Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Nitrogen    02/04/2014    3 recensioni
Era lì, ferma nell’abitacolo a sporcare silenziosamente le guance con il suo trucco scuro, immancabile per far risaltare i suoi occhi verde smeraldo di cui tutti si innamoravano.
Ellen provava un misto di emozioni che non riusciva a definire con un unico termine: era delusa, arrabbiata, confusa, psicologicamente distrutta, e tutto questo era causato dall’unica persona che avesse mai amato in tutta la sua vita.
Klaus era stato tutto il suo mondo, da tre anni a quella parte, eppure l’aveva tradita.

[One-shot partecipante al contest "Chiedi Agli Altri" di Melinda Pressywig.]
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
One-shot partecipante al contest "Chiedi agli altri" indetto da Melinda Pressywig. Penso di non essermi mai divertita tanto nel soddisfare le richieste di un contest.
 
A Sara,
ideatrice di simile plot.


 






Metà dell'anima mia
__________________________________



Ellen era ferma nell’automobile parcheggiata, esattamente a un isolato dalla casa che teneva d’occhio da ormai troppo tempo.
Tamburellava nervosamente sul volante con una mano e reggeva saldamente una sigaretta nell’altra, con gli occhiali da sole a coprirle gli occhi che la facevano sentire più anonima anche se non era vero.
Aspettava, aspettava da abbastanza tempo da aver perso il conto delle sigarette abbandonate sul vialetto, ma non ancora al punto di aver finito il pacchetto da venti comprato quella stessa mattina, in occasione dell’obbligo che si era imposta: erano settimane che nell’aria avvertiva qualcosa di strano, ma aveva sempre cercando di non pensarci. Difficilmente credeva a sensazioni simili e tantomeno si lasciava guidare dall’istinto, ma quel giovedì mattina parve non poter far altro che arrendersi. Era lì, ferma nell’abitacolo a sporcare silenziosamente le guance con il suo trucco scuro, immancabile per far risaltare i suoi occhi verde smeraldo di cui tutti si innamoravano.
Ellen provava un misto di emozioni che non riusciva a definire con un unico termine: era delusa, arrabbiata, confusa, psicologicamente distrutta, e tutto questo era causato dall’unica persona che avesse mai amato in tutta la sua vita.
Klaus era stato tutto il suo mondo, da tre anni a quella parte, eppure l’aveva tradita.
Prima che confidente era stato uno sconosciuto intravisto una volta per strada, e prima di divenire suo amico era stato quel collega che le lanciava languide occhiate di interesse nel caffè dove lei lavorava. Ma tra tutte le persone che Klaus era stato, essere il suo fidanzato era quello che Ellen più aveva gradito: lui era un uomo perfetto, che la riempiva di attenzioni e non aveva mai dimenticato di dimostrarglielo. Era corso a qualunque ora del giorno da lei, le aveva regalato tutto quel che avesse potuto desiderare e non si vergognava di dimostrare il suo amore pubblicamente davanti a nessuno.
Ma a circa venticinque chilometri in linea d’aria da dove abitava lei, Klaus riservava a sua insaputa lo stesso tipo di affetto per un’altra donna, e quella donna era la moglie con cui condivideva il letto da quando lui aveva raggiunto la maggiore età, diversi anni prima che potesse conoscere Ellen.
E fuori l’abitazione di questa donna, a solo qualche isolato di distanza, l’ira era divenuto un agglomerato ben distinto di atomi e sedeva nella sua vettura con la sigaretta che quasi era arrivata a bruciargli le dita.
Il doppio telefono -uno personale e l’altro “per lavoro”-, i turni di notte in ospedale che duravano un po’ troppo, le due Vigilie di Natale e i due Capodanno su tre passati senza di lei, le riunioni che sembravano non finire mai… Ellen pensava a tutte quelle piccole cose a cui prima d’ora non aveva dato troppo peso e picchiò forte i palmi contro il volante, imprecando: aveva passato così tanto tempo ad amarlo che non si era nemmeno preoccupata di domandargli il perché di determinati comportamenti, il più delle volte azioni che non stavano né in cielo né in terra.
Ellen si conosceva bene, e sapeva che una distrazione simile non se la sarebbe mai perdonata.
