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Autore: beagle26    29/03/2014    5 recensioni
Elena: occhi sinceri, energia positiva e un’osservatrice acuta. Ha un passato complicato che ha cercato di affrontare e elaborare a modo suo.
Damon: esuberante, spiritoso, e' cresciuto all'ombra del fratello minore, più remissivo, ma in fondo non gli ha mai invidiato niente... Eccetto Elena.
Elena saprà leggere negli occhi di Damon ma avrà paura di guardarli troppo a fondo.
Damon si avvicinerà a lei, ma questo comporterà un confronto con sé stesso che forse non è pronto ad affrontare.
Due anime solitarie per motivi diversi, attratte una verso l'altra da un'intesa profonda che se da una parte li unisce, dall'altra li porta a respingersi.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena, Elena/Stefan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
È vero sono uno stupido! I poeti sono stupidi come mosche contro un vetro!
Sbattono contro l'invisibile per arraffare un po' di cielo.
 
Venuto al mondo – Margaret Mazzantini
 
 
“Buonanotte all’alba, Elena.”
 
Non ho certo bisogno di sollevare gli occhi dal libro che sto leggendo per scoprire l’identità di chi mi sta parlando. Solo una persona, in tutta San Francisco, può rivolgermi un saluto del genere alle dieci del mattino.
 
“Buongiorno Frank. Come va?” gli rispondo, piegando con cura l’angolo superiore della pagina e riponendo la mia copia spiegazzata de Les Miserables sulla mensola sotto al bancone.
Subito dopo salto giù dal mio sgabello e me lo trovo davanti col solito cappello in testa e la giacca beige un po’ sgualcita, ricurvo sul suo bastone da passeggio.
 
“Come vuoi che vada? Sono così vecchio, Elena… Speriamo almeno che oggi piova!”
 
Lancio un’occhiata perplessa alla vetrina, ricoperta da piccole gocce trasparenti.
Un temporale coi fiocchi si sta abbattendo sulla città da oltre mezz’ora, e la pioggia fitta e spessa tamburella insistentemente sul tetto in lamiera sopra alle nostre teste, producendo un rumore ritmico e fastidioso.
Frank segue il mio sguardo con i suoi occhi azzurri un po’ annacquati.
Alla mia espressione scettica risponde con la sua consueta risatina, e, come tutte le volte, è costretto a interromperla per via della tosse da tabagista consumato che lo tormenta da sempre, almeno a quanto ne so io.
Gli rivolgo un sorriso condiscendente e, senza bisogno di ulteriori indicazioni da parte sua, pesco automaticamente un pacco di Chesterfield blu dallo scaffale alle mie spalle.
Le “pastiglie per il mal di gola”, come le chiama lui.
Tiro la linguetta ed elimino il cellophane che ricopre il pacchetto, strappo via anche la carta argentata prima di porgergli la scatolina bianca e azzurra affinché possa servirsi, mentre lui mi passa il portafoglio dal quale estraggo una banconota da cinque dollari.
 
“Grazie Elena. Lo sai, non ci vedo più ormai. Ma c’è una bella novità. Il dottore mi ha detto che scambierà i miei occhi con quelli di un gatto.”
 
“Davvero Frank? È fantastico, poi ci vedrai anche con il buio…”
 
“Proprio così… proprio così Elena! Adesso però me ne vado. Buonanotte!”
 
Allarga la bocca in un sorriso spontaneo, che solleva le pieghe del suo viso consumato dal tempo. Gli sorrido a mia volta.
 
“Ci vediamo, Frank.”
 
Lo vedo ciabattare verso la porta, incespicando sui suoi passi. Non appena fuori avvicina la sigaretta alle labbra con la sua mano grinzosa e un po’ tremante.
So già che domani mattina lo vedrò entrare da quella stessa porta, più o meno a quest’ora.
Mi saluterà esattamente come oggi, prima di andar via mi farà la solita battuta sul gatto a cui vuole  rubare gli occhi e io sorriderò sincera, fingendo che sia la prima volta che la ascolto.
 
Sono le cose che capitano quando si lavora a una piccola stazione di servizio come questa.
Fra i clienti fissi ci sono un sacco di tipi bizzarri, forse un po’ matti, ma senza dubbio interessanti. Ed è per questo che, a dispetto di tutto, a me questo lavoro piace.
Non solo perché è poco impegnativo e pieno di pause morte, il che mi permette di dedicarmi allo studio e alla mia occupazione extra di traduttrice.
Mi piace perché sono sinceramente affascinata dalle persone, tutte, ma soprattutto quelle all’apparenza più strampalate.
Con le loro stranezze, le loro debolezze, i loro piccoli segreti che forse sono solo banalità, ma potrebbero rivelarsi mondi affascinanti da scoprire.
 
