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Autore: dramaqueen_    04/04/2014    1 recensioni
[Racconto scritto per concorso di scrittura del mio liceo (Concorso Frascari, Liceo Nicolò Copernico Bologna)]
Quattro ragazzi vengono catapultati improvvisamente nel futuro, dove sono consapevoli di una cosa sola: uno di loro morirà e dovranno impedirlo.
Storia del tutto frutto della mia immaginazione, qualsiasi riferimento é puramente casuale!
I crediti appartengono a me, dramaqueen_
Grazie
Genere: Angst, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tempo non era mai stato suo amico. Non lo era stato quindici anni fa e non lo sarebbe stato neanche adesso. Gli era rimasto così poco, una manciata di secondi era tutto ciò che gli era stato concesso, e in quel briciolo di tempo avrebbe comunque potuto fare così tante cose. Incontrò con lo sguardo i suoi occhi, quegli occhi color miele che aveva amato così tanto, sempre luminosi, brillanti, come ambra al sole. Ora quella luce si era spenta, annegata tra le lacrime che avevano iniziato a rigarle il volto, mentre gli altri lo continuavano a guardare, le urla spezzate sul nascere sulle loro labbra ancora aperte dallo sgomento e dalla paura. Così poco, mancava così poco. Distolse lo sguardo dagli occhi color ambra per incontrare quelli azzurri, spenti dagli anni e dalla tristezza. E fu in quell'ultimo secondo, proprio prima che l'oscurità lo avvolgesse, che potè vedere la sua paura riflessa nei suoi occhi.
 
 
La festa era stata così attesa che quando arrivò il giorno desiderato, nessuno ne riuscì più a parlare, tanto ne avevano discusso. Si sapeva ben poco sull'organizzazione e le voci che giravano erano talmente tante da aver reso una festa qualsiasi l'evento dell'anno, ma di certo i ragazzi non si aspettavano il DJ di successo e l'infinita quantità di alcol che i barman professionisti facevano roteare pericolosamente da dietro il bancone. Arthur non amava le feste, in particolar modo quelle organizzate dai Raccomandati del college. Sapere che almeno un terzo degli studenti del campus erano stati accettati non per le loro capacità ma per la quantità di soldi che i loro genitori avevano consegnato per finanziare i laboratori e quindi assicurare gli stipendi alla maggior parte del corpo insegnanti lo faceva infuriare. Ma Arthur Tyler non aveva voce in capitolo: chiunque avesse un cervello pensante non aveva modo di essere ascoltato.
La musica aveva raggiunto livelli talmente alti da spingerlo a guardare più volte preccupato le finestre, aspettandosi da un momento a l'altro che si rompessero. La notevole partecipazione alla festa aveva reso l'ambiente irrespirabile, tra l'odore di alcol, fumo e sudore e l'aria era ormai diventata la sua priorità. Stringendo tra le mani il bicchiere di plastica rossa ancora mezzo pieno di birra, Arthur si fece largo tra la folla di ragazzi che saltavano a ritmo sul posto e ragazze che ridevano talmente forte da superare quasi il volume della musica. Raggiunse finalmente l'esterno della casa, lasciando che l'aria fresca di quella notte d'estate lo rinvigorisse: “Arthur!” Amy comparve da dietro il capanno sul fondo del giardino, una mano appoggiata sulla spalla di Matt, del tutto perso nella sua tipica risata sguaiata: “Hai visto Clara?” Sua sorella Clara. Se la immaginò seduta su una poltrona in un angolo, desiderando di potersi nascondere da qualche parte pur di non essere lì: “No Amy, forse è rimasta...” non riuscì a concludere la frase che una ragazza dai capelli castani e un vestito blu scuro lo prese con forza dalla camicia, facendosi scudo con il suo corpo. Un ragazzo visibilmente ubriaco sbucò da dietro l'angolo della casa, appoggiandosi al muro per reggersi in piedi, farfugliando qualcosa riguardo a una “ragazza molto carina”. Arthur strinse le braccia attorno alla sorella, tenendola nell'ombra per impedire che il ragazzo ubriaco la riconoscesse. Appena si fu allontanato, Clara lasciò andare il fratello, sorridendo nervosa ad Amy e Matt, il quale non aveva ancora smesso di ridere: “Ok” Amy aggrottò le sopracciglia scuotendo leggermente la testa “io e Matt pensavamo di andarcene da qui, personalemente mi sto annoiando. C'è la vecchia Villa qui vicino... Che ne dite di andare a dare un'occhiata?” il volto di Matt era rosso per le risate, ma aveva finalmente smesso di ridacchiare e con molta tranquillità prese il bicchiere tra le mani di Arthur e bevve un sorso di birra. Clara inarcò un sopracciglio, giudicandolo in silenzio ma Arthur non disse nulla, abituato al modo di fare del suo amico. Amy intanto continuava a parlare della Villa e di quanto sarebbe stato divertente andare a vedere cosa ci fosse dentro. Era una particolarità di Amy Williams: portare allo sfinimento chiunque pur di ottenere ciò che voleva. Alla fine acconsentirono tutti e, senza dare nell'occhio, si lasciarono alle spalle le voci e le luci della festa.