Gettò quella cicca fuori dal finestrino e lo chiuse, accese il motore della vettura e si spostò lentamente più avanti. Respirava affannosamente con gli occhi sempre più gonfi per il pianto che non era in grado di fermare: non capiva come poteva essersi preso gioco di lei in quel modo, non capiva come lei -che di certo stupida non era- fosse riuscita a non notare prima quelle strane azioni che chiunque altro avrebbe considerato un chiaro segno d’allarme.
Malediceva il suo “uomo” e se stessa in quella macchina. Ma le parole non le bastavano, non le sarebbero mai bastate.
E scendendo dalla vettura parcheggiata davanti al viale di quella casa, Ellen aveva già deciso cosa fare una volta entrata al suo interno, e l’effetto sorpresa avrebbe reso il tutto più divertente.
A un passo dalla porta, Ellen allungò il collo verso una fessura della finestra, creata dalle tende bianche: Klaus, seduto sul divano del salotto, accarezzava i lunghi capelli della sua piccola figlia di circa dieci anni accoccolata tra le sue braccia; sua moglie era invece intenta a servire sul tavolino lì di fronte i dolciumi per la sua famiglia, che l’altro loro figlio di forse sei o sette anni portò subito alla bocca. Stavano guardando uno di quei film d’animazione che uniscono grandi e piccini, uno di quelli che ti fanno sorridere per il lieto fine un po’ scontato ma comunque emozionante.
Ellen pensava a quanto fosse bella quella visione, a quell’immagine di una famiglia tanto unita che in parecchi avrebbero invidiato. Ma contemporaneamente non riusciva ad ignorare quel leggero senso di odio che nasceva dalla gelosia di non essere mai stata parte di un simile spettacolo, nemmeno da piccola. Tutto quel che desiderava era distruggere quel momento perfetto di cui il suo uomo faceva parte.
Asciugò le lacrime e con una sicurezza che non sapeva di avere bussò tre volte sulla porta d’ingresso.
Non era certa quella fosse la cosa più giusta da fare: stava per rovinare una famiglia che vista da quella finestra tanto grande sembrava perfetta, che se non fosse per quel piccolo dettaglio quale Ellen era, non avrebbe mai avuto problemi. Perché lei, come ben pensava, era davvero l’unica nota a stonare in quella composizione tanto melodiosa e non era una cosa che la faceva sentire a suo agio.
Desiderava così tanto essere quel qualcosa di più che giusto o sbagliato che fosse, avrebbe fatto il possibile per realizzare quel sogno. Ma era una volontà che non poteva avverarsi, e per questo motivo decise che se doveva essere quell’orribile stonatura per il resto della sua vita, avrebbe rovinato per sempre l’intera armonia di quella musica.
Alla fine, non vi era alternativa.
Quando Klaus andò ad aprire la porta, Ellen trattenne il respiro per qualche istante: perse tutta la sicurezza che aveva e dimenticò ogni cosa avesse pensato perché Klaus era, ai suoi occhi, bello come il sole e l’aveva lasciata per l’ennesima volta senza fiato. Lo amava, amava il suo carattere e il suo fisico, amava le attenzioni che fino a quell’istante le aveva dato e si sorprese a ricordare quelle notti passate insieme, da soli, accompagnati a stento dalla luce dei lampioni che filtrava dalle finestre.
Ma avere quei flashback non l’aiutò più di tanto poiché la rabbia tornò dopo qualche attimo di silenzio, e contro ogni aspettativa Ellen varcò la soglia senza che Klaus potesse opporle resistenza: lui non riusciva a muoversi, non aveva messo in conto un’eventualità simile e adesso non sapeva come reagire.
Come poteva essere accaduta una cosa simile proprio a lui?
Era sempre stato troppo attento per poter sbagliare, tutto quel che faceva era calcolato nei minimi dettagli proprio per evitare imprevisti del genere. Vederla lì non era in nessuna delle sue ipotesi e questo l’aveva spiazzato.
La conosceva, o almeno credeva così fosse. Anche se avesse scoperto la verità Ellen non avrebbe mai, per nessuna ragione, reagito in un modo così forte, violento, e soprattutto immediato. Ellen aveva passato tre anni della sua vita a farsi mettere i piedi in testa da lui senza che se ne rendesse nemmeno conto, come avrebbe potuto prevedere una simile reazione dalla sua donna?
Era impensabile, impossibile da mettere in conto, ma Klaus non riusciva comunque a perdonarsi per il male che di lì a poco avrebbe causato la sua duplice relazione alla sua famiglia.
