Desclaimer: Questa fic tratta di amore omosessuale fra ragazzi, ovvero YAOI (BoyxBoy) anche se più avanti. A chi non piace e/o si possa
sentire offeso da letture di questo tipo, clicchi
pure la X in alto a destra che è fatta apposta U____U.
Tutti i personaggi
utilizzati all’interno dell’elaborato non sono di mia proprietà, ma del sensei Masashi Kishimoto. Sono inoltre
tutti maggiorenni e, comunque, non esistenti. Nel caso vengano fatti nomi di
persone realmente esistite e/o esistenti il fatto è interamente casuale. Non
ricevo nessun tipo di beneficio dalla pubblicazione di questa fic se non il piacere di massacrare Sasuke Uchi…emh, il piacere di scrivere fanfiction! ^______^ *il sorriso del diavolo*.
Note: Eh sì, prima di iniziare! XD
Devo fare
un paio di premesse, dato che erano anni che non scrivevo più questa fic e, parliamone, che non scrivevo su “Naruto”.
Premetto
che questa fanfic, nata, credo, due anni fa, era una
di quelle idee lampo che ti vengono anche camminando sul tragitto
salotto-cucina partendo in tangente con i personaggi di “Naruto”.
Scrissi
tre capitoli (con i piedi…) e poi mollai la fic.
Bene, ho
deciso di riprenderla! ^_____^
Innanzi
tutto, rinnovo la dedica unendola a delle scuse. Tale fanfic
era stata progettata per la festa di compleanno di una delle mie amiche, ovvero
Rei Murai, che all’epoca compiva 18 anni.
Beh, oggi
ne ha 20, ma spero che la cosa valga comunque! XD Mi scuso per non averla mai
finita Rei-chan, magari questa volta mi va meglio!
*si inchina*
Secondo:
essendo una fic a capitoli vi devo avvertire che non
so esattamente quando e se
continuerò a postarla e, soprattutto, con quanto intervallo fra un capitolo e
l’altro. Ne avevo scritti tre, ma dovendo rivederli tutti (e soprattutto
tentare di scriverli in maniera decente…) non so quanto tempo mi impiega.
Cercherò di sfruttare al massimo il mese di buco prima di cominciare a studiare
per l’esame d’ammissione *annuisce vigorosamente*.
Terzo:
Come probabilmente alcuni di voi noteranno (se non ora nel corso della fic) ho preso liberamente spunto da qualche film/manga,
senza tuttavia sforare nel Crossover. I principali
ispiratori sono “Constantine” e “I 13 Spettri” per
quanto riguarda i film e “Fullmetal Alchemist” per
quanto riguarda i manga.
Quarto:
Credo che sia… sì, la seconda volta in tutto che posto su EFP (dato che il mio
PC ha stretto alleanza con il sito solo da poco XP) quindi non so bene come
funzionano le cose qui. Spero di non fare strafalcioni e se commentate, ne sono
lieta. Anche insulti vanno bene! (XP)
Ora vi lascio
alla lettura e smetto di rompere!
.:: Enjoy!
::.
Chapter 00 ~ Prelude
L’Accademia di San
Michele
Scese dal
taxi con aria funerea, probabilmente dimostrante di quanto gradiva la nuova
situazione in cui si era andato ad invischiare, volente o nolente.
Aspettò in
piedi che il taxista scaricasse dal baule i suoi bagagli, un trolley ed un
borsone a tracolla color verdastro, prima di passargli una banconota di medio
taglio e, dicendogli di tenersi il resto, sentire il rombo del motore in lenta
accelerazione mentre ripercorreva a ritroso il vialetto, uscendo dal grande
cancello ad inferiate nere e sparendo nel più completo silenzio della campagna.
Fra tutti
i posti al mondo in cui potevano erigere una scuola, quel posto era l’ultimo a cui avrebbe pensato.
Una
chiesa. Una chiesa su una collina isolata in mezzo alle altre colline, piantata
fra chilometri e chilometri di aperta campagna. Non c’era nemmeno una casa, ci
aveva fatto caso mentre era in taxi.
Tuttavia,
doveva ammettere che l’edificio in sé era molto bello. Le pareti scure si
stagliavano contro un cielo coperto di nuvole grigie, che tuttavia non
minacciavano pioggia. I tetti in stile gotico accompagnavano la classica
architettura a punte, i cornicioni ornati da statue di golem
e di angeli, minacciose nel suo insieme, come se guardassero dall’alto al basso
gli essi umani che aspettano di essere giudicati.
Come
essere sotto lo sguardo di Angeli e Demoni…
…beh,
certo che ne aveva di fantasia. Scosse appena il capo, distogliendo lo sguardo
e, caricandosi in spalla il borsone con l’aiuto della cinghia e prendendo
l’altra valigia a mano, si diresse in direzione del portone.
Lui era il
secondogenito del clan Inuzuka e, come capita di solito quando il primogenito è
più in gamba, era stato giustamente scartato per dare la possibilità a sua
sorella maggiore di frequentare il college. Era sua sorella il genio della
famiglia e, nonostante il clan fosse abbastanza numeroso, non avevano le
disponibilità finanziarie per consentire ad entrambi i figli di frequentare una
scuola degna di quel nome. Dunque la soluzione era semplice: mandare il
secondogenito Kiba ad una scuola cattolica, dove la retta era bassa se non
inesistente, e utilizzare i soldi risparmiati per permettere alla sorella di
iscriversi al college dei suoi sogni.
Beh, per
lui non faceva tanta differenza. Almeno era lontano da casa.
Arrivato
al portone in legno scuro rimase imbambolato a guardare anch’esso; iscrizioni
in latino troneggiavano sui lati, unite ad intarsi e decorazioni di gigli e
altri simboli che non sapeva decifrare. Certo che quel posto era tutto un
programma…
Bussò,
facendo una leggera fatica a tirare i grossi battenti in ferro battuto,
provocando due rumori sordi che, come minimo, risuonarono in tutta l’accademia.
Nonostante fosse domenica, dunque non ci fossero lezioni, l’accademia era fin
troppo silenziosa, almeno da fuori, e non avrebbe assolutamente detto che quel
posto ospitasse più di mille studenti fra maschi e femmine. Anzi, alla sola
idea di doversi infilare una divisa gli vanivano i brividi.
Appena
pochi istanti dopo aver bussato - o per meglio dire, aver fatto casino a
sufficienza da attirare l’attenzione - finalmente qualcuno gli venne ad aprire,
spalancando senza fatica il portone che, a quanto pareva, non era così pensate
come sembrava.
No,
sbagliato. Probabilmente era la massa muscolare dell’uomo che si trovò di
fronte a non essere paragonabile al quella del portone.
<<
Tu saresti? >> chiese l’uomo, l’imponente figura fasciata in un abito da
chierichetto bianco. Sicuramente era stata fatta su misura, non ci potevano
essere dubbi.
<<
Kiba Inuzuka…>> rispose solamente, profondamente inquietato
dall’espressione dell’uomo, che palesemente voleva dire “un passo all’interno e
ti piego a barchetta”.
L’uomo si
limitò a fissarlo in silenzio ancora per qualche istante, annuendo appena con
il capo: << Sì, sua eccellenza Jiraiya mi ha parlato di te. Devi essere
il novellino >> disse, Kiba sospirò impercettibilmente. << Vieni,
entra >> aggiunse solo, rientrando all’interno e lasciando che il ragazzo
entrasse dietro di lui.
Non poté
fare a meno di rimanere letteralmente a bocca aperta. Quella che doveva essere
una chiesa era stata completamente cambiata, riabilitata ad ingresso. Un lungo
tappeto rosso correva al centro di quello che doveva essere probabilmente
l’atrio dove, sotto la luce di quattro lampadari di vetro a pendente,
percorreva tutta la navata risaltando le alte finestre dalle vetrate colorate
di giallo, fucsia, verde e bianco. Ogni vetrata aveva il disegno di un rametto
di gigli e le pose dei fiori variavano a seconda della finestra su cui si
posava lo sguardo. A qualche metro dall’entrata, una volta superati due
corridoi - uno a sinistra e uno a destra - che si inoltravano in lungo in altre
ali dell’edificio, due scalinate partivano - una da destra e una da sinistra -
e, una volta fatto mezzo giro, si riunivano in una balconata che sovrastava
quello che, probabilmente, una volta era stato l’altare. Infatti, nella semi
oscurità dietro la balconata, i lunghi tubi in ottone di un organo fornivano
una visione quasi regale di quella scuola.
