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Autore: Betta7    04/04/2014    4 recensioni
" Dietro di me, intanto, sentivo una mano che si avvicinava alla mia schiena incerta sul da farsi. Stizzita, mi girai e per la prima volta in quella giornata incrociai gli occhi di Hayama. "
" Era carina tutta impacciata al mio fianco, mi faceva l'impressione di una ragazzina al primo appuntamento. Che ingenua, un appuntamento con me poteva solo sognarselo. "

Ci sono incontri fortunati nella vita e probabilmente sia Akito Hayama che Sana Kurata non avrebbero mai pensato che la vita universitaria gli avrebbe riservato così tante sorprese. Eppure eccoli lì, due perfetti sconosciuti alle prese con un mondo che non gli appartiene del tutto e un'attrazione che sembra essere elettrica.
Un enorme università basterà a tenerli lontani?!
Genere: Commedia, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Altro personaggio, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1
PERSA
 
Pov Sana.
 
 

Ero scappata, ancora una volta. Ero scappata dalla mia vita e non me ne vergognavo. Avevo diciotto anni e tutta la mia esistenza mi aveva portato solo sofferenza. Tanta fama indubbiamente,visto che il mio lavoro di attrice di quella me n’aveva data abbastanza, a volte anche troppa, ma anche tanta sofferenza. Naozumi Kamura mi aveva spezzata il cuore, dopo tre anni e mezzo aveva magicamente deciso che la nostra storia non era abbastanza solida per poter continuare. Che significa poi che una storia deve essere solida? Io credevo che tutto si riducesse all’amore, che senza quello niente sarebbe potuto andare bene. Eppure Naozumi mi aveva dato come spiegazione un semplice ‘Ti amo, ma non possiamo stare insieme!’.
Non mi aveva più risposto alle chiamate, aveva cestinato i miei messaggi e ignorato le mie e-mail. Ad un certo punto avevo smesso di provare a contattarlo e, dopo un po’, avevo smesso proprio di esistere per lui. Fino ad allora c’ero riuscita abbastanza bene, non avevo di certo intenzione di farmi rovinare la mia esperienza universitaria dalla rottura con Naozumi Kamura.
Avevo scelto di eliminare per un po’ dalle mie priorità il mio lavoro: avevo soldi a sufficienza per pagare i miei studi, specializzazione inclusa, e per vivere serenamente per almeno cinque o sei anni dopo la fine dell’università. Insomma, non avrei dovuto preoccuparmi di lavorare per i successivi quindici anni. Alla mia età quasi nessuna star possedeva così tanti soldi ma dovevo ammettere che la mia carriera era stata piuttosto brillante. Fino ad allora, quindi, avrei studiato, mi sarei laureata, avrei rivoluzionato il mio mondo e sarei stata felice. Si, questo era il mio programma.
Ero arrivata al dormitorio dopo aver guidato per circa due ore verso la mia facoltà con in sottofondo ‘Accidentally in love’ dei Counting Crownes. Altro che ‘ accidentalmente in amore’, ci ero caduta con tutte le scarpe e pure di mia spontanea volontà. Sistemando la mia roba riflettevo un po’ sulla mia relazione con Kamura: eravamo due bambini quando ci spiavamo di nascosto dai camerini dei vari sceneggiati che interpretavamo insieme e siamo diventati grandi tra le mura di quegli studi televisivi che hanno conosciuto fin dall’inizio quello che io credevo fosse amore. Un vecchio proverbio diceva “Se qualcuno smette di esserti amico, allora significa che non lo è mai stato!”. Col tempo avevo capito che questo detto era applicabile anche ai fidanzati: se mi ha lasciato non era amore e di questo ero più che sicura.
Ma se avessi dovuto dare retta a tutti i proverbi e gli avvertimenti che anche mia madre si preoccupava di mettermi davanti allora non avrei mai vissuto nulla di tutte le cose meravigliose che Naozumi mi aveva fatto provare. Nulla che va oltre, ovviamente, ero ancora come mia mamma mi aveva fatta e di questo ero contenta: se fosse stato con Naozumi me ne sarei pentita e sicuramente sarei stata molto più male. Non che in quel momento sprizzassi felicità da tutti i pori ma almeno avevo la soddisfazione di non averla data al primo che mi aveva riempito di parole dolci e quelle, con Naozumi, non mancavano mai.