Vide Ellen ignorare totalmente la sua presenza, con gli occhi vuoti quasi come fossero senz’anima; vide Ellen spingerlo via, facendolo cadere malamente sul tappeto che aveva comprato insieme a sua moglie qualche mese prima; vide Ellen dirigersi direttamente in salotto come se sapesse già che i suoi bambini e sua moglie fossero lì.
Klaus si maledii per essere nato, per aver sposato Lara che non meritava un male come il tradimento, per aver rovinato la routine perfetta della sua famiglia.
«Ellen…»
«Riesci ad immaginare il motivo della mia presenza a casa tua?»
Klaus un’idea se l’era fatta, ma non ebbe il coraggio di dirlo. Si sentiva un codardo, un fallito, non riusciva a pensare un modo per risolvere quella situazione.
«Allora lo dirò io: amore mio, tu mi hai mentito.»
La dolce voce della sua amata e il suo angelico sorriso lo confondevano, non sembravano appropriate alle parole che aveva appena detto.
«M-mi dispiace… Io…»
«Shhh… Non ha senso scusarsi adesso, lo sai vero?», sorrise ancora e si avvicinò a Jezabel, la piccola dai capelli dorati, «Piuttosto, mi piacerebbe una spiegazione a tutto ciò. Immagino la voglia anche tua moglie, no?»
L’interpellata parve come riprendersi dallo shock iniziale causato dall’entrata in scena della donna che mai, prima di quel momento, aveva visto né fuori né dentro casa sua. Doveva essere una persona un po’ stupida, pensò Ellen, perché più la guardava e più aveva l’impressione lei non riuscisse a fare un semplice collegamento: una donna di bell’aspetto era entrata furente in casa sua e aveva appena detto a Klaus di averle mentito; una qualsiasi altra moglie, al suo posto, avrebbe immediatamente pensato quella fosse l’amante di suo marito, ma lei sembrava non arrivarci.
Sorridendo per quel pensiero, riportò la sua attenzione su Klaus, ancora in silenzio sullo stipite della porta: «Dove hai messo le palle, amore mio? Dovresti solo dire “Tesoro, ho un’amante da quattro anni a cui non ho mai detto di essere sposato e di avere una famiglia”. Non ci riesci? Ti ricordavo molto, molto più coraggioso.»
Ellen rise sonoramente. Aveva amato per tutto questo tempo l’uomo sbagliato: non le avrebbe mai dato la bella vita insieme che desiderava da quand’era piccola, probabilmente non l’avrebbe mai amata come amava sua moglie; perché Ellen non era stupida, capiva di non essere altro che un semplice passatempo ai suoi occhi. La sua famiglia non era lei.
Si avvicinò definitivamente a Jezabel, con quel senso di amaro in bocca che sembrava non volerla abbandonare nemmeno adesso che aveva quasi accettato la situazione per quello che era. Accarezzò i capelli della bambina, osservando quei suoi lucidi occhioni chiari che le ricordavano troppo quelli del padre; stava per piangere, o forse silenziosamente aveva già versato qualche lacrima senza che lei se ne rendesse conto.
La strattonò velocemente all’indietro e si abbassò alla sua altezza, stringendola a sé per farla star ferma. Non aveva nulla da perdere, il suo mondo era già stato rovinato.
«Non fare pazzie, Ellen!»
«Perché, non dovrei? Pensi di non meritartelo?»
«Loro non c’entrano nulla, lascia quel coltello, è solo colpa mia!»
«Questo lo so.» Sorrise in un modo così dolce da far paura, avvicinando ancor di più il coltello alla piccola. Non pensava l’avrebbe davvero tirato fuori dal cappotto, quell’affare. «Ma dimmi, Klaus, cosa dovrei fare adesso? Dovrei semplicemente andarmene, lasciarti alla tua bella vita e chiudermi in casa a leccarmi le ferite che mi hai regalato? Non saprei… Penso non mi piacerebbe questo epilogo. No, non mi piacerebbe, non mi piacerebbe per niente.»
Affondò la lama del coltello nel petto della piccola, di colpo. L’aveva incastrato dritto all’altezza del cuore, ma non era sicura l’avesse centrato anche se era quella la sua intenzione.
Vedeva il suo Klaus sgranare gli occhi, vedeva l’altro bambino e sua madre urlare perché sconvolti dalla scena a cui avevano assistito. Nessuno si aspettava un simile capovolgimento della situazione, nemmeno l’autrice stessa di questo crimine.
Eppure Ellen non riusciva a sentirsi in colpa per aver privato degli anni migliori quel piccolo corpo, anzi, provava un leggero senso di piacere che lentamente le stava disegnando un sorriso sulle labbra. Era un’emozione che non riusciva a comprendere, insolita, che non le dispiaceva affatto. Aveva appena tolto la vita ad una persona, a una bambina che non aveva avuto nemmeno il tempo di commettere il suo primo peccato.