<<
Lasciami i bagagli, ci penso io a portarteli in camera >> fece poi
l’omone, fermandosi esattamente al centro delle due scalinate. << Tu
recati in presidenza, presentati alla preside e fatti dare la chiave della
stanza. Ti diranno inoltre in quale classe sei stato ammesso, se già non lo
sai. Dopo di ciò puoi anche andare a fare un giro per la scuola, ma ricorda che
la messa c’è alle 21, subito dopo cena. Ci partecipano tutti senza eccezione,
nemmeno per le matricole. Bene, buona serata moccioso >> terminò,
scomparendo con i bagagli su per le scale di destra, voltando, alla fine di
esse, ancora a destra per poi scomparire.
Ok, poteva
forse dedurne che quella era la strada per i dormitori.
Si forzò a
staccare gli occhi da quelle vetrate e, cercando di trovare un po’ di
convinzione, decise di seguire l’itinerario dettatogli dal colosso e di recarsi
in presidenza.
Sì
ma…dov’era la presidenza?
Si guardò
intorno svariate e svariate volte ma non riuscì a togliere un ragno dal buco.
Anzi, più osservava i vari corridoi, le scale e gli altri corridoi, più sentiva
di starcene infilando, di ragni nei buchi.
<<
Sei nuovo per caso? >> esordì poi una voce maschile alla sua destra.
Girandosi
in quella direzione, i capelli castani corti che ondularono appena nel
movimento improvviso, nel suo campo visivo rientrò un altro ragazzo. Capelli
mori, abbastanza lunghi da essere raccolti in una coda sparata al centro della
nuca, occhi scuri che davano espressione a quello che era un viso
apparentemente annoiato. A prima vista sembrava una di quelle classiche persone
che fanno le cose che devono fare al minimo indispensabile per non sprecare
troppe energie. Indossava quella che, probabilmente, era la divisa standard della
scuola: completo classico color bordeaux con pantalone nero, camicia bianca e
cravatta blu scura, nel caso di lui leggermente allentata e il colletto della
camicia aperto per i primi due bottoni. Alla destra della giacca spiccava lo
stemma della scuola: uno stelo con tre gigli bianchi su uno sfondo blu e la
scritta “St. Michael Accademy”
in uno stendardo appena sotto di esso; appena sopra lo stemma poi, una spilla
in oro raffigurante una Triquetra celtica.
<<
Sì >> si limitò a rispondere in tutti quei ragionamenti. << Come
fai a saperlo?>> chiese, nonostante la ritenesse una domanda quasi
inutile. Se lo sapeva mister Muscolo Idraulico Gel travestito da chierichetto,
pareva logico che ormai lo sapesse tutta la scuola che lui era nuovo. Tanto che
entrare ad anno iniziato non era cosa da molti.
<<
Beh, considerato che te ne stavi imbambolato fino ad un attimo fa a fissare le
vetrate, e che sembri cercare la strada giusta da quasi dieci minuti, posso
dedurne che sei nuovo >> rispose il ragazzo, mani nelle tasche dei
pantaloni, facendo spallucce.
Sì, il
ragionamento non faceva una piega. Il moro si avvicinò poi lentamente,
arrivandogli vicino e tendendogli la mano << io sono Shikamaru Nara,
terzo anno >> si presentò, sorridendo appena nonostante l’aria sempre annoiata
che possedeva.
Kiba
osservò la mano, poi alzò la sua per stringere quella dell’altro: <<
piacere, Inuzuka Kiba. Sapresti dirmi dov’è la presidenza? Già che ti ho
trovato ne approfitto >> disse subito, ridacchiando appena.
<< A
destra la presidenza e le segreterie amministrative >> disse, indicando i
due corridoi di poco prima. << Comunque non preoccuparti, non ci metterai
molto dalla preside, ti aspetto fuori. Così poi ti faccio fare un giro e
annullo le tue possibilità di perderti. Da fuori può non sembrare, ma la scuola
non è piccola >> aggiunse il moro, iniziando ad incamminarsi lentamente
verso il corridoio appena indicato. Kiba ci mise poco a seguirlo,
ringraziandolo subito prima di inoltrarsi con lui nel suddetto corridoio.
Uscì dalla
presidenza in meno di dieci minuti con la chiave della stanza e l’aria
stranita. Quella donna era spettacolare sotto certi versi, inquietante sotto
altri. Per esempio, come facesse a sorridere e urlare contro le segretarie allo
stesso tempo non sapeva come spiegarselo.
Appena
fuori dalla segreteria, ormai in chiusura, notò la figura di Shikamaru seduta
scompostamente sulle sedie del corridoio, le braccia dietro la nuca e gli occhi
chiusi. << Finito?>> chiese poi, tenendo sempre gli occhi chiusi.
<<
Sì. Quella donna è una cosa incredibile, ma come…?>>
<<
Tsunade baa-chan è sempre così. Anzi, ti consiglio di non addormentarti in
classe, vederla incavolata con altri è un discorso, ma quando la sua
incavolatura è rivolta a te è tutto un altro paio di maniche >> disse il
moro, osservandolo per un secondo ed alzandosi dalla sedia. << Bene!
Vogliamo andare? >> disse poi, indicando con il pollice il corridoio alle
sue spalle.
Kiba annuì
e, incamminandosi per percorrere il corridoio in senso opposto, seguì Shikamaru
in direzione dell’atrio. Una volta arrivati ad esso cominciarono ad
incamminarsi verso il corridoio apposto al loro. Dopo qualche passo in
silenzio, fu finalmente Shikamaru a prendere parola: << Allora, com’è
successo? Li hai mostrati in pubblico o cosa?>> chiese, camminando
tranquillamente con le mani in tasca.
Kiba
rimase sorpreso dalla domanda, non capendo assolutamente cosa intendesse
l’altro con quelle parole. << Cosa?>> chiese dunque, girando il
volto verso Nara senza capirci esattamente molto del discorso.
Shikamaru
si voltò in sua direzione, osservandolo con un sopracciglio alzato. <<
Cos’è, fai il finto tonto?>> rispose, forse sgarbatamente, lo studente.
Ok, ora
cominciava a seccarlo. << Io non faccio il finto tonto, ti ho chiesto
solamente “cosa” avrei dovuto mostrare >> rispose poi il castano,
mettendosi sulla difensiva. Non gli piacevano per nulla le persone che gli
davano del tonto senza conoscerlo, sua sorella lo aveva fatto anche abbastanza
durante la sua turbolenta adolescenza femminile del cavolo.
Questa
volta, il moro rimase in silenzio. Semplicemente lo fissava con un sopracciglio
alzato, l’espressione a metà fra il pensoso e quella che si fa quando si crede
l’interlocutore un povero deficiente. Poi, il suo viso parve illuminarsi da
un’intuizione: << Non ci credo…>> sussurrò solamente, voltandosi
del tutto verso di lui ed avvicinandosi con il viso. << Sei un umano? Un
semplice essere umano?>> chiese, osservando con quello che ora pareva un
leggero interesse. Si sapeva, Shikamaru non si sbilanciava mai a livello di
interessamento.
Kiba lo
guardò come se avesse davanti il peggior cretino sulla faccia della Terra. Cosa
voleva dire “semplice essere umano” perché, lui cos’era, E.T.
sotto mentite spoglie?
<< Beh,
non mi sento un ghiacciolo al limone, dunque direi di sì…>> rispose,
assolutamente poco convinto della salute mentale del suo primo compagno, dato
che gli avevano appena dato la notizia che l’anno di corsi era lo stesso.