 
La Villa era un edificio abbastanza grande, con assi di legno sporgenti da quasi ogni parete esterna. Nessuno sapeva come fosse all'interno e la leggenda del professore pazzo omicida che la abitava anni prima spingeva i ragazzi a starne il più lontano possibile. Matt ed Amy erano i più atletici del gruppo e per loro fu facile scavalcare la recinzione di legno, ma il vestito di Clara e la goffaggine di Arthur gli fecero perdere svariati minuti, trascorsi per lo più ad aiutarli a scendere senza farsi male. L'interno della casa era completamente spoglio, senza arredamento e senza colori, con la maggior parte delle porte chiuse a chiave. Le stanze non bloccate avevano conservato qualche sedia impolverata e delle tende stracciate appese miracolosamente alle finestre. Non vi era molto da fare, ma la curiosità governava le menti dei ragazzi che senza indugiare salirono al piano superiore, cercando altre stanze aperte. Matt ed Arthur tentarono di forzare qualche serratura ma non vi fu alcun modo di entrare. “Ehi, questa è aperta” Clara poggiò la mano sul legno consumato della porta socchiusa, spingendola leggermente per aprirla. “Impossibile” l'esclamazione della ragazza attirò l'attenzione degli altri, che la seguirono all'interno della stanza trovandosi davanti a qualcosa di assolutamente fuori dal comune. Erano completamente circondati da giornali: ogni angolo del pavimento, ogni parete, perfino parte del soffitto, tutto era ricoperto da fogli e parole, centinaia di migliaia di scritte, impossibili da leggere in una notte sola. Sulla parete di fronte vi era un orologio elettronico che segnava tre cifre: 15 - 5 - 2. Nessuno gli dedicò molta attenzione, poiché la quantità di fogli che circondavano la stanza era di gran lunga più sorprendente. Amy si chinò per raccogliere una delle pagine, leggendone il titolo ad alta voce: “Ancora in trattativa il mandato di pace per la guerra nel Sud-Est asiatico: si attendono notizie”. Arthur si voltò verso di lei, cercando di collegare nella sua mente ciò che era stato letto alle vicende attuali del mondo: “C'è un trattato di pace in corso?” domandò incerto: non ricordava di averne mai sentito parlare. Clara si avvicinò ad un altro giornale e lesse un altro titolo, riguardante la crisi economica degli ultimi tempi: “La crisi è stata risolta...” commentò ad alta voce. Ah si? E da quando? La situazione stava iniziando ad uscire dai limiti della normalità e molte domande avevano iniziato ad accumularsi nella mente dei ragazzi, ognuna senza risposta. “Non sono articoli recenti” Matt sfogliò una rivista, facendo scorrere notizie di tutti i tipi, senza però collegarle agli eventi del presente. Arthur non riusciva a capire: come era possibile che tutti quegli articoli trattassero di argomenti attuali ma del tutto diversi da come li conoscevano loro? “Arthur...” la figura minuta di Clara si trovava davanti alla finestra, l'unica parte della stanza rimasta scoperta dai fogli di carta, e dall'esterno la luce dei lampioni la illuminavano rendendola più pallida di quanto già non fosse. Tra le mani aveva un giornale, uno di quei quotidiani che si trovavano sul prato la mattina presto, appena lanciati dal postino. In prima pagina, a caratteri cubitali, vi era il titolo dell'articolo: “Tragico incidente uccide trentenne” la voce le tremò, mentre con fatica continuava a leggere “Tale tragedia non sarebbe accaduta se l'autista non fosse stato distratto alla guida dal suo telefono cellulare che, in quel fatale secondo, ha portato via la vita di un uomo” si bloccò, del tutto paralizzata. Matt aveva lasciato cadere la rivista sul pavimento, avvicinandosi alle spalle dell'amica, mentre in silenzio le toglieva il giornale dalle mani: “La vittima, Arthur Tyler, 36 anni, ha resistito fino all'arrivo dell'ambulanza, ma era ormai troppo tardi”. Un profondo silenzio avvolse la stanza, lasciando che l'inquietudine e il dubbio si facessero spazio nelle menti dei ragazzi. Era assolutamente ed