Qualche volta Naozumi me l’aveva anche chiesto ma io avevo sempre sviato il discorso; capivo benissimo quanto fosse infastidito ma ogni volta riuscivo a farmi perdonare con qualcos’altro. Era questo che mi piaceva di più di Naozumi: non sapeva arrabbiarsi con me e soprattutto non sapeva resistermi.
Mentre ero immersa nei miei pensieri e, soprattutto, nei miei vestiti la porta sbattè improvvisamente e nella stanza si fiondò una ragazza che avevo visto la prima volta che avevo fatto visita all’università: il giorno delle matricole. Che brutta parola è ‘matricola’, sembra quasi di essere diversi. Mi venne da pensare al liceo quando i ragazzi del primo anno, tra cui anche io, venivano chiamati 'quartini' perché frequentavano il quarto ginnasio. Poi, con gli anni, avevo dimenticato quanto fosse brutto essere etichettati in quel modo e anche io come gli altri avevo iniziato a riferirmi ai ragazzi più piccoli in quel modo.
La ragazza se ne stava zitta, imbarazzata da me probabilmente perché ero una celebrità; provai a parlarle ma l’unica risposta che ebbi fu un flebile ‘Piacere io sono..’ seguito da un nome che non riuscì a decifrare.
Dovevo ammettere che era proprio una bella ragazza, il totale opposto di me: alta, bionda e con gli occhi di uno stranissimo azzurro. Non era il solito celeste, somigliava piuttosto al colore che assumono le pietre sotto il mare, con tutte quelle sfumature sul turchese che ti lasciano senza parole.
Continuai a sistemare i miei abiti cercando di metterli in modo ordinato pur sapendo che il giorno dopo l’armadio sarebbe stato esattamente come non doveva essere: un completo disastro. Quando Arimi, la responsabile del dormitorio, venne a chiamarci per il raduno delle matricole finalmente la mia compagna di stanza parlò: «Scusami, ma tu sei Sana Kurata?» mi chiese nervosamente chiudendosi la porta alle spalle. Feci cenno di si, sorridendole per cancellare l’imbarazzo iniziale creatosi tra noi.
Cominciammo a conversare: era simpatica, non esageratamente spigliata come me ma, diciamolo, nessuno è perfetto.
Dopo averci spiegato le regoli generali del dormitorio, tra cui una che non capì ma a cui alla fine non diedi molto peso, andai in camera con Beth, così si chiamava la mia compagna di stanza, per prepararci alla festa di benvenuto per i nuovi arrivati.
Optai per un vestito a fiori semplicissimo e un paio di stivaletti sul beige senza tacco che mi avrebbero evitato un dolore atroce per i successivi tre giorni. Mentre aspettavo che Beth finisse di arricciarsi i capelli uscì in corridoio a vedere come procedeva la serata per le altre ragazze: la maggior parte era ancora indaffarata a prepararsi come la biondina in camera. Mi piaceva quella ragazza, nonostante l’approccio iniziale si era rivelata simpatica e socievole.
Beth uscì dalla camera con indosso un pantaloncino di jeans, un paio di stivaletti simili ai miei e questa lunga chioma di capelli biondi tutti arricciati. Era stupenda, non avrei potuto dire diversamente.
 
*
 

La festa procedeva calma: nessuna rissa, nessun ubriaco che ci provava spudoratamente, solo noi ragazze del dormitorio A facevamo un po’ di baldoria. Mentre chiacchieravo con Beth di quali corsi frequentasse oltre a quello di scrittura creativa che avevamo in comune si avvicinò a noi un gruppo di ragazzi. In prima fila un ragazzo moro, occhi scuri e un fisico che avrebbe spaventato chiunque. Dietro altri due molto simili a lui e infine, per ultimo, un biondino che attirò subito la mia attenzione.
