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Autore: Padmini    03/04/2014    2 recensioni
Come può Sherlock aver capito che Mary mentiva, che nascondeva la sua vera identità? Forse perché lui, per primo, ha sempre mentito, celando un passato doloroso, dal quale sta cercando di fuggire. Allora sarà proprio lei, così abile nel mentire e nello scoprire le menzogne, a portare tutto alla luce.
[dal testo]
“Non capisco cosa stiamo facendo” disse infine, rompendo quella cappa di tensione “Perché ...”
“Lo hai detto tu, John” esclamò la donna, guardandolo severamente “Lì è il posto in cui si siedono i clienti quando devono esporre i loro problemi”
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Innanzitutto bentrovati. Sono assente da un bel po' di tempo, ma non ho mai smesso di scrivere.

Prima di tutto vorrei fare una premessa: questa fan fiction è una cross over tra Sherlock e The last enemy, una serie in cinque episodi che, a mio parere, ricalca un po' la trama del film Brazil. Chi non l'ha mai vista vada a cercarsela perché merita davvero, in ogni caso ogni dettaglio verrà spiegato durante la storia. Per intrecciare le due trame ho dovuto modificare un po' entrambe, ma spero che il risultato sia soddisfacente.

Buona lettura!!

KISS

MINI

 





 

La Sedia

 

La luce dei lampioni filtrava appena dalle tende chiuse e i rumori notturni arrivava attutiti attraverso i vetri delle finestre. L'appartamento al 221 B di Baker Street sembrava avvolto in una bolla che lo isolava dal mondo esterno ma, paradossalmente, i rumori all'interno erano amplificati fino quasi a diventare fastidiosi. Il silenzio ruggiva come una belva nascosta nel sottobosco, mentre le lancette dell'orologio scandivano, inesorabilmente, lo scorrere del tempo, così come i respiri dei presenti, che erano quasi palpabili nell'aria.

Mary, seduta sulla poltrona di pelle nera, guardava alla sua sinistra mentre John, dalla sua poltrona, le gambe e le braccia incrociate, osservava prima la moglie, poi l'uomo seduto alla sua destra, con espressione via via più smarrita.

Non capisco cosa stiamo facendo” disse infine, rompendo quella cappa di tensione “Perché ...”

Lo hai detto tu, John” esclamò la donna, guardandolo severamente “Lì è il posto in cui si siedono i clienti quando devono esporre i loro problemi”

A quelle parole, il medico si sentì ancora più confuso.

Non capisco ancora ...” mormorò, passandosi una mano sulla fronte “Perché lui?”

Potresti davvero scriverlo su una maglietta!” disse Sherlock, inserendosi nella conversazione “In effetti è una cosa che dici spesso ...”

John lo fulminò con lo sguardo.

Sinceramente, non credo sia il momento di scherzare … Sherlock … sempre che possa continuare a chiamarti così!” sbraitò lui, seccato.

Il suo nome non è importante, John. Lo sai bene anche tu” lo interruppe Mary, lanciandogli un'occhiata fugace, per poi tornare a guardare Sherlock, seduto sulla sedia tra di loro “Ora, per piacere, raccontaci tutto, dall'inizio”

 

 

 


 

Il pomeriggio precedente

Era passato qualche mese da quando, dopo aver ucciso Charles Augustus Magnussen, Sherlock era stato esiliato da Londra e successivamente richiamato, a causa di un video diffuso apparentemente da Moriarty. Era rimasto senza parole quando Mycroft lo aveva richiamato per dirgli che i suoi servizi erano richiesti in patria e che la punizione era stata abbonata perché tutti sapevano che, con uno uomo come Jim nei paraggi, l'unico che avrebbe potuto difenderli sarebbe stato lui.

Ancora una volta si sorprese di come, nonostante tutto quello che era successo, potesse continuare ad aiutare quegli uomini che lo avevano fatto soffrire così tanto.

Eppure, nonostante la minaccia velata in quel 'Vi sono mancato?', non erano seguite azioni criminose di nessun genere, almeno in apparenza. La trama che il Ragno aveva iniziato a tessere era invisibile, ma estremamente resistente. Nessuno, se non allenato a notare i segni rivelatori di tale presenza, avrebbe potuto intuirla, tra i mille avvenimenti che ogni giorno animavano Londra.

Tutto sembrava tranquillo, ma Mycroft aveva preferito tenere il fratello a Londra, per precauzione.