Chissà se Frank è mai stato sposato, o chi gli ha regalato il cappello dei San Francisco 49ers che porta sempre calcato sulla testa.
Magari è un ricordo di quando, da giovane, accompagnava suo figlio allo stadio.
Di certo a quel tempo non avrebbe avuto bisogno di occhi da gatto per scartare le sigarette. E poi chissà cosa gli è successo. Il figlio è cresciuto, se ne è andato e lo ha lasciato qui a diventare vecchio, cieco e un po’ matto. Perché?
 
Oppure quell’eccentrica signora con la spider rossa scassata, che viene a fare dieci dollari di benzina ogni martedì, sfoggiando sempre trucco pesante e unghie lunghissime e laccate.
Tutte le volte che l’ho vista indossava la stessa maglietta gialla piena di buchi e macchiata di caffè.
“È solo un povera pazza, Elena.” direbbe Bonnie, la mia collega. Forse ha ragione, forse invece anche lei ha una storia da raccontare.
 
Non penso a me stessa come a una morbosa spiona, anche perché a dire il vero non mi interessa nemmeno sapere con certezza se le mie supposizioni siano esatte oppure no.
Preferisco osservare silenziosamente, immaginare le possibilità che si nascondono dietro la facciata, raccontarmi una storia. Sogno mondi e situazioni assurde che non esistono per sfuggire alla mia, di vita, che di entusiasmante non ha proprio niente.
E forse è proprio per questo che ho scelto letteratura, anziché economia come voleva mio padre.
Il fatto è che i numeri non fanno per me.
Io vivo bene nel mio, di mondo. Un mondo di immaginazione, di libri e di canzoni.
Sono la tipica ragazza capace di piangere in macchina ascoltando un cd, per poi aprire il finestrino e lasciare che il vento asciughi in fretta le mie lacrime, prima che qualcuno possa vederle.
I miei pensieri sono solo miei, sono il mio rifugio, e a me piace così. Scelgo io cosa condividere, come e con chi.
 
Mi arrampico un’altra volta sul mio sgabello e lancio un’occhiata al libro abbandonato sulla mensola, tentata da Victor Hugo ma consapevole che la traduzione che devo consegnare dopodomani attende ancora di essere completata.
È un lavoro piuttosto impegnativo, ma  per una come me, perennemente in bolletta fra il college, i libri e tutto il resto, rappresenta una vera e propria manna dal cielo.
Se posso contare su questa entrata extra lo devo solo a John, il secondo marito di mia madre, che ha un impiego nella finanza. La sua azienda può benissimo permettersi traduttori più esperti e referenziati, ma lui è così carino pensare a me tutte le volte che c’è bisogno di tradurre contratti in francese, pagandomi un’esagerazione.
 
Quando lui e la mamma si sono messi insieme io avevo solo sei anni e mio fratello a malapena camminava. Ricordo ancora il modo delicato e affettuoso con il quale ha fatto il suo ingresso nella mia vita. In punta di piedi.
Veniva a trovarci nel piccolo bilocale che lei aveva affittato, ma non si fermava mai a dormire, almeno nei primi tempi.
Cenavamo insieme, spesso mi raccontava una favola o mi leggeva qualche pagina dell’enciclopedia degli animali. Così, fra api, delfini e coccinelle, mi addormentavo serena fra le sue braccia.
Io adoravo John, peccato che fra lui e mia madre l’idillio sia durato pochi anni.
Negli ultimi tempi, dopo una sfilza di storie finite male, lei si è messa con un tale Michael, un dentista che, per quanto mi riguarda, è un emerito coglione.
Sono stata ben felice di andarmene di casa per studiare al college e non dover più dividere il tetto con loro. Però con John ci sentiamo ancora spesso e a volte mi porta a pranzo fuori.
Si preoccupa per me, si informa sugli esami che sto preparando, mi chiede se dormo abbastanza, mi spedisce foto buffe su WhatsApp solo per farmi ridere.
 
Apro la borsa e tiro fuori la cartellina con il contratto e il mio pesantissimo vocabolario di francese. Vorrei finire la traduzione entro la mattinata, in modo da avere il pomeriggio a disposizione per studiare per l’esame di letteratura francese. Se il tempo rimane così non dovrei essere interrotta molto spesso. Chi mai uscirebbe di casa per fare benzina o comprare le sigarette con una giornata del genere? A parte Frank, si capisce.
Con un sospiro tiro fuori gli occhiali da vista dalla custodia e abbasso la testa sui fogli, mordicchiando nervosamente la matita. Cinque minuti dopo sento vibrare il cellulare nella tasca della felpa. Leggo il nome che compare sul display e quando premo il pallino verde per rispondere sto già alzando gli occhi verso il tetto di lamiera.
 
“Ciao papà.”
 
“Elena. Perché non mi chiami mai?”
 
“Ho avuto da fare. Tutto bene?”
 
“Si, e tu? Hai dato esami ultimamente?”
 
“Ho letteratura fra qualche giorno… comunque, sono al lavoro, non ho molto tempo per parlare.” mento.
 
“Ancora fai la muffa in quella topaia? Se solo accettassi il mio aiuto... sai benissimo che per me i soldi non sono un problema.”
 
