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Autore: ALEXIANDRAisMe    04/04/2014    1 recensioni
Elijah e Roy sono due ragazzi e hanno molto in comune, molto più di quel che si direbbe a prima vista. Eppure mentre Elijah è l’arrogante e prepotente leader della Private High School of Sacramento, Roy è il classico sfigato preso di mira proprio da questi e dai suoi compagni d’elitè. Questo nonostante la sua stessa origine facoltosa.
La ricchezza, le responsabilità e l’immagine hanno un peso; esattamente come la verità e le bugie hanno un prezzo da pagare.
Chiedere aiuto è più facile di nascondersi dietro una maschera? Si può sempre contare sulla famiglia? La risposta per Elijah e Roy è sempre stata no.
Chi svelerà per primo i propri segreti?..
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Personaggi, eventi e luoghi (sebbene esistenti o meno) sono frutto della mia contorta fantasia e di quella della mia “Socia” Roh.
Ps: in seguito probabilmente volgerà al Rosso.
 

 
ELIJAH
 
Sospirai per il piacevole sollievo che dava l’acqua fresca a contatto con il mio viso accaldato. Ne avevo proprio bisogno, pensai.
Alzai la testa guardandomi allo specchio; i capelli neri e leggermente ondulati mi cadevano avanti incollandosi alla fronte. Li tirai indietro con un gesto irritato, spingendo il ciuffo di lato fin dietro le orecchie. Qualche ciocca ribelle ricadde davanti agli occhi e sbuffai, lasciando perdere. Molti mi ammiravano per l’eleganza impeccabile perfettamente abbinata a quell’eccezione che erano i miei indomabili capelli.
Sorrisi di fronte al mio riflesso, fissando i due occhi di colore diverso che ricambiavano il mio sguardo: il destro era verde, proprio come quelli di mia madre; mentre il sinistro era castano, preso probabilmente da mio nonno materno di origini italiane.
- Elijah! – una voce affannata pronunciò il mio nome, costringendomi a spostare lo sguardo verso di essa. Il ragazzo aveva spalancato la porta del bagno, consapevole di trovarmi all’interno.
Era uno di quei ragazzini nuovi che ultimamente mi stava sempre alle costole: neo giocatore di basket, passava la maggior parte del tempo in panchina ma sembrava determinato a far parte del gruppo.
- Che c’è? – chiesi svogliatamente, voltandomi verso di lui.
- Emm – l’interessato rimase imbambolato, come se si fosse perso a contemplarmi fino a dimenticare il motivo per cui era lì, infine si schiarì la gola e – Alcuni ragazzi della squadra stavano parlando con un novellino e qualcuno si è messo in mezzo.. se scoppia un’altra rissa tra i corridoi stavolta sarà il Preside Chambers a metterci in castigo! – continuò.
Sollevai un sopracciglio per nulla stupito, sapevo cosa significava “parlare” per i miei cari compagni e in genere finiva sempre con qualcuno maltrattato o costretto a rinunciare al proprio pranzo. Erano ovviamente tutti nelle condizioni economiche di permettersi da soli un pranzo più che adeguato, ma da ché io ricordassi era ormai una questione di principio quella di privare gli studenti più piccoli dei loro sacchetti accuratamente preparati dalle madri.
Negli ultimi tempi però, molti si erano armati di coraggio e si erano lamentati di quel ciclo naturale degli eventi. Questo aveva portato ad un aumento delle vittime in relazione direttamente proporzionale al malcontento della classe Elitè della scuola.
La Private High School of Sacramento vantava il più alto tasso di prole proveniente dalla classe capitalista della città e anche il più povero rientrava tra gli alti borghesi in grado di permettersi un auto per ogni componente della famiglia.