Così, tra una truffa e qualche signora convinta di essere perseguitata dal suo postino, la vita era tornata a scorrere tutto sommato tranquillamente.

Mary e John, chiarita ormai da tempo la loro situazione sentimentale, erano tornati a vivere insieme e avevano festeggiato, tra i complimenti e gli auguri di tutti gli amici, Sherlock compreso, la nascita della piccola Sheryl Watson. Anche lo stesso Sherlock, superata la tristezza per la lontananza di John da Baker Street, sembrava ormai rassegnato a dover continuare la sua carriera di consulente detective da solo. Tuttavia, anche se Mycroft aveva rassicurato John riguardo la salute mentale del fratello, lui e Mary erano sempre preoccupati per lui e, per essere sicuri che non ricominciasse a iniettarsi cocaina, andavano a trovarlo più che potevano.

Era una nuvolosa domenica pomeriggio così, dopo una breve passeggiata al parco con la figlia, i coniugi Watson, tornando a casa, si erano decisi a fermarsi a Baker Street. Sherlock, che evidentemente in quel periodo non aveva casi degni della sua intelligenza, se ne stava raggomitolato sulla poltrona, fumando pigramente una sigaretta, ma non appena sentì le voci dei suoi amici che salutavano la signora Hudson, si affrettò a spegnerla per non far respirare alla piccola il suo fumo e aprì un poco la finestra per farne uscire almeno un po'.

“Ti abbiamo beccato, detective!” esclamò John, entrando con Sheryl in braccio “Nessun caso, ultimamente?” chiese, guardandosi intorno e scuotendo la testa e osservando il caos, che regnava indiscusso nella stanza.

Sherlock sospirò e andò in cucina per preparare un tè.

“Purtroppo, ciò che sembrava un periodo promettente, in realtà si è dimostrato molto deludente!”

Tornò in salotto con due tazze di tè fumante, che mise davanti ai suoi ospiti, che nel frattempo si erano accomodati nel divano.

“Donne gelose, figli fuggiti di casa, gente che crede di vedere cospirazioni ovunque!” si scompigliò i capelli, in preda ad un attacco isterico “Tutti vedono Moriarty ovunque, sembrano ossessionati!”

“Tu però, non credi che sia tornato, vero?” chiese Mary, fissandolo con attenzione.

“No, non lo credo, anche se …” si interruppe qualche istante, poi sospirando tornò a sedersi in poltrona “Ciò che sto per dire potrebbe sembrare egoista, e forse lo è, ma sarebbe bello se fosse veramente tornato. Da quando è morto i criminali hanno perso qualsiasi tipo di creatività. Non c'è più poesia, manca totalmente l'immaginazione!” esclamò infine, sbattendo il pugno sul bracciolo.

“Eppure Magnussen ...” azzardò John, guardando la moglie con la coda dell'occhio.

“No, lui era un animale” spiegò Sherlock, mentre Mary annuiva in segno di assenso “Lui era pericoloso come una tarantola, ma non aveva nessuna classe. Lui si limitava a raccogliere informazioni scomode e a usarle contro la gente per ricattarla … No, erano su due livelli completamente diversi! Jim era geniale, crudele e spietato e, cosa più importante, metteva passione in ciò che faceva. Mettermi alla prova con lui è stato emozionante e stimolante!” esclamò infine, alzandosi in piedi per l'entusiasmo “Ora, purtroppo, non c'è più nulla di tutto ciò ...” concluse, tornando a buttarsi sulla sua poltrona.

John e Mary, che teneva la bimba in braccio, si guardarono negli occhi, poi sorrisero. Il discorso di Sherlock era assurdo, nessuno si sarebbe mai augurato il ritorno di una mente criminale pericolosa come quella di Jim, ma in quel contesto e, soprattutto, pronunciato proprio da lui, non mancava di una certa coerenza.

Posata la tazza di tè ormai vuota, John prese dalla tasca della giacca il giornale che aveva comprato la mattina.

“Scommetto che non hai nemmeno dato un'occhiata alle notizie, vero?” gli chiese, aprendolo alla pagina della cronaca.

“No ...” rispose lui con un sospiro “Cosa potrei trovarci? Avanti! Dimmi qualcosa che potrebbe interessarmi! Non ne troverai!”

John borbottò qualcosa di incomprensibile ai danni del detective, ma continuò a sfogliare il giornale, alla caccia di uno spunto.