Non feci in tempo a pensare che mi ritrovai quei ragazzi accanto intenti a chiedermi un autografo. Tutti tranne il biondino interessante. Chiesi i loro nomi e scrissi gli autografi sorridendo, ormai avevo imparato ad essere gentile con i miei fans, anche con chi non mi stava proprio molto simpatico.
Dopo che il gruppo ritornò da lui al bancone anche io mi avvicinai per prendere un drink e per staccarmi un po’ dalle ragazze che continuavano a farmi domande su Naozumi. Era così difficile capire che non avevo voglia di parlarne? A volte le donne, probabilmente anche io, sono terribilmente invadenti.
Ordinai una piňa colada e sorrisi al barista per farla arrivare velocemente. Era una tattica che usavo spesso e nonostante non ne capissi il motivo funzionava sempre.
« E’ forte la piňa colada, lo sai vero? ». Mi sentì osservata dall’altro lato del bancone: era il biondino a parlare.
« Reggo molto bene l’alcol.» risposi fredda. Dovevo ammettere che ero un po’ offesa e, d’altro canto stuzzicata, dal suo comportamento. Era stato l’unico a non interessarsi a me: bene o male tutti erano venuti a chiedermi qualcosa e a tutti avevo risposto alla stessa maniera, anche ai soliti sfigati che mi torturavano con mille domande.
« Dal tuo fisico non si direbbe, Kurata.» . Sorrise bevendo un sorso del suo drink. Sorrisi anche io cercando di non lasciar trapelare il mio fastidio.
«Non preoccuparti, mi conosco.» Presi il mio drink che nel frattempo era arrivato e tornai a posto dalle ragazze che cominciarono a riempirmi di domande.
«Quello è Akito Hayama, Sana.» mi sentì dire subito da Beth. Era arrivata nello stesso momento in cui ero arrivata io e conosceva già più gente di me? La cosa non andava affatto bene.
D’un tratto ricordai la terza regola del dormitorio: mai fare entrare Akito Hayama.
Addirittura una regola per tenere a freno quel bamboccio? Che assurdità. «Stai attenta, adesso che ti ha puntato non ti molla più.» disse un’altra ragazza di fronte a me.
Certo che erano facilmente disposte ad aprire le gambe lì se addirittura avevano messo una regola.
Decisi di non pensarci, quel ragazzo non avrebbe modificato di una virgola la mia permanenza all’università e se mai ci avesse provato avrei fatto io stessa in modo che non accadesse. Mentre giocavo a “ Non ho mai..” con le altre ragazze Hayama si avvicinò al nostro tavolo, prese uno shortino ed esclamò « Non ho mai.. ballato con una celebrità.» per poi mandarlo giù tutto d’un fiato.
Cos’era, un invito? Mi venne da ridere al pensiero che lui credesse mi sarei impressionata. Mi allungai per prendere un bicchierino.
«Non ho mai.. dato un calcio nella palle ad uno che le rompe con tanta insistenza.» Lo guardai e bevvi contemporaneamente. Mi sfidava? Io avrei accettato volentieri.
«Non ho mai.. rifiutato una sfida da una ragazza» . Il secondo shortino gli provocò sicuramente un solletico alla gola nonostante si vedesse che era abituato all’alcol.
«Non ho mai.. perso una sfida con un ragazzo.»
Tutti ci guardavano sconvolti per quel duello a base di vodka. Risi nel vedere le loro facce, cosa c’era di tanto strano? Poi sentì in sottofondo  delle ragazze che dicevano che Hayama non aveva mai prestato tanta attenzione ad una ragazza per più di dieci minuti se nel giro di quelli lei non si metteva in ginocchio per lui o accettava di portarlo nella sua stanza. Sarà anche stato così ma a me non importava: non avevo alcuna intenzione di mettermi in ginocchio davanti ad Hayama e che lui mi prestasse attenzione o meno non era il mio pensiero principale. Notai che ci pensò su prima di afferrare il successivo shortino.