Tra questi c’era comunque chi era più importante di qualcun altro e più dei soldi a volte contava la popolarità e la fama che ti eri creato.
Io, ovviamente, avevo sia la popolarità che i soldi.
La mia famiglia era tra i vertici della piramide sociale, se non in vetta: mio padre, Jonathan Reynolds, era il direttore di una multinazionale che commerciava con ogni parte del mondo, la “Reynolds’s Corporation”; mia madre Lana D’Angelo in Reynolds, italiana sia nelle forme che nella mentalità, era una stilista diventata famosissima in America con il suo marchio, “Angel” appunto.
Io, d’altro canto, avevo preso la propensione alla leadership da mio padre e il carisma magnetico di mia madre. Nel primo anno delle superiori ero già quarterback della squadra di basket della scuola, i Kings, portandoli ai Play-Off e in seguito alla vittoria dei campionati di primavera. Nel contempo avevo ottenuto la Presidenza all’interno del Comitato Studentesco ed i miei voti nelle materie scientifiche erano tra i più alti.
Avevo tutto perciò, dal potere sugli studenti all’incolumità con gli insegnanti.
Non potevo negare che questo avesse incrementato ancora di più il mio ego già smisurato grazie alla mia vita agiata.
Dover risolvere i problemi degli altri come adesso, però, era la cosa che mi dava più noie in assoluto.
Annuii impercettibilmente mentre già lo affiancavo. – Fammi strada. – ordinai laconico.
Mi condusse così nelle vicinanze dell’aula di musica e nel corridoio dalle ampi finestre che si affacciavano nel piccolo cortile quadrato c’era una grande folla a circondare un punto ben preciso, quello in cui si stava già svolgendo la scazzottata.
Senza neanche dover ricorrere alle sgomitate mi feci largo tra la gente, trovando la strada spianata dal ragazzo che stavo seguendo.
Davanti a me si parò la scena di una ragazzo semi inginocchiato, reggendosi con una mano per terra, il braccio teso e in ginocchio opposto alzato, gli occhiali ad un metro e mezzo di distanza. Il ragazzetto di primo intanto doveva essersela già data a gambe. Il gruppetto artefice di tutto quel putiferio era in piedi e senza un graffio mentre sul viso del ragazzo capeggiavano già delle ferite evidenti e sanguinanti, come la spaccatura all’angolo del sopracciglio destro, altre lo sarebbero diventare come il chiaro ematoma che si sarebbe formato all’occhio.
Ciò non m’impedì di riconoscere il malcapitato, tanto che neanche trattenni il mio compiacimento quando si voltò verso di me con quello sguardo sprezzante e presi il comando della situazione.
- Ragazzi. – urlai, sorrisi accondiscendente per accompagnare un ampio gesto delle mani. Mi atteggiai, teatralmente, aprendo le braccia come a voler coinvolgere tutti a quello sceneggiato. – Siate più discreti. – cercai di assumere un tono più calmo possibile ma il mio era comunque un ordine.
I cinque giocatori mi guardarono, annuirono e dissi con fare conciliante – Potete continuare. – Le mie parole furono coperte dal calcio che Tyler si era già apprestato a dare alla figura per terra, che in un attimo cadde all’indietro lunga distesa.
Feci per andarmene quando mi scontrai con una ragazza. Era carina con quelle spalle strette come il bacino, gli occhi marroni e i capelli castani e ricci legati in un’alta coda laterale, un ciuffo sulla sinistra ad incorniciarle il viso tondo. Notai subito la bocca carnosa contratta in una smorfia di disappunto e preoccupazione, mi venne spontaneo sorriderle con ostentata malizia e poi senza aggiungere altro mi limitai ad andare verso l’aula di Anatomia. Da lì a poco la pausa pranzo si sarebbe conclusa e la campanella avrebbe intimato a tutti gli studenti di rientrare nelle proprie classi.
 
