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Autore: Dalhia_Gwen    01/04/2014    7 recensioni
L'amore, per quanto forte e incondizionabile sia, verrà prima o poi messo a dura prova da eventi che potrebbero cambiare la vita di coppia, nel bene o nel male.
Di certo noi non possiamo saperlo, e ciò che possiamo fare è solo aspettare..

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Estratto:
"Le mani su quel volante.
Lo sguardo perso nel vuoto.
Deglutì rumorosamente, socchiudendo la bocca, mentre quegli occhi così forti e sicuri di sé tremavano al fugace pensiero di lei.
“Come faccio a dirglielo?” si ripeteva il ragazzo, alto, dalla bella presenza e con un paio di diamanti color acqua marina al posto degli occhi, mentre si tormentava il ciuffo nero che ricadeva imperterrito sulla fronte, che sudava freddo. "

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Prima One-Shot
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Duncan, Gwen | Coppie: Duncan/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale
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AVVISO PRE-LETTURA: Salve carissimi lettori, volevo solamente avvisarvi che la one-shot presenta una piccola parte contenente non particolarmente adatta ad un pubblico di minori. Non mi andava di mettere il rating Rosso, nè tantomeno l'avvertimento"Erotico", perchè infondo non descrivo nulla di ciò che potreste pensare in questo momento. Non sono il tipo, ma se scelgo di inserire minime parti di questo contesto, la trattazione viene fatta nella maniera più delicata e rispettosa possibile, da parte mia. Quindi, il mio era solo un avviso, onde evitare disguidi :) Ad ogni modo, chiedo un vostro consiglio, così provvederò a cambiare subito ;)
ALTRO AVVISO: i riferimenti a luoghi, paesi e città sono puramente simbolici, e la storia è nata veramente con l'unico scopo di farvi emozionare.
Grazie e buona lettura!









 Aurora, our beautiful light





 
E’ davvero pazzesco come la vita possa cambiare da un momento all’altro così repentinamente.
Modificare senza indugi quel tuo equilibrio costruito con tanta fatica  e devozione, applicando tutto te stesso affinché si possa vivere nel migliore dei modi, ma soprattutto felici.
E’ assurdo come ad un tratto la serenità possa tramutarsi in terrore e senso di smarrimento, facendo crollare immediatamente tutti quei progetti che si sarebbero voluti attuare un giorno, a tempo debito.
 
Tutto questo attanagliava la mente di un giovane uomo di appena trent’anni.
 
Le mani su quel volante.
Lo sguardo perso nel vuoto.
Deglutì rumorosamente, socchiudendo la bocca, mentre quegli occhi così forti e sicuri di sé tremavano al fugace pensiero di  lei.
Già, la propria lei, la donna che scelse di rimanerle fedele per il resto della vita, quella ragazza che sposò da un tempo relativamente breve. Erano freschi sposi, erano passati appena due anni dalla loro promessa di matrimonio, eppure il destino ha voluto affliggere nuovamente le loro vite con quella notizia.
 