«Non ho mai.. costretto una ragazza a ballare con me.» Certo, probabilmente erano proprio le ragazze a buttarsi ai suoi piedi e a supplicarlo di concedergli dieci minuti del suo prezioso tempo.
Risi, divertita dal gioco che si era instaurato nel giro di pochi minuti, e mi alzai per ordinare altri cinque bicchierini di vodka: il gioco cominciava a farsi interessante.
Lui voleva costringermi. Ma di sicuro, caro il mio Hayama! Immaginai che mille ragazze avrebbero voluto essere al mio posto: era bello, su quello nessuno poteva obiettare, ma cominciava in ogni caso a darmi la nausea.
Arrivarono gli altri cinque shortini e sia noi due che tutti gli altri curiosi venuti ad ammirare l’epico momento stavamo in silenzio. Mi alzai decisa a chiudere il sipario dello spettacolino e afferrai un bicchere.
«Non ho mai.. rifiutato un ballo da nessuno.». Lui sorrise, convinto che avessi proclamato bandiera bianca e che avrei accettato la sua proposta. Mi girai dopo due secondi e distrussi il suo momento di gloria.
«Ma c’è sempre una prima volta per tutto!». Me lo tolsi dai piedi così facilmente che le ragazze sedute attorno al tavolo rimasero a bocca aperta. Vidi Beth, accanto a me, ridere sotto i baffi per come avevo zittito quel presunto Dio dell’università. Se lui era il Dio dell’università io ero la Dea di tutto il mondo al di fuori di essa.
Feci per andarmene ma poi mi venne in mente un’altra cosa e tornai indietro, presi il bigliettino del conto e glielo porsi. A dire il vero non mi era ancora chiaro perché ad una festa universitaria bisognasse pagare il conto dei drink. Non avrebbe dovuto essere tutto offerto dal nostro caro rettore?
«Questo è tutto tuo!». Rimase sconvolto anche lui da tanto coraggio, probabilmente era abituato a ragazze stupide che non avrebbero mai fatto una cosa del genere per paura di non avere una possibilità con lui.
Girai i tacchi e mi diressi verso la pista da ballo assolutamente intenzionata a divertirmi. Beth mi seguì e insieme a lei anche alcune ragazze sedute al nostro stesso tavolo di cui ancora non avevo imparato i nomi.
Il disco suonava I know you want me di Pitbull e io mi muovevo a tempo scherzando con le ragazze che ballavano accanto a me. La musica mi entrava dentro, era da un secolo che non mi divertivo in quel modo e specialmente che non mettevo piede in una discoteca. Da quando il mio lavoro aveva preso una piega positiva, a volte anche troppo positiva, non ero più riuscita ad avere un momento per me o per le mie amiche: avevo perso quasi ogni contatto con le mie storiche conoscenze. Aya era stata accettata ad Harvard, l’università che aveva sempre sognato di frequentare, Fuka ovviamente aveva scelto Yale per il corso di legge migliore del mondo e per stare vicina a Takaishi, mentre Hisae aveva avuto uno sfortunato incidente di percorso col suo ragazzo e si era ritrovata a fare la mamma a diciassette anni. Il mio lavoro mi aveva tolto anche questo: la bellezza dell’amicizia, ecco perché non avrei permesso che interferisse ancora nella mia vita; avevo espressamente detto a Rei che non avrei lavorato per molto tempo e nessuno dei suoi imploranti discorsi erano serviti a cambiare la mia decisione. Tutto quello che volevo in quel momento era divertirmi e non pensare.
Naozumi, le mie amiche, la mia infanzia, mia madre.. erano solo alcune delle cose che la mia professione mi aveva costretto ad abbandonare.
Naozumi.. chissà che faceva. Se gli mancavo, se un po’ mi pensava. Mi rattristai per un momento per poi cercare di scacciare i cattivi pensieri e concentrarmi solo sulla musica che nel frattempo era cambiata.
