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Autore: meiousetsuna    02/04/2014    6 recensioni
Premio Stile nel contest "I miei gusti, le vostre storie"
I° classificata nel contest: Sotto la maschera! Di Nirvana_04
Nel 1920, Damon torna ad Atlanta, teatro della Guerra Civile, seguendo una specie di richiamo…
Condannato a vagare sulla terra bevendo sangue umano, quel devastante senso di colpa sempre più spento, trasformato in un incubo fastidioso - un leggero ronzio, il segnale vacillante della coscienza assopita.
Il Sole iniziava a tramontare, per lasciar posto ad un più discreto tepore.
Non soffriva il caldo o il freddo, ma continuava a percepire le variazioni della temperatura, seppure queste non si spingessero oltre la superfice della pelle, come altre cose.
Le emozioni ad esempio.
Per fortuna la compassione non voleva saperne di cercare di oltrepassare le sue spesse, invisibili barriere e la sua natura predatoria l’aveva scartata come zavorra inutile.
Altrimenti la vista di quel bambino che singhiozzava seduto sul marciapiede di fronte ad un deposito di rottami e i guaiti di dolore di un cagnolino tremante lo avrebbero spinto ad avvicinarsi per dirgli due parole; cosa che senza poter spiegare come e perché, si trovò a fare, guidato solo dall’istinto.

Love,
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Damon Salvatore, Enzo
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Storia vincitrice del contest: Sotto la maschera! Di Nirvana_04 con la citazione: Chiunque fa qualcosa per aiutare un bambino nella sua vita è un eroe per me. (lista Eroi)
Partecipa al contest "Combinazione" indetto da Manuela-EFP

Personaggi: Damon, Child!Lorenzo
Rating: Verde
Genere: Fluff, Angst
Avvertimenti: What if?, Missing moment
Ambientazione: Intorno al 1920
Questa storia ha vinto il premio Stile nel contest di Fefy_07 "I miei gusti, le vostre storie"

Quando il bambino era bambino  - Esiste realmente il male e persone che sono veramente cattive?

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Il paesaggio della periferia di Atlanta* non era migliorato così tanto in mezzo secolo di ricostruzioni, pensò Damon, avanzando con aria apparentemente distratta tra le strade di terra battuta che si intersecavano con altre pavimentate.
Qualche volta, quando le notizie sulle stragi di Stefan diventavano più frequenti e non reggeva il peso di avere come unica scelta l’alternativa tra tenerlo sotto controllo senza avere il coraggio di intervenire e tentare di rimuoverlo dalla memoria, di ripudiarlo come sangue del suo sangue, faceva quella cosa.
Non erano pochi i posti che conservavano ancora l’aspetto che avevano avuto durante la guerra, visto che il Sud aveva perso disastrosamente e il denaro necessario a rimettersi in piedi non era mai più tornato a fluire come una volta.
Rivide se stesso ragazzo, avanzare tra le barricate di sacchi di sabbia cercando di portare via i feriti piuttosto che sparare al facile bersaglio dei nemici, le giubbe blu quasi brillanti contro il terriccio argilloso.
Umano, pieno di passione, di rabbia per essere costretto a dimostrare di valere qualcosa a prezzo forse della sua vita – senza dubbio del suo onore, visto che non voleva diventare un assassino - e quello gli bruciava più di tutto, era il suo punto debole.
Se non avesse disertato, probabilmente alla fine avrebbe ucciso qualcuno, certo, ma pochi mesi dopo sarebbe tutto finito; o un nordista avrebbe colpito lui, magari in una notte senza Luna e senza stelle, favorito dalla sorte, lasciandolo morire lentamente sul ciglio di un fossato, senza neanche gli occhi del cielo a riflettersi nei suoi con un ultimo sguardo di pietà.
Ma non sarebbe diventato un vampiro.