“Vediamo … è stato derubata un'armeria … una coppia è stata sorpresa a compiere atti osceni in luogo pubblico dalle parti di Hyde Park … un incidente sul lavoro nel cantiere del nuovo grattacielo … ah” Ecco! Questo, forse, potrebbe interessarti!” disse, indicando con un dito un trafiletto marginale “Il cadavere di una giovane donna è stato ritrovato nei pressi di Liverpool Station, in un vicolo. La donna è stata uccisa durante un tentativo di rapina andato male ...”

“Sì, sì … avevo letto il titolo, ma non è nulla di ...”

“...ed è stata identificata. Si trattava di Yasim Anwar, una dottoressa di origine albanese, che si trovava a Londra per … Sherlock?”

John si interruppe e fissò il detective aggrottando lentamente le sopracciglia poi, posato il giornale, si alzò e andò verso di lui.

“Stai bene? Sei pallido come … be', più pallido del solito ...” mormorò, posandogli una mano sulla spalla.

“Sto bene ...” disse lui, scuotendo la testa “Deve essere la stanchezza … o la noia!” esclamò poi, alzandosi “Ora, se non vi dispiace, ho bisogno di restare solo. Devo ...” si guardò attorno, in cerca di qualcosa, poi annuì “Sì … devo fare alcune analisi … sì …” scosse la testa e invitò i due ad alzarsi e ad uscire dalla stanza con gesti sbrigativi delle mani.

“Come vuoi tu, Sherlock ...” mormorò Mary, guardandolo con un'espressione di dubbio in viso “Sei sicuro di stare bene?

“Sicuro, sicurissimo!” ribatté lui, spingendoli delicatamente fuori dalla porta “Vi chiamerò io quando … Vi chiamerò. Ciao!”

Detto questo, chiuse la porta a chiave e vi si posò con tutto il peso del corpo.

Mille pensieri, torbidi come l'acqua di una palude, lo investirono. Si sentì soffocare, quasi annegare, ma riuscì in qualche modo a restare lucido.

Così era accaduto, l'avevano uccisa. Le domande si sovrapponevano le une sulle altre, in un turbinio che lo stordì. Perché era tornata a Londra? Come avevano fatto a scoprirla? Perché l'avevano uccisa, nonostante fosse passato tanto tempo?

Si passò una mano sul viso, per impedire alle lacrime di uscire poi, riacquistata nuova lucidità, andò in camera sua per cambiarsi. Nel giro di una ventina di minuti tornò in salotto e si guardò allo specchio. Con indosso quella tuta e con il viso sporco non sembrava quasi più lui. Si calò il cappuccio sul viso e, cercando di non attirare l'attenzione dei passanti, raggiunse la fermata della metropolitana.

 

Nello stesso istante in cui le porte della Circle si chiudevano alle spalle di Sherock, John e Mary scesero dal taxi che li aveva portati a casa.

“Qualcosa non va?” chiese John alla moglie, aprendole prima il cancelletto del giardino e poi la porta di casa, dal momento che lei aveva in braccio Sheryl “Sei strana da quando Sherlock ci ha buttati fuori di casa” disse, ridendo “Non devi prendertela, sai che è fatto così. Gli basta poco per ...”

“Non è per quello” annunciò lei, cullando la piccola che, nel frattempo, si stava addormentando “Ormai ho imparato anch'io a conoscere Sherlock e … mi è sembrato strano, più strano del solito, intendo ...” si affrettò a precisare, ridendo piano, per non svegliare la piccola “Mi ha fatto venire in mente una cosa … che vorrei verificare!”

La donna, animata da un'insolita frenesia, mise a dormire la piccola e, senza più rivolgere la parola al marito, andò a chiudersi in camera sua. John, rassegnato a quel comportamento, che aveva visto fin troppo spesso nel suo migliore amico, sospirò e andò in cucina e iniziò a preparare la cena.

Mentre mescolava il riso alle zucchine, canticchiando nel frattempo, sentì la moglie parlare al telefono con qualcuno e fu tentato di andare ad ascoltare, ma preferì chiudere anche la porta della cucina, per isolarsi meglio dai rumori. Sapeva che, se fosse stato il caso, Mary gli avrebbe raccontato tutto. Dieci minuti più tardi, quando anche il riso fu pronto e fumante nei piatti, la donna uscì dalla sua stanza, ma era evidentemente turbata. John le andò incontro e l'abbracciò stretta.

“Mary, per l'amor del cielo, dimmi cosa è successo ...”