La cosa la mandava su di giri, e le parole dell’altra donna che condivideva il suo amato non facevano altro che accentuare questa sensazione: «Lurida sgualdrina, hai ucciso mia figlia! Sei un mostro!»
Ellen fece spallucce, e si ritrovò senza che se ne accorgesse gettata malamente sul pavimento, con l’altra addosso a stringerle le dita attorno alla gola. Per qualche frazione di secondo, non riuscì a muovere un muscolo perché troppo sorpresa da quanto stava accadendo e si perse in un susseguirsi di pensieri che non avevano alcun collegamento tra loro.
Pensava a quel maestoso appartamento in cui Klaus l’aveva invitata dicendogli fosse casa sua; pensava alla canzone che lui, al pianoforte, le aveva cantato e suonato prima di chiederle di stare insieme; pensava a quelle parole e alla sua voce, che insieme le fecero sciogliere il cuore fino a quel momento rimasto di ghiaccio.
Fu in quell’istante che si convinse di amarlo, e stesa su quel pavimento con il respiro che lentamente le andava a mancare si maledì per avergli detto “Sì” dopo quella canzone.
Ritornò al momento che stava vivendo all’improvviso, come se si fosse appena svegliata da un incubo e si accorse di avere ancora il coltello ben saldo nella mano destra. Se voleva vivere, quella era l’unica soluzione.
Conficcò l’intera lama nel fianco destro di Lara, lo estrasse e ripeté l’operazione per altre due volte. Lo fece con tutta la forza che aveva, perché il solo guardarla le faceva crescere un odio smisurato nei suoi confronti. Al terzo tentativo di farla staccare dal suo collo, Ellen fece spostare la lama dal fianco allo stomaco, e solo a quel punto anche l’altra cadde al suo fianco.
Aveva ucciso ancora, sentiva il sangue caldo espandersi sulla sua maglia e sporcarle la pelle sotto di essa. Se fino a quel momento aveva pensato fosse meraviglioso uccidere qualcuno, adesso provava la sensazione opposta: il liquido che le solleticava la pelle la infastidiva, si sentiva sporca come mai prima d’ora.
L’omicidio non è un peccato che svanisce dopo aver lavato via il sangue dalle mani, non può essere etichettato come uno spiacevole ricordo e messo sotto chiave in qualche meandro oscuro della mente, lontano anche dai frammenti di vita a cui può accedere solo l’inconscio. Una colpa simile l’avrebbe uccisa, senza fretta, e questo la spaventava più di quanto aveva immaginato in precedenza.
Ma pur pensando tutto questo stesa su quel pavimento, fece in modo di tenerselo dentro, ben nascosto da un finto orrendo sorriso che Klaus avrebbe ricordato anche all’Inferno, dove era sicura si sarebbero incontrati ancora.
Lo vide aprire e chiudere la bocca più volte nel vano tentativo di dir qualcosa, segno che non aveva ancora realizzato quanto accaduto.
Ellen sapeva che se lui fosse tornato in sé non avrebbe avuto alcuna speranza di arrivare fino in fondo al suo obbiettivo, sapeva di avere solo quel momento per distruggerlo come lui aveva distrutto la sua vita.
E fu pronta a fare quel minimo scatto che le consentì di arrivare a Michael, seduto in un angolo della stanza con le mani tra i capelli. Si era detta di non farlo soffrire, perché alla fin fine sapeva lui non c’entrasse nulla con le menzogne di Klaus. Aveva deciso che, come per la sorella, una semplice pugnalata in pieno petto non avrebbe deturpato la bellezza di quel piccolo corpo che sotto gli occhi sconvolti del padre scivolava esanime fino al pavimento.
Sembrava semplicemente un angelo addormentato in una pozza rossa di chissà quale liquido.
Dopo quella scena, delle lacrime si decisero a rigare le guance di Klaus: era distrutto come Ellen desiderava, si leggeva la disperazione nel suo volto, in ogni sua singola azione ed era esattamente il risultato che la sua amante aveva sperato.
Ellen, cauta, si avvicinò a Klaus e lo strinse in un abbraccio: «Tranquillo, amore mio, non riceverai altro male da me. È tutto finito.»