“Me la cavo benissimo da sola. Ne abbiamo discusso un milione di volte e…”
 
Lo scampanellio fortuito della porta arriva proprio al momento giusto.
 
“…ho un cliente. Devo andare, mi dispiace. Ti chiamo io, ok?” rispondo bruscamente, interrompendo la conversazione senza nemmeno lasciargli il tempo di salutarmi.
 
Scendo rapidamente dallo sgabello per rivolgere la mia attenzione al tipo appena entrato, che involontariamente mi ha salvata da una conversazione che non avevo nessuna voglia di iniziare.
È vestito completamente di nero, i capelli scuri sono bagnati e sgocciolano sulla giacca di pelle, anch’essa umida di pioggia.
Mi squadra con aria incuriosita, probabilmente perché deve aver ascoltato uno stralcio della telefonata di poco fa.
 
“Ho fatto il pieno sulla due…” mi dice, indicandomi con un dito quella che deduco essere la sua auto, una chevrolet azzurra, curiosamente dello stesso colore dei suoi occhi.
 
“Sono cinquanta dollari.” rispondo, dopo aver lanciato un’occhiata fugace al monitor per ritornare subito a concentrarmi su di lui. Estrae la banconota dal portafoglio e me la porge con un mezzo sorriso, piuttosto sexy devo ammettere.
 
“Scusa, non volevo interrompere la tua telefonata.”
 
“Beh… non lo hai fatto… direi invece che mi hai salvata.” gli rispondo, arricciando le labbra e tamburellando le dita sul bancone. Lui solleva il sopracciglio in un gesto interrogativo.
 
“Ero al telefono con mio padre…” spiego, senza sapere bene perché sento l’esigenza di giustificarmi con questo sconosciuto.
 
“Avete litigato?” chiede adesso, vagamente interessato, la testa piegata di lato.
 
“Si ma non di recente. È una storia di tanto tempo fa. Lui non accetta le mie scelte, non capisce quello che voglio…” gli rispondo, parlando più a me stessa che con lui. Quando torno a sollevare gli occhi dentro i suoi lo scopro ad osservarmi con quello sguardo intenso.
 
“E che cos’è che vuoi?”
 
“Perché ne sto parlando con te? E comunque, non saprei…” ribatto, un po’ scocciata dalla sua invadenza, ma troppo incuriosita da lui per tagliare corto.
 
“Non è vero, tu vuoi quello che vogliono tutti.”
 
“Cioè, misterioso estraneo che ha tutte le risposte?”
 
Proprio quando sta per parlare, la porta si spalanca con la solita scampanellata.
 
“Damon ti muovi?” chiede un ragazzo alto dagli occhi verdi, affacciandosi all’interno.
 
“Adesso sono un po’ di fretta… Elena.” continua il moro senza voltarsi, stringendo gli occhi celesti e puntandoli in direzione del cartellino appuntato sulla mia felpa.
 
“Facciamo così” prosegue “se fra qualche mese, quando tornerò, sarai ancora qui… magari te lo racconterò.”
 
Mi sorride di nuovo con quel suo modo provocante, si volta verso l’amico e se ne va.
Lo seguo con lo sguardo mentre corre fuori, si infila nella sua auto e parte, sotto la pioggia fitta.
Da dove salti fuori, misterioso estraneo dagli occhi color del cielo? E dove te ne stai andando?
Sorrido a me stessa e scuoto la testa, come per scacciare via quel pensiero, prima di tornare con un sospiro alle mie scartoffie.
 
*********
Chi sentiva la mancanza delle mie seghe mentali?!? Nessuno penso dato che ho smesso da 3 giorni di tediarvi. No è che avevo questa storia in mente da un bel po’, ma essendo un po’ intricata ero e sono tutt’ora incerta nel farla uscire dal mio pc. In ogni caso ho deciso di buttarmi, o almeno ci provo.
Specifico subito che i mini pony li ho mandati in villeggiatura, quindi se c’è qualcuno che ha letto la storia precedente, niente colpi di fulmine o che so io, anche perché, anticipo, c’è di mezzo il buon Stefan.
Per il resto, ancora una volta proverò a comunicare qualche mio pensiero tramite questi due che accendono sempre la mia immaginazione.
Per alcune caratteristiche di Elena mi sono ispirata molto alla lontana alla protagonista del libro “Gli occhi gialli dei coccodrilli” della mia amata Pancol… osservatrice, sensibile, un po’ fantasiosa, si aiuta con le sue illusioni a superare una realtà non sempre facile.
Damon lo conosceremo meglio la prossima volta. Questo prologo un po’ strampalato voleva essere solo il racconto del loro primo incontro.
Un appunto sul titolo “Pesci bizzarri”, è una canzone dei Radiohead, gruppo a cui sono devota da una decina di anni, ecco spiegate molte delle mie paranoie.
Insomma, se tutto va come deve e sempre se ne avrete voglia, ci rivediamo fra una settimana. :-)
Bacioni
Chiara
  
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