Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Meretrice_Thomisus    01/04/2014    0 recensioni
Ognuno di loro ha provato e causato sofferenze.
Ognuno di loro ha conosciuto la paura.
La storia di alcuni ragazzi si intreccerà, mostrando come la vita può essere sconvolta improvvisamente senza lasciarti la possibilità di cambiare le cose.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia inizierà come una semplice commedia a tratti romantica ma con l’andare avanti acquisirà un andamento più serio e più adatto al genere drammatico. Si svolgerà in prima persona da vari punti di vista. Il nome di chi al momento parla sarà segnato in alto. A fine pagine spesso saranno presenti note che serviranno a puntualizzare parole o frasi della storia, evidenziati con un *. Buona lettura!



Capitolo I


Paoletta

Non piango più ormai. Ho sprecato tutte le mie lacrime in passato. I motivi? Solo la mia storia potrà farveli conoscere.

2 Novembre 2006
 
Avevo quattordici anni, quando io e mia madre andammo a vivere a Kalars. Lei aveva ricevuto una richiesta di lavoro che non poteva rifiutare. La nostra povertà era dimostrata sia dalla catapecchia in cui vivevamo, sia dal mio guardaroba: maglioni fatti da mamma, vestiti smessi di mia cugina e scarpe da mercatino. E mentre mia madre si faceva in quattro per farmi vivere bene, dov’era mio padre? Mia mamma non voleva più vederlo. Quando nacqui io, i miei genitori erano troppo giovani, troppo immaturi, come diceva sempre mamma. Diciannove anni sono pochi per amare una bambina nata per errore, o così era per mio padre. Ci abbandonò quando avevo appena compiuto cinque anni. Però sapevo bene dov'era andato a finire.
Torniamo a noi, al vero inizio della mia storia.                                                                                        
«Amore dove stai andando? Guarda che ti perdi che non conosci la strada. Perché non aspetti qualche secondo così facciamo una passeggiata insieme?»
Guardai divertita mia madre che trasportava, senza fatica, in un braccio un vecchio e pesante televisore e nell’altro una scatola piena di brutti vestiti. Come potete constatare era una donna piuttosto massiccia, dai lunghi capelli castani alla Janis Joplin, e un seno prosperoso. Direi anche TROPPO prosperoso che in parte avevo ereditato.
«Mamma, tranquilla, non mi allontanerò troppo. »
«Hai già messo la canottiera? Potresti ammalarti! Metti anche la sciarpa già che ci s…»
«Ma’! So badare a me stessa. Non preoccuparti inutilmente, voglio solo visitare un po’ la città.»
Lei sospirò arrendevole.
«Va bene… torna presto, però, sono già le 16.30. E’ pericoloso stare in giro di notte. »
Risi per la sua preoccupazione esagerata e mi diressi verso la porta. Neanche il tempo di lasciarla chiudere alle mie spalle che una voce in lontananza urlò
«Attenta a come attraversi, non siamo più a Gesigos! Torna presto!»
Se non l’aveste capito, mia madre era una donna molto apprensiva.
 
Mi piaceva molto Kalars. La moltitudine di persone che chiacchierava mi metteva allegria, talmente tanta che mi misi a cantare. Me la cavavo abbastanza bene, comunque sia adoravo farlo e non mi importava del mio talento. Anzi, forse era anche la migliore cosa che possedevo nonostante non brillassi.  Si, ero brutta: capelli bruni e crespi, sopracciglia troppo folte e lentiggini molto accentuate. Ammetto, tuttavia, che uno dei motivi principali del mio aspetto era che non mi curassi più di tanto ma a mio avviso neanche facendolo sarei stata carina. Qualcosa di buono, fisicamente, però lo avevo ovvero due bellissimi occhi azzurri e grandi tette. Di queste ultime, a quel tempo, me ne vergognavo, tant è che le fasciavo sempre con lo scotch prima di uscire.
Camminavo piena di emozioni, con la voce che si faceva via via più potente. Mi pare di ricordare che, da una finestra, cadde una ciabatta che per poco non mi colpì. Quant’era sbadata la gente. Poco dopo mi imbattei in un imponente edificio, dal muro in marmo bianco di Carrara. La raffinatezza delle vetrate colorate, che mostravano disegni simili a quelli nelle chiese gotiche, mi rapì immediatamente. Sembrava assurdo che fosse solo una scuola. Mentre osservavo quella meraviglia, qualcosa, o meglio qualcuno, mi urtò violentemente.
 