Klaus continuava silenziosamente a piangere. Non aveva la forza mentale o fisica di spostarla, e non riusciva a perdonarsi per quanto era appena successo. Sapeva che, per quanto il tradimento fosse un’azione ignobile, arrivare all’omicidio era da pazzi e non era una di quelle cose che lui poteva prevedere; ciononostante sentiva comunque una morsa insostenibile che gli stringeva il cuore e sembrava quasi stesse per esplodere. Si sentiva morire.
«Non uccidi anche me?», chiese quando si allontanò da lui.
Ellen sorrise. «Non sei degno nemmeno di morire di morte atroce e violenta, Klaus. Per te ho altri programmi.»
La donna si limitò a farlo sbattere più volte con la testa contro il muro. Avrebbe voluto ucciderlo, ma non ci sarebbe mai riuscita; l’amore non svanisce da un giorno all’altro, e quello di Ellen e Klaus non aveva fatto eccezione.
Perdeva sangue dalla ferita alla testa, ma Ellen era sicura fosse ancora vivo e che si sarebbe risvegliato solo con un gran mal di testa e l’unica volontà di seguire la sua famiglia all’altro mondo.
Ellen iniziò a camminare per la stanza: i corpi abbandonati sul pavimento avevano sporcato gran parte della moquette, e adesso anche i suoi stivali avevano la suola tinta di rosso.
Aveva ucciso tre persone e distrutto il futuro di un uomo, eppure era calma, apatica, priva di qualunque eccesso di emozione. Guardava le foto di famiglia poste qua e là sulle pareti, sfiorandone i vetri con le dita sporche del liquido cremisi.
«Sai, Klaus, avevo fatto tanti progetti per noi.», disse tutto d’un tratto pur sapendo di non essere ascoltata, «Ti avrei presentato ai miei genitori, tu mi avresti presentato ai tuoi, saremmo andati a convivere e ci saremmo sposati. Poi sappiamo tutti che una bella famiglia sarebbe stato il sogno della mia vita, vero? Purtroppo non avremo mai modo di litigare per le partecipazioni del nostro matrimonio o per i nomi dei nostri figli, non avremo mai l’opportunità di arrabbiarci per chi dovrà svegliarsi in piena notte per coccolare uno dei nostri bambini e nemmeno per quale luogo sarebbe più adatto per una vacanza. Tu eri metà dell’anima mia, eppure non mi hai concesso di invecchiare con te. E so a cosa staresti pensando se fossi sveglio ad ascoltarmi: “Assassina! Mostro! C’è il demonio in te! Hai ucciso la mia famiglia!” o qualcosa del genere. Ma l’hai voluto tu, sei stato tu con le tue mani a decidere che le cose finissero in questo modo, tu con le tue continue menzogne. Credi che mi piaccia sentire il sangue appiccicarmi i vestiti addosso, sentirne l’odore nauseante o vederne il colore macchiarmi le mani? Dio, Klaus, io non sono un’assassina, ma non potevo lasciarti impunito. Tu non avresti fatto lo stesso al mio posto?»
Ellen, sedutasi sul davanzale dell’enorme finestra, aveva smesso di parlare a quello che fino a poche decine di minuti prima era il suo fidanzato. Adesso doveva lasciarlo perdere e pensare alla sua di vita: non era un’assassina o un sicario, si ripeteva, la polizia avrebbe trovato qualcosa che riconducesse a lei anche se avesse ripulito con cura la stanza e fatto sparire i corpi.
Facendosi un esame di coscienza, capì che non aveva nessun buon motivo per restare in vita: il suo Klaus, il fulcro di tutta la sua misera esistenza, era stato brutalmente sgozzato -metaforicamente parlando- da quel coltello che ancora stringeva tra le dita, e lei era rimasta senza obbiettivi, senza mete né ambizioni.
Cosa avrebbe fatto adesso? Aveva ormai ottenuto anche la sua vendetta.
Il filo dei suoi pensieri fu spezzato da un rumore improvviso. Ellen chiuse gli occhi per ascoltare quel lungo e disperato lamento che proveniva dal piano superiore di quella splendida casa.
Si precipitò su per le scale, con il coltello pronto per ogni evenienza. Era convinta in quella casa ci fossero solo lei, un uomo svenuto e tre cadaveri, e si stupì nel vedere un neonato nella culla messa vicino al letto matrimoniale di Klaus e quella che era sua moglie.
Il piccolo non poteva avere più di qualche mese e si chiamava “Christopher”, il nome che lei avrebbe tanto desiderato dare a uno dei suoi ipotetici figli.
Sorrise.
Non era una donna che credeva a questo tipo di cose, ma per un istante -un solo, piccolissimo istante- Ellen si convinse che il Destino le volesse donare una seconda opportunità o quantomeno un motivo per andare avanti, e prendere con sé quel piccolo, pensò lei, era senza dubbio la prima buona azione da fare per cominciare da capo.