ROY
 
Misi i quaderni nella borsa. Quel giorno non avevo studiato granché.
L’aula di musica era deserta ormai da un’oretta ma mi piaceva rimanere lì anche dopo le lezioni, per provare un po’ da solo. Mi riusciva più facile.
Dopo aver preso lo zaino aprì la porta dell’aula, dei rumori catturarono la mia attenzione. Alzai lo sguardo verso la parte destra del corridoio sul quale affacciava l’aula.
Un gruppo di ragazzi circondava qualcosa, o meglio qualcuno, che non riuscivo a vedere.
Li conoscevo quasi tutti, soprattutto uno che spiccava un po’ di più per l’altezza e per la stazza. Tyler, così si chiamava, sporgeva rispetto agli altri, con un ghigno in viso e lo sguardo rivolto a terra.
Un gemito. Evidentemente era troppo sperare in qualcosa di diverso da ciò che mi aveva suggerito il mio istinto.
Feci delle rapide falcate, iniziai a sentire anche quello che il più grande stava blaterando.
- Così impari a rispondere ai più grandi, moccioso. –
Misi così, con molta naturalezza, una mano sulla spalla di uno dei ragazzi che mi stava davanti ormai.
- Ehi. – dissi con tono calmo. – Che succede qui? –
Appena sentirono la mia voce si voltarono, ebbi il tempo di lanciare uno sguardo alla figura stesa a terra e proprio come pensavo era un primino.
I giocatori di basket sapevano essere davvero stronzi.
Nel vedere il mio viso il sorriso di Tyler si incurvò ancora di più e ridacchiò.
- Ma guarda chi si vede, il mio sacco da boxe preferito! – disse sarcastico.
- Incredibile quando ti senta figo.. – risposi prontamente io, prima di aggiungere dopo una breve pausa - ..soprattutto in assenza del vero capo! –
La sua espressione cambiò. Ovviamente lo punsi sul vivo.
Con la coda dell’occhio vidi il ragazzino prendere velocemente lo zaino e indietreggiare. Non si resero nemmeno conto della sua assenza, probabilmente perché ora avevano un nuovo bersaglio.
Non mi mossi nemmeno quando Mr. Muscolo, così lo chiamavo ormai per abitudine, diminuì la distanza che ci separava con pochi passi.
Sapevo cosa stava per fare, aveva un’espressione che voleva sembrare arrabbiata ma dovetti trattenere una risata perché quel tic all’occhio era troppo divertente. Ora la mano stretta in un pugno gli tremava e fu l’ultima cosa che vidi prima di riceverlo in pieno viso.
Bhè, diciamo che fece più male che bene, ovviamente.
Gli occhiali mi si sfilarono. Persi l’equilibrio sbilanciandomi di lato e mi ritrovai a poggiare un ginocchio a terra per non cadere e a cercare l’equilibrio con la mano tesa verso il pavimento. Aprì gli occhi e attraverso la mia vista appannata riuscì a distinguere qualcosa di sottile giacere a terra, proprio a pochi metri da me.
Il leggero astigmatismo e l’ipermetropia mi portarono a vedere distintamente le figure ma questo non valeva altrettanto per i loro particolari.
Tyler era davanti a me, la mano ora tesa in un evidente dito medio.
- Lo riesci a vedere questo? O te lo devo ficcare nel culo perché tu lo senta come si deve? – qualcuno dei ragazzi dietro di lui rise.
- È impossibile per me non vedere la tua faccia da culo anche senza occhiali, credimi! – risposi.
Per chiunque se lo stesse chiedendo, si. Sono masochista, ma almeno ho stile.
Mi parve di sentire un ringhio prima che si preparasse a tirarmi un calcio ma fu allora che successe qualcosa.
Qualcosa che bloccò tutti, tanto che non sentivo quasi più respirare nessuno dei ragazzi che prima mi stavano guardando. Una reazione del genere poteva suscitarla soltanto una persona.
- Elijah. – Tyler disse il suo nome come un sussurrò ma io non avevo bisogno di quella conferma perché lo stavo già fissando.
Lui mi osservò per qualche secondo e sorrise prima di rivolgersi a chi mi stava di fronte e alla piccola ma fitta folla che spinta dalla curiosità ora ci circondava, a cui fino ad allora non avevo fatto proprio caso – Ragazzi.. – alzò le mani con fare plateale, come da suo solito, il ché m’irritò più di altre volte.
- ..Siate più discreti! – ed ecco l’ordine, lui non riusciva a comunicare se non con gli ordini. Come se fosse un dio, come se fosse il figlio unico di se stesso.
Mi aspettavo tutto, anche la sua indifferenza, forse soprattutto la sua indifferenza.
Non lo vidi allontanarsi perchè ormai mi ero distratto, colpito in fallo da un calcio diretto alla mia bocca.
Questo, fu leggermente più dannoso e per un attimo, stupidamente, ebbi il terrore di non poterla più usare per mangiare o per cantare.
 
Angolo Autrici:
Come avrete capito è una storia scritta a quattro mani.
Ad  ispirarmi è stato un disegno chibi fatto dalla mia Socia (Aurora alias Roh) in cui si rappresentava nella sua versione maschile. Da lì è nata anche la mia, di versione maschile. Per questo, qui mi firmerò con il mio vero nome (Eleonora.. meglio El) per la prima e forse unica volta.
Così facendo due più due la trama, a mio parere davvero controversa, si è praticamente scritta da sola.
Un pensiero ci è sorto naturale, rivolto ovviamente alla mia Persona tanto ispiratrice.
Bene, questo è il risultato del dramma!
Spero che questo primo capitolo sia di vostro gradimento.
Scritto ascoltando Mirrors di Justin Timberlake.. che non centra molto in realtà, ma il concetto mi attirava e presto capirete perché.
Ringrazio già da ora chi ci seguirà etc, commentate per farci sapere le vostre opinioni al riguardo!^^
Saluti Alex e Roh
  
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