Scream and shout, la mia canzone preferita. Ballavo incurante di ciò che accadeva alle mie spalle e quando me ne resi conto era troppo tardi. Due mani grandi, da uomo, avevano afferrato i miei fianchi e mi ritrovai un ragazzo, dire che fosse enorme era un eufemismo, che ballava contro il mio sedere convinto che ciò che stava facendo fosse fico. Provai un disgusto indicibile e cercai di staccarmi immediatamente ma con scarsi risultati. Mi avvicinai al suo orecchio e lui sorrise convinto che stessi per dirgli qualcosa di sconcio o di dolce, non sapevo quale fosse peggio.
«Il mio culo non è un appoggio per il tuo pene, lo sai vero?». Lui rise, probabilmente non capiva una parola di quello che stavo dicendo per le troppe canne della serata. Cominciai leggermente a spaventarmi, si stringeva sempre di più e tutti gli altri intorno sembravano non accorgersi di ciò che accadeva proprio sotto i loro occhi. Hei, Sana Kurata sta per essere violentata, a nessuno importa? Continuai a forzare per divincolarmi dalla sua presa ma non c’era niente da fare, ero troppo piccola per riuscire a staccarmi da quel bestione.
Mentre ancora ero impegnata a farmi prendere leggermente dal panico, improvvisamente non lo vidi più e smisi di sentire la presa sui fianchi, mi voltai e lo trovai per terra col labbro sanguinante.
Sorrisi alla vista di quel cretino che prima faceva lo spavaldo inerme come si meritava. Ciò che in realtà mi lasciò piuttosto scioccata fu chi aveva picchiato il bestione. Davanti a me Akito Hayama sorrideva come un bambino e si sistemava la camicia azzurra come se avesse appena vinto chissà quale premio. Sorrisi anch’io in segno di ringraziamento e mi voltai per dirigermi verso il mio dormitorio. Mi sentì di nuovo bloccare, che seccatura! Ma non avevano mai visto una ragazza?
Girandomi, però,  vidi che non era un ragazzo qualsiasi: era il tale Hayama che mi teneva per il braccio. Scoppiai a ridere divertita dalla situazione generale: la pista era diventata un cinema e a mancare erano solamente i pop-corn.
«Cos’è che ti diverte tanto?» mi chiese non capendo il motivo della mia così grasse risata. Pensai che fosse stupido, come faceva a non notare che tutti ci fissavano?
«Guardati intorno» risposi continuando a ridere. Lui fece come gli avevo detto e accennò un sorriso prima di attirarmi a se con forza. Mi allontanai leggermente ma non me ne andai perché nonostante tutto quel ragazzo mi attirava e poi, ammettiamolo, pur reggendo bene l’alcol ero piuttosto brilla. Non era un attrazione maliziosa, di storie finite male ne avevo avuto abbastanza con Naozumi e non avevo alcuna intenzione di ripetere l’esperienza a breve. Era attrazione, punto.
C’era qualcosa nel suo modo di fare, di parlare, di sorridere persino.
«Non vorresti concedermi nemmeno un ballo per ringraziarmi del salvataggio?» mi chiese avvicinando la sua bocca al mio orecchio. Nel frattempo il dj aveva cambiato disco, una serie di lenti risuonarono nella sala. Stranamente tutto era successo dopo che Hayama l’aveva guardato; coincidenze? Non credo proprio.
Sorrisi a quel pensiero, mi faceva proprio tenerezza. Pensava di poter cambiare la cattiva impressione che mi aveva fatto con un ballo? Non aveva idea di chi ero.
«Sto ballando, sei cieco?» risposi poco dopo. Ballavo, vero, ma non importava che mi avesse “salvato”, avrebbe potuto farlo chiunque e soprattutto se non fosse successo avrei trovato il modo di togliermi quel cretino di torno. O almeno lo speravo.
«Allora, la conosci la leggenda della vita, Kurata?». Il fatto che mi avesse chiamato per cognome mi fece piacere, almeno non si prendeva confidenze che non gli avrei concesso e mi risparmiava la fatica di doverglielo ricordare.