Shikamaru
ridacchiò appena, accusando il colpo con stile: << no, non in quel senso
>> si scusò subito, senza nemmeno togliere le mani dalle tasche <<
è che di umani normali qui ce ne sono pochi, a dire il vero non avevo nemmeno
notato che non emani nessuna aura particolare, non ci avevo fatto caso >>
disse, osservando il volto di Kiba farsi sempre più perso ad ogni parola che
diceva. << Non hai nemmeno la minima idea di dove sei finito,
vero?>> aggiunse poi, sempre osservandolo.
Kiba
annuì, senza sapere minimamente cosa rispondergli. Che gli vai a dire a uno che
ti dice “gli umani normali qui dentro sono pochi”? La domanda che scaturiva
spontanea era un “perché, tu cosa saresti, una specie di blatta gigantesca come
quelle di Man in Black? Stai
indossando uno Shika-abito?” …però, educazione voleva
che non fosse molto cortese.
Shikamaru
sorrise appena, girandosi ed incamminandosi nuovamente lungo il corridoio
illuminato artificialmente << seguimi, ti spiego cosa intendo >>
disse solo, dirigendosi alla fine del corridoio.
Una volta
terminato, sotto una luce calda che proveniva da lampadari di cristallo alle
pareti a forma di giglio, Kiba, guidato da Shikamaru, giunse ad una specie di
secondo atrio, arredato nello stesso stile di quello precedente solamente più
basso. Il tappeto color rosso continuava anche per tutta questa sala,
intervallando percorsi sanguigni a marmo color nero.
<<
Questo è l’atrio dell’edificio delle classi >> disse il ragazzo <<
quel corridoio…>> ed indicò un’apertura nel muro di fronte a loro a
sinistra <<…e quel corridoio…>> e spostò il dito su un’apertura
identica sempre di fronte ma alla destra <<…portano rispettivamente alle
classi di Esorcismo e degli Esper. Abbiamo cinque
anni di corso, ed ogni anno ha una sola classe composta da una ventina di
alunni, o pochi di meno. Per andare alle classi di Storia degli Antichi Testi e
Alchimia si devono prendere le scale…>> e con questo indicò una scalinata
simile a quelle precedenti, ma singola, in fondo alla sala sulla parete di
destra <<…andare a destra e, a metà del corridoio in cui ti ritroverai,
percorrere il ponte sospeso fino ad un altro edificio, un po’ più piccolo di
questi due principali. Sopra alle classi…>> ed indicò la balconata, però
continuando alla sinistra <<…c’è il dormitorio femminile mentre sopra
alle segreterie c’è quello maschile. Una volta che farai il ponte sospeso
vedrai anche il cortile interno, non è malaccio per riposarsi o uscire ogni
tanto. Mi stai seguendo? >> chiese poi, voltandosi verso Kiba ed
osservandolo con la coda dell’occhio.
Il castano
aveva la bocca semi-aperta nell’osservare tutto il via vai di gente che
camminava per il secondo atrio, chiacchierando o leggendo piccoli libricini,
tutti in abiti normali e solamente qualcuno in divisa. Ma la sua mente sembrava
persa altrove…
<<
E-Esorcismo!?>> sbottò con un filo di voce, guardando Shikamaru con due
occhi che avevano la stessa dimensione di due palline da tennis, da quanto
erano sgranati.
<<
Ohi, ma eri rimasto così indietro?>> chiese incredulo il moro, sospirando
rassegnato << come cavolo hai fatto a finire qui se non sai nemmeno quali
materie si insegnano in quest’accademia?>> aggiunse poi, portandosi una
mano agli occhi con fare disperato.
A lui lo
chiedeva?! Doveva domandarlo a sua madre dove cavolo lo aveva mandato! <<
Io…non lo so dove sono finito, diamine!>> esclamò, portandosi entrambe le
mani ai capelli << lo so che non mi piaceva l’algebra e tanto meno il
latino, ma non voglio studiare esorcismo, santo Dio!>> si lamentò,
osservando convulsamente gli specchi che, a differenza dell’atrio principale,
adornavano alcune delle pareti di quello. Fu solamente allora che le notò,
riflesse alle spalle di due ragazze che passavano in quell’istante,
chiacchierando del più e del meno: due paia di ali d’angelo dalle piume grigie.
<<
Ma…ma cosa…?!>> sussurrò imbambolato, osservando come lo specchio
riflettesse le ali mentre, nella realtà, non si vedessero minimamente.
Avrebbe
imparato che, più precisamente, era lui che non riusciva a vederle a differenza
di qualcun altro…
Shikamaru
riaprì gli occhi, seguendo lo sguardo dell’altro alle grandi cornici
riflettenti, sorridendo sbieco: << te ne sei finalmente accorto?>>
chiese, guardandolo nuovamente.
<<
Cosa…cosa…?>> tento di chiedere, senza tuttavia trovare le parole.
<<
Cosa sono?>> terminò per lui il moro, osservando Kiba annuire. <<
Sono mezz’angeli >> fu la sua risposta che, se possibile, contribuì a far
spalancare ancora di più la bocca di Kiba.
<<…ma
dai, non esistono i mezz’angeli…>> tentò disperatamente di ribattere
Kiba, senza però riuscire a distogliere lo sguardo dalle due ragazze che
stavano camminando accanto agli enormi specchi.
<<
Questo è quello che pensate di solito voi comuni mortali >> ribatté
Shikamaru, muovendosi di qualche passo verso destra ed appoggiandosi con la
schiena al muro << e nemmeno tutti voi. Alcuni credono ai miracoli, per
esempio, e chi è la causa di questi miracoli? Gli Angeli. Ringraziate il vostro
“angelo custode” se scampate ad un qualche incidente o peggio, se vi salvate la
vita dopo una malattia che i medici hanno definito mortale per la maggior parte
dei casi >> disse il moro, rispondendo al castano senza tuttavia
guardarlo direttamente. Anche lui, come l’altro, stava guardando i grandi
specchi senza tuttavia la meraviglia che sicuramente provava Kiba; per lui era
uno spettacolo visto e rivisto, dopo un po’ perdeva d’attrattiva.
<<
Dunque…>> si intromise Kiba, la mano destra al mento per cerca di capirci
qualcosa << sono i mezz’angeli a salvare gli esseri umani? A fare quelli
che vengono chiamati “miracoli”?>> chiese, voltandosi verso l’altro con
espressione interrogativa.
Ormai lo
aveva preso come consulente, poco ma sicuro.
Shikamaru
sospirò appena, negando con il capo: << no, era solamente un esempio.
Sono mezz’angeli coloro nati da un legame fra un angelo ed un essere umano,
solitamente il padre angelo e la madre umana. Sono una categoria particolare in
quanto non hanno, di per sé, commesso peccati, dunque possono salire al cielo
solamente una volta l’anno, vivendo però una vita umana sulla Terra.
Solitamente si presentano come gli hai visti negli specchi. Per riconoscerli a
scuola, dato che tu non puoi vedere le ali, li puoi distinguere dalla spilla
che portano >> disse, indicando la sua dorata sopra lo stemma della
giacca << come questa, però il simbolo è diverso. Loro hanno un paio
d’ali, come spilla >> terminò, incrociando le braccia al petto.
<< E
frequentano le nostre stesse lezioni?>> chiese subito Kiba, ormai
incuriosito da tutta quell’assurda faccenda.
<<
No >> rispose Shikamaru pronto << i mezz’angeli non hanno bisogno
di fare studi particolari all’interno dell’accademia. Per loro questa scuola è
una specie di rifugio, un posto dove possono imparare a vivere come esseri
umani e a confondersi fra la massa. La loro classe viene detta “Classe
Angelica” e passano la maggior parte del tempo leggendo classici, romanzi,
testi antichi…insomma, letteratura varia >> disse, facendo una pausa di
silenzio.