 


──Note dell'autore──

Plot: ragazza, ventitré anni, da sola fuori casa dell'amante, determinata.
Parola chiave: "Ha scoperto qualcosa".


Ho impiegato un'eternità per scrivere queste sei pagine in Georgia 11, credetemi: non mi piaceva questo, non mi piaceva quello... Insomma, non ero mai contenta del risultato, e a dirla tutta non lo sono nemmeno adesso. C'è ancora qualcosa che non mi convince, ma il contest scade il sei di questo mese e non mi sembrava il caso di far attendere ancora per il mio lavoro che comunque sarebbe stato mediocre.
Il "problema" è che dovevo soddisfare determinate richieste del contest: il mio compito era di porre delle domande scelte da Melinda a persone casuali (parenti, amici, sconosciuti...) e creare con le loro risposte un plot (che ho inserito a inizio note d'autore).
Ora, non è che da me ci si poteva aspettare qualcosa di tanto diverso da questo che ho scritto poiché piace uccidere i personaggi di cui non mi importa nulla (e questi sono esattamente quel tipo di OC), ma lo strano happy ending uscitone fuori non era in programma.
Il piccolo Christopher non doveva esserci, però... Non mi andava di farla passare per una one-shot dove tutti i personaggi, compresa Ellen, sarebbero morti. Sì, doveva essere ucciso anche Klaus, ma morire è la fine di ogni sofferenza, no? Lei era entrata in quella casa per l'esatto opposto. *sorride*


「Nitrogen」

 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Nitrogen