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Autore: MyShadow19    02/04/2014    5 recensioni
Verba è un racconto dalle lievi tonalità fantasy di grande atmosfera. Narra di Kadas Luthfelt, protagonista tenebroso che avrebbe molte, troppe cose da raccontare... se solo la sua filosofia non glielo impedisse; ogni parola è l'evocazione di un concetto, il più grande veicolo delle idee, la struttura su cui si forma il pensiero e quindi la base del modus ponens degli esseri viventi. La filosofia di Kadas è così forte che quando lui pronuncia una parola tutto questo cessa di essere una convinzione e diventa una verità: la realtà attorno a lui cambia. Per questo pesa attentamente quello che dice. Una parola vale più di mille immagini.
Ogni capitolo è molto breve perché lo stile di scrittura è pesante; spero che apprezzerete. Buona lettura!
Genere: Dark, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avanza Kadas per le scale rocciose dell’alta torre, pestando passo dopo passo gli scricchiolanti scalini. Impugna al contrario i suoi lunghi pugnali dall’elsa dorata, e impugna uno sguardo che perfora una tenebra più cupa di ogni torcia. Avanza Kadas trasportando le pieghe di un lurido mantello, gli squarci di un logoro cappuccio, a pretendere di coprirgli il corpo smunto. Avanza Kadas, vantando la leggiadra magrezza di un guerriero vinto dalla fatica di mille battaglie. Le sue iridi vendono onore all’umido cunicolo che inerme ha assistito all’avanzare indisturbato dei muschi che lo ricoprono, i suoi zigomi pronunciati esprimono quanto le sue labbra ormai incapaci di sorridere vorrebbero e non possono. Anche il metallo del suo cuoio borchiato è incapace di proteggerlo più di quanto la sua sola presenza già non faccia, anche i suoi stivali leggeri non l’aiutano a salire più di quanto il peso opprimente della sua anima ingrigita già non faccia.
E così avanza, impugnando i lunghi pugnali al contrario, fino alla porta d’ebano. Uno stridio, quasi un gemito accompagna l’apertura della fastosa porta, aperta con il pugno chiuso dalla morsa impenetrabile di Kadas Luthfelt.
  • Trascini ancora, dietro al tuo stanco avanzare, le grinze sudice di quel mantello, Kadas?
Voce grave di un uomo possente, che rimbomba nel cavernoso cunicolo della torre. Grandi le spalle, corti i capelli, non più minaccioso il suo sguardo delle sue braccia, non più spaventoso il suo ghigno della sua inumana stazza.
Senza parole Kadas cessa la sua avanzata, chiudendo le palpebre devastate da una cicatrice a croce che porta nell’eternità il segno di un frammento oscuro del suo passato.
  • Ora come allora silenzioso come la suola dei tuoi stivali, vero? Un uomo come me si chiede quale nobile motivazione spinga uno come te in un posto talmente ignobile.
Non un muscolo della sua figura vitrea e paralizzante si muove dalla posa meditativa in cui è caduto, e tace.
Non sembra avere alcun interesse nel rispondere.
  • Ancora con quel maledetto pendente, Kadas? Non pensi che ormai il suo tempo sia finito? Ogni cosa ha termine, vecchio assassino, non tutto quanto ha la fortuna di abbracciare il tuo medesimo destino.
Le palpebre, pesanti come il vuoto, si sollevano lentamente, e le pupille inquisitrici si spostano verso l’alto, a fissare l’interlocutore.
  • Fortuna?
Dice soltanto, cessando immediatamente il suono della sua voce gracchiante prima di aggiungere altro.
  • Lascia che ti illuda di nuovo, assassino, se vuoi che lo faccia; vai a vedere di nuovo quel pendente, vai a vedere di nuovo la sua fine ultima.
Spostandosi permette la ripresa della mortuaria avanzata di Kadas Luthfelt, che a rilento prosegue nel fetido cunicolo fino a raggiungere una teca costruita col cristallo di mille lacrime infrante. Giace un pendente al suo interno, nero come l’abisso. La mano rattrappita dell’assassino rimuove la teca, e afferra il pendente come a volerne assorbire ogni residuato di vita. Tuttavia, pare esserne privo.
  • Non pensi sia ormai il caso di arrendersi, Kadas? Perché ti ostini orsù?
Abbandonando nuovamente il pendente nel suo alloggio, lascia che il cristallo lo ricopra, e voltandosi inizia a fare ritorno nei suoi passi allo stesso cadenzato ritmo. E’ tempo di chiudere la porta d’ebano: nulla che si trovi dietro di essa desta interesse, Marcus compreso. E’ tempo di chiuderla, arriverà di nuovo il tempo di aprirla.
  • Sta volta non ti lascerò andare, assassino. Voglio la parola d’onore, non ritornerai in questo triste luogo.
La parola d’onore sancisce la irrimediabile inviolabilità di qualsiasi contratto verbale, o il corpo e l’anima si piegheranno sotto il peso del tempo così come qualsiasi creatura mortale abbia ricevuto il dono della vita. Immortale è soltanto chi mai, nel corso della propria esistenza, è venuto meno a questo nobile patto.
Kadas avanza, posando il suo peso sugli scricchiolanti gradini.
  • Kadas, ti intimo di fermarti subito, prima che debba costringerti a farlo.
Di nuovo la voce gracchiante, come provenisse dalle viscere del pianeta, proferisce la sua sentenziosa risposta:
  • No.
Inevitabile la reazione di Marcus, che come un leone con una gazzella si fionda affamato verso la sua preda.
Soltanto una parola è la risposta della gazzella, ogni parola è un’evocazione.
  • Morte.
Le zampe del leone spariscono all’interno della criniera e si accuccia, sconvolto dal panico che quell’evocazione ha provocato su di lui. E così, senza neanche voltarsi, la gazzella riprende ad avanzare.
  
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