-“Come faccio a dirglielo?”-  si ripeteva il ragazzo, alto, dalla bella presenza e con un paio di diamanti color acqua marina al posto degli occhi, mentre si tormentava il ciuffo nero che ricadeva imperterrito sulla fronte, che sudava freddo.
Sospirò, non riuscendo a trovare le parole giuste per poterle confessare la verità.
Duncan, era questo il suo nome, era arruolato nell’esercito militare americano da un bel po’ di anni, e con costanza si impegnava offrendo tutto se stesso per garantire a lui e alla sua amata un tenore di vita migliore. Gli piaceva quel lavoro, era sempre stata la sua ambizione più grande, tanto che riuscì a coronare quel sogno, prendendo così parte di quel corpo militare.
Quella vita lo eccitava particolarmente, lui che cercava sempre nuove sfide, ma soprattutto nuovi orizzonti, ambendo alla carica più elevata. La strada era lunga, sì, ma non impossibile, la pazienza lo accompagnava, e contemporaneamente  rendeva orgogliosa la sua dolce metà, che lo aveva da sempre proiettato su quella strada.
Ma quel giorno, quel maledetto e comune giorno, o almeno all’apparenza,  stava per segnare un momento delicato nella loro vita coniugale, appena iniziata dopo tanti ostacoli e sofferenze.
Quella mattina, come tutte le altre del resto, Duncan si recò alla caserma, pronto ad iniziare il suo lavoro di recluta, al servizio dello Stato  e della Giustizia, sempre carico e fiducioso di sé, permettendogli così di acquistare una reputazione non indifferente di fronte al Generale, che lo guardava con ammirazione.
Quando fu convocato in consiglio,  era occupato ad allenare le giovani reclute appena arrivate, così non appena ebbe modo di lasciare il suo compito, si diresse spedito verso l’ufficio del suo superiore, curioso di sapere cosa egli voleva riferirgli.
Il suo primo pensiero fu una possibile promozione: da tempo il ragazzo, infatti, desiderava poter salire di grado, per via della sua bravura e della sua intelligenza che gli permise di essere sempre brillante agli occhi del superiore, e soprattutto complici gli anni trascorsi ad investire quel suo ruolo da almeno dieci anni. Arrivò di fronte all’uomo, e con un saluto impeccabile si prestò al suo servizio. L’uomo sorrise.
-“La prego Evans, si sieda pure.”- lo invitò ad accomodarsi, e lui non se lo fece ripetere due volte. Il Generale sospirò profondamente, e ad un tratto incontrò gli occhi glaciali del ragazzo, sapendo che di lì a poco quella giovane recluta sarebbe rimasta folgorata dalla notizia.
-“Ecco Evans, devo riferirle una cosa importante.”- iniziò dunque l’uomo, mostrandosi improvvisamente freddo e distaccato. Il giovano ebbe un sussulto, ma rimase comunque concentrato, troppo curioso di sapere.
-“Come lei ben sa, in Palestina la popolazione minaccia la guerra. Continui attentati animano quel territorio oramai sterminato da quelle continue esplosioni e spargimenti di sangue colorano il paesaggio, non trovando pace. Ultimamente però, la cosa si è intensificata sempre più, e a quanto pare ieri è scoppiata una guerra imminente tra israeliani e palestinesi, che non vuole conoscere ragioni di terminare, se non con le maniere forti.”- disse l’uomo con tono serio, incrociando le dita delle mani tra loro, mentre con i pollici faceva cerchi concentrici per il nervosismo.
-“Noi siamo un popolo pacifico, e come tale abbiamo promesso di far regnare la pace nel mondo. E come ben recita il patto firmato con la Palestina, siamo obbligati ad intervenire.  Evans, l’America deve scendere in guerra, e ha bisogno di uomini forti, come te.”- disse convinto il Generale, incrociando gli occhi dell’ormai ex punk.
Quelle parole suonarono assordanti nelle orecchie del giovane, talmente forte da fargli perdere per un momento il lume della ragione.
-“S-Signor Generale, può ripetere? C-Credo di non aver capito..”- chiese scioccato il ragazzo, che spalancò gli occhi cristallini non appena si rese conto di una realtà fin troppo inaccettabile.
L’espressione dell’uomo non cambiò, e continuando ad avere un’aria superiore e fredda gli folgorava l’animo con quello sguardo così tagliente e pieno di verità.
-“Ha capito bene, Evans. L’America deve scendere in guerra, e lei è un ottimo soldato da combattimento. Può finalmente mostrare la sua bravura.”- dopo quelle parole l’uomo gli sorrise soddisfatto, non trovando però alcuna risposta da parte del ragazzo, che sbiancò udendo quelle parole.
-“N-No..Io non posso signore. Sono sposato, ho una moglie e vorrei costruirmi una famiglia con..”- il ragazzo venne nuovamente interrotto dal superiore,  che si alterò non poco.
-“Lei sta scherzando? Evans! Lei ha una responsabilità grande e un compito importantissimo! Si rende conto di quello che ha appena detto? Tutti qui abbiamo una famiglia, cosa crede?!”- lo rimproverò severamente l’uomo.
-“Lo so bene signore, ma io non voglio morire in battaglia, non così giovane.”-
-“Allora non doveva scegliere questo lavoro, Evans.  E alle conseguenze ha mai pensato? Si è chiesto se la guerra si estendesse fino ad arrivare qui? Sua moglie sarebbe lo stesso in pericolo. Come la mettiamo adesso, Evans?”- quelle domande arrivarono come raffiche di vento forte sul viso dell’ex punk,  che rimase sbigottito inizialmente.
-“E’ troppo pericoloso. Lì il territorio è interamente soggetto a bombardamenti e kamikaze giornalieri. Signore, sa benissimo che non è una guerra comune, né è una battaglia così facile come la descrive lei.”- Duncan non mollava, e con le nocche delle mani bianche stringeva in esse un lembo della divisa, trattenendo il nervosismo.
-“Appunto, questa è l’occasione giusta per farsi valere. Se non mi sbaglio le voleva salire di grado, diventare Sergente, giusto? Bene, può assicurarsi cosa fatta non appena tornerà vittorioso da quel campo minato.”- ad un certo punto lo sguardo del generale venne attraversato da una scintilla furba, che incastrò totalmente il ragazzo, che strinse i denti.
-“N-Non può farmi questo …”- provò a spiegare Duncan, la l’uomo si alzò dalla sua comoda poltrona, facendo intuire al suo interlocutore che la discussione era finita lì.
-“Sono più che leale, Evans. Le reclute devono dimostrarmi di essere all’altezza dei compiti che vogliono ricoprire, e lei non è da meno. So che può farcela, so che si merita questa promozione, e so che la desidera ardentemente anche lei. Si faccia trovare in caserma alle 6:00. Prenderemo i nostri aerei da guerra.”- e così dicendo lo liquidò immediatamente.
 
 
Il ricordo di quella mattina si ripeteva prepotente e invasivo nella mente attanagliata del giovane che, esausto per quella stressante  giornata, in quel momento era fermo ad un semaforo rosso, intento a tornare a casa dalla sua amata.




 
-“Certo, farò il possibile per farglielo recapitare subito, arrivederci e grazie ancora!”- una voce dolce e allegra  proveniva dalla cucina di quella villetta immersa nel verde e circondata da alberi di pesco, in piena fioritura per via della stagione primaverile che riscaldava quel giorno luminoso quanto lei.
Dalla pelle candida e delicata come un fiore, con un corpo snello e slanciato dai tacchi alti che le donavano un’eleganza ineguagliabile, Gwen riattaccò la telefonata appena ricevuta da uno dei suoi tanti clienti, che la sorpresero intenta a preparare il pranzo per lei e suo marito,  tornante dal lavoro di lì a poco.
La ragazza, infatti, era una laureata in storia dell’arte ed era alle prime esperienze lavorative, ma allo stesso tempo era anche felicemente sposata e una impeccabile donna di casa.
Spinta dal grande amore che provava per Duncan, suo marito, accettò di lasciare il suo tanto adorato lavoro di artista presso una piccola bottega per seguirlo  a Washington, là dove il ragazzo ebbe il trasferimento permanente nella caserma attuale.  Per lei, Duncan era la cosa più importante, nonché il suo mondo, e in quel modo gli fece capire quanto lei tenesse alla sua felicità, tanto da dargli così il coraggio giusto per chiederle la mano un anno più tardi.
Svolgeva il ruolo di casalinga senza rimpianti, innamorata sempre più di quell’uomo che dovette combattere a denti stretti per averlo, ma ogni tanto lo spirito artistico messo da parte da un sentimento grande quanto quello provato per l’arte, la induceva a prendere il cavalletto e la tela per dare libero sfogo alla sua immaginazione. Ogni tanto veniva sorpresa da Duncan, il quale non poteva che rimanere colpito dal talento, mai messo in discussione, della sua dolce metà, così, spinto dal senso di colpa, pensò di “farle pubblicità” tra amici e conoscenti, per farle continuare quello che sicuramente sarebbe stato uno dei suoi più grandi sogni. In questo modo, la ragazza infatti ebbe le prime telefonate, e con esse i primi lavori, dai quali i clienti rimasero più che soddisfatti, congratulandosi ogni volta. Fu così che Gwen si ritrovò a fare la pittrice-casalinga a tempo pieno, e non poteva chiedere di meglio.
 
Sembrava tutto così perfetto, aveva tutto: casa magnifica, uomo meraviglioso, lavoro più che gratificante.
 
Eppure c’era un piccolo ma allo stesso  tempo enorme desiderio che ardeva acceso più che mai nei loro cuori.
 
Avere un bambino.
 
Sì, perché il sogno dei due freschi sposini si concretizzava  proprio nella speranza di poter creare una loro famiglia, coronando così il loro sconfinato e unico amore.
Era il loro obiettivo dalla prima notte di nozze, ma più ci provavano e più i figli sembravano non arrivare mai. Avvolti da una sempre più giustificata paura, pensarono di chiedere aiuto ad un medico, affinché potesse dare loro una mano, ma ciò che udirono quel giorno gli fece crollare letteralmente il mondo addosso.
Malfunzione ormonale.
Così la chiamò il medico dopo aver visitato entrambi, riferendosi però a Duncan, che come sua moglie faticava a crederci, almeno in un primo momento.
Ma i due, armati di una grande forza di volontà,  non si persero d’animo, e dopo avervi riflettuto a lungo, decisero di adottare un bambino straniero, qualunque esso sia, e la scelta cadde su un bimbo russo di appena due anni, biondissimo e dagli occhi azzurri, che li colpì particolarmente per il suo carattere timido e dolce.
Erano in possesso oramai di tutte le miriadi di certificazioni e documenti per l’adozione, ma decisero tuttavia di prendersi ancora un pochino di tempo per essere ancora più sicuri, convinti che la fretta è sempre e comunque una cattiva consigliera.
 
-“Dovrebbe arrivare a momenti.”- si trovò a pensare Gwen infornando il tegame di pasta al forno, per poi dare un’occhiata all’orologio appeso in cucina, sorridendo non appena avvertì la medesima contentezza che la invadeva sin dal loro primo incontro.
Si morse il labbro inferiore, scuotendo la testa nel momento in cui avvertì le gote imporporarsi al suo solo pensiero, rendendosi conto di quanto lui la facesse diventare vulnerabile.
Come se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa, si catapultò in bagno per darsi un’ultima sistemata,malgrado fosse già perfetta, ma non fece neanche in tempo a specchiarsi che il campanello della porta attirò la sua attenzione, facendola correre immediatamente all’ingresso.
Non fece neanche in tempo a capire chi l’avesse aperto, che la figura alta ed imponente di Duncan venne investita da una piccola ed esile ma sprizzante di gioia, che lo avvolse in un caldo abbraccio.
-“Ciao amore mio, mi sei mancato così tanto..”- sussurrò la ragazza facendo sprofondare il viso nel suo petto muscoloso.
-“Anche tu piccola, tantissimo..”- le rispose dolcemente lui imprigionandola in un abbraccio ancor più forte,per poi posarle un tenero bacio tra i capelli ormai interamente neri e lunghi, raccolti morbidamente in una coda laterale.  
La ragazza colse immediatamente l’occasione e, dopo aver chiuso la porta alle loro spalle,  avvicinò il viso al suo, regalandogli così il primo di una lunga serie di baci. Iniziò da quelli più delicati e innocenti, per poi lasciarsi trasportare dal calore che lui le trasmetteva, mentre era intento a percorrere esperto la sua intera schiena. Nonostante tutto però, Gwen avvertì qualcosa di strano nelle sue carezze, e fu così che decise di tornare in sé.
-“Duncan, qualcosa non va?”- chiese lei dolcemente e guardandolo negli occhi, colta da una improvvisa preoccupazione. In un primo momento il ragazzo ebbe un sussulto, ma non ce la fece a parlare.
-“N-No tesoro, tranquilla, non è nulla d’importante.”- provò a consolarla lui, carezzandole le gote rosee e sorridendole.
 
