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Autore: Raptor_Fawr    05/04/2014    0 recensioni
Non c'è molto da dire, sto sperimentando il genere psicologico/psicoanalitico/psicoqualcosa e questa storia è venuta in un barlume di ispirazione prosaica.
Fa parte delle avventure di un tipo di personaggio che ricorrerà molto nelle mie storie "originali", ovvero l'escluso, il dandy del nuovo secolo, l'hikikomori, l'inetto.
Questi infatti non sono veri inetti o veri stupidi, semplicemente non vengono accettati dalla società perché non ne condividono i valori.
Enjoy ^^ (if u can)
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai da un lungo ed intenso sogno che rapidamente stava svanendo, dissolvendosi nell’aria per non tornare mai più.

Con tutte le mie forze annaspai, gremendo l’infinito spazