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Autore: autumnleaf    29/03/2014    1 recensioni
"Tornò a guardare quegli occhi, specchi di luna, e avrebbe giurato che fossero ben più lucidi del normale, ma era impossibile, doveva sbagliarsi, Sherlock Holmes non piangeva mai.
Vi si perse ancora per qualche attimo, quasi per assaporarne la vita, quella vita che era stata anche un po' sua, e che per due anni aveva creduto persa."
[Seconda one shot di una serie ispirata alle canzoni delle t.A.T.u., mio personale remake della scena del ristorante.]
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi non mi appartengono e la storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Il titolo e i versi posti all'inizio della storia appartengono alla canzone Friend or Foe delle t.A.T.u.

 



Is it too late?
Nothing to salvage
You look away
Clear all the damage

The meaning to
Our words of love
Has disappeared

We used to love one another
Live for each other
so are you friend or foe?
Cause I used to know
 
The promises
Hollow concessions
An innocent show of affection
I touch your hand - a hologram
Are you still there?




 
 
 

"Ci sarò sempre per te, Sherlock, te lo prometto. Per sempre."

 
 
 



Aveva in mente un ritorno sorprendente, per lui. Qualcosa di speciale, così com'era speciale lui.
 
John Watson, l'unica persona che l'aveva apprezzato, compreso, amato per ciò che era, e l'unica persona a cui lui avesse realmente permesso di farlo. Per John si era tolto la maschera, quella stessa maschera che aveva mostrato per anni perfino al suo stesso fratello; per John aveva rischiato la propria vita pur di proteggere la sua; per John si era finto morto, rinunciando anche a vederlo e sentirlo per due anni; per John... l'impossibile, per John.
Era stato solo tempo, e il tempo non cancella le cose vere e forti, per lui era così, quindi era certo che anche per John lo fosse, certo che l'avrebbe capito anche questa volta. Del resto, gliel'aveva promesso. "Per sempre".
 
Perciò, quella sera, si travestì da cameriere, si intrufolò nel ristorante dove John era stranamente andato a cena e si preparò per andare a "servire" al suo tavolo.
Dalla sua postazione lo vedeva di spalle, ma questo bastò a fargli accapponare la pelle e contorcere lo stomaco: una reazione che non aveva programmato, ma che attribuì all'eccitazione per l'assurdità che stava per mettere in atto, seppure inconsciamente consapevole di stare mentendo a se stesso, almeno in parte.
John era in compagnia di una donna dai capelli biondi e ondulati che Sherlock non aveva mai visto, ma alla quale in quel primo momento fece l'errore di non dare importanza, troppo preso dal pensiero che di lì a poco sarebbe tornato tutto come un tempo, come doveva essere.
Così, con la bottiglia di André Beaufort di cui si era premunito, si incamminò verso il tavolo con disinvoltura.
 
E vide.
 
Vide che John teneva la mano alla donna e che stava infilando l'altra in tasca per tirarne fuori qualcosa, e non gli servì aspettare di vedere quel qualcosa per capire tutto.
Lo shock gli fece quasi mancare il fiato e provò vergogna per quello in cui aveva avuto fiducia, per la delusione adolescenziale che stava provando e che lo faceva sentire così sciocco e immaturo, ma l'ammonimento non fu abbastanza rapido da impedire ciò che accadde.
Le sue pupille si dilatarono, la bottiglia gli sfuggì di mano e si ruppe in mille pezzi inondando il parquet del ristorante di pregiato champagne dorato, ancor prima che il cofanetto di velluto blu emergesse dalla tasca dei pantaloni di John. Quest'ultimo, sentito lo schianto a pochi passi da lui, istintivamente si alzò di scatto e indietreggiò, facendosi anch'egli sfuggire di mano il cofanetto, che si aprì e l'anello d'oro bianco e diamanti che custodiva schizzò via, finendo chissà dove.
"Per la miseria, signore, faccia.....", iniziò John, stroncato poi dall'incontro con gli occhi del signore.
 
Occhi color del cielo d'inverno, occhi vispi, sagaci, occhi nel cui sguardo attento si era perso tante e tante volte... occhi che aveva visto sbarrati e spenti, e che ora, inspiegabilmente, assurdamente, incomprensibilmente, erano di nuovo vivi.
Lo fissavano attoniti e smarriti, pieni di... cos'era? Sorpresa, forse, delusione, tristezza... probabilmente anche un pizzico di rabbia.
Ma ne avevano poi il diritto?...
 
John dimenticò la cena, il ristorante, l'anello, la proposta, il tempo, il mondo, e si sentì svenire.
Non è possibile... non è possibile...
Roteò gli occhi e si portò una mano alla testa che aveva preso a girargli vorticosamente, mentre con l'altra cercava a tentoni il tavolo per sostenersi.
La donna che era con lui scattò in piedi allarmata, ma Sherlock fu più svelto di lei nell'accorrere a sorreggerlo e aiutarlo a sedersi.
"Non... toccarmi."
Le parole di John, cariche di risentimento, parvero congelare l'aria che li circondava, nell'ormai muto ristorante, dove tutti avevano smesso di mangiare per osservare curiosi e increduli ciò che stava succedendo.
 