Seduti uno di fronte all’altra al tavolo presente in salotto, cominciarono a pranzare, e Gwen non fece altro che raccontargli delle telefonate che ottenne e delle tante che dovette rifiutare per mancanza di tempo, ma Duncan non riusciva proprio a concentrarsi nell’ascoltare: annuiva debolmente, e stranamente ingeriva uno dei suoi piatti preferiti con molta lentezza, tutte anomalie che la moglie non si fece sfuggire.
-“Duncan si può sapere cosa è successo? Sei così silenzioso,non stai neanche mangiando..”- Gwen lo destò finalmente dai suoi pensieri, allungando una mano per poi posarla su quella libera del punk poggiata sul tavolo, mentre il ragazzo deglutì non appena incrociò lo sguardo cupo della ragazza.
Il militare allora prese per le mani la sua donna e, dopo averla condotta sul divano poco distante da loro, sospirò profondamente per caricarsi del coraggio necessario per confessarle tutto.
-“G-Gwen, stamattina sono stato convocato dal Generale, perché voleva parlarmi e…e mi ha detto che è scoppiata una guerra tra Israele e Palestina, e sembra che non hanno intenzione di cessare. Essendo l’America  alleata e protettrice della Palestina, l’esercito americano è costretto a scendere in guerra e affiancare la popolazione in pericolo…”- nel raccontare il ragazzo era decisamente nervoso, le mani tremavano e non aveva mai spostato lo sguardo da quello di lei, attenta ad udire ogni singola parola.
Si teneva stretta alla presa di Duncan, ma appena capì il discorso, un improvviso terrore cominciò a espandersi senza indugi nel suo animo.
-“…E q-quindi? T-Tanto tu..tu non..”- provò a dire Gwen mostrandosi tremante più di lui e scettica di fronte ad uno quadro della situazione fin troppo reale per essere un incubo. Duncan captò il tentativo di lei, del tutto comprensibile, di scappare, ma la frenò immediatamente.
-“Devo scendere anche io in guerra Gwen…anche io sono un soldato..”- disse con una fermezza improvvisa, probabilmente dettata dalla consapevolezza di non poter far illudere entrambi.
Quella frase colpì in pieno petto la ragazza, che sgranò gli occhioni neri che cominciarono ad inumidirsi ad ogni scricchiolio del suo cuore.
-“C-Cosa..?”- chiese quasi piangendo, mentre inclinava il capo sempre più velocemente in risposta negativa.
Vedendola in quello stato, Duncan avvertì una morsa allo stomaco, ed immediatamente la strinse a sé, prevenendo l’istintiva reazione che ne sarebbe conseguita.
 Infatti, la ragazza scoppiò in un pianto liberatorio,  stringendo i pugni contro il suo petto e avvertendo le forze farsi sempre più pacate.
-“Devo per forza amore..e poi se lo faccio otterrò la promozione..”- continuò lui stringendola ancora a sé, ma ottenne un brusco rifiuto quando pronunciò quelle parole.
-“A-Al diavolo la promozione Duncan! I-Io non voglio che tu vada in guerra! IO NON VOGLIO PERDERTI, LO CAPISCI?!”- Gwen si ritrovò ad urlare mostrando così i suoi occhi arrossati e umidissimi.
-“Gwen capiscimi, il Generale mi reputa un buon combattente, non posso rifiutare, mi sbatterebbero fuori! Ti prego, non fare così..”- il militare sopportò per fin troppo tempo  le lacrime, così cominciò a piangere anche lui, prendendo il viso della sua amata per accarezzandolo dolcemente.
D’altra parte la ragazza non smetteva di versare lacrime, ma in cuor suo sapeva quanto Duncan ci tenesse a quel passaggio di grado: non faceva altro che parlarne, ed ogni volta gli si illuminavano gli occhi.
Cosa potrebbe fare una buona moglie, di fronte ad una scelta così ardua?
Una risposta non la trovò, e l’unica cosa che potè fare fu spingere le sue labbra contro quelle del marito, notandole asciutte e tremanti quanto le sue.
-“Q-Quanto dovresti stare?”- chiese, al limite della resa, accoccolata tra le sue braccia.
-“Secondo il mandato e se le parti decidessero la pace, 6 mesi per accertare che tutto torni alla normalità, ma se la guerra non cessasse il periodo potrebbe dilungarsi..”- disse amaramente lui, se non smetteva di accarezzarle i capelli. Sentendo che sua moglie non fiatava, proseguì.
-“Devo partire domani mattina..”-
-“C-COSA?! C-Così presto?”- chiese la ragazza sconvolta drizzandosi in piedi, per poi ricevere risposta positiva dal marito. A quelle parole si incupì nuovamente, ma Duncan l’avvicinò di nuovo a sé, cominciando a depositare piccoli baci sulle tempie di Gwen.
-“Sta tranquilla, andrà tutto bene, te lo prometto..potremmo sentirci con una videochiamata ogni giorno, sicuramente lì ci saranno linee che prenderanno almeno un po’..che cavolo..”- la confortò cullandola, anche se non era per nulla convinto di ciò che uscì dalla sua bocca.
 
Calò la sera, e il militare preferì andare a preparare la valigia affinché contenesse il necessario per poter resistere per tutto quel tempo in Iraq, lasciando così sola Gwen in salotto. Questa, infatti, cercò di non pensare all’indomani e piano si alzò per poi recarsi in cucina e lavare i piatti che erano ancora presenti sulla mensola. Cominciò ad insaponare il primo piatto, ma più tentava di non pensarci e più cadeva nell’errore, tormentata dalle parole del marito che le parevano assordanti più di prima.
Lasciò il piatto fare un tonfo nel lavandino, e senza forze di accasciò per terra, scoppiando in un nuovo  pianto, stavolta più rumoroso.
 
Perché dovevano ancora soffrire?
 
Non ce la faceva: aveva fin troppa paura per la vita del suo uomo, messa a dura prova in una realtà dalla quale chiunque dovrebbe starne alla larga, perché è quasi impossibile uscirne vivi.
Una domanda oramai pulsava insistente nella sua mente e non avrebbe cessato per tutta la durata del suo allontanamento da lei.
 
E se non ce la farebbe? Come avrebbe fatto lei senza di lui?
 