Il castano
annuì appena, ancora attirato inevitabilmente da quelli specchi che
riflettevano ciò che lui non poteva vedere. Alcune persone che vi passavano
davanti sfoggiavano delle ali color cenere e addirittura altri si fermavano
davanti ad essi e, con un sorrisetto sul volto, spiegavano un’ala per
osservarne le piume, oppure per guardarne semplicemente la simmetria.
Tutto d’un
tratto, ebbe la netta impressione si essere capitato fuori dal mondo che
conosceva di solito. E l’impressione non era del tutto sbagliata…
<< E
quelli che non hanno ali?>> chiese poi Kiba, indicando con il volto un
paio di ragazzi alle cui spalle lo specchio non rifletteva nulla.
<<
Fanno parte di altre categorie >> disse semplicemente il moro, riaprendo
gli occhi con espressione neutra e quasi scocciata. << Alcuni sono Esper, per esempio io >> disse, indicandosi
nuovamente la Triquetra che portava per spilla
<< gli Esper portano questa spilla. Sono esseri
umani in cui si sono sviluppati poteri particolari, come per esempio la telecinesi, o la telepatia, o il controllo di alcune forze
naturali, come la sabbia. Vedi il ragazzo con i capelli rossi laggiù?>>
disse indicando con il volto un ragazzo poggiato di schiena ad uno degli
specchi. Aveva capelli rossi corti, carnagione chiara, fisico atletico e uno
strano tatuaggio sulla fronte, come un ideogramma. Portava una paio di jeans
larghi blu, una felpa mimetica con il cappuccio e se ne stava solo ad ascoltare
il walkman, come testimoniavano i due fili bianchi che gli scendevano lungo la
maglia fino a terminare in una delle tasche dei pantaloni.
<< Sabaku Gaara, terzo anno, Esper.
Lui riesce a manovrare la sabbia, non crederesti alle cose che sa fare >>
aggiunse Shikamaru, spostando lo sguardo lungo la sala a sua volta. Ormai non
si aspettava nemmeno più le domande, sapeva già benissimo quali sarebbero
state. << Altri invece sono Esorcisti, puoi riconoscerli dalla spilla a
forma di croce. Dovresti sapere cosa sono, ma nel caso non te lo ricordassi,
sono coloro che esorcizzano demoni che prendono possesso di corpi umani.
Solitamente sono demoni soldato che tentano il salto da questa parte…>>
<<
Alt, frena, frena, rallenta! >> intervenne Kiba, alzando le mani come a
voler interrompere la corsa di un treno << ho smesso di seguirti. Che
vuol dire che vogliono tentare il salto?>> chiese, dicendosi mentalmente
che era prima il caso di chiarirsi i dubbi poi di continuare ad ascoltare il
compagno.
Nara
sospirò di nuovo, questa volta più similmente ad uno sbuffare che ad altro:
<< i mondi ultraterreni sono soggetti a regole e hanno una posizione
precisa nello spazio. Per fartela semplice, pensa ad un sandwich: le due fette
di pane sono Paradiso ed Inferno mentre il prosciutto è il nostro mondo, il
mondo Mortale. In poche parole, siamo presi di mezzo fra i due mondi >>
disse, chiudendo una mano sull’altra come a mimare un panino. << Questi
mondi possono rimanere in questa posizione perché fra le due forze viene
rispettato un certo equilibrio. Demoni completi, come anche Angeli di sangue
puro, solitamente non possono entrare ed uscire dal mondo Mortale a loro
piacimento, devono sottostare a regole e permessi. Coloro che posso starci
senza problemi sono i mezz’angeli…>> e, con questo, indicò un paio a caso
di ali cineree <<…e i mezzi demoni. Loro sono di sangue impuro, dunque
non hanno limiti di transito dato che i loro poteri non sono sviluppati quanto
quelli di un demone completo o di un angelo puro >> disse, andando ad
incrociare gli occhi di Kiba che, prontamente, annuì. Bene, almeno adesso lo
seguiva.
<<
Tuttavia, a volte ci sono delle eccezioni >> aggiunse poi il moro
<< ovvero, quelle dei Demoni Soldato. Sono piccoli demoni che, seguendo
gli ordini del loro Signore, tentano il salto in questo mondo tramite corpi di
bambine o ragazzini che solitamente invadono e posseggono; compito degli
Esorcisti è trovarli e rispedirli all’Inferno. Solitamente, quando questo
succede, è indice di un disequilibrio fra le forze >> terminò poi
Shikamaru. << Chiaro ora?>> chiese al castano.
<<
Più o meno sì…>> rispose Kiba. << E ci sono mezzi demoni che girano
allegramente, qui dentro?>> chiese poi, guardandosi intorno come a
volerne scovare uno all’istante.
<<
Qualcuno >> ammise Shikamaru << ma stai tranquillo, le regole della
scuola vietano a chiunque di fare del male agli altri studenti >> disse,
probabilmente per tranquillizzarlo.
Anche con
quelle parole non si sentiva affatto tranquillo. Era come dire “Beh, sì, c’è
qualche mina sulla strada, ma se hai fortuna non ne pesterai!”. Aveva l’effetto
di una sciabolata sulle costole, a dirla come stava.
<<
Ok, vai avanti >> trovò il coraggio di dire Kiba, una mano sullo stomaco come
se dovesse rimettere per l’ansia che l’aveva improvvisamente attanagliato.
<<
L’ultima categoria in gioco è quella degli Alchimisti. Al contrario di tutte le
altre persone qui dentro, gli alchimisti sono esseri umani esattamente come te,
ovvero senza nessun potere particolare >> disse il moro, osservandolo di
sbieco con un sorrisetto << e, appunto per questo, sono pochi all’interno
della scuola. L’Alchimia è una cosa che si impara, non è necessaria una
predestinazione o la possessione di poteri particolari. Ma, siccome tu entrerai
sicuramente a far parte degli Alchimisti, vedrai da solo cosa significa essere
uno di loro; è inutile che io te lo stia a spiegare >> terminò, alzando
le braccia e portandole dietro la nuca in un gesto pigro.
L’Inuzuka
annuì distratto, prendendosi alcuni secondi per riordinare tutte le
informazioni che era riuscito a raccogliere solamente nelle prime due ore di
presenza all’accademia St. Michael. Angeli, demoni,
mezz’angeli, mezzi demoni… Dio, quanto era complicata quella storia? E dove
cavolo era andato a finire, poi?! Avrebbe dovuto chiamare sua madre il prima
possibile, almeno per capire come aveva potuto spedirlo lì senza nemmeno fare
un appunto su cosa avrebbe dovuto affrontare. Perché sua madre lo sapeva, se lo
aveva iscritto! Lo sapeva!
<<
Ok, magari con una notte di sonno mi convincerò che questo non è tutto uno
strano sogno. O magari, per mia felicità, fra poco mi sveglierò a casa mia, nel
mio letto, e buona notte al secchio >> bofonchiò il ragazzo, ignorando la
risatina divertita di Shikamaru al suo fianco.
<<
Aspetta a stupirti, Inuzuka >> aggiunse poi il moro, staccandosi con la
schiena dalla parete e fissando un gruppetto di persone che entrava ora nel
secondo atrio. Provenivano dalla porta sotto alla balaustra del corridoio
superiore, nella parete a destra, dalla quale si arrivava alla mensa. <<
Il meglio deve ancora venire…>> sussurrò Shikamaru, cingendo le spalle di
Kiba con il braccio e appoggiandocisi quasi di peso.
Con il
capo, il moro gli indicò quattro persone. I primi due: un ragazzo biondo con la
carnagione leggermente olivastra, capelli biondi color del grano estivo, occhi
azzurri come uno dei cieli più tersi. Indossava un paio di pantaloni a tre
quarti arancio con sopra una maglia bianca a maniche lunghe dallo scollo a V,
semplice. Teneva per mano un altro ragazzo, dall’aspetto un coetaneo; capelli
neri come la notte, occhi color dell’ossidiana profonda che risaltavano
terribilmente sulla carnagione chiara, fisico asciutto e allenato. Indossava un
paio di jeans scuri ed una maglia smanicata nera a collo alto.