 
 
 

Raphael
 
Sarei stato sicuramente bocciato quell’anno, me lo sentivo. C’è da dire che non era tutta colpa mia. Non avevo voti eccellenti, non ero il primo della classe, ma riuscivo sempre a cavarmela. Era quel nuovo professore che mi aveva preso di mira. Da giovane doveva essere stato uno sfigato, per questo era prevenuto nei miei confronti: io, un ragazzo alto (La bellezza di 1.81 e mezzo), bello, occhi chiari e un pizzico di arroganza che fa innamorare le ragazzine.
Quel giorno non ero andato a scuola… cioè, mi stavo dirigendo la, ma non di certo per le lezioni. Anzi, ero io ad avere in serbo per quello stronzo di un professore una piccola lezione. Ero riuscito a scoprire il suo più grande amore: Il suo fuoristrada. Ero euforico in quel momento, preso dalla corsa verso la vendetta contro il bastardo. Così assorto dai miei obbiettivi da non accorgermi di una stupida ragazzina ferma con il naso all’insù. La colpii talmente forte che cadde a terra rumorosamente.
«HEI!». Mi urlò con una vocina stridula.
Era piuttosto bruttina, o meglio, era una di quelle ragazze che se ne fregano del loro aspetto, e si vedeva. Le chiesi distrattamente scusa, poiché, poco più avanti vidi la vettura del professore. Mi avviai velocemente verso di essa, mentre la ragazza mi fissava perplessa.
Cominciai a frugare nello zaino che avevo appresso e dopo qualche ricerca trovai un cacciavite a stella. Dovevo farlo, ora o mai più. Con forza colpii le ruote della macchina. Feci via via sempre più pressione, con l'emozione mista a rabbia verso quell'uomo che mi travolgevano il corpo. Una volta finito il lavoro sospirai entusiasta ma sentivo che dovevo finire in bellezza. Con un gesto secco e deciso feci passare la punta del cacciavite sulla carrozzeria. Fu meraviglioso osservare la lunga striscia che si era andata a formare. Che scena sublime! Dio che goduria che provai! Calai velocemente il cappuccio sugli occhi e mi preparai a scappare, quando sentii degli occhi puntati addosso. Quella brutta ragazzina mi guardava con sguardo di rimprovero, anche se, con quelle foreste sopra agli occhi, più che causarti sensi di colpa faceva ridere. Avrebbe potuto fare la spia? Cercai di fare il gentile e salutarla, prima di correre a perdifiato. Era fatta! Non mi restava che tornare a casa rapidamente e continuare con la mia messa in scena da malato. Arrivai giusto in tempo perché, cinque minuti dopo essere entrato in silenzio dalla finestra, mia madre bussò alla porta. Doveva misurarmi la febbre e trovandomi rosso e accaldato (ovviamente per la corsa) se la bevve come niente, riuscendo per farmi riposare. Nella mia testa risuonò una risata malefica. Ero un fottuto genio! D’un tratto, però, frugando nella tasca di dietro dei pantaloni, mi accorsi che era vuota. Il mio portafoglio! Cazzo, c’era tutto la dentro, carta d’identità, soldi, cartine, tabacco.
Se l’avesse trovata il prof? O quella ragazza? Avevo cantato vittoria troppo in fretta.


Note: E' molto breve come capitolo ma, appunto, è solo un'introduzione. Al prossimo capitolo!
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Meretrice_Thomisus