Avvertendo quello strano suono, Duncan si affacciò dalla camera da letto posta al primo piano della villetta e, vedendo l’amata in quelle condizioni, corse immediatamente in suo soccorso.
La osservò inerme per terra, e si preoccupò vedendola di nuovo piangente.
-“No amore..non fare così ti prego..”- la sollevò sussurrandole quelle parole, stringendola forte a lui come non fece mai, ma la ragazza continuava a versare lacrime, e non aveva intenzione di cessare.
-“Ehi calmati piccola, perché piangi? Ti sei dimenticata chi sono io? Ti dice nulla Duncan Evans? Ex punk e delinquente, rinchiuso in un riformatorio, talmente deficiente da essere barricato anche in un carcere per capire che stava perdendo per sempre  la donna dei suoi sogni?”- il ragazzo accompagnò quelle parole con un sorriso sincero e rincuorante,  e tentò di strapparle un sorriso, cosa che a quanto pare gli riuscì, dato che la fanciulla ricambiò, imbarazzatissima da quel dolce complimento.
Il militare rimase incantato a guardarla finalmente sorridente, mentre gli occhi le splendevano di gratitudine, ma allo stesso tempo pensava che quell’angelo che si ritrovava come moglie non meritava tutto quel dolore. In realtà era profondamente arrabbiato con sé stesso, incapace di farla vivere più serenamente, nonostante si siano allontanati da molte fonti di dolore presenti nelle loro vite.
Ma soprattutto, si sentiva un fallito in qualità di uomo, perché non fu in grado di regalarle ciò che lei avrebbe sempre voluto avere: un figlio, quell’unico ed insostituibile elemento in grado di legare due essere umani per l’eternità.
Non era solito fare questi pensieri sdolcinati, anzi non fu mai stato, ma con quella donna lui era diverso, era un uomo nuovo, pronto a prendersi le proprie responsabilità e a farne di se stesso una persona su cui potersi fidare.
-“ Gwen, ti prometto che tornerò, fosse l’ultima cosa che faccio…”- pronunciò quelle parole quasi sussurrando, e senza aspettare neanche un secondo la baciò dolcemente, assaporando quelle labbra a cui non riusciva mai a resistere.  Immediatamente si sentì pervadere da uno strano calore, quel contatto lo faceva ogni volta impazzire, per cui intensificò il bacio, rendendolo sempre più calamitoso e difficile da rifiutare. Nel frattempo Gwen si lasciò guidare dalle emozioni che in situazioni simili prendevano sempre il sopravvento, ricambiando quel contatto che mai come in quel momento desiderò in tutta la sua vita. Il ragazzo imprigionò l’esile figura che tanto amava tra le sue braccia, per poi premere quel corpicino contro il suo con altrettanta dolcezza, sentendolo sempre più suo. La passione tra i due divenne forte, così come forte era il desiderio di passare quelle poche ore che li dividevano dalla partenza nel  migliore dei modi, allorché Duncan, vittima oramai di quel gioco di carezze, prese in braccio Gwen per condurla nella loro camera da letto, là dove l’adagiò cautamente sul letto, non staccandosi però dalle sue labbra carnose, di cui era troppo affamato.  Allungò il suo corpo su quello della ragazza, così minuto di fronte al suo, coprendolo completamente, e con le mani prese il volto candido di lei, decidendo di concedere un po’ d’aria ai polmoni.
Incrociò il suo sguardo, e lo trovò vispo e traboccante d’amore. Le sorrise, entusiasta di trovare il volto asciutto dalle lacrime, ed entrambi ansimanti si squadravano desiderosi di approfondire. Duncan riprese a baciarla in maniera delicata, stavolta contornò di baci il volto per poi passare al collo, lasciandolo piacevolmente umido e caldo. Non contento, accompagnò quelle carezze delineando le forme assolutamente perfette del busto di Gwen, per poi fermarsi  ai seni prosperosi, di cui era follemente geloso, cullandola. La ragazza, che fino a quel momento lo stringeva forte a sé, sentì l’eccitazione salirle lungo tutto il corpo, e inarcò la schiena avvertendo le sue labbra depositarsi pure sul petto, trattenendo il respiro che si era fatto più affannoso.  A quel punto il ragazzo fece il percorso inverso, tornando così a torturare le labbra di lei, fermandosi poi di colpo.
Sapeva cosa fare, sapeva che se sarebbe stato possibile, quella notte avrebbe voluto trasmetterle tutto l’amore che provava verso lei, unica dea della sua esistenza.
-“Perché non ci riproviamo? So che è inutile, ma in questo momento voglio inebriarmi di te amore, voglio assaporarti fino a saziarmi, per essere capace di sopportare una lontananza così lunga da te.”-  le sussurrò a fior di labbra, arrossendo lievemente a quelle sue stesse parole. Quella frase colpì non poco la bella moglie, che non appena l’udì sentì gli occhi pizzicarle per poi avvertire le guance bagnarsi, il tutto mentre gli regalava un sorriso pieno di gioia. Un “ti amo” venne pronunciato a pochi millimetri di distanza tra le loro labbra, e la ragazza azzerò il distacco, diventando così del tutto dipendente delle sue carezze.
Fu così che anche l’ultimo dei veli che rivestivano i loro corpi venne sfilato, mentre quella notte divenne testimone di una incantevole sinfonia di emozioni, che rese l’ambiente sempre più magico e indimenticabile.
 
 
 
Il mattino arrivò più veloce del solito, complici i pensieri che attanagliavano le menti dei due coniugi, che non riuscirono a chiudere occhio neanche per un istante,  desiderosi di vivere le ultime ore accoccolati fino all’ultimo. Gwen accompagnò il marito fino alla base, nonostante il parere contrario di lui che poi cedette, e dopo averlo salutato, di malavoglia lo lasciò partire, alto nei cieli e sempre più lontano da lei, avvertendo ciò che le restò del suo cuore sgretolarsi fino a scomparire.
Grazie alle videochiamate, i due avevano la possibilità di sentire l’altra metà almeno per un po’. Lo facevano tutti i giorni, non appena lui era sicuro di poter abbassare l’arma e soprattutto la guardia. Non riuscivano a farsi lunghe chiacchierate, ovvio, né tanto meno potevano vedersi in chiaro per via della scarsissima ma stranamente presente qualità del segnale in quei luoghi. Gwen era costantemente collegata, in attesa di una sua chiamata, e le bastava semplicemente vederlo per un istante, per tranquillizzarsi.
In questo modo passarono i primi mesi, nei quali però la guerra continuava non preludendo ancora nessuna tregua, e ciò non aiutava di certo i parenti dei soldati americani, soprattutto Gwen.
A farle compagnia ci pensò Bridgette, la sua inseparabile amica acquisita dai tempi del reality, alla quale era legata in maniera particolare, quasi fraterna, che era indubbiamente corrisposta. Abitava nella stessa città, anche lei sposata da poco con Geoff, diventato il miglior amico di Duncan.
Ogni giorno  la bionda le faceva visita, prestandosi ai frequenti, almeno all’inizio, attacchi di solitudine e paura della sua amica, cercando di smuoverla nel resistere.
 