Due anni... due maledettissimi anni in cui non è passato un solo maledettissimo giorno in cui non sono andato a far visita alla sua maledettissima tomba... e lui arriva così, come se niente fosse, come un amico che torna inaspettatamente prima dalle vacanze e decide di farti una sorpresa... come se non fosse morto... perché no, non è morto!
 
"Andiamo via, Mary."
John si rialzò furioso e lasciò cadere una banconota da cento sterline sul tavolo prima di prendere la sua compagna sotto braccio e trascinarla via da quel ristorante il più velocemente possibile.
Aveva la sensazione di star fluttuando a mezz'aria o di camminare su qualcosa di innaturalmente soffice; anche i suoni della città arrivavano al suo orecchio ovattati, distorti, tanto da portarlo a chiedersi se si trattasse solo di un sogno, o di uno scherzo della sua immaginazione. Era tutto surreale e privo di senso.
La sola cosa nitida era l'unica che, invece, non avrebbe dovuto avere senso affatto: la voce di quello... spettro che urlava il suo nome dietro di sé.
 
Era andata così diversamente da come Sherlock si era aspettato... era talmente sicuro, forse troppo, che il suo John sarebbe stato ancora suo. Aveva dato per scontato che sarebbe stato felice, che l'avrebbe abbracciato e avrebbero avuto tutta la notte per parlare, come ai bei vecchi tempi. Non aveva proprio preso in considerazione l'ipotesi che dopo due anni si fosse ormai rifatto una vita, no, proprio non accettava l'idea che lo stesse rimpiazzando. Gliel'aveva promesso...
"John!" - chiamò ancora, seguendo le due figure scure che camminavano a passo svelto a pochi metri di distanza da lui, sullo stesso marciapiedi - "John, lasciami spiegare!"
 
Tutt'a un tratto Mary si fermò, trattenendo John per un braccio.
"Ascolta almeno cos'ha da dirti..." - gli disse dolcemente - "Aveva il tuo stesso dolore negli occhi."
Lui la guardò. Invidiava il suo essere sempre così calma, composta e comprensiva. Del resto era anche per questo che l'aveva scelta... e che le avrebbe chiesto di sposarlo, se qualcuno non li avesse interrotti sul più bello. Ad ogni modo, quegli occhioni blu fecero sbollire un po' la sua rabbia e lo convinsero, perché aveva ragione. Anche stavolta.
 
Sospirò e si voltò per andare incontro a Sherlock.
Sherlock... gli sembrava proprio uno scherzo. Un brutto scherzo di cattivo gusto.
Ma quando se lo ritrovò davanti, la ferita nel suo cuore rattoppata alla bene e meglio riprese a sanguinare e gli fece capire che era tutto grottescamente vero.
 
"Perché?" - lo aggredì brusco, senza nemmeno dargli il tempo di aprir bocca - "Dimmi soltanto perché, non m'interessa nient'altro. Una ragione. Valida, possibilmente."
"Tu."
Quella parola quasi sussurrata rimbombò nelle orecchie di John come un tuono violento e improvviso.
"L'ho fatto per te, John, come tutto, come sempre."
"Due anni..." - gli occhi del dottore si gonfiarono di lacrime, ma egli le ricacciò orgogliosamente, sperando che l'altro non se ne accorgesse - "Due anni di incubi e psicofarmaci, Sherlock."
I demoni di quello che aveva vissuto si riaffacciarono alla sua memoria come a rammentargli che non poteva perdonarlo, e lottavano con i ricordi delle notti passate insieme a parlare, dei loro schivi abbracci e quei baci mai dati, che invece lo imploravano di fare il contrario, ma al contempo facevano infiammare la sua collera.
"Cosa cazzo credevi di fare per me standomi lontano, eh?! A volte avrei preferito morire io per davvero, piuttosto che vivere in quello stato, sarebbe stato meglio!"
La voce dura e sofferente di John riecheggiò nella strada deserta; colpì Sherlock come uno schiaffo in pieno volto, risvegliando un senso di colpa che tuttavia per lui era totalmente irragionevole.
Non riuscendo a dargli una risposta tentò goffamente di abbracciarlo, ma John lo respinse.
"Sto aspettando."
Sherlock, deluso da quel rifiuto, riprese a parlare quasi spazientito, come se fosse tutto estremamente ovvio.
"Moriarty aveva minacciato di ucciderti se non me ne fossi andato io. Cos'avrei dovuto fare? Rettifico: cos'avresti fatto al mio posto? Ero certo avresti capito."
"Oh, sicuro! Ma vedi, per un errore di fabbrica sono uscito dallo stampo senza la sfera di cristallo in dotazione! Non siamo tutti geniacci come te, Sherlock."
Il detective alzò gli occhi al cielo e sospirò.
"Non fare l'idiota che non sei. Io..."
"Tu sei un egoista." - continuò l'altro al suo posto, in una risata tra il sarcastico e l'isterico - "La gente qui a Londra ti credeva un impostore, non potevi tornare, dovevi aspettare che le accuse sul tuo conto cadessero. E' questo il vero motivo."
"E' anche questo, certo: tu lavoravi con me, infangare il mio nome significava infangare anche il tuo e non potevo permetterlo."
John distolse lo sguardo da lui. Ancora non bastava... sembrava che nulla potesse bastare.
"M'importa di ben poche cose al mondo, John" - proseguì Sherlock in tono ormai così sommesso, quasi remissivo, da non sembrare lui - "e una di queste sei tu, lo sai. Nonostante la mia nota riluttanza nei confronti dei rapporti umani, a te ne ho dato prova tante volte."
Provò a toccargli una mano, ma riuscì appena a sfiorarla prima che John la ritraesse, quel tanto che bastò a fargliene avvertire la freddezza. Nonostante si trovasse a meno di un passo da lui, John sembrava lontano anni luce. Una volta la forza del loro legame ardeva a tal punto da farli quasi scottare, e ne era capace perfino quando si trovavano agli emisferi opposti della Terra, ma questo era una volta.  Adesso una sola fiamma bruciava, ma quanto sarebbe potuta durare, da sola? Senza il sostegno dell'altra si sarebbe estinta, prima o poi, lasciando sotto di sé un cumulo di aride macerie.
"Mi avevi promesso che ci saresti stato per sempre."
"Certo. Io ci sarei stato, Sherlock. Sei tu che te ne sei andato."
John si voltò.
I demoni avevano vinto.
Ora che una briciola di stabilità e felicità di nome Mary Morstan era apparsa ad illuminare il suo cammino dopo tanta sofferenza, non voleva... non poteva rischiare di perderla per una mina vagante che non aveva mai potuto garantirgli niente.
Sebbene quella mina vagante che portava con sé soltanto guai e pericoli lo facesse sentire vivo come nulla al mondo.
 