“Non posso, John … non ancora. Te lo dirò, se sarà il caso, ma per ora posso solo attendere la conferma ad un mio sospetto. Quando ne sarò sicura te ne parlerò, ma solo allora”

“Capisco ..” mormorò John, sospirano appena “Devo sempre essere l'ultimo a sapere le cose?” chiese, senza riuscire a trattenere nella voce un velo di rabbia.

“Non prendertela” gli chiese lei, posandogli una mano sulla spalla “Per ora voglio solo gustarmi il tuo buonissimo risotto. Quando il mio contatto mi avrà richiamato e avrà confermato o smentito il mio sospetto, potrò dirti di cosa si tratta. Se mi sarò sbagliata, non ti dirò nulla, perché riguarda … il mio passato …” mormorò, arrossendo appena “Se invece avrò avuto ragione, dovrò raccontarti per forza tutto, perché vorrà dire che Sherlock avrà bisogno del nostro aiuto” concluse, prendendogli una mano “Per ora, come ho già detto, voglio solo godermi questa serata con te ...” disse, baciandolo sulle labbra.

John, conquistato dalle sue parole e dalla sua voce annuì. Non avrebbe potuto protestare perché aveva promesso di non voler conoscere nulla del passato di Mary, ma sapeva che raramente sua moglie si sbagliava, perciò la sua curiosità sulle circostanze che li avrebbero portati ad aiutare Sherlock iniziò a divorarlo lentamente.

Mangiarono con calma e, mentre John stava finendo di lavare i piatti e lei dava il latte a Sheryl che si era nel frattempo svegliata, suonò il cellulare di Mary. La donna, che ormai non aveva più nulla da nascondere, rispose in cucina, di fronte al marito, al quale affidò la bimba.

“Sì, dimmi … Capisco … Quanto è rimasto? … Sì, mi sembra normale … Ah! … Quindi è proprio lui! … Sì, lo avevo sospettato … Grazie mille!”

Sotto lo sguardo perplesso di John, Mary posò il cellulare sul tavolo e si sedette, sconvolta.

“Qualcosa non va?” le chiese lui, preoccupato.

“John, te la senti di pedinare una persona?” gli chiese lei, all'improvviso.

L'uomo guardò la piccola che beveva il latte dal biberon, accoccolata tra le sue braccia, poi la moglie.

“Non saprei … Sheryl ...” iniziò, imbarazzato, ma la moglie lo interruppe.

“Sheryl starà con la signora Hudson” rispose lei, anticipando la domanda che gli avrebbe di certo posto “Noi abbiamo una cosa più importante da fare”

“Sarebbe?” chiese lui, prendendo il telefono per avvertire la signora del loro arrivo.

“Lo saprai al momento opportuno. Ciò che posso dirti è che una donna è stata uccisa e non è stato solo per rubarle i soldi e che, se non ci sbrighiamo, stanotte potrebbe esserci un altro cadavere”

Quell'ultima frase sconvolse John che, nonostante l'emozione, restò impassibile, da buon soldato.

“Va bene, faremo come vuoi tu, ma non capisco perché non vuoi raccontarmi cosa sta succedendo e perché dobbiamo muoverci proprio noi due. Potremmo chiamare Sherlock, lui certamente ...”

La donna lo guardò severamente.

“Non sono la persona adeguata a raccontarti questa storia. Ti ho detto che fa parte del mio passato, è vero, ma ho avuto un ruolo marginale, più esecutivo che altro. Stasera, se faremo in tempo a salvarlo, sarà qualcun altro a raccontarci quei particolari dei quali anch'io sono all'oscuro”

John annuì ancora e, decidendo di affidarsi ciecamente alla moglie, chiamò la signora Hudson.

 

Mezz'ora dopo erano a Baker Stret e, lasciata la figlia alle cure della signora Hudson, che avrebbe badato a lei per tutta la notte, quasi un'ora più tardi si trovavano nei pressi della chiesa di Saint John.

“Fa freddo ...” mormorò John, camminando al suo fianco e guardandosi attorno “Si può sapere chi stiamo cercando?”

“Il suo nome è Stephen Ezard” annunciò lei con semplicità “Forse ne hai sentito parlare ...”

“Stephen Ezard?” domandò lui, aggrottando le sopracciglia “Credo di sì … potrebbe essere quel matematico che è scomparso quasi dieci anni fa?” esclamò infine, illuminandosi.

“Esatto, è proprio lui” confermò la donna, fermandosi dietro ad un'alta siepe.

“Quindi vogliono ucciderlo? Perché?”