Condannato a vagare sulla terra bevendo il sangue di altre persone, quel devastante senso di colpa sempre più spento, più distante giorno dopo giorno, trasformato quasi in un incubo fastidioso - un leggero ronzio, il segnale vacillante della coscienza assopita.
Damon si tolse il cappello, sistemando meglio una piccola ciocca di capelli ribelli, per accorgersi dalla lunghezza della sua ombra che il Sole iniziava a tramontare, portando via l’afa della giornata, per lasciar posto ad un più discreto tepore.
Non soffriva il caldo o il freddo, essendo morto, ma continuava a percepire le variazioni della temperatura, seppure queste non si spingessero oltre la superfice della pelle, come altre cose.
Le emozioni ad esempio.
Per fortuna la compassione non ne voleva sapere di cercare di oltrepassare le sue spesse, invisibili barriere e la sua natura predatoria l’aveva scartata come zavorra inutile.
Altrimenti la vista di quel bambino che singhiozzava seduto sul marciapiede di fronte ad un deposito di rottami e i guaiti di dolore di un cagnolino tremante nascosto dietro le gambe scarne del suo padroncino lo avrebbero spinto ad avvicinarsi per dirgli due parole; cosa che senza poter spiegare come e perché, si trovò a fare, guidato solo dall’istinto.
Il piccolo – avrà avuto sei o sette anni – era vestito con una maglietta piuttosto lisa e una salopette di tela di Genova**, le scarpe consumate di chi le eredita, ultimo di una schiera di fratelli più grandi.
I capelli nerissimi e folti, uniti ad iridi ugualmente scure, lo rendevano senza dubbio identificabile come un italiano, pensò Damon; l’espressione, quella smarrita che aveva anche lui quando a quell’età aveva perso sua madre.
“Che succede, ragazzino?” Il tono del vampiro risuonò insolitamente gentile alla sue stesse orecchie, ma complice la mancanza di ascoltatori indiscreti non ritenne di doverlo contenere, in fondo quello era solo un moccioso senza valore, non importava cosa avrebbe pensato.
Il visetto rigato di lacrime si rialzò verso il suo, prima con uno sguardo spaventato, che cambiò repentinamente in uno ammaliato.
‘Mi fissa come faceva Stefan quando diceva che ho gli occhi azzurri di nostra madre, gli occhi di un angelo. Invece sono quelli della morte’.
“Mio… mio padre… ha preso il cane a calci”.

Damon non ritenne di dover trattenere un’espressione di disgusto. Solo un miserabile può prendersela con un  avversario tanto inferiore a lui, inoltre anche il piccolo non gli sembrava in migliori condizioni.
“Raccontamelo, forse posso aiutarti. E smetti di piangere, un uomo non si comporta così”.
Il bambino strinse le labbra in una smorfia contrita, poi inghiottì con uno sforzo la saliva e i singulti che stavano salendo, pulendosi il naso e gli occhi con la manica.
“Bravo… come ti chiami?”
“Lorenzo, signore. Ma mi chiamano tutti Enzo”.
“Sei coraggioso, Enzo. E tu puoi chiamarmi Damon, ‘signore’ non va bene tra amici, è da vecchi!”
Un accenno di sorriso timido si dipinse in un angolo della bocca di Enzo, nello stesso istante in cui la medesima espressione si formava sulle labbra morbide di Damon.
‘Da quando sono il difensore di un ragazzino? Non fa per me’. Il vampiro se ne sarebbe andato volentieri, voltando semplicemente le spalle al problema, ma aveva fatta una richiesta e non poteva rifiutarsi di ricevere una risposta.
“Mio padre è tornato ubriaco e ha detto che voleva provare cosa poteva fare al cane prima che si arrabbiasse e cercasse di azzannarlo, lui crede che solo le persone servano a qualcosa e che il resto siano bestie senza valore”.
Enzo stava per cedere di nuovo, quando Damon si trovò a posargli una mano sulla testa, sentendo tra le dita i capelli sottili come quelli di Stefan, sottraendole subito in una carezza imbarazzata.
“Io mi sono messo di mezzo, gli ho detto di prendersela con me, perché sono più grande… così…”.
Non c’era bisogno che terminasse la frase, numerosi lividi nerastri e blu coprivano la parte di gambe visibile dall’orlo dei pantaloni a metà polpaccio, segno che molti altri dovevano essere nascosti e una guancia leggermente gonfia testimoniava il manrovescio finale che doveva essere seguito a quella punizione.