Sherlock si passò una mano tra i folti ricci in un gesto a metà tra la stanchezza e la disperazione.
Non voleva tornare ad essere una foglia morta.
Afferrò il polso di John prima che fosse troppo tardi o che gli mancasse il coraggio:
"Dimmi almeno addio. Non hai potuto farlo allora, fallo adesso."
La sua voce tremava e un pezzo del cuore di John si infranse a quella velata preghiera.
Tornò a guardare quegli occhi, specchi di luna, e avrebbe giurato che fossero ben più lucidi del normale, ma era impossibile, doveva sbagliarsi, Sherlock Holmes non piangeva mai.
Vi si perse ancora per qualche attimo, quasi per assaporarne la vita, quella vita che era stata anche un po' sua, e che per due anni aveva creduto persa.
 
L'avrebbe fatto, sì. Davanti a lei, incurante degli sporadici passanti e delle conseguenze.
Avrebbe dato a lui il bacio più appassionato e agognato e brutale e arrabbiato di tutta la sua vita, non a Mary.
Quel bacio sarebbe stato carico di tutto il dolore e la mancanza che aveva vissuto in quei due anni, come se attraverso di esso fosse stato possibile riversarli in lui per dargli almeno un'idea di cosa avesse dovuto sopportare.
Ma sarebbe stato anche pieno di tutto l'amore soffocato e disperato che non aveva mai avuto il coraggio di esternare, e l'avrebbe fatto adesso, un po' per vendetta, un po' perché non poteva avere la certezza di future opportunità.

Ci rimarrei attaccato per sempre, Sherlock. Sulle tue labbra, ci morirei.
 
Prima che quel desiderio lo annientasse, John lo spinse via per allontanarlo il più possibile da sé, sebbene sapesse perfettamente quanto fosse inutile, non potendone nemmeno sbiadire il ricordo.
 
Sherlock lo guardò scappare e gli parve di aver lasciato un pezzo di sé incollato alla sua bocca, che per un attimo gli era stata così pericolosamente vicina...
 
Due lacrime caddero, quella notte. Solitarie, uniche, vere.
Una dal mare profondo.
L'altra dal cielo d'inverno.



















N.D.A.
Buon pomeriggio, rieccomi con la seconda one shot della mia (ipotetica) serie ispirata alle canzoni delle t.A.T.u.
Questa storia è stata un po' un parto onestamente, il punto di vista di Sherlock mi ha uccisa, il mio intento era rappresentare la rottura del suo "guscio", il suo essere "diversamente umano" (ma senza sbilanciarsi troppo) con John e con lui solo, e non sono tanto sicura che mi sia riuscito, ma non siate clementi, sapete come la penso: è meglio una critica vera di un complimento finto! u.u (cit. storpiata)
Un grazie speciale va al mio fidanzato, che nonostante non ami il genere mi sta sostenendo tantissimo e dando tanti consigli utili (e, diciamocelo, sta sopportando le mie paranoie e insicurezze con una pazienza infinita XD) :)
Ps. Non riesco a fare a meno di essere deprimente, scusatemelo (?)
   
 
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