Scrollai la testa in attesa di risposta, notando con piacere che nel frattempo i curiosi avevano smesso di guardarci. «Illuminami.» dissi sarcastica infine, quando capì che non mi avrebbe spiegato se non gliel’avessi espressamente chiesto.
«Si dice che quando salvi la vita di qualcuno, quella vita ti appartiene.».
Nuovo modo di provarci con qualcuno?Adesso, davvero, mi faceva tenerezza.
Mi scostai i capelli da un lato e notai che quel gesto lo ipnotizzò. Sorrisi.
«Tecnicamente quindi adesso la mia vita sarebbe tua?».
Lui annuì, convinto al cento per cento che quel gioco mi divertisse tanto quanto divertiva lui. I suoi occhi ambrati mi fissavano insistenti e io cominciavo a sentirmi in imbarazzo. Sorrisi nervosamente cercando di non far notare quanto fossi in difficoltà.
«Esatto.» disse «Quindi, cosa vogliamo farne?».
«Potresti cominciare con il lasciarmi, mi stai soffocando.». La sua presa non mi permetteva di muovermi e standogli così vicina mi accorsi che il colore dei suoi occhi e dei capelli era abbastanza simile: un bel dorato, quasi miele.
«Sai bere, Kurata. Questo te lo concedo.» Lo guardai e appoggiai la mia mano sulla sua spalla per avvicinarmi al suo orecchio.
«Non hai ancora visto nulla» sussurrai maliziosa. Era divertente stuzzicarlo proprio perché lo facevo senza che me ne importasse molto, era un semplice ragazzo che ci provava con me, non era il primo e non sarebbe stato di certo l’ultimo.
Mi staccai il più velocemente possibile e mi avvicinai a Beth per avvertirla che tornavo in camera perché ero stanca. Notai che anche lui era tornato al suo gruppo e ridacchiava insieme al suo amico.
Non diedi peso a quella risata perché a dirla tutta non mi importava più di tanto di Akito Hayama e delle sue stupide chiacchiere, volevo solo allontanarmi dal casino di quella festa.
Non volevo più sentirmi come mi ero sentita nel momento in cui i suoi occhi color ambra si erano soffermati su di me. Mi ero sentita persa.
E io avevo bisogno di ritrovarmi, non di perdermi. 




Buonaseeeeeeera *O* bè, credo di dover delle scuse a tutte le persone che avevano cominciato a leggere la mia precedente storia che, da brava idiota quale sono, ho sospeso. Vi spiego immediatamente perchè così poi posso dedicarmi a questa nuova 'avventura' che ci attende, sempre che vogliate farla insieme a me. 
Ho bloccato quella storia per MANCANZA DI IDEE. Non l'ho eliminata, se ben avete visto, perchè ho buttato giù qualcosa e non sono ancora convinta di toglierla totalmente senza nemmeno provare a continuarla, quindi non disperate. (Magari nemmeno ve ne frega nulla, ma lo spiego ugualmente per chi la seguiva e sperava che la terminassi.) LA TERMINERO', SOLO NON ADESSO. 
Bene, andando a questa nuova idea balenatami in testa qualche settimana fa. I due ragazzi, come avrete capito, non si conoscono e il loro primo approccio non sarà particolarmente positivo ma neppure insignificante. Questi si chiamano... FUOCHI D'ARTIFICIO!!! *-*
Spero che vi piaccia e di ricevere taaaaante recensioni. Vi bacio tutti uno ad uno. :*
Akura.



Estratto dal prossimo capitolo:
«Mi stai sognando, Kurata?» La voce di Hayama risuonò intorno a me come una bomba. Alzai gli occhi al cielo e poi lo guardai, visibilmente infastidita. I capelli gli ricadevano morbidi sul volto e notai che quando sorrideva gli si formavano due fossette ai lati della bocca. Non avevo mai visto una bellezza così singolare prima di allora e mi ritrovai per forza di cose a fare un confronto con Naozumi. Non c’erano storie, Hayama era decisamente più bello. Tuttavia non potevo di certo fargli notare quei pensieri, per il mio stesso bene. 
   
 
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