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Autore: Ottachan    05/04/2014    1 recensioni
Ùner era nato in una fredda notte di fine inverno, accolto dal ritmico rumore della pioggia ma senza la benedizione delle stelle, coperte, in quel momento, da folte coltre di nubi. Era stato abbandonato poche ore dopo in una cesta di vimini, riparato dal maltempo solo da una semplice coperta di stoffa lacera.
Era solo.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le favole dell'Inizio'
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Salve gente! Eccoci, finalmente, all'ultima One shot che fa parte della raccolta Le favole dell'inizio composta da quattro storie brevi, scritte tra la primavera del 2008 e quella del 2009, che rappresentano il mio primo avvicinamento al mondo della scrittura (ovviamente, prima di essere pubblicate qui, sono state tutte un minimo corrette cercando, comunque, di non modificare troppo lo stile che avevo all'epoca). 'Ùner' porta come data quella del 25 marzo 2009; essa coincide anche con la mia 'pausa di riflessione' (wtf xD) che non mi ha più 'permesso' (???) di scrivere nulla (salvo appunti random di storie fantasy di millanta capitoli) fino al settembre 2013, quando è stata indetta una certa Notte Bianca random dedicata a dei certi nuotatori random... Per la serie: quando essere fangirl fa bene xD
Tornando a noi, ringrazio in anticipo chi leggerà questa storia. Per il momento non ho più nulla di originale (e completo) da postare, spero quindi che questo mi sia di aiuto per portare finalmente avanti i miei milioni di progetti che ho in testa xD

 
Ùner
 
Ùner era nato in una fredda notte di fine inverno, accolto dal ritmico rumore della pioggia ma senza la benedizione delle stelle, coperte, in quel momento, da folte coltre di nubi. Era stato abbandonato poche ore dopo in una cesta di vimini, riparato dal maltempo solo da una semplice coperta di stoffa lacera.
Era solo.
Venne trovato da un mercante di spezie il giorno successivo, debole, fradicio ma ancora vivo; fu subito portato nell’orfanotrofio più vicino dove ricevette il più velocemente possibile il massimo delle cure. I responsabili di quella struttura non poterono fare a meno di osservare le sue orecchie: erano si lunghe, come ci si potrebbe aspettare da un elfo, ma non presentavano la loro caratteristica terminazione a punta; era come se fossero state mozzate in modo da dare loro una forma meno spigolosa, ma su di esse non erano presenti segni di tagli o ferite di alcun tipo. Forse era a causa di quella malformazione che era stato abbandonato.
Era più piccolo e minuto rispetto ai suoi ‘fratelli di sventura’, a guardarlo dava quasi l’impressione di essere un bambino malato per come erano ben visibili le sue ossa da quel corpicino estremamente pallido. I suoi occhi grigi leggermente sporgenti sembravano quelli di una persona apatica: in essi non si rifletteva nulla, nulla ad eccezione della sua amata luna. Egli passava ore ad osservarla. A lei rivolgeva le più celate preghiere. A lei confidava i più reconditi segreti. A lei andava tutto il suo amore.
I bambini dell’istituto lo reputavano strano, assolutamente incomprensibile. C’era una sorta di timorosa avversione rivolta verso di lui: una persona che dormiva poco e parlava praticamente solo di notte con un qualcosa di non visibile agli occhi degli altri non poteva essere normale. E poi quell’aspetto malaticcio, quelle orecchie mozzate non erano molto d’aiuto. Ùner si ritrovò ben presto ad avere come unica confidente la luna ma non diede troppo peso alla cosa. Anzi, avere un interlocutore capace di ascoltare per intero i propri discorsi, che non lo avrebbe mai giudicato qualunque cosa avesse detto o abbandonato per lo stesso motivo gli donava un profondo sollievo.
Nonostante tutto non si sentiva solo.
Crescendo ed iniziando a ricevere le prime basi dell’istruzione, cominciò a richiedere libri sul cielo, sulle stelle e sulla luna. Le sue giornate quindi si riempirono improvvisamente di nozioni scientifiche e leggende fantastiche; i suoi occhi non riuscivano più a staccarsi da quelle pagine incantate, le sue labbra sottili e semiaperte tremavano lievemente tanto era grande l’emozione che provava nella lettura.
Ùner oramai veniva ignorato da tutti, lui non si avvicinava più ai suoi ‘fratelli’ e non giocava più con nessuno; i libri lo avevano preso a tal punto da non desiderare alcuna compagnia.
Nessuno voleva adottarlo, o forse era lui stesso che non sentiva assolutamente il bisogno di stare in una famiglia.
Un paio di anni dopo scoppiò una terribile epidemia nel paese. Tantissimi ragazzini morirono nel giro di poco tempo e solamente Ùner sembrava non presentare alcun sintomo di quel male mortale. Anche in quell’occasione, come quando da appena nato fu ritrovato in quella vecchia cesta dopo una notte di pioggia, mostrava un incredibile inconsapevole istintivo attaccamento alla vita. Sembrava ignorare totalmente tutto quello che stava succedendo intorno a lui. La gente del villaggio prese a considerarlo come la causa di quella malattia: era un ragazzino strano, isolato, che disdegnava la compagnia dei suoi coetanei e che  passava le notti sveglio a discorrere, sicuramente, con qualche creatura maligna. Le sue orecchie deformate erano un simbolo di malvagità!
Una sera di luna piena Ùner vide dalla sua amata finestra una piccola luce rossastra marciare lungo la strada che portava all’istituto; mano a mano che quel piccolo bagliore si avvicinava, il ragazzino non poté fare a meno di notare che esso era composto da piccoli lumini che avanzavano compatti verso di lui. Nel giro di dieci minuti quasi tutto il villaggio si era radunato sotto la sua stanza, torce e forconi tra le mani. Uomini e donne si misero a gridare contro di lui: lo chiamarono mostro, lo maledirono, gli ordinarono di far cessare l’epidemia, gli intimarono di andarsene via per sempre… In tutta risposta il piccolo elfo ignorò palesemente la folla continuando a discorrere tranquillamente con il viso rivolto verso l’alto. Una giovane donna, con le lacrime agli occhi, prese da terra una pietra appuntita e gliela scagliò contro la testa intimandogli di restituirle il figlio morto poche ore prima. Sulla tempia sinistra di Ùner si aprì un graffio non troppo profondo dal quale però sgorgò abbondante sangue dal colore lievemente pallido, quasi anemico. Seguendo quell’esempio, il resto del villaggio iniziò a raccogliere altri sassi e a lanciarglieli con quanta forza avevano in corpo. In poco tempo, il viso candido del ragazzo, le sue braccia scheletriche, la parte ossuta del busto che sporgeva dalla finestra vennero martoriati da lividi, contusioni e tagli dalle diverse forme, ma lui continuava imperterrito a parlottare con non si sapeva chi. Un ultimo lancio disperato. La pietra colpì nel centro della fronte il giovane elfo con così tanta brutalità da farlo voltare forzatamente all’indietro. Appena egli si riprese e tornò a rivolgere il suo sguardo al il cielo, quello che vide fu una grandissima luna rossa, perfettamente rotonda, coperta interamente dal suo sangue.
Ùner sorrise e, sospirando, chiuse gli occhi.
   
 
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