<<
Loro sono le “guest star” possiamo chiamarle così. Il tripudio dell’eccezione
sulla Terra >> scherzò appena il moro, sussurrandolo direttamente
nell’orecchio di Kiba che, nonostante volesse scrollarselo di dosso, non alzava
un muscolo.
Forse era
troppo curioso. << Chi sono?>>
<<
Il biondo è Naruto Uzumaki, terzo anno, Classe Angelica >> descrisse
Nara, senza cambiare posizione. Parlava ora a bassa voce, come se anche il muro
alle loro spalle avesse potuto sentire i loro discorsi. << Lui è uno di
quelli che vengono chiamati Mezzosangue, ovvero mezz’angelo e mezzo demone
>> aggiunse, lo sguardo serio rivolto verso la coppia. << E’ una di
quelle rare, rarissime persone che nascono angeli puri ma che, dentro di sé,
portano il seme di uno dei nove demoni della Natura, i più potenti del
mondo…>> una piccola pausa, un cenno di saluto allo stesso ragazzo dai
capelli biondi e al suo compagno, rigorosamente tenuto per mano dal biondo.
Kiba
aspettò che i due distogliessero lo sguardo per domandare: << demoni
della Natura?>>
<<
Sì >> rispose Shikamaru, sempre a bassa voce. << Vengono chiamati
anche “Bijuu” o “Cercoteri”. Sono demoni potenti, che
però sono distaccati dal regno infernale in quanto sono creati della Natura
stessa, ovvero nel mondo degli uomini. Si dice che Naruto sia un contenitore
per il più potente di tutti e nove; ovvero il “Kyuubi” o demone “Volpe a Nove
Code”>> spiegò con santa pazienza, la voce sempre ridotta al minimo
indispensabile per farsi sentire.
<< E
come mai si trova qui?>> chiese in risposta il castano. Considerando
tutto ciò che aveva detto in precedenza, non dovrebbero esserci angeli puri
ecc…
Shikamaru
rimase in silenzio qualche istante prima di rispondergli: << è
complicato, per lui >> un’altra pausa, forse per cercare le parole adatte
a ciò che voleva esprimere. << Vedi, non può essere accettato nel regno
dei cieli perché è mezzo demone, e non può di certo andare all’Inferno, dato
che è anche mezz’angelo. L’unica persona che ha al mondo è Sasuke…>>
disse, mesto.
<<
Chi è Sasuke?>> chiese Kiba, osservando con occhi socchiusi il biondo.
Era una brutta storia, eppure il ragazzo sorrideva come se sulla sua vita non
esistessero ombre di nessun genere. Come se fosse…felice.
<<
E’ il ragazzo che tiene per mano. Possiamo dire che è il suo ragazzo >> fece Shikamaru, osservando insieme all’Inuzuka
i due in questione. << Sasuke Uchiha, terzo anno, Classe Angelica. Membro
di uno dei più potenti clan di mezzi demoni che abbiano mai abitato la Terra. Fratello
minore di Itachi Uchiha, quinto anno della Classe Angelica, mezzo demone. Il
giorno in cui Sasuke nacque Angelo il clan Uchiha non poté assolutamente
accettarlo. Fu solo grazie all’intervento di Gabriele che Sasuke fu salvato
dalla collera dei demoni del suo stesso clan e portato a vivere insieme agli
altri angeli >>.
<<
Gabriele…l’Arcangelo
Gabriele?!>> chiese Kiba, il volto girato quasi di scatto in direzione di
quello di Nara, sfiorandogli appena la gota con il naso.
Shikamaru
annuì: << proprio lui >> rispose, sorridendo appena a pochi
centimetri dal volto del castano. Tornarono poi entrambi con lo sguardo sui
due: << E’ stato là che ha incontrato Naruto per la prima volta, nel
Regno dei Cieli. Poi Naruto ha sviluppato il seme di Kyuubi ed è stato
cacciato. Sasuke non ha accettato di perderlo e, per amore, ha tradito Dio,
seguendo Naruto sulla Terra. Agli angeli non è concessa la Redenzione dai
peccati, figuriamoci l’amore, e per giunta omosessuale…insomma, stiamo pur
sempre parlando di Cristianesimo!>> disse il moro, ricominciando subito
dopo prima che Kiba lo interrompesse con qualche domanda: << in ogni
caso, da allora Sasuke è uno di quelli che vengono volgarmente chiamati “Angeli
Caduti”. Non ha esattamente un bel carattere, ma davvero ama Naruto più di ogni
altra cosa…>> terminò poi, indicando con il volto gli specchi. In quel
momento, sotto gli occhi quasi estasiati di Kiba, alle spalle di Naruto
comparvero le nove code del demone, intangibili e semi-trasparenti come
fantasmi, mentre un paio di ali nere stavano elegantemente dispiegate alle
spalle di Sasuke, donando ancora più bellezza a quel ragazzo, che già di suo
spiccava sugli altri per beltà.
<<
E’ una bella storia…>> riuscì solamente a commentare il castano, seguendo
imbambolato le ali nere di Uchiha riflesse dagli specchi. Era bella davvero,
quella storia…
<< E
non è finita >> aggiunse poi Shikamaru, il tono serio questa volta, quasi
grave nella voce. << Lo vedi il ragazzo con i capelli lunghi appena
uscito dalla mensa?>> chiese, lo sguardo puntato sulla porta.
Kiba voltò
con un moto di scocciatura il volto, osservando colui che il ragazzo aveva
indicato: pelle chiara, capelli corvini racchiusi in una coda bassa, occhi
scuri che somigliavano tantissimo a quelli di quel Sasuke che aveva appena
osservato da lontano, squadrandone le ali e l’eterea bellezza. << Lo vedo
>> gli disse, per confermare la domanda rivoltagli.
<<
Lui e Itachi Uchiha, quinto anno, Classe Angelica. E’ il fratello maggiore di
Sasuke…un mezzo demone >> disse, assottigliando appena gli occhi mentre
ne seguiva la figura. << Sasuke lo detesta, anche se di quest’odio Itachi
non sembra interessarsene molto. Non so cosa ci faccia qui, nessuno lo sa, e su
di lui girano le voci più disparate; alcuni dicono addirittura che sia alleato
con il Diavolo per cercare di far passare Sasuke dalla loro parte e tentare una
riconciliazione del giovane con il proprio clan…>> aggiunse Shikamaru, il
più precisamente possibile.
Kiba aprì
la bocca per ribattere, ma non trovò improvvisamente nulla da dire. Già tutta
quella situazione in sé sembrava assurda ed incredibile, se poi ci mettevano
anche faide fra fratelli, tradimenti a Dio e chissà cos’altro, l’unico effetto
che poteva sperare era quello di uscirne pazzo. Ancora non ci credeva, ancora
non riusciva a crederci…
Tuttavia,
la visione di un paio di ali demoniache nere come le tenebre più cupe alla
spalle del maggiore degli Uchiha, fu sufficiente a convincerlo che le parole di
Shikamaru sul clan del Ventaglio erano vere.
Poi, un
suo sguardo.
Come se
avesse sentito, o intuito, che stavano parlando di lui.
Itachi
Uchiha si voltò lentamente in loro direzione, le mani nelle tasche dei jeans
scuri che indossava sotto la maglia nera a maniche lunghe, lo sguardo puntato
su di lui e su Nara.
Un brivido
gli passò lungo la schiena, senza motivo. Il pugno di Shikamaru si strinse con
forza.
Voltò
appena il capo in direzione del compagno, lasciando che i suoi occhi dorati
cercassero quelli scuri del moro…che non incrociarono mai. Il ragazzo fissava
Itachi con espressione contratta, quasi rabbiosa e, se non fosse stato per la
suggestione che tutti quei racconti gli avevano sicuramente messo addosso,
avrebbe quasi giurato che la pupilla di Shikamaru si fosse allungata
verticalmente, come quella…come…quella di un…
<<
Calmati, Shikamaru >> intervenne invece una voce dalla loro destra,
facendolo sobbalzare improvvisamente << l’ira non è mai un buon pretesto
>> disse, voce melodiosa e tranquilla.