Damon valutò rapidamente l’opzione di spezzare il collo all’uomo, lasciando la madre a prendersi cura dei figli da sola, ma quasi certamente questo avrebbe significato un disastro ancora maggiore.
Con un gesto elegante si sedette a terra, come se un marciapiede fosse il posto più ovvio da usare come un confortevole sedile, spostando l’attenzione sull’animaletto.
Cercare di identificare il mix di razze che doveva essere stato progenitore di quel coso arruffato, col pelo color nocciola ed una buffa macchia nera che prendeva metà di un orecchio e circondava uno dei suoi occhioni terrorizzati, sarebbe stata un’impresa impossibile.
“Come si chiama il tuo cane, Enzo?”
“Non si chiama in nessun modo, lo chiamo cane e basta”.
“Ora mi stai mentendo e questo un amico non lo fa”.
Non c’era un rimprovero duro nella voce di Damon, ma l’effetto fu ugualmente quello di ferire l’animo del bambino.
“Mio padre lo chiama Dieci. Un cane non merita un nome, lui ne ha già avuti nove, che sono morti, gli da solo un numero tanto non dureranno molto. Anche io ho paura di dargli un nome, di nascosto, perché mi ricorderei sempre come si chiamava”.
Damon rimase senza parole per un minuto che sembrava un’eternità, incapace di dire la cosa giusta, prima di rendersi conto di cosa doveva fare.
“Fammi controllare la zampa di Dieci”.
Malgrado gli uggiolii penosi, Enzo spostò piano il cagnetto senza replicare, fidandosi completamente del suo strano amico.
“Ti potrebbe mordere perché ha paura, Damon”.

“Lo so. Lo farei anche io al suo posto!” Il vampiro strizzò l’occhio al bimbo, divertito dalla battuta discutibile che poteva capire solo lui, poi con estrema delicatezza cominciò a tastare la zampetta che aveva notato che Dieci non posava a terra, premendo piano in più punti.
Il meticcio teneva le orecchie basse, appiattendosi il più possibile al terreno con la coda tra le gambe, ma, come se avesse fiducia di quella creatura anch’essa non prettamente umana, lasciò che la visita arrivasse alla fine.
“Non è rotta, domani camminerà normalmente. Ti è andata bene, Dieci”.
Il cane capì perfettamente il senso delle parole, ricambiando con delle leccatine alla mano che lo aveva assistito, accucciandosi più comodamente, ma sempre tra i piedi di Lorenzo.
“Grazie!” Una felicità pura brillava sul bel faccino del piccolo, interrotta solo da un evidente rumore di gorgoglio nello stomaco, che Enzo cercò di reprimere abbracciandosi stretto intorno al busto.
“Da quando non mangi?” Anche questa, se qualcuno l’avesse visto avrebbe perso la reputazione per sempre.
“Da stamattina. Stasera niente cena per me, mi chiameranno per rientrare quando gli altri avranno finito”.
“D’accordo”. Damon si alzò, sistemando il soprabito col dorso della mano.
“Dove posso comprarti qualcosa?”
“Sul serio? C’è un rosticciere qui dietro l’angolo, ha dei panini imbottiti col pollo che mandano un profumo…”
Pochi minuti dopo, Damon era di ritorno con un involucro di carta da pane e una bottiglietta di latte che consegnò al bambino.
Enzo strappò avidamente il cartoccio, scoprendo due enormi panini pieni fino a scoppiare, che fissò con l’acquolina alla bocca; presone uno, cercò di passarlo al suo nuovo amico, che lo respinse con un leggero cenno della testa.
“Uno è per Dieci; dì la verità, ne avresti mangiato almeno mezzo del tuo?”
Enzo gli rispose con un sorriso dolce, mentre posava il cibo di fronte al cagnolino, che si tuffò avidamente su quel banchetto inatteso.
Forse un po’, ma lui ha più fame di me, deve riprendere le forze. Penso che non lo riporterò a casa, starà meglio nascosto qui intorno, gli porterò da mangiare e gli costruirò una casetta. Però metà di questo lo bevi insieme a me, vero?”