inquivocabilmente impossibile che quel giornale parlasse di lui. Era una coincidenza. Doveva esserlo. Arthur si mosse velocemente, senza preavviso, facendo sussultare di paura Clara, la quale aveva fissato il vuoto per svariati minuti, quasi caduta in una specie di trance. Strappò il giornale dalle mani dell'amico, stringendolo troppo forte per via delle mani tremanti. Cercò con lo sguardo qualche informazione in più, una città, una via, una data. Gli mancò il respiro, trattenendolo senza rendersene conto, quando lesse ciò che temeva: “25 agosto 2029” mormorò, più a se stesso che agli altri. Quel giornale proveniva dal futuro. Dal suo futuro. “Cosa hai detto?” la voce di Amy lo scosse, risvegliandolo dal grosso shock. Si girò verso di lei, quasi con rabbia, e con lentezza le allungò il giornale. La ragazza lo prese, guardando prima il titolo e poi la data. Non disse nulla, il che era tutto dire: se Amy Williams non aveva nulla da dire la situazione era decisamente preoccupante. “Cosa significa?” Matt era rimasto vicino a Clara, entrambe le figure in controluce, perfettamente immobili. Chi poteva saperlo? In una stanza sola, quattro persone su quattro non avevano la minima idea di quello che stava succendendo, e di certo non era colpa dell'alcool che avevano ingerito meno di un'ora prima. Nessuno rispose, tutti guardavano il foglio di carta tra le mani di Amy, come un mostro appena uscito dalla sua tana. Delle semplici parole avevano avuto il potere di spaventare a morte quattro persone. “Voglio andare via da qui” Arthur alzò lo sguardo sulla sorella, che tra tutti era quella più sconvolta. Sollevò un piede da terra per fare un passo verso di lei, quando fu spinto con forza a terra, perdendo i sensi. Un bagliore, poi il buio. L'oscurità più totale.
 
Matt si risvegliò, la testa pulsava e gli occhi faticavano a stare aperti, ma alla fine riuscì ad osservare ciò che lo circondava: erano nella Villa, negli stessi punti in cui si trovavano prima del lampo di luce che li aveva fatti accasciare a terra, incoscienti. Qualcosa era cambiato: non erano più circondati da giornali, e tutto ciò che era rimasto era l'orologio elettronico sulla parete centrale, il quale segnava solo due cifre: 5 e 2. Il ragazzo si guardò intorno confuso, quando la sua attenzione fu richiamata dal debole lamento di Amy: “Dove siamo?” borbottò, posando una mano sulla testa. Clara era inginocchiata vicino ad Arthur, intenta a controllare che non avesse nulla di rotto. “Siamo nella Villa” Matt aiutò l'amica ad alzarsi in piedi, e con incertezza si avvicinò alla finestra, guardando all'esterno: “E' giorno” esclamò, voltandosi verso gli altri ragazzi. Ed era vero: la luce del sole filtrava dalla finestra, scaldando la stanza ed illuminando il volto del ragazzo: i suoi occhi azzurri risaltarono sulla carnagione pallida, resi di un blu talmente chiaro da somigliare a quello di un cielo senza nuvole. In un angolo, Arthur cercò di mettersi in piedi, restando appoggiato al muro per paura di cadere di nuovo. Non aveva idea di come fosse successo, ma qualcosa lo aveva spinto. Non era stato sbalzato all'indietro a caso. C'era qualcosa di particolarmente inquietante in quella storia e prima ne sarebbe uscito, meglio sarebbe stato per tutti. Quando uscirono dall'edificio, tutto appariva normale: le auto, i lampioni, i semafori, gli alberi. Non vi era nulla fuori posto. "Non so voi ma io sono confusa" Clara ridacchiò alle parole dell'amica, girandosi verso il fondo della strada per vedere se da qualche parte vi fosse qualcuno a cui chiedere informazioni, quando sentì qualcuno colpirle leggermente una mano. Si voltò di scatto, cercando chi l'avesse toccata ma non c'era nessuno. "Ma cosa..." guardò Matt con la coda dell'occhio, pensando che la stesse prendendo in giro, ma lo vide concentrato su un'auto parcheggiata li davanti. "Ciao" una voce sottile, quasi da bambino, la fece sobbalzare. Abbassò lo sguardo, trovando appunto un ragazzino di circa sei anni che