Alla
destra di Nara, una mano poggiata sulla spalla dello stesso, un ragazzo stava
in piedi al suo fianco. Gli occhi di uno stranissimo e particolare colore
bianco, i capelli lunghi di un castano scuro quasi nero; indossava un paio di
pantaloni neri e un maglioncino bianco a collo alto che quasi risaltava ancora
di più il colore particolare delle iridi candide.
Shikamaru
mugugnò appena, sospirando poco dopo e rilasciando il pugno << hai
ragione, Neji >> rispose al ragazzo appena arrivato, rimettendosi diritto
e voltando lo sguardo verso Kiba. << Kiba, ti presento Neji Hyuga >>
gli disse, indicando con un gesto della mano il ragazzo dagli occhi bianchi
<< quarto anno, anche lui della classe angelica. E’ un Arcangelo >>
aggiunse, sorridendo appena.
<<
Eh?! Un Arcangelo?! Uno vero?! >> chiese scortesemente Kiba, osservando
Hyuga come se fosse una specie rara di orso polare in estinzione. Allo sguardo
divertito di Shikamaru e a quello sorpreso di Neji, decise poi di darsi un
contegno. << Scusa Hyuga, non volevo…>>
<<
Tranquillo, i nuovi arrivati fanno tutti così >> rispose l’arcangelo,
alzando appena la mano destra in segno di comprensione. Gli tese poi quella
stessa mano, che venne accettata repentinamente: << tu devi essere Kiba
Inuzuka, il nuovo Alchimista >> disse, convinto di quello che affermava
<< la preside Tsunade mi ha parlato di te >> aggiunse in
spiegazione.
Oh,
benissimo. Era già schifosamente popolare.
<<
Sì, sono io…>> rispose, più per rassegnazione che per cortesia,
sospirando appena mentre stringeva la mano di Neji. Anche pensare di stare
stringere la mano ad un essere superiore e, in un certo senso, extraterrestre,
non lo calmava affatto.
Neji
sorrise appena, quasi invisibilmente, riportando la mano a fare compagnia
all’altra lungo il fianco. << Spero ti troverai bene in questa scuola, e
se avrai come guida Nara sono sicuro che imparerai ad orientarti quanto prima
>> disse, il tono educato e lineare, melodioso e dall’impostazione
gentile. Lanciò poi uno sguardo ad Itachi Uchiha che, con calma quasi
calcolata, si stava allontanando ora dall’atrio.
<<
Vogliate scusarmi >> disse poi Neji, salutando nuovamente Shikamaru con
uno sguardo carico di significato - sconosciuto a Kiba - e incamminandosi a sua
volta nella stessa direzione di Itachi.
Nell’andare
via, nel riflesso dello specchio un paio di ali dorate svettarono fra il grigio
monotono dei mezz’angeli che andavano e venivano in continuazione,
chiacchierando in mezzo al continuo brusio.
<<
Sorpreso?>> chiese poi il moro a Kiba, alzando l’angolo della bocca in un
sorriso sbieco mentre lo guardava divertito.
Perché sì,
si vedeva che si stava divertendo a sondare le sue reazioni di meraviglia.
<<
Meravigliato credo sia il termine più adatto >> corresse il castano, gli
occhi dorati che andarono subito a quelli di Shikamaru. Avrebbe voluto
chiedergli il perché di quella reazione nel vedere Itachi, era curioso…ma anche
educato. Si conoscevano da quanto? Un’ora? Non gli sembrava il caso.
Shikamaru
si limitò ad annuire solamente, puntando nuovamente lo sguardo sulla folla che
andava e veniva, disperdendosi in gruppi e parlando del più e del meno.
<< Ti conviene andare in mensa se non hai ancora cenato, fra poco più di
un’ora c’è la messa della sera >> gli disse, calmo, scoprendo la manica
sinistra della divisa per guardare l’orologio.
<<
Tu non ceni?>> chiese il castano. Non perché sperasse di farsi
accompagnare, è solo perché sperava di non perdersi e, parliamone, non è che
aveva esattamente ascoltato tutta la spiegazione dei corridoi della scuola…
Il moro
però diniego, rimettendosi le mani in tasca << mangerò qualcosa più
tardi, adesso devo andare in infermeria. Ho bisogno di Kabuto >> disse,
voltandosi ed incamminandosi verso le scale. Prima di salire più di quattro
scalini si voltò nuovamente, fissando Kiba per qualche minuto con un sorrisetto
divertito << se hai paura di perderti segui la massa, non dev’essere difficile arrivare dove vuoi…>> aggiunse,
alzando appena la mano in saluto e salendo le scale.
…come
diavolo aveva fatto a capirlo?!
In piedi sulla cima del mondo.
Come Dio, che osservava dall’altro
la Terra e l’operato dei suoi figli. Come Dio, che giudicava nella sua
punizione o nella sua magnanimità chi era degno di perdono e chi meritevole di
maledizione.
Come Dio.
Era peccato? Forse sì. Ma cosa
cambiava, a quel punto?
Avanzò di un passo, i piedi nudi a
contatto con le tegole levigate e fredde del tetto su cui si trovava per un
motivo preciso.
Per un peccato preciso.
Si guardò le mani, tremanti,
coperte in parte da una camicia da notte bianca e leggera, che si librava
armoniosamente nel vento insieme ai suoi capelli, castani e lunghi.
Non si sentiva lui. Non era lui.
Ma allora chi? Chi era?
Alzò la destra una volta arrivata
al ciglio del tetto, la grondaia in acciaio leggermente arrugginita segnava
quel confine con aspetto minaccioso. Afferrò con mano tremante il crocifisso
d’oro che le aveva regalato la madre prima di mandarla a studiare in
quell’accademia, a causa dei suoi poteri.
Sotto, solamente il vuoto di un
balzo lungo parecchi metri.
L’avrebbe fatta finita. Voleva
farlo.
<< Pater noster,
qui es in caelis: santificétur Nomen Tuum…>> cominciò a recitare, lentamente, come una
litania da sempre detta senza particolare significato ma che, in quel
frangente, acquistava un’importanza vitale.
Tuttavia, si bloccò dopo poche
frasi. Un sorriso sconsolato comparve sul volto, sentiva le gote piegarsi sotto
quella malinconia finalmente espressa.
<< Non importa…>>
sussurrò, voce femminile e bassa, rotta dalle lacrime <<…tanto so già
benissimo dove andrò…>>.
La decisione.
Il salto.
La paura.
La visione della terra che si avvicina
velocemente, troppo velocemente. La reazione istintiva dell’essere umano che
tenta di salvarsi anche quando non può più fare niente, quando non c’è più
niente da fare. L’aria che ti sferza il volto, le lacrime che si ghiacciano per
la velocità con cui stai precipitando furiosamente, sempre più velocemente,
verso un abisso di buio e dolore infinito, di tormento, di perdizione e
dannazione, di eterno dolore e infinita pena.
Perché era suicidio. E si sa…che
chi mette fine alla propria vita non è accolto nella casa del Signore.
Un urlo, una voce acuta che dura
pochi secondi, il tempo che l’accelerazione di gravità impiega a far cadere una
massa verso il basso da una decina di metri d’altezza, quale per esempio…un
tetto.
Nell’attimo prima, un ruggito che risuona
in lontananza nelle orecchie, un verso di sofferenza.
Poi, il buio del nulla.
Il silenzio assoluto.
La fine di tutto.
Si
risvegliò di soprassalto, il cuore a mille, il respiro affannoso e la fronte
completamente madida di sudore.
Paura,
gelo. Puro terrore.
L’aveva
sentita sua. Quella determinazione, quella tristezza, quella volontà di porre
fine alla propria vita.
Come se
fosse lui su quel tetto, come se ci fosse stato per davvero lui, là in bilico.
Si mise
seduto, imprecando in varie lingue contro le coperte scomposte, quasi
attorcigliate attorno alle sue gambe. Il buio della stanza, dopo il sogno,
aveva come un’opprimente volontà propria, una pesantezza sua, come se avesse
realmente densità.