La bottiglina di latte, intiepidita dove era stata stretta dalla piccola mano passò in quella elegante di Damon, dandogli una sensazione nostalgica di tempi passati, cene famigliari noiose e interminabili, rese tollerabili solo dalla presenza di Stefan che mangiava fino all’ultimo boccone solo se lo vedeva fare lo stesso.
“Non voglio togliertelo, Enzo”.
“Ma io ci tengo, non ho niente altro da darti!”
Mentre accettava un sorso e restituiva il contenitore di vetro al bambino, Damon provò una assurda sensazione di premonizione, come se quel gesto dovesse ripetersi tante, infinite volte.
Cancellò subito quella sciocchezza dalla mente, osservando Enzo divorare a quattro palmenti il sandwich, leccarsi le dita con soddisfazione e poi piantare quei fastidiosi occhi troppo profondi per la sua età di nuovo nei suoi.
“Tu hai dei bambini, vero?”
“Cosa te lo fa credere? No, però ho… avevo un fratellino. Ora è morto”.
“Mi dispiace tanto! Però dovevi essere bravissimo con lui”.
Enzo si torceva le mani, spaventato di dire le parole che volevano affiorare, quando un colpetto del musino di Dieci, sotto le ginocchia, sembrò dargli un cenno di incoraggiamento.
“Vorrei essere tuo figlio”.

Nell’arco della sua lunga vita si era sentito chiamare in molti modi, pensò Damon; la maggior parte riguardava la sua  dubbia origine legittima, per essere davvero cortesi, al limite donnaiolo, molte volte mostro.
Ma figura paterna, mai.
“Lo credi adesso, ma non ne saresti felice, Enzo. Non mi conosci, ci sono lati di me che non ti piacerebbero e non potrei smettere di essere quello che sono, capisci?”
“Io so chi sei. Ti sei fermato perché io e Dieci stavamo male e lui non ha avuto paura di te, ce l’ha di tutti. Sei speciale. Lo so che qualche volta ti arrabbierai, gli adulti lo fanno, ma non vuol dire che sei cattivo. Puoi fare il cattivo. Mio padre lo è, sempre. Non importa se siamo ubbidienti, se non lo disturbiamo quando lavora o se mia madre cerca di cucinare qualcosa di più buono. Ci tratta male lo stesso”.
“Vedi, Enzo – il vampiro era combattuto, ma la voce dell’istinto schiacciò facilmente quella della ragione – vorrei spiegarti. Tutti hanno una natura, che non dipende da loro; Dieci è un buonissimo cane, ma se vede un topo tra quei rottami, lo inseguirà per cacciarlo. Anche una parte delle persone è fatta così. L’altra invece… può cambiare”.
“Vuoi dire che puoi nascere in un modo e diventare in un altro?”
“Proprio così. C’è qualcosa di sbagliato in me, anche se non era nel mio carattere. Ma credo sia un discorso difficile”.
Il piccolo posò il mento sulle nocche con fare meditabondo, le sopracciglia corrugate per la concentrazione, finché con un sospiro si voltò verso il suo interlocutore.

“Anche io potrei essere molto diverso da grande? Ma anche buono, o no?”
“Certo, ragazzino! Sei coraggioso, potresti fare il soldato. Così combatteresti dalla parte giusta, per salvare le persone che ami. Anche io l’ho fatto per un anno, sai?”
Un lampo di fierezza attraversò gli occhi di Lorenzo all’idea di trasformarsi in quello che era stato Damon, magari diventando un eroe.
“Va bene. È stato bello parlare, ma devo andare adesso”. Il cielo serale ormai era blu, non si era accorto di quanto tempo era trascorso, era ora che il bambino rientrasse a casa.
Damon prese il portafogli dalla tasca interna della giacca, prelevando delle banconote che porse ad Enzo.
“Prima che protesti: sono per comprare da mangiare per Dieci, so che tu te la cavi da solo. Vuol dire che se ci incontreremo di nuovo mi lascerai fare un’altra cosa per te. Vai, corri da tua madre”.
In un attimo Damon era in piedi, allontanandosi a passi veloci, prima di avere l’insana idea di salutarlo con un abbraccio, o sdolcinatezze idiote del genere.
Enzo lo guardò andar via, finché la sagoma scura non disparve all’orizzonte, tra i profili incerti del crepuscolo.
‘Non importa se la prossima volta non sarai così buono con me. Forse sarai diverso. Comunque, nessuno mantiene la promessa fatta ad un bambino’.


Quando il bambino era bambino Peter Handke

*Nel 1864, le truppe di Sherman appiccarono il fuoco alla città di Atalanta. Sono consapevole che si trovi in Georgia, ma nella “geografia di TVD” Atlanta sembra abbastanza vicina a Mystic Falls…
** Jeans, ovviamente, tessuto già diffusissimo: ma forse Damon usava il “nome antico”

  
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