la osservava incuriosito. Non ebbe il tempo di rispondere al saluto che una donna sulla trentina apparve dal nulla, con il fiato corto per aver probabilmente corso: dall'espressione preoccupata si poteva intuire che il figlio si era allontanato da lei senza permesso: "Michael! Non infastidire la signorina! Ti avevo detto di non allontanarti" lo prese per mano, stringendolo forte a se mentre più tranquillizzata alzava lo sguardo per dire qualcosa a Clara. Si bloccò, guardandola come se avesse visto un fantasma. D'un tratto era diventata particolarmente pallida e sembrava sul punto di svenire da un momento all'altro: "Mi scusi, si sente bene?" Clara allungò preoccupata una mano per assicurarsi che la madre del ragazzino non stesse per perdere i sensi in mezzo alla strada, ma quest'ultima si scostò leggermente, sgranando ancora di più gli occhi. Si guardarono per qualche secondo, se non minuto, studiandosi a vicenda per un po', fino all'arrivo di un uomo alto dai capelli castano chiari: “Cosa succede?” domandò, la sua voce era un po' roca ma suonava bene su di lui. La donna si voltò, distogliendo lo sguardo da Clara, la quale era stata affiancata silenziosamente da Matt. “Nulla” mormorò lei, stringendo ancora di più la presa sul figlio. Si guardò alle spalle per un ultimo secondo, sul volto si poteva ancora vedere l'espressione tesa e gli occhi del tutto persi in chissà quali pensieri. “Tesoro? Sei sicura vada tutto bene?” l'uomo guardò la moglie con preoccupazione e senza indugiare lanciò un'occhiata sospettosa verso i quattro ragazzi: “Matt, andiamo via per favore” posò una mano sul suo braccio e visibilmente agitata trascinò via il marito e Michael, il quale si voltò per salutare con una mano Clara e i ragazzi, rimasti immobili per tutto il tempo. Matt li seguì con lo sguardo, una sola parola risuonava nella sua mente: “Come ha detto che si chiama?” la voce gli si spezzò, mentre lentamente si voltava verso Clara al suo fianco. Non aveva idea di cosa fosse appena successo ma l'unica teoria che le era venuta in mente era anche la più assurda. Ma a volte era proprio l'assurdo la risposta: “Siamo noi” Clara continuava a guardare da lontano il bambino, Michael, mentre ridendo giocava con i suoi genitori, camminando verso la fine della strada. Conosceva bene lo sguardo di quella donna, poiché lo vedeva ogni mattina allo specchio. Matt la fissò, spalancando gli occhi: sentire ciò che anche lui pensava pronunciato ad alta voce lo rese vero, e di conseguenza spaventoso: “Siamo io e te... e nostro figlio” Matt si girò verso Amy, la quale aveva seguito ogni parola di ciò che era successo e ora li stava guardando a bocca spalancata, così come Arthur. Anche Clara si voltò, trovandosi faccia a faccia con suo fratello, e fu in quel momento che realizzò: nel futuro si sarebbe sposata con Matt, e avrebbero avuto un bambino. Un bambino con Matt. Arrossì violentemente al pensiero, nascondendo il volto tra i capelli, mentre la voce di Amy, che tra le risate urlava “Vi sposerete”, ruppe il silenzio che fino a quel momento li aveva tenuti ancora in un mare di dubbi. Arthur guardò la sorella, e vedendo le sue guance rosse non potè fare a meno di sorridere, in fondo era una situazione così strana. Matt incrociò le braccia, l'espressione sul suo volto trasformata in una smorfia d'imbarazzo e seccatura. Voleva arrivare in fondo a quella storia: “Io non ci credo” sbottò, voltandosi nella direzione in cui si era allontanata la famigliola e a passo svelto si incamminò verso di loro, cercandoli con lo sguardo. Clara si girò verso di lui, sorpresa dalla sua reazione: “Aspetta!” gridò, sperando si fermasse, ma continuò a camminare ignorandola. Con un sospiro gli corse dietro, raggiungendolo a fatica: “Vengo con te” Matt la guardò di sfuggita, arrossendo lievemente e senza rispondere allungò il passo, arrivando quasi a correre. Clara, così minuta, faticò a stargli dietro ma in poco tempo entrambi si erano allontanati di diversi metri. 