Non ci
volle molto perché gli occhi, una volta abituati alla poca luce lunare che
filtrava attraverso le imposte chiuse, gli consentissero di vedere almeno i
contorni delle cose.
Sospirò
profondamente, cercando di calmarsi e di riprendere a respirare come una
persona normale. Non era più un moccioso incapace, che doveva chiamare la mamma
per un semplice incubo. Gli sarebbe passata fra poco, di sicuro. Insomma, un
batticuore non può durare così tanto, no? Era semplicemente stato uno spavento,
uno stupido, imbecille, fottuto incubo del cavolo;
ogni tanto capitava anche ai migliori.
Socchiuse
gli occhi, concentrandosi solamente sul proprio respiro, calmandolo
volontariamente finchè non ritornò più o meno normale, il cuore a battere con
regolarità e non così velocemente come pochi attimi prima.
Una volta
che si fu calmato, posò lo sguardo sulla porta. Si sentiva i capelli bagnati di
sudore appiccicati alla fronte, le labbra secche e la gola riarsa. Nel silenzio
di quella stanza anche il suo respiro pareva urlare. Magari poteva…
No. Che
ridicolaggine. Non era più un moccioso, se l’era già ripetuto. Non più il
piccolo Kiba che va a chiedere ai genitori di dormire nel lettone con loro.
Però, la
sua camera era vicina…magari, avrebbe potuto trovare una scusa.
Alla messa
non si era fatto vedere, dopotutto.
No, Kiba, non
fare il cane spaventato. Sei a scuola da un giorno, anzi, da qualche ora, non
facciamoci riconoscere subito.
Però, quel
sogno…quell’immagine, quelle sensazioni…così reali, così vere, così…vive.
Gli
scorrevano ancora addosso i brividi quando ci pensava.
No, basta.
Decise che era il caso di ritornare a dormire. L’indomani mattina avrebbe
cominciato le lezioni e non aveva intenzione di farsi riconoscere subito
arrivando in ritardo il primo giorno, non esisteva!
Si stese
dunque, tornando a premere la testa sul cuscino e stirando appena le coperte
che, nonostante l’opera, erano ancora per la maggior parte stropicciate e
scomposte.
Chiuse gli
occhi, doveva dormire…
<<
Kiba, hai la convinzione di una gallina. Deficiente…>> si disse da solo,
camminando silenziosamente per il corridoio.
Considerando
che, dall’inizio delle scale del secondo piano, le stanze cominciavano dal
numero 30, inoltrandosi nel corridoio dovevano per forza salire di numero.
Cosa che
era; più proseguiva più le targhette aumentavano di numero.
Osservandosi
intorno si strinse nelle spalle, chiudendo le mani sulle maniche corte della
maglia bianca che usava come pigiama, insieme ad un paio di pantaloni corti di
color azzurro. Quella dannata scuola, con quella dannata architettura di quel
dannato periodo gotico pareva stranamente, incredibilmente bella la mattina e
schifosamente inquietante la notte. Sapendo poi quali erano gli individui che
ci stavano dentro, diciamo pure che era tutt’altro che tranquillo.
Arrivò
alla porta numero 41 pochi istanti dopo, piantandosi in piedi davanti ad essa,
scalzo. Ovviamente, non aveva minimamente pensato ad un paio di ciabatte o a
qualcosa che vi somigliasse.
Alzò la
mano destra, indeciso se bussare o meno.
Ci avrebbe
fatto una figuraccia, lo sentiva. Era lui il primo a vergognarsi. Ma in quella
scuola non conosceva nessun altro, che doveva fare? Inventarsi un amico
immaginario di nome Spencer o derivati cercando di non convincersi di essere
completamente pazzo? Cosa che, parliamoci chiaro, stando dentro ad un’accademia
simile non doveva essere molto infrequente.
Deglutendo
appena bussò due volte sul legno scuro, non troppo forte per non svegliare
anche gli altri dormienti, attendendo.
Dopo poco,
convinto che l’altro non avesse sentito, bussò nuovamente, sempre due volte.
Alla
terza, finalmente si sentì qualche movimento all’interno della camera. Un
“click” della porta, probabilmente la serratura che girava per sbloccarsi, poi
il pomello che si girava e la porta che, con lentezza, si socchiudeva.
Una paio
di occhi scuri, con aria stanca ed assonnata, lo guardavano come un miraggio.
Una maglia nera a mezze maniche sopra un paio di pantaloni lunghi dal colore
verdino, i capelli sciolti che gli ricadevano sulle spalle, incorniciando il
viso dall’espressione ancora dispersa nelle lande del sonno. Come assonnata era
la sua voce, quando gli rivolse parola, probabilmente dopo averlo riconosciuto
in mezzo alla nebbia del dormiveglia: << Inuzuka?>> chiese,
sorpreso.
<<
Già, io >> rispose lui, sorridendo come un ebete che non sa quale scusa
campare per aria per giustificare la sua presenza nel mezzo della notte e nel
mezzo del corridoio. Ci provò comunque, con la speranza propria dei folli
all’ultima spiaggia: << Ho notato che non eri alla messa, così ho pensato
che ti fossi sentito male, che so…magari indigestione?>> disse,
abbozzando un sorriso che più tarocco di quello non erano nemmeno le carte dei pokémon con i brillantini finti.
Sorriso al
quale Shikamaru non rispose. Non aveva la prontezza mentale per muovere tutti i
muscoli facciali, probabilmente. Dopotutto era notte fonda. << Dì, hai la
minima idea di che ore sono?>> chiese, la voce bassa per non disturbare.
<<
Le due? >> chiese Kiba, sorridendo falso.
<<
Le quattro >> gli rispose Shikamaru, con un sopracciglio alzato.
<<…ero
preoccupato, sai? La tensione fa brutti scherzi >> ribatté Kiba, annuendo
con pochissima convinzione.
Il moro
sospirò, chiudendo gli occhi per poi socchiuderli: << brutti sogni,
eh?>> chiese retoricamente, aprendo del tutto
la porta e lasciandolo entrare. << Entra…>> aggiunse a voce,
incamminandosi all’interno della camera.
Tutte le
stanze dei dormitori erano uguali, della stessa metratura e della stessa forma.
Tuttavia, forse per il fatto che la sua era ancora sgombra, quella di Shikamaru
aveva un gusto particolare d’arredamento. Appena entrati, sulla destra, un
armadio a due ante occupava la parete, alcuni abiti pendevano da una sedia
posta nelle sue vicinanze, la divisa ben ripiegata sopra un comò accanto alla
sedia. Uno specchio rettangolare era posizionato, per il lungo, sopra a quel
comò. nella parete di sinistra rispetto alla porta stava invece il letto ad una
piazza e mezzo, staccato dal muro verso il centro della stanza mentre, alle
spalle di esso, una scaffalatura ad arco tratteneva vari volumi e libri di ogni
genere, oltre una scacchiera dello shoji. L’aveva
notata perché era lucida e aveva un ripiano tutto per sé, come se fosse un
cimelio. Nella parete rimanente invece, quella di fronte alla porta, sotto la
finestra abbastanza grande stava la scrivania, ingombra di piccoli bicchieri
con dentro delle penne di ogni genere, un calamaio, alcuni libri di testo e
qualche crocefisso che pendeva dalla lampada, compreso un rosario dalle perline
biancastre.
<<
Mettiti pure comodo >> borbottò Shikamaru, sedendosi sul letto a gambe
incrociate e facendo un profondo, sentito sbadiglio.
Kiba
spostò nuovamente lo sguardo sul ragazzo, sentendosi improvvisamente in colpa.
La sua teoria del “se sto sveglio io non vedo perché Shikamaru debba dormire”
alla fine aveva funzionato, privando il moro di attimi importanti di sonno
prima delle lezioni del mattino. Non sapeva ancora cosa esattamente facessero
gli Esper, ma se erano lezioni pesanti…
<<
Mi dispiace di averti svegliato, Nara >> esordì poi, decidendo di sedersi
alla scrivania, sulla morbida sedia girevole.
