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Autore: xGracex    30/03/2014    0 recensioni
Nessuno è mai al sicuro, ma tutti hanno qualcuno che veglia su di loro.
Dopo la morte della migliore amica, Willow si sente persa, sola, vuota. Va avanti senza rendersi conto che in realtà la sua vita si è arrestata. Ha perso fiducia in se stessa, negli amici, nella famiglia; ma c'è ancora qualcuno che non l'ha ancora abbandonata. Qualcuno che conosce, ma non vede. Qualcuno che l'ascolta quando nemmeno lei riesce a capirsi.
Ma non ci si può fidare mai del tutto, né degli altri né di se stessi.
Ognuno nasconde dei demoni.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I
SECRETS
Si trovava sul ciglio di uno strapiombo. Sotto, le onde del mare in tempesta si infrangevano violentemente contro le rocce. Non c’era nessun altro a parte lei. Il cielo era nuvoloso e scuro, un vento freddo soffiava scompigliandole i capelli biondi. Mise le mani ai lati della bocca e urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, ma l’unica voce era la sua, ripetuta infinite volte. Aguzzò la vista cercando di vedere se ci fosse qualcosa all’orizzonte: una striscia di terra, una barca, un aereo. Non c’era nulla, era sola. In cielo non volava nessun uccello, l’unico rumore in quel luogo era il suo respiro e il sibilo del vento. Si girò cercando un qualsiasi segno di vita, ma dietro di lei c’era soltanto un’immensa distesa di erba secca e ingiallita. D’un tratto una mano invisibile le toccò la schiena e la spinse oltre il dirupo. Sentì la terra mancarle sotto i piedi, ogni membra del suo corpo era senza peso mentre precipitava in picchiata. Cercò di urlare, ma dalla gola uscì solo un verso soffocato. Un velo nero l’avvolse e non vide più nulla, ma la caduta senza fine continuò.
 
Willow si svegliò di soprassalto. Aveva il respiro pesante, i muscoli tremavano febbrilmente e gocce di sudore scendevano dalle tempie; i capelli si erano appiccicati alla fronte e le coperte erano spostate tutte da una parte del letto. Si mise seduta e allungò la mano per accendere la luce. Affondò il viso tra le mani, cercando di calmarsi mentre lacrime salate le rigavano le guance. Un altro incubo. Ancora. Si alzò e afferrò il bicchiere appoggiato sul comodino, andò in bagno e lo riempì d’acqua; poi fece cadere sul palmo della mano una pastiglia presa dalla confezione di medicine. Era piccola e circolare, leggermente gonfiata verso il centro e giallognola. La ingoiò e bevve l’acqua tutta in un sorso. Guardò di sfuggita il suo riflesso allo specchio: aveva due borse scure sotto gli occhi, la pelle era molto pallida e il viso spigoloso. Aveva perso parecchi chili negli ultimi tempi e si vedeva molto bene. Sentì un rumore provenire dalla camera da letto. Uscì vigile dal bagno lasciando la luce accesa visto che l’altra era spenta, anche se era più che sicura di averla lasciata accesa. Era un suono simile a uno sfarfallio, come quando il suo pappagallo Holly inizia a svolazzare per la casa, ma questo era amplificato e lo poteva sentire benissimo. Sembrava provenire da fuori e si avvicinò alla finestra. Era buio pesto, non si vedevano né i bagliori dei lampioni né il cielo stellato a causa della densità della nebbia. Lo sfarfallio smise, ma qualcosa iniziò a sbattere sul vetro e balzò indietro dallo spavento; si fece coraggio, andò alla finestra e l’aprì di scatto. Un ramo solitario dell’albero piantato vicino alla casa era poggiato sul davanzale. Si tranquillizzò e rise nervosa, pensando a quanto avesse avuto paura per un nonnulla. Allungò il collo fuori e respirò l’aria fredda, non c’era un filo di vento. Allora come aveva fatto il ramo a sbattere contro il vento? Chiuse immediatamente la finestra e si rifugiò sotto le coperte, con le orecchie all’erta, ma l’unica cosa che sentiva era il suo respiro affannato.
 
***
Si svegliò con il profumo di pancakes proveniente dal piano di sotto. Si tolse il pigiama e indossò un paio di jeans e un maglioncino rosa chiaro; scese le scale e sbucò in cucina, dove sua mamma stava armeggiando ai fornelli. Seduta in piedi su una sedia c’era Ruby, la sorellina di sei anni. Era molto sveglia e carina: aveva i capelli biondi mossi e corti e due occhioni color nocciola che osservavano qualsiasi cosa degna del suo interesse, le guance paffute e lentigginose e un piccolo naso a patata.