 
Arthur non aveva avuto modo di proferire parola sull'argomento, ne aveva già dette abbastanza Amy che, come al solito, non aveva peli sulla lingua. La ragazza si stava ancora asciugando le lacrime dal ridere, appoggiandosi sulla fiancata di un'auto: “E' troppo forte” commentò, trattendendo un'altra risatina. Arthur alzò gli occhi al cielo, iniziando a guardarsi intorno per cercare il nome della via in cui si trovavano: “Credi che le strade siano sempre le stesse?” era improbabile che Amy sapesse la risposta, ma valeva la pena tentare. Come volevasi dimostrare, la ragazza si strinse nelle spalle in segno di dissenso ed incominciò a cercare anche lei qualche informazione che gli desse un aiuto in più per risolvere lo stato in cui si trovavano. Una cosa si era capita: erano finiti a quindici anni nel futuro, esattamente nello stesso posto in cui si trovavano la notte prima...o meglio, di quindici anni fa. Controllò l'orologio: segnava le due e tre minuti. Poi ricordò: il giornale, l'incidente, il sogno, il countdown. “Amy, dobbiamo cercare Arthur. Cioè, me, il me del futuro. Dobbiamo avvertirlo, fare qualcosa!” si voltò verso la direzione opposta alla quale erano spariti Clara e Matt e senza sapere dove andare iniziò a camminare, le gambe tremavano per l'ansia e l'adrenalina che aveva ricominciato a scorrere, rendendolo iperattivo. La ragazza lo guardò confusa, cercando di collegare le parole dell'amico a qualcosa che a quanto pare non ricordava: “Perchè?” fu più forte di lei. Non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo. Arthur si fermò, girando sui tacchi ed avvicinandosi velocemente alla ragazza dai capelli rossi: “Sul serio Amy? Non ti ricordi niente? Il giornale! L'articolo che prevede la mia morte! Io non voglio morire, non so se l'hai capito” non si era accorto di aver alzato la voce, ma dallo sguardo duro dell'amica intuì che si era offesa. Senza dire una parola fece qualche passo in avanti, dandogli le spalle e rigidamente iniziò a camminare verso la stessa direzione in cui si stava avviando Arthur qualche secondo prima. Il ragazzo sospirò, affiancandola velocemente: “Scusa Amy” mormorò, senza guardarla. A volte era così ingestibile. Ma il pensiero di litigare con lei lo faceva stare più male di quanto si aspettasse. 
 
Camminavano già da una quindicina di minuti, senza aver proferito parola: Amy guardava fisso davanti a se, evitando gli occhi azzurri dell'amico per non cedere alla tentazione di dire la sua. Avevano raggiunto da un pezzo un altro quartiere, lasciandosi alle spalle la Villa e le case che erano soliti conoscere così bene: non ne erano rimaste molte uguali, erano più grandi, più colorate, più moderne. La quantità di macchine parcheggiate lungo la via era nettamente maggiore e stranamente le zone verdi erano aumentate. Ogni trenta metri un parco pubblico o privato decorava il paesaggio di abitazioni, rendendolo più bello. “Sei” Arthur si girò verso l'amica, rincuorato: lo aveva perdonato. Ci era stranamente voluto meno del previsto: “Cosa?” Amy incrociò il suo sguardo, l'ambra dei suoi occhi lo scrutarono con attenzione, il rancore che lentamente svaniva lasciando posto alla determinazione. “E' l'orario dell'incidente. Era scritto sul giornale” tirò fuori il cellulare dalla tasca, controllando l'orario: “Sono le due e mezza, abbiamo circa tre ore e mezza prima che avvenga l'inevitabile. Dobbiamo trovarti. Cioè, l'altro te. Insomma, hai capito” allungò il passo, riponendo il telefono al suo posto nella tasca posteriore dei jeans e senza aspettare l'amico si indirizzò verso l'ufficio delle poste del quartiere, segnalato dal tipico cartello giallo con una grossa P blu. Senza indugiare entrò nell'edificio, tagliando velocemente una serie di persone, in coda presso l'unico sportello aperto quel giorno. Molti la guardarono male, borbottando qualche commento sulla sua maleducazione, mentre continuavano ad attendere il loro turno in fila. Arthur entrò di corsa all'interno dell'ufficio postale, cercando con lo sguardo la sua amica: “Amy! Cosa stai facendo?” cercò di richiamare la sua attenzione senza alzare la voce, non voleva dare troppo nell'occhio, ma lei era rimasta di spalle, mentre freneticamente spostava pile di fogli e libri da una parte all'altra del tavolo in fondo alla stanza. Senza pensarci passò in mezzo alle persone, scusandosi ripetutamente nel sentire le loro proteste, ed affiancò l'amica, osservandola mentre sfogliava un grosso libro con la copertina bianca: “Cosa fai?” le domandò confuso. Lei non lo guardò né rispose alla sua domanda, bensì puntò con un dito un nome ed un indirizzo con un'esclamazione di trionfo: “Ah! Trovato!” velocemente prese un foglio di carta e una matita tra quelli messi a disposizione per i clienti e trascrisse il frutto della sua ricerca: “Se non è cambiato nulla, non dovrebbe essere lontano” commentò ad alta voce, senza parlare con qualcuno in particolare. Il ragazzo continuava a spostare lo sguardo da lei al libro, finchè esasperato la fermò, chiedendole nuovamente cosa avesse scoperto. Lo guardò accigliata, sollevando la mano che stringeva il pezzo di carta: “Ti ho trovato. So dove abiti e dobbiamo andarti a cercare, per impedirti di finire sotto alle ruote di una macchina” sorrise gioiosa, del tutto elettrizzata dalla situazione. Arthur si illuminò, finalmente sulla stessa linea d'onda dei pensieri dell'amica e con una nuova speranza corse fuori dall'ufficio, scatenando un'altra serie di lamentele dalle persone in fila. Amy fece per seguirlo, ma qualcosa la fermò. Si voltò di nuovo verso il libro, combattuta tra due pensieri che le impedivano di agire. Ma alla fine uno vinse: sfogliò le pagine fino a quasi la fine, arrivando alla lettera W e scorrendo tra centinaia di nomi trovò quello che più le interessava: Williams, Amy. Dall'esterno la voce di Arthur giunse fin troppo forte, invitandola a muoversi ed uscire dalla stanza. Velocemente scrisse su un altro pezzo di carta l'indirizzo dell'Amy futura e corse fuori, trovando Arthur sporto fuori dal finestrino di un taxi: “Hai dei soldi?” domandò lei preoccupata. Lui sventolò felice il suo portafogli e spalancò la portiera per farla entrare.
