mio letto, perché la tua ragazza ti attrae in quel senso, com’è giusto che sia, e non sai come affrontare la cosa?  Particolarmente pudica mi sembra un tantino poco, eh! - rise di cuore. Vedendo che però Chiara non rideva, abbassò i toni.

-Tu e Roberta siete così carine insieme e lei mi sembra veramente molto dolce con te, anche se sai che ci ho messo un po’ a convincermene. Non dovresti farti di questi problemi proprio adesso … sai che lei non permetterebbe mai che tu soffra, o almeno spero. In quel caso si ritroverebbe con un sopracciglio spaccato, sappilo.- risero entrambe, poi continuò:

-Ma soprattutto sai anche che tu non saresti capace di far soffrire lei. Perché ti è venuto in mente di evitarla?- le chiese, con delicatezza.

-L’ho fatto senza pensarci. Il punto è … se fossi io a farle del male? Insomma, se per una sciocchezza del genere, solo perché non riesco letteralmente a staccarmi da lei, le ferissi? In fondo era quello che anche Massimo faceva. Metterle pressione- la sua voce si incrinò sensibilmente. Carmen le diede una carezza sui capelli, addolcita.

-Non ti facevo così premurosa-

-Lei lo è sempre molto con me- mugugnò.

-Né in effetti così focosa- proruppe in una risata, dichiarando con le lacrime agli occhi che non poteva fare a meno di prenderla in giro. Chiara si rilassò e chiuse gli occhi, sentendo la pelle delle guance irrigidirsi sempre di più. Carmen si aggrappò al suo braccio e stettero per un po’ così, appoggiate l’una all’altra.

-Sono cose che succedono con calma, senza fretta. Roberta pende dalle tue labbra, è stracotta di te. Ti guarda come se fossi l’unica cosa la mondo. Magari non vuole che succeda adesso, anche se conoscendoti non ne avrete nemmeno parlato e questo non è bene, ma non dovresti sentirti così male se la desideri. E poi credo che tu non possa nemmeno lontanamente paragonarti a Massimo, tu stravedi per lei. Faresti qualunque cosa per farla stare serena. Smettila di preoccuparti e  chiamala, ti accompagno al parco- concluse, spiccia. Chiara prese con mani tremanti il cellulare, lodando la praticità della sua migliore amica nel risolvere i suoi inesistenti problemi.

 

  
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