Una mattina, una delle tante,  Bridgette andò a prendere Gwen per andare a fare la spesa, quando ad un certo punto la mora ebbe un giramento di testa, e svenne tra le braccia dell’amica, che la raccolse appena in tempo. Venne portata immediatamente in ospedale, dove i medici si preoccuparono immediatamente di farle varie analisi, indagando così sulle possibile cause dello svenimento della paziente.
La ragazza rinvenne dopo un po’, ma i medici insistettero per farla rimanere ancora stesa su quel letto di  ospedale, almeno fino a quando il quadro clinico non fosse certo.
La bionda, che non la lasciò neanche un secondo, in quel momento le stringeva una mano, e insieme vennero accolte da una figura femminile alta in camice bianco.
-“Salve signora Evans, come si sente?”- chiese la donna premurosa.
-“Meglio, la ringrazio. Non so cosa mi sia preso..spero solo che non sia nulla di grave.”-  ammise Gwen con una nota di preoccupazione nella voce.
-“Oh mia cara non deve assolutamente preoccuparsi anzi, è normalissimo ciò che le è accaduto!”- esclamò la dottoressa sorridente, con la testa chinata sulle analisi che stava abilmente consultando.
A quel punto le due ragazze si guardarono perplesso, soprattutto la diretta interessata, il cui sguardo venne intercettato subito dalla dottoressa, che le si avvicinò sorridente.
-“Signora Evans, lei è incinta!”-
A quel punto la neosposa sentì di dover di nuovo svenire, mentre l’amica rimase sbalordita quanto lei.
Ma tutto ciò che le venne di fare, fu aprire la bocca incapace di emettere una frase sensata.
-“M-Ma..no, n-non può..noi non..lui ha..” – nella sua mente mi mescolarono talmente tante domande che la ragazza le esternò di getto, così come si presentavano nel suo cervello che stava impazzendo.
Non poteva credere a quelle parole, non dopo che i suoi colleghi spezzarono tutti quei sogni prefissati prima del matrimonio a due ragazzi che non facevano altro che amarsi alla follia, come giusto che sia.
Era troppo bello per essere vero.
-“ Un malfunzionamento? E’ vero, ricordo il vostro caso, signora, ma suo marito non è malato. Non abbiamo mai detto questo. Il signor Evans è perfettamente fertile, ma solo in alcuni momenti. E questa creatura ne è la prova. Mi spiace che sia passato quel messaggio errato..”- le disse la dottoressa visibilmente mortificata, cercando di intercettare un segno di conforto negli occhi della futura mamma.
Ma Gwen aveva sentito solo la metà del discorso che la donna le fece, sentendo di essere completamente avvolta da una sorta di felicità mai provata prima. Cominciò a piangere di felicità e l’amica non faceva altro che sorriderle, stringendole le mani forti, commovendosi anche lei.
-“Da quando sono incinta?”- chiese Gwen tremando ma non smettendo di sorridere.
-“Quasi due mesi, signora. Ora è meglio che la faccio dimettere, avrà sicuramente voglia di dare la bella notizia al papà. Ancora congratulazioni, sono molto felice per voi.”-
Gwen seguì con lo sguardo la donna scomparire dietro la porta, e respirò profondamente cercando di formulare la sua situazione attuale.
Era incinta, proprio grazie allo stesso uomo che non avrebbe potuto, ma soprattutto era in dolce attesa da quella che doveva essere una nottata orribile e da dimenticare, nonostante fosse stata piena d’amore e passione sincera.
 
L’arrivo di quella creatura non aveva fatto altro che renderla più forte: adesso doveva resistere e attendere suo marito tornare, per dargli finalmente la lieta notizia, perché di certo non l’avrebbe avvisato di una cosa così importante via videochiamata.
Passarono altri mesi, e con essi cresceva sempre più il ventre, diventato ora tondeggiante e aggraziato. La maternità le dava una bellezza diversa, e molte persone erano d’accordo su ciò, facendole in continuazione complimenti.
La stessa cosa però non si poteva dire per la guerra, che proseguiva senza sosta, avendo i suoi alti e bassi, diminuendo la frequenza con la quale i due coniugi potevano avere un contatto. Per via dei vari attentati, molte delle centrali saltarono, impedendo così anche agli americani di poter intercettare la base.  Capitava, infatti, che passavano settimane senza che i due si fossero sentiti o anche solo visti, impossibilitati dalla rete di comunicazione: Gwen era costantemente collegata e molto spesso arrivava anche a passare intere nottate davanti il PC, finendo con l’addormentarsi sulla tastiera per attendere quella chiamata che purtroppo non arrivava mai.
 
