Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: yua    06/07/2008    4 recensioni
è la mia prima storia, quindi chiedo clemenza, soprattutto perché nasce come uno sfogo personale, e non come una vera e propria storia...
No, non è sufficiente, non è sufficiente avere solo un assaggio, non è sufficiente per continuare, per ricominciare, l’armatura è caduta, e io non potrò mai più ricostruirla.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kurogane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Not Good Enough







Come è facile chiedere di più, come è facile essere insoddisfatti… perché se si ci si accontenta di un compromesso si rischia di essere felici, e se si è felici si ha qualcosa da perdere.
Se si fosse felici, forse, non si avrebbe nulla per cui lottare.
La gioia, per quanto possa essere grande, non sarà mai infinita.
Non sarà mai immortale e immutabile, non sarà per sempre perfetta.

La natura è mutevole.
Questo è il motivo per cui vivo lontano da tutto e da tutti, lontano dal calore umano, lontano da quella gioia che però non sono stato capace di impedirmi di desiderare. La maschera di ghiaccio che mi sono calato sull’anima sembrava impenetrabile, ero certo che anni di dolore l’avessero temprata, resa forte come un’armatura antica, ma piano piano, poco per volta, quasi senza che me ne rendessi conto, un raggio di sole, di quel sole che per tanto tempo ho cercato di evitare, l’ha inesorabilmente penetrata, facendola sciogliere dall’interno, da quel punto in cui credevo fosse più spessa, proprio all’altezza del cuore.
Non avrei mai immaginato che un giorno mi sarei permesso di amare… e se all’inizio mi sembrava sufficiente stare a guardare, per quello strano meccanismo della mente che anela ad avere sempre di più, ho messo da parte la prudenza e mi sono avvicinato, come mai prima d’allora avevo fatto.
Ho lasciato che il calore di un’altra anima ferita mi avvolgesse, ho lasciato che il suo calore divenisse mio, ho lasciato cadere quelle barriere che credevo indistruttibili, per potermi perdere almeno una volta nell’immensità di un paio di occhi spaventati.
E quegli occhi profondi, del colore del cielo e del mare, quegli occhi che non hanno mai saputo mentire, per la prima volta mi hanno insegnato che nascondere le proprie ferite non può che renderle più dolorose.
E quelle mani bianche mi hanno dimostrato che da un contatto non nasce per forza una piaga, che esiste qualcosa di diverso dal silenzio lacerante causato da un’essenza di solitudine.
E quelle labbra morbide, dolci, che mi hanno accolto in un bacio leggero mi hanno insegnato che, in fondo, anche a me poteva essere concesso un brandello di felicità.
La gioia provocata in me anche dalla semplice evocazione di un nome, di un semplice nome, mi sconcertava, non volevo credere che il mio animo fosse arrivato a tanta debolezza. Mi spaventava come, dopo qualche tempo, la sua presenza mi fosse diventata necessaria, quanto desiderassi sfiorare il suo corpo diafano coperto solo dall’oscurità della notte.
Amavo.
Forse in modo eccessivo, ma ero felice.
Era quella gioia indicibile che nasce dalla condivisione, dalla possibilità di spartire con qualcuno quella gioia così grande che sgorga direttamente dal cuore.
Mi è stato concesso un assaggio di felicità.
Ora, che stringo un corpo esanime, straziato, deturpato, mi rendo conto che non mi basta.
Non mi basta ciò che ho avuto, non mi sono saziato con quello che mi è stato concesso dal Fato e che molti non otterranno mai, non mi capacito di come tutto sia potuto finire così.
Accarezzo con dolcezza i capelli chiari, chiarissimi, che con questa luce sembrano bianchi, e mi accorgo di quanto siano soffici e leggeri, e osservo gli ultimi raggi di una luce che si sta esaurendo perdersi sulle sue ciglia, sfiorare le sue labbra semidischiuse, come per accoglierle in un bacio leggero.
Gli occhi, quelli che mi hanno rapito, sono chiusi, ma se non lo fossero il loro vuoto mi ucciderebbe, mi distruggerebbe vedere che, in realtà, neppure quegli occhi sono eterni; forse allora è meglio così.
L’espressione del suo volto è distesa, invidio la sua serenità, per lui è tutto finito, non rivedrà nessuna alba implacabile, non sentirà il resto del mondo risvegliarsi e ricominciare a vivere.
Mi accorgo di piangere, mi accorgo che non sono abbastanza forte da impedirlo, non sono abbastanza forte da ricomporre quella maschera, quell’ armatura, perché non sarò capace di raccoglierne tutti i pezzi.
“Fay… Fay…”
Mi accorgo che è infantile, lui non risponderà, non lo farà mai più.
“ti amo”
è un singhiozzo strozzato, quasi mormorato sulla sua pelle perfetta, macchiata dal suo stesso sangue, dal sangue che scorre inarrestabile da troppe ferite sparse sul suo corpo.
Ho scelto di osare.
Ho scelto di avvicinarmi a qualcuno.
Ho scelto di provare a curare le mie mille ferite.
Ho scelto di mettermi in gioco…
E ho perso tutto.
No, non è sufficiente, non è sufficiente avere solo un assaggio, non è sufficiente per continuare, per ricominciare, perché l’armatura è caduta, e io non potrò mai più ricostruirla.
Stringo forte un corpo esanime e la sola speranza che ho è che tutto questo non sia vero.


Un altro corpo che in mezzo a tanti altri come lui sembra fragile e delicato -o forse è solo un’anima?- è disteso su quel campo di battaglia, ancora saturo dell’odore del sangue da poco versato, è un’altra vittima della guerra? No. È stato il peso di una vita di ricordi che gli ha donato la morte, è stata una vita vuotata di un calore che per tanto tempo si era negato a distruggerlo.
È stato il pensiero, solo il pensiero, di una vita da condurre da solo, perché la gioia appena conosciuta che gli ha sottratto la vita, ciò che ha avuto non gli è bastato
  
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