L’altro lo
guardò con un occhio solo, leggermente socchiuso a causa del sonno interrotto e
dello sbadiglio appena manifestato. << Figurati, dormirò domani durante
le lezioni >> ribatté quello.
Ok, se
poteva permettersi di dormire, allora le lezioni non dovevano essere poi così
difficili… no?
Ridacchiò
appena, a bassa voce nel caso i vicini di camera avessero l’udito ad ultrasuoni
ed il sonno leggero, spostando poi lo sguardo sulla superficie della scrivania.
A
sinistra, vicino allo schermo del computer, un piccolo portafoto era in bilico
su un volume dalla copertina nera, abbastanza grosso ed impolverato. Ritraeva
un bambino dall’espressione seria, i capelli corti e scuri, tenuto per mano da
due adulti; la donna sorrideva lievemente, l’uomo osservava semplicemente
avanti, l’espressione rilassata ma non sorridente. Dietro di loro, dopo un
piccolo quadrato di prati verde, una casa normalissima si stagliava fino a
proseguire oltre l’inquadratura, un rametto di gerbere che scendeva colorato
dal davanzale esterno della finestra al primo piano.
<<
Sei tu questo? >> chiese Kiba, più per cominciare un qualunque discorso
che per stare semplicemente in silenzio. Si era presentato in camera di Shikamaru,
ma la verità era che non aveva assolutamente nulla da dirgli.
E si
sentiva estremamente patetico.
Quello
annuì, osservando con espressione indolente il quadretto che l’Inuzuka teneva
fra le mani. << Io e i miei genitori >> disse, distogliendo poi lo
sguardo. I capelli, ancora sciolti sulle spalle, seguirono i movimenti del capo
con un leggero fruscio.
<<
Tua madre è molto bella… >> continuò, dicendo effettivamente quello che
pensava.
<<
Da giovane sì, lo era >> rispose il ragazzo, evitando sempre di guardarlo.
Kiba alzò
appena gli occhi su Shikamaru, rendendosi conto di aver, probabilmente, toccato
un tasto dolente. << Scusami. E’ forse… >>
<<
No, nulla del genere. Sta benissimo, o almeno, stava bene gli ultimi due minuti
che ho passato al telefono con lei il mese scorso >> rispose il moro,
immaginandosi in anticipo cosa stesse pensando il castano.
Doveva
chiederglielo a Shikamaru, come facesse tutte le volte a capire cosa pensasse.
Poi
rifletté su quello che aveva appena sentito, alzando un sopracciglio. Il mese
scorso? Ma se lui era lì dentro da nemmeno 12 ore e sua madre lo aveva già
chiamato due volte, tre contando quando era in bagno e non poteva, per forza di
cose, risponderle.
<<
Vi sentite così poco? >> chiese, spostando nuovamente gli occhi sulla
piccola foto che ancora teneva fra le mani. Non voleva essere impiccione, anzi…
semplicemente, era curioso.
Shikamaru
rimase silenzioso per qualche istante, lo sguardo puntato sulla parete di
fronte al letto, fra l’armadio e il comò. Poi, interrompendo i pensieri di Kiba
-che già si stava chiedendo se non fosse troppo ficcanaso- rispose: << I
miei genitori sono solo… comuni esseri umani >> con un tono di voce perso
e inquietantemente impersonale.
In un
qualche modo, con quel “comuni esseri umani” si sentiva tirato in mezzo. Per
questo forse, ascoltandolo senza nemmeno respirare, cercava di intuire se nella
voce di Nara ci potesse essere anche solo una minima nota di disprezzo. Lui era
solo un “normale umano”, dentro quella scuola.
Tuttavia
l’intonazione di Shikamaru era piatta e impersonale. Non vi era traccia di
fastidio, di disgusto e, forse peggio, di affetto. Si parlava dei suoi genitori
dopotutto, no?
Forse
avrebbe voluto chiedere qualcosa di più, spinto dalla sua curiosità. Ma
Shikamaru, anticipandolo, cominciò a parlare con lo sguardo sempre fisso alla
parete di fronte al letto, sul muro fra lo specchio e la sedia. Era come se la
sua mente fosse su un altro mondo.
<<
In che senso? >> chiese dunque l’Inuzuka, il tono leggermente
indispettito che, nonostante avesse tentato di nascondere bene, Shikamaru notò
comunque.
Sorrise
appena, chiudendo poi gli occhi. << Sai… >> cominciò << …ero
nella classe degli Esorcisti, prima di essere inserito in quella degli Esper. E gli esorcisti diventano tali per un motivo: vedono
cose che la gente normale non vede >> disse, riaprendo gli occhi ed
osservando Kiba che, dal canto suo, sembrava pendere dalle sue labbra.
<<
Cosa? >> chiese infatti quello.
<<
Hai presente gli specchi che ci sono nell’atrio delle classi? >> chiese
Shikamaru, Kiba annuì. Certo che li aveva presenti, se li sarebbe ricordati per
tutta l’esistenza, da adesso in avanti.
<<
Quello è il mondo che vedono gli Esorcisti. E che io ho cominciato a vedere da
quando avevo 9 anni >> disse, indicando con il volto la foto che il
castano aveva riappoggiato alla scrivania << poco dopo aver scattato
quella foto >> aggiunse.
Kiba
deglutì, osservandolo e aspettando che continuasse, cosa che avvenne pochi
istanti dopo: << prova ad immaginarti a scuola, seduto al banco in quarta
fila. Il maestro presenta un nuovo allievo e, sotto ai tuoi occhi, quello
dispiega un paio d’ali da mezz’angelo. Ti guardi intorno spaventato a morte e
ti accorgi che, a quanto pare, quelle ali le vedi solo tu >>.
L’espressione
di Kiba si fece più attenta mentre Shikamaru, con al sua solita voce
impersonale e leggermente seccata, osservava ancora il muro davanti a lui
mentre raccontava. << Lo dissi ai miei genitori. Loro erano persone
normali che conducevano una vita normale… e presero una decisione da genitori
>> terminò ma, per farsi capire, indicò con il dito l’angolo destro della
scrivania. Attaccato ad un portapenne, un po’ stropicciato e vecchio, un
braccialettino ospedaliero plastificato con il nome “Shikamaru Nara - reparto
psichiatrico” scritto a macchina
rifletteva appena i raggi lunari.
Kiba non
disse nulla osservando il braccialettino. Probabilmente perché non trovava
nulla di meglio da dire di un: << mi dispiace… >> che, a sua
veduta, sembrava banale e limitativo.
Shikamaru
sospirò, stendendosi sotto le coperte e voltando la schiena a Kiba. <<
Non devi, è la storia della maggior parte delle persone presenti in questa
scuola >> disse, per poi aggiungere: << non fare l’errore di dire
“posso capire” perché non è così, gli esseri umani “normali” non capiscono mai.
Ora dormo, domani mattina c’è scuola. Quando esci chiudi bene la porta >>
disse, per poi tacere.
Kiba lo
osservò, decidendo di getto di fare quello che non si sarebbe mai sognato di
fare. Si alzò con uno cigolio sinistro della sedia, face qualche passo che
rimbombò sulla moquette della camera e, alzando le coperte a sua volta, si
stese sul letto dando le spalle a Shikamaru.
Qualche
istante di silenzio, poi la voce del moro che lo ruppe: << che cosa stai
facendo? >> voce tranquilla e seccata, come ormai Kiba aveva imparato
essere il suo tono standard.
<<
Dormo >> fu la risposta del castano.
<<
Hai una camera anche tu >> ribatté il moro, senza tuttavia voltarsi.
<<
Mi scoccia tornarci >> fu la repentina risposta.
<<
…fa come ti pare >> terminò Nara, chiudendo il discorso.
E fece
veramente come gli pareva. Chiuse gli occhi, addormentandosi placidamente
qualche minuto dopo.
E
considerando, per la prima volta, che non faceva del tutto schifo, essere
esseri umani qualunque.
Chapter No. 0
~ End.