Una mattina, però, accadde qualcosa che le cambiò le giornate.
Era appena tornata a casa, dopo aver fatto una passeggiata nel parco vicino, quando notò la buca delle lettere contenere una lettera. La raccolse, e con profonda sorpresa lesse che proveniva dal Comando Militare della città, così si precipitò di corsa in casa, per poi aprire nervosamente la lettera e leggerne il contenuto:
 
“Gentile parente del componente dell’esercito mandato coraggiosamente in guerra in Iraq,
La informiamo che la guerra si è finalmente conclusa e che le truppe stanno facendo ritorno in patria, vittoriose.
Purtroppo non sappiamo darLe notizie sul militare in questione, ma Le porgiamo le nostre più sentite condoglianze se sia caduto in battaglia. Non smetteremo di ringraziarlo e di essergli debitori del suo contributo,che ha senz’altro contribuito alla vittoria.
La data del ritorno è prevista per il 07/06 presso l’aeroporto della città.
Cordiali saluti
Il Comando Miliare di Washington”
 
Sentì il sangue raggelarsi nelle vene, non appena concluse di leggere la lettera.
Ad un tratto le mancò il respiro, non sapendo proprio se essere felice per la fine della guerra o essere terrorizzata nel non vedere Duncan scendere dall’aereo sano e salvo.
La lettera le cadde dalle mani tremanti, mentre un senso di smarrimento la fece cadere nel panico.
E se non ce l’avesse fatta?
E se avrebbe visto la sua tomba scendere dall’aereo?
Scosse violentemente il capo a destra e a sinistra, prendendosi il volto tra le mani: aveva paura, troppa, di una eventuale  ed orribile realtà che doveva purtroppo attraversare.
Mancavano un paio di giorni al loro ritorno, ma Gwen era troppo ansiosa di vederlo, di sperare di abbracciarlo vivo.
 
Giorno 6 Giugno.
Era una giornata soleggiata e primaverile, e un via vai di macchine sfrecciava per le strade sempre affollate di Washington.
La signora Evans era in macchina, diretta verso l’aeroporto ed accompagnata da Bridgette e Geoff, che le vietarono severamente di andarci da sola, consapevoli della situazione troppo delicata.
La ragazza aveva il capo abbassato verso il suo ventre, coperto da un giubbino color mentre lo accarezzava costantemente. Era nervosissima e curiosa allo stesso tempo,  e cercava di scacciare i brutti pensieri, invano. Bridgette, seduta dietro e accanto a lei, notò il giustificato stato d’animo dell’amica, e cercava di tranquillizzarla, sebbene sapesse della poca utilità di fronte ad una paura troppo grande da levigare con le speranze.
Arrivò all’aeroporto, giungendo all’interno. Non sapeva con quale forza riusciva a muovere le gambe, ma il forte sentimento che nutriva per il suo punk le fece percorrere i corridoi a testa alta e con il viso coperto da una maschera apparentemente dura e che si sarebbe distrutta di lì a poco. Gli amici non la persero mai di vista, e in quel momento erano accanto a lei a condividere la stessa ansia di vedere vivo il loro amico militare. Gwen ticchettava i tacchi sul pavimento guardandosi intorno, e si sentì quasi rincuorata nel vedere tante altre donne essere nel suo medesimo stato emotivo.
Ad un tratto videro il primo gruppo di militari fare capolinea per poi essere abbracciati con forza dalle loro mogli o fidanzate. Le venne da piangere quando vide una donna, anche lei in stato interessante e con un altro bambino piccolo, correre felice più che mai dal suo uomo che intravide tra la folla di persone che si creò lì davanti, il quale riportò solo lievi fratture.
Ma in quel momento, ciò che vide le fece perdere letteralmente il fiato: alcune bare marroncino chiaro venivano trasportate da alcune reclute, e la disperazione dei familiari di quei poveri ragazzi caduti in guerra si fece largo tra la folla, incupendo quell’atmosfera così felice.
Gwen rimase paralizzata di fronte a quella visione, e cominciò ad avere paura di poter essere una di quelle povere donne che avevano appena perso il loro uomo. Strinse i pugni all’altezza del petto, le labbra serrate e il cuore che le batteva all’impazzata.
-“Ma quando arrivi, Duncan? Ti prego, fammi vedere che sei vivo..”- si ripeteva lei all’estremo della lucidità.
Poi avvenne il momento fatale.
Un altro gruppo di militari fece ingresso nell’aeroporto, probabilmente inosservato per via del caos che si creò nel giro di una mezz’ora, ma la moglie lo vide benissimo, attenta che tutto fosse reale: Duncan avanzava lento e decisamente spaesato, affiancato da un amico di guerra, e si manteneva l’altro braccio fasciato, per fortuna l’unico inconveniente della sua missione. Era stanco ma allo stesso tempo felice di essere tornato a casa, e l’unica cosa che voleva in quel momento era abbracciare sua moglie, che però non riusciva a vedere tra la folla. Gwen invece lo intercettò da subito, e per poco non le venne un mancamento.
-“DUNCAN!!!”- urlò con tutto fiato aveva in gola la donna, per poi sfuggire dalla presa premurosa dell’amica e correre verso la sua fonte di felicità.
Era vivo, ce l’aveva fatta, era tornato da lei.
Inutili le raccomandazioni della bionda, che la vide sfrecciare come una saetta per raggiungere il suo uomo, ma per fortuna lui la vide, anche se troppo tardi, perché la ragazza gli si presentò già letteralmente addosso facendo vacillare entrambi.  Di fronte a quella reazione il moro rise dolcemente, mentre col braccio libero le circondava i fianchi stretto.
-“Tesoro, sei tornato!!Avevo così tanta paura…”- affermò scoppiando a piangere Gwen, stringendolo a sé in una stretta quasi soffocante per via dell’intensità.
-“Amore mio non dovevi, te l’avevo promesso, ricordi?”- le domandò lui scostandola leggermente per guardarla dritta negli occhi. Probabilmente fu la lontananza, ma mai come in quel momento si rese conto di quanto fosse incantevole la sua dolce moglie, così non resistette e le regalò un bellissimo bacio, tanto desiderato dai due.
-“Cosa ti sei fatto al braccio?”- disse lei estasiata da quella carezza, una volta  staccatasi da lui.
 -“Oh beh, hanno tentato di farmi fuori, ma non avevano capito che per eliminare Duncan Evans ci voleva ben altro!”- affermò il moro molto spavaldamente. Gwen lo guardò storto, non nascondendo però il sorriso, ma notò lo sguardo curioso di Duncan, che non esitò ad esternare.
-“Tu, piuttosto, è una mia impressione o durante la mia assenza hai messo su qualche chilo? E non dare la colpa al giubbino, con me non fa effetto!”- il militare rise di gusto mandandole stilettate provocanti, ma la reazione di Gwen fu quella di scoppiare a ridere improvvisamente, mentre un’emozione unica si faceva largo nel suo cuore. La reazione della moglie lo fece rimanere abbastanza perplesso, ancor di più quando avvertì una sua mano posarsi su una guancia, accarezzandogli delicatamente i lineamenti.
-“E se ti dicessi che ti stai sbagliando in entrambi i casi?”- gli domandò suadente lei, con una strana luce negli occhi. Prese la mano di Duncan stringendola forte ad una sua, mentre con l’altra si sbottonava il giubbino, ed infine permise al ragazzo di toccarle il ventre, avvicinandogli la mano.
Nel frattempo Duncan si fece guidare da lei, ma si pietrificò quando sentì sotto il palmo della mano quella superficie tondeggiante. Si scostò dalla sua donna per un momento, quasi spaventato, per poi guardarla nell’insieme. Sgranò gli occhi non appena capì, e avvertì il cuore perdere qualche battito.
Non poteva essere reale, no non era possibile..
-“C-Cosa..c-chi c’è lì dentro?”- domandò lui cadendo nell’ingenuità, mostrando quanto quella rivelazione l’avesse scioccato. Gwen gli fu di nuovo di fronte, e tornando a piangere di gioia raccolse di nuovo le sue mani.
-“Come chi c’è? Non ti viene nulla in mente? C’è la nostra creatura, quella che tanto volevamo e che adesso sta crescendo dentro di me. Possiamo avere bambini Duncan, non hai alcuna malattia, e quello che hai è solo un problema che si può superare, così come facemmo sei mesi fa, quando hai permesso che quella ultima notte sarebbe stata speciale..”-  Oramai il volto di lei era rigato dalle lacrime, sorrideva al suo uomo e gli accarezzava il viso, sorridendo radiosa.
-“Ti abbiamo aspettato così ansiosamente, specialmente lui…o lei!”- concluse infine lei, sfuggendole una risata. Duncan rimase imbambolato e  in silenzio per tutto il tempo, ancora intento a rielaborare le idee. La sensazione che stava provando era quella di risvegliarsi magicamente da un brutto incubo, ma constatò ben presto che tutto quello era la realtà, la sua piacevolissima nuova vita.
-“Diventerò papà?”- dopo aver ricevuto risposta affermativa, col cuore che gli batteva impazzito si chinò fino ad arrivare all’altezza del ventre, accarezzandolo dolcemente.
-“Ciao piccola peste, muoviti a nascere, papà non vede l’ora di passare del tempo con te.”- disse rivolgendosi al pancione della sua donna, depositandovi poi un lungo bacio, facendo commuovere anche lei. Poi tornò retto, e dopo averla guardata intensamente le donò un bacio di quelli speciali,  pieni di contentezza  e soprattutto pieni d’amore.  
-“Non vi abbandonerò mai più, è una promessa.”- dichiarò l’ormai fresco Sergente, mentre con la mente fantasticava immaginando la sua famiglia, che sarà composta poi da tre futuri bambini, due maschietti che faranno compagnia alla primogenita, alla quale attribuirono un nome particolare in segno di gratitudine: Aurora, che significava luce, quella che da quel momento in poi sarebbe stata splendente per sempre.
 