“Quando lo troveremo e lo avremo salvato, allora potrai rivolgergli tutte le domande che vorrai” rispose Mary, accucciandosi per non essere vista, imitata presto dal marito.

“La vedi quella?” chiese, indicando la palazzina che stava di fronte a loro “Lì c'è il suo appartamento. Da quello che so, quella è la casa nella quale viveva da giovane. Successivamente, dopo la morte dei genitori, lui andò a vivere in Cina e lì restò il fratello maggiore, Michael. Dalla morte del fratello, fino alla scomparsa avvenuta qualche anno fa, quella fu la sua casa e ora, da quello che mi ha detto la mia fonte, deve essere tornato, dopo aver scoperto la morte di Yasim Anwar”

“Non capisco ...” mormorò John, più disorientato che mai.

“Non è necessario che tu capisca tutto, non ora. Per il momento ciò che devi sapere è che gli hanno teso un agguato e che non appena metterà il naso fuori da quell'edificio verrà ucciso, e noi non possiamo permetterlo.”

Mary, sotto lo sguardo attonito del marito, prese dalla giacca una pistola e si mise in osservazione.

“Potremmo dover aspettare molto, sai ...” disse, sorridendogli.

“Non ti preoccupare” rispose lui, sorridendo in risposta “Sono abituato con Sh-”

“Shhht” sussurrò lei, imponendogli il silenzio posandogli un dito sulle labbra “Hai visto? Si sono accese le luci delle scale, sta uscendo!”

“Potrebbe essere chiunque!” protestò John, sempre più infreddolito e teso per quella situazione che non riusciva a comprendere appieno.

“Non abita più nessuno lì, nemmeno lui. Deve essere tornato solo per prendere dei documenti ...”

In quel momento, il portone della palazzina si aprì e ne uscì un uomo vestito con una tuta e con il volto coperto da un cappuccio.

Mary restò immobile, in attesa, mentre John, sempre più confuso, la osservava. L'uomo misterioso percorse il vialetto e stava quasi per raggiungere il marciapiede, quando venne affiancato da un altro individuo, che gli puntò una pistola alla gola.

“Imprudente, troppo imprudente, signor Ezard ...” ringhiò l'assalitore, premendo l'arma su un collo pallido, rischiarato appena dalla luce dei lampioni “Non avrebbe dovuto tornare qui così presto, avrebbe dovuto sapere che rischiava grosso. Ancora una volta si è fatto fregare dai sentimenti … Ah, l'amore … Le avevamo detto di non impicciarsi più in questa storia, le avevamo permesso di vivere tranquillamente la sua vita, a patto che si facesse da parte … Invece no! Lei ha dovuto rimettere il naso dove non le competeva, e ora farà la fine della sua amata!”

Nell'istante in cui l'uomo stava per premere il grilletto e ucciderlo, Mary si alzò e fece fuoco, mirando alla mano e facendogli volare l'arma.

“John!” gridò poi, indicandogli Stephen, che nel frattempo era caduto a terra “Tu occupati di lui, io penserò all'altro!”

John, obbediente, si avvicinò e cercò di rassicurare l'uomo che aveva di fronte.

“Non si preoccupi, ora è al sicuro. La porteremo da un nostro amico che sicuramente potrà aiutarla. So che è scomparso da diversi anni, ma avrà certamente sentito parlare di Sherlock Holmes, vero?”

John tentava in tutti i modi di aiutarlo, ma l'uomo cercava di divincolarsi e di sfuggire al suo sguardo.

“Non deve preoccuparsi, siamo amici! Non le faremo del male!”

Mentre il signor Ezard scuoteva la testa, tentando di sottrarsi allo sguardo del medico, tornò Mary, ansante per la corsa.

“Non sono riuscita a fermarlo,” esclamò, senza riuscire a celare il disappunto “ma per stasera non ti farà più del male” aggiunse, rivolgendosi all'uomo che avevano salvato che, nonostante fosse ormai al sicuro, sembrava sempre sulle spine.

“Ora andremo a casa tua e lì ci spiegherai perché non ci hai detto nulla” ordinò, con un tono di voce che non ammetteva repliche.

Entrambi gli uomini, sia John che Stephen, il cui volto era ancora nascosto dal cappuccio, si immobilizzarono per lo stupore, sorpresi da quell'ordine impartito con così tanta convinzione, ma eseguirono, avviandosi con lei verso la strada.

“Non sapevo che vi conosceste” disse John, guardando prima una poi l'altro, che camminava accanto a loro con le mani piantate nelle tasche e lo sguardo fisso a terra.