 
“Non mi sembra messa molto bene” Amy guardò accigliata la piccola casa al centro di un giardino non curato, sperando di aver sbagliato indirizzo. Arhur non disse nulla e silenziosamente attraversò il mare di erbacce e foglie secche che decoravano tristemente l'area, avvicinandosi alla finestra sul pian terreno. Fortunatamente non vi erano tende che ostacolassero la visuale e non gli fu difficile osservare l'interno dell'abitazione, ma alla fine avrebbe desiderato non averlo mai fatto: la casa era arredata poveramente, un vecchio divano, un televisore piuttosto malmesso, un tavolo pieghevole e delle sedie spaiate erano tutto ciò che si trovava nel presumibile salotto. Un uomo sulla trentina era seduto sul divano, un completo troppo largo lo rendevano ancora più triste dell'ambiente che lo circondava. Arthur rimase in silenzio, osservando una versione di se del tutto sola e povera. Per un attimo, solo per un momento, prima di guardare dalla finestra come sarebbe stata la sua vita a distanza di quindici anni, aveva sperato di trovare un appartamento piccolo ma semplice, con un bell'arredamento, una macchina parcheggiata sul vialetto, giocattoli sparsi sull'erba del giardino ben curato e una donna dai capelli rossi che teneva per mano un uomo dagli occhi azzurro mare. Ma come poteva anche solo pensare che quel sogno ad occhi aperti si potesse realizzare? Sentì su di se lo sguardo di Amy, la quale lo aveva raggiunto mentre osservava la sua miserabile vita. Sospirò, voltandosi senza guardarsi alle spalle e si allontanò, arrivando fino al muretto che separava il giardino privato dalla zona pubblica. Si appoggiò ad esso, senza alzare lo sguardo e rimase in silenzio, perso nei suoi pensieri. La ragazza si sedette, continuando a guardare l'amico: “Mi dispiace” mormorò sinceramente. Sapeva quanto Arthur ci tenesse al suo futuro personale e scoprire che in così poco tempo era finito in rovina la faceva stare male per lui. Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma dalle loro ombre che si allungavano sull'asfalto del marciapiede, potè intuire che avevano trascorso fin troppo tempo seduti su quel muretto di mattoni. Per sicurezza diede un'occhiata all'orologio del telefono, scoprendo con preoccupazione che erano già le quattro del pomeriggio. Si voltò verso Arthur per riferirglielo, ma lui la interruppe, annuendo consapevole. In quel momento lo stesso pensiero che l'aveva assalita nell'ufficio postale fece di nuovo irruzione nella sua mente, facendola parlare senza pensare: “Arthur, la mia futura me abita qui vicino...Potremmo andare a dare un'occhiata?” non voleva essere indiscreta ma la curiosità era troppa e doveva sapere cosa ne sarebbe stato di lei in quindici anni. Il ragazzo si voltò verso di lei, guardandola tristemente. Cosa poteva rispondere? No? Era pur sempre Amy Williams: per quanto il suo ego si fosse messo momentaneamente da parte per l'occasione, non avrebbe aspettato a tornare fuori per ottenere il suo consenso. “Va bene” la ragazza battè felice le mani, saltando giù dal muretto e tirando fuori dalla tasca un pezzo di carta, si voltò verso una strada poco lontano iniziando a camminare verso di essa. In poco più di dieci minuti sembravano essere finiti in un'altra città per quanto era differente: abitazioni enormi delineavano ordinatamente la strada, circondate da giardini perfettamente curati. Numerose automobili costose erano parcheggiate sui vialetti di quasi tutte le ville e molte ne avevano addirittura due, posizionate in bella vista sull'asfalto. Arthur non commentò, ma dentro di se sentì il cuore stringersi in una morsa di dolore e rabbia. Guardò con la coda dell'occhio Amy, che aveva iniziato a camminare sempre più velocemente verso una delle case con all'esterno una Volvo bianca parcheggiata. Si avvicinò silenziosamente alla grande finestra all'angolo, nascondendosi tra i fiori dell'aiuola sottostante quando si accorse della presenza di molte persone all'interno della stanza: vi erano molte donne e uomini ben vestiti, di età svariate, tutti intenti a chiaccherare e bere da bicchieri finemente lavorati. L'arredamento era sfarzoso, con i divani in pelle e i lampadari di cristallo ed Amy guardò con infatile meraviglia la donna al centro della camera, con i capelli rosso scuro legati in uno stretto chignon alla base del collo e un tailleu beige che le fasciava elegantemente il corpo. Dall'aria festosa delle persone, l'evento pareva una festa ed Amy cercò di intuire quale avvenimento potesse aver riunito tutta quella gente sotto lo stesso tetto. Estasiata, si voltò verso Arthur, rimasto in disparte lontano dalla casa, e con fin troppa enfasi lo invitò ad avvicinarsi. Silenziosamente il ragazzo la raggiunse, nascondendosi anche lui nell'aiuola ed osservò gli invitati alla festa, sentendo la sensazione di nausea crescere sempre di più. In quel momento un uomo di bell'aspetto, atletico, dai capelli neri e la carnagione scurita leggermente dall'esposizione al sole richiamò l'attenzione delle persone, alzando in alto un bicchiere: “Volevo ringraziare tutti voi per esservi uniti a me per i festeggiamenti. Essere qui oggi è per me una grande gioia e sono certo che lo sia anche per la mia bellissima Amy. Vi invito ad unirvi a me per un brindisi, alla mia futura moglie!”. Il vetro era abbastanza sottile affinchè la maggior parte delle parole furono facili da sentire, ma ciò che fece pietrificare sul posto entrambi fu l'ultima parola: moglie. Amy si voltò verso l'amico, guardandolo quasi spaventata. Lui non ricambiò lo sguardo, bensì strinse i denti con rabbia e profonda tristezza e alzandosi di colpo corse via dall'aiuola, dirigendosi verso la strada. Amy guardò per un'ultima volta il volto della donna dai capelli rossi, osservandone lo sguardo: mancava qualcosa. Non aveva i suoi occhi, il luccichio che la caratterizzavano quando era contenta. Sorrideva, si. Ma non era veramente felice. Quella triste realtà la colpì duramente, facendola piangere. Le lacrime iniziarono a rigarle il volto, mentre sbalordita si alzava in piedi e correva verso il suo amico. Quest'ultimo era rimasto in piedi sul marciapiede, dando le spalle alla villa e ad Amy. Non poteva credere che si sarebbe sposata. Lei avrebbe avuto una vita perfetta, al fianco di un marito perfettamente ricco, e dannatamente bello. Sentì che i raggi del sole che lo colpivano venivano oscurati dalla presenza di qualcuno. Con rabbia alzò lo sguardo, trovandosi davanti il volto di Amy, storpiato da una smorfia dovuta alle lacrime. Ogni pensiero svanì dalla sua mente: la strinse a se abbracciandola con forza, mentre sentiva la sua voce rotta dal pianto ripetere senza fine che non era felice. “Ehi!” sobbalzarono per lo spavento, girandosi più volte per cercare chi li avesse chiamati. Poco lontano da loro videro Matt e Clara salutarli con la mano mentre velocemente li raggiungevano. Amy, ancora abbracciata ad Arthur, si staccò di colpo imbarazzata, asciugandosi le lacrime con le dita, mentre con abilità nascondeva il suo stato d'animo dietro a un sorriso rassicurante. Per un momento la invidiò, poiché per lei era così facile chiudersi in se stessa per proteggersi. La guardò per qualche secondo, prima di voltarsi verso la sorella che lo aveva raggiunto: “Cosa vi è successo?” domandò lei, guardando gli occhi ancora arrossati dell'amica. Arthur sospirò, scutendo la testa: chissà cosa si sarebbe inventata ora. “Nulla, mi è andato qualcosa nell'occhio” aumentò ancora di più il sorriso, convincendola che non era davvero successo niente. Arthur stava per dire qualcosa, quando una voce nella suo subconscio gli ricordò di controllare l'orario: “Che ore sono?” chiese allarmato. Matt alzò un braccio, guardando l'orologio al suo polso: “Le cinque e quarantatrè”. Amy sgranò gli occhi: come poteva essere volato così il tempo? Guardò terrorizzata Arthur, il quale aveva già iniziato a correre verso la casetta malconcia nella strada parallela. In qualche