 
 
 
Angolino dell'autrice:
Ma salve caro popolino di EFP! ^--^
Se siete arrivati qui, significa che vi siete assorbiti questa smielata e fresca one-shot! *--*
Parto col dire che sono una persona che, quando ha un'idea in mente, non si dà pace se non l'attua! Quindi, la one-shot, nonchè prima della categoria , mi tormentava la mente affinché la scrivessi ;)
Mi ha destato dal mio obbiettivo principale, che era la mia long...ma non temete! La continuerò, come ho sempre fatto :D
Inutile dire che il campo militare mi ha sempre affascinato e ho un grande debole, purtroppo
Perdonate se ritorno sull'argomento, ma ci tenevo a sottolineare che il riferimento alla Palestina e all'Israele sono SOLO simbolici: la sottoscritta conosceva solo quel tipo di guerra in atto, e quindi mi sono basata su quella, usata solo per riferimento ;)
Quindi, nulla di personale.
Bene, credo di aver detto tutto ^_^
Spero vivamente che vi sia piaciuta e che soprattutto vi abbia fatto emozionare :'3

Ringrazio tutti voi, che leggiate solamente e a voi che mi lasciate anche una recensione, è sempre un piacere conoscere le vostre opinioni!
Spero di leggerne tante *-*
Adesso corro a rimediare la mia assenza, perdonatemi ancora per il ritardo con cui aggiorno le mie storie :'3
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Bacioni!
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Storia in collaborazione con Clif:
A TUTTO REALITY: EFP

Siete pronti per un nuovo reality? Ancora di più se questa volta si svolgerà su una nave? Alcuni dei nostri concorrenti + altri 4 nuovi concorrenti si affronteranno in un reality mai visto prima d'ora! Da una nazione all'altra, pronti sempre a fare le peggiori sfide! Divisi in "Squali" e "Delfini" i nostri amici saranno pronti a passare sconvolgenti settimane nell'Oceano, costretti a stare con i loro peggior nemici! Poi, per chi si è perso qualcosa, non preoccupatevi: Ci sarà il dopo show di Dalhia_Gwen, condotto da Bleinley e Josh a tenervi informati su tutto e sempre pronti alla risata!
In questo fantastico reality voi e ripeto voi potrete scegliere infine il vincitore! "
Cosa manca per renderlo perfetto? Ah, è vero! Mancate voi! Cosa aspettate?
"Clif's story" vi augura: Buona lettura

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Dalhia_Gwen



 
 
 
 
 
 
  
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