“Tra poco scoprirai anche altro, John” disse Mary, chiamando un taxi con un cenno della mano.

“Baker Street” esclamò, una volta che furono a bordo, mentre John la guardava sempre più stupito e l'uomo accanto a loro si chiudeva sempre più in sé stesso.

 

Una ventina di minuti più tardi arrivarono nei pressi di Regents Park, dove scesero. Percorsi pochi metri, Stephen pescò dalla tasca le chiavi di casa, e aprì la porta del 221 B.

“A-aspetta ...” balbettò John, seguendo lui e Mary all'interno della casa “Cosa sta succedendo? Perché siamo venuti qui? Sherlock lo sa? Perché quest'uomo ha le chiavi di casa sua? Non capisco ...” chiese, entrando infine nel salotto che era stato anche suo.

In quel momento, mentre Mary accendeva la luce della stanza, l'uomo misterioso che avevano salvato, Stephen Ezard, si voltò e calò il cappuccio, rivelando la sua identità.

“Ci sono tante cose che non capisci, John ...” mormorò Sherlock, sospirando tristemente.

Mary, che nel frattempo aveva preso una sedia dal tavolo di fronte alle finestre e l'aveva posata tra le due poltrone, andò a sedersi su quella di pelle nera.

“Ora capirai, John” disse, indicandogli la sua “Siediti … e siediti anche tu, Sherlock o meglio, Stephen” ordinò, accennando con un moto del viso alla sedia alla sua sinistra.

Sherlock sospirò e si sedette.

“Dobbiamo proprio farlo?” chiese, passandosi una mano sulla fronte.

“Dobbiamo proprio” confermò lei.

“Non capisco come tu possa sapere ...” sussurrò lui, tenendosi la testa, evidentemente confuso quanto John, che nel frattempo li fissava alternativamente, senza riuscire a cogliere un indizio che avrebbe potuto portarlo alla verità.

“Io so” spiegò lei con serietà “Perché sono coinvolta anch'io in questa storia. Tu non potevi saperlo, ma sono io che ho ucciso il Professor Moreton”

Sherlock, come colpito da una scarica elettrica, la fissò con gli occhi spalancati per lo stupore.
“Tu hai … lo hai davvero ucciso tu?” chiese, senza riuscire a celare la confusione che provava.

“Sì, sono stata io. Come avevi giustamente dedotto, qualche mese fa, ero un'assassina, e mi avevano assoldata per uccidere il Professor Moreton. Non so dirti perché lo volessero morto, di certo tu lo sai meglio di me, ma di una cosa sono sicura. Il ritorno a Londra della Dottoressa Anwar e la sua morte non è causale. C'è chi vuole portare alla luce dei misteri che avrebbero dovuto restare celati, e altri invece si muovono nella direzione opposta, uccidendo chiunque sia a conoscenza di tali informazioni. Tra queste persone c'era la Dottoressa Anwar e … ci sei anche tu ...” sussurrò infine, guardandolo con preoccupazione.

Sherlock deglutì a vuoto, sconvolto non tanto dal fatto di sapersi in pericolo, quello lo sapeva già, ma dalla consapevolezza che proprio lei, Mary, fosse stata implicata in passato in quella faccenda.

Nella stanza calò un soffocante silenzio e nessuno dei presenti osò romperlo, ognuno immerso nelle proprie riflessioni. Fu proprio l'unica persona che fino a quel momento aveva parlato meno, a spezzare quel mutismo.

“Non capisco cosa stiamo facendo” disse infine, rompendo quella cappa di tensione “Perché ...”

“Lo hai detto tu, John” esclamò la donna, guardandolo severamente “Lì è il posto in cui si siedono i clienti quando devono esporre i loro problemi”

A quelle parole, il medico si sentì ancora più confuso.

“Non capisco ancora ...” mormorò, passandosi una mano sulla fronte “Perché lui?”

“Potresti davvero scriverlo su una maglietta!” disse Sherlock, inserendosi nella conversazione “In effetti è una cosa che dici spesso ...”

John lo fulminò con lo sguardo.

“Sinceramente, non credo sia il momento di scherzare … Sherlock … sempre che possa continuare a chiamarti così!” sbraitò lui, seccato.

“Il suo nome non è importante, John. Lo sai bene anche tu” lo interruppe Mary, lanciandogli un'occhiata fugace, per poi tornare a guardare Sherlock, seduto sulla sedia tra di loro.

“Ora, per piacere, raccontaci tutto, dall'inizio”

   
 
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