minuto era arrivato davanti alla detestata visione delle erbacce e dell'abitazione, visibilmente non abitata in quel momento. Imprecò, girandosi e controllando i dintorni, sperando di vedere la figura dell'uomo triste che sarebbe stato nel futuro. Non vide nessuno e sempre più ansioso tornò dai suoi amici, i quali lo avevano iniziato a seguire: “E' uscito di casa” annunciò. Amy lo guardò sempre più spaventata, cercando di pensare ad una soluzione: “Andiamo sulla via principale” propose, indicando le auto che in lontananza correvano veloci lungo la strada. Senza aspettare una risposta, iniziò a correre più veloce di quanto avesse mai fatto in vita sua. Non aveva idea di quanto tempo ci avessero messo, ma quando raggiunsero il marciapiede più vicino, sembrava essere stato assolutamente inutile. A parte le macchina, non vi era nessuno in giro. Il bar dall'altra parte della strada sembrava deserto, e i negozi erano chiusi. Quasi con disperazione, Arthur si lasciò scappare un grido, tirando un pugno contro un lampione. Ignorando il dolore alla mano, si voltò verso Amy, guardandola negli occhi: poteva ancora vedere la sua tristezza di qualche momento prima, ma non disse nulla. La ragazza ricambiò lo sguardo, abbozzando un sorriso per rassicurarlo. Senza fiato, Clara e Matt si appoggiarono al muro di un palazzo li vicino, cercando di formulare una frase: “Cosa vi è preso, si può sapere? Che motivo c'era di correre?” nessuno dei due rispose alla domanda degli amici, continuando a guardarsi intorno alla ricerca di un pedone in pericolo di vita. Arthur tirò fuori il cellulare, leggendo l'orario: le sei e un minuto. Senza parole alzò lo sguardo pieno di speranza, cercando gli occhi di Amy. E fu allora che lo vide: l'uomo usciva dal bar, reggendo tra le mani una busta di plastica bianca. Lo vide mentre velocemente controllava la presenza di qualche auto in arrivo e con tranquillità iniziava ad attraversare la strada. I due ragazzi lo fissarono intensamente, trattenendo il fiato per l'ansia. E fu li che accadde: il rumore di ruote che sterzavano, di una macchina in eccesso di velocità. Le chiavi che cadevano dalle sue mani. L'abitacolo comparve dall'angolo della strada, troppo vicino per evitarlo. L'uomo si china per raccogliere le chiavi. Secondi, ancora poco, sempre meno.
 
Il tempo non era mai stato suo amico. Non lo era stato quindici anni fa e non lo sarebbe stato neanche adesso. Gli era rimasto così poco, una manciata di secondi era tutto ciò che gli era stato concesso, e in quel briciolo di tempo avrebbe comunque potuto fare così tante cose. Incontrò con lo sguardo i suoi occhi, quegli occhi color miele che aveva amato così tanto, sempre luminosi, brillanti, come ambra al sole. Ora quella luce si era spenta, annegata tra le lacrime che avevano iniziato a rigarle il volto, mentre gli altri lo continuavano a guardare, le urla spezzate sul nascere sulle loro labbra ancora aperte dallo sgomento e dalla paura. Così poco, mancava così poco. Distolse lo sguardo dagli occhi color ambra per incontrare quelli azzurri, spenti dagli anni e dalla tristezza. E fu in quell'ultimo secondo, proprio prima che l'oscurità lo avvolgesse, che potè vedere la sua paura riflessa nei suoi occhi.
 
 
Il succedersi costante dei bip lo rendevano nervoso. Aprì con fatica gli occhi per cercare la fonte del rumore, ma la luce diretta del sole gli ferì gli occhi. “Sei sveglio” il tremolio di una voce lo fece voltare a fatica, incontrando gli occhi color del miele che tanto amava. “Amy?” la sua voce uscì come un sibilo dalle sue labbra, mentre un profondo senso di gioia lo avvolse: “Dove sono?” sapeva che non doveva parlare, ma doveva sapere cosa era successo. Vide il volto di Amy sorridere dolcemente, ancora rigato dalle lacrime che aveva versato, mentre sollevata gli posava una mano fresca sulla guancia: “Sei a casa Arthur. Ce l'hai fatta. Hai salvato te stesso. Hai salvato noi”.
  
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