-Buongiorno- disse stampandole un bacio sulla testa. Si sedette a tavola, vicino a Ruby, e le scompigliò i capelli, lei scacciò via la mano con un urlo divertito.
-Ciao, Willow- rispose sua madre. Si chiamava Lily ed era una donna giovane, con i capelli castano lunghi e mossi e gli occhi verdi e un corpo da far invidia. Non si eravamo mai assomigliate molto, né caratterialmente né fisicamente, e litigavano spesso. Mise sul piatto di Willow tre pancakes fumanti e ci versò sopra lo sciroppo d’acero –dormito bene stanotte?
-Sì- mentì. Non voleva preoccuparla più del dovuto con i suoi incubi. Diede un pancake anche a Ruby e poggiò la padella sul lavello.
-Allora potresti smettere con le medicine, no?
Il solo pensiero la mandò in panico. Lei viveva di quelle pastiglie e avrebbe avuto non poche complicazioni se gliele avesse tolte. Negli ultimi mesi le aveva detto bugie su bugie ogni volta che le domandava se aveva dormito bene, aveva dato già abbastanza problemi con i suoi incubi e non mancava giorno che non si sentisse in colpa. Era come se fosse continuamente in debito con sua madre, che aveva sacrificato il lavoro, la sua vita privata, i suoi risparmi per aiutarla, e doveva riscattarlo in qualche modo.
Si limitò ad annuire per non destare sospetti. Finì la colazione in fretta e si mise in spalla lo zaino –io vado. Ciao!
Camminò lungo il marciapiede fino alla fermata dell’autobus con le cuffiette nelle orecchie. Il quartiere dove abitava era tranquillo, un lungo, unico viale dove si trovavano soltanto case plurifamiliari più o meno tutte uguali tra loro, a due piani e con un modesto giardino. Quella mattina era nuvolosa, ma la nebbia si era ormai diradata del tutto. Non faceva molto freddo, anche se le temperature del Maine d’inverno erano sempre tra le più basse dello Stato. La primavera era alle porte e la neve si era sciolta del tutto, anche se non era ancora molto caldo. Infilò le mani in tasca per tenerle al caldo, mentre l’autobus si stava avvicinando. Salì e si sedette al solito posto, di fianco a Stacy.
-Ciao- le disse togliendo una cuffietta e porgendogliela.
-Ehi- rispose –come va?
-Normale, tu?
Stacy si portò una ciocca di capelli rossicci dietro l’orecchio e fece un gran sorriso –da domani si va in macchina a scuola.
-Te l’hanno comprata finalmente?- le chiese entusiasta. Annuì raggiante e le batté il cinque. Era contenta per lei, sognava da molto quella macchina –una vecchia Porsche- e aveva faticato tanto per meritarsela: bei voti a scuola, lavoretti pomeridiani e si era impegnata molto anche nello sport. Chissà come aveva fatto a sopportare tutti quegli impegni, con la costituzione delicata e mingherlina che si trovava. E poi, niente più autobus.
-Oggi ti accompagno a casa?- mi domandò.
-Devo fermarmi in biblioteca- rispose con un’alzata di spalle –però vengo a vederti agli allenamenti, se vuoi.
Il sorriso entusiasta di prima si trasformò in un piccolo sorrisetto malizioso –o vuoi tu?
Non capì l’allusione; aggrottò le sopracciglia e scosse la testa perplessa. Stacy alzò gli occhi spazientita, come se quello a cui si riferiva fosse ovvio –Thomas ti dice niente?
-Oh- disse ancora più confusa –quindi?
Stacy sbattè la mano sulla fronte –con tutte le volte che te ne parlo!- esclamò esasperata. Non voleva tornare ancora nella zona “Thomas”.
-Sai che ne penso- ribatté neutra. Le aveva ripetuto mille e mille volte che tra lei e Thomas non c’era nulla. Erano amici e andavano alla stessa scuola, anche se lui ha un anno in più di Willow. Stacy era convinta che gli piaccia, anche se secondo Willow non era affatto vero. Ma quando lei si metteva in testa una cosa, nessuno poteva persuaderla del contrario. Così iniziò a sorbirsi i milioni di ipotesi e ragionamenti assurdi sul loro pseudo amore taciuto finché non arrivarono a scuola. Scesero dall’autobus e si diressero a scuola. La mattinata passò in fretta e, finite le lezioni, Willow andò al campo a vedere gli allenamenti di Stacy. Lei era una cheerleader, una tra le più brave, e insieme a loro si esercitava anche la squadra di football, dove giocava Thomas. Si mise sugli spalti, era l’unica a parte qualche altro ragazzo che se ne stava per conto proprio o in gruppo. I ragazzi della squadra di football si stavano allenando con lanci e placcaggi di enormi manichini arancione; individuò subito Thomas, che era sul punto di tirare la palla. Intanto, le cheerleader si esibivano in coreografie complesse e acrobazie mozzafiato. Stacy stava sorreggendo la gamba di un’altra ragazza sulla spalla, che però perse l’equilibrio e cadde a terra gridando. Willow si alzò di scatto preoccupata che si fosse fatta male e anche gli altri ragazzi corsero a vedere se stava bene. Capì che non si era fatta nulla dalle urla di accusa che lanciava contro Stacy.
-Brutta stupida! Sta’ attenta!- strillò rialzandosi, aiutata da Thomas –potevo rompermi l’osso del collo!
-Ma è colpa tua!- replicò alzando la voce a sua volta. Non si sorprese del fatto che a urlarle contro fosse Melissa Grey, capo delle cheerleader nonché ragazza più svampita e odiosa dell’intero universo.
-No è tua!- Melissa le si avventò contro, tirandole i capelli, e Stacy le graffiò il viso con le unghie laccate. La loro coach, Mrs. Hogan, e quello di football, Mr. Smith, cercarono di separarle inutilmente; anche gli altri li aiutarono e alla fine Melissa si staccò dai capelli di Stacy, ridotti a un nido di uccelli.
-In spogliatoio, tutte e due!- ordinò Mrs. Hogan furiosa. Le due se ne andarono dal campo e Stacy lanciò un’occhiata a Willow. Doveva seguirla. Si alzò e la raggiunse in spogliatoio. Melissa si stava cambiando e così anche Stacy, ma nessuna delle due notò il suo arrivo.
-Che ti salta in mente?- le sussurrò afferrandole il braccio –vuoi che ti buttino fuori dalla squadra?
-Ha iniziato lei!- rispose liberandosi dalla presa e infilandosi la t-shirt. Aspettò che finisse di vestirsi e si diressero verso l’uscita.
-Attenta, Meckenzie- disse Melissa fissandole minacciosa. Due strisce rosse le rigavano la guancia –questa non la passi liscia.
-Sto tremando- rispose Stacy fingendo di avere i brividi. Ma quando Melissa minacciava qualcuno, c’era davvero da stare attenti. Alle nostra spalle comparve Mrs. Hogan. Non era una professoressa particolarmente severa o cattiva, ma la sua stazza non la rendeva di certo una donna dai modi dolci. Era molto alta e anche robusta, assomigliava più a un giocatore di football che a una cheerleader; da giovane era a capo della squadra di questa scuola.
-Che ci fa qui, signorina Knight?- chiese a Willow incrociando le braccia.
-Io...ehm…volevo sapere come stava Stacy…
-Questo spogliatoio è per i giocatori.
Si strinse nelle spalle e sfoderò l’espressione da ragazzina innocente –mi scusi, adesso vado.
Guardò Stacy, che la fissava preoccupata, e le sorrise; poi sgusciò fuori dallo spogliatoio. Non avrebbe voluto essere nei suoi panni, le ramanzine della Hogan sono sempre lunghe e molto noiose, soprattutto se si tratta dei litigi tra compagni di squadra. Lei punta molto alla collaborazione tra le sue cheerleader e non tollera alcun tipo di litigio o discussione. Il problema è che Stacy e Melissa non si sono mai sopportate e più di una volta sono arrivate alle mani; questa volta Stacy rischia sul serio di essere buttata fuori dalla squadra.
-Willow!
Si voltò e vide Thomas venirle incontro. Indossava ancora la divisa da football e teneva in mano il casco; i capelli biondi rilucevano di sudore sotto il sole, comparso da dietro le nuvole.
-Ti ho visto sugli spalti- le disse sorridendo.
-Già, mi dispiace per il comportamento di Stacy- si scusò imbarazzata.
Thomas rise divertito –ha un bel caratterino.
Iniziò a ridere anche Willow, condizionata da lui. Gli altri della squadra lo salutarono e gli diedero pacche sulle spalle, congratulandosi per l’allenamento. Thomas non era il quarterback, ma era comunque molto bravo e tutti lo invidiavano; aveva sempre amato il football.
-Vuoi che ti riaccompagni a casa?- le chiese grattandosi il naso. Faceva sempre così quando era agitato.
-Devo andare in biblioteca, ma grazie.
Face cadere la mano lungo il fianco e il sorriso scomparve –okay. Ci vediamo allora.
-Ciao- disse mentre se ne stava andando. Si allontanò dal campo, ma vide con la coda dell’occhio Thomas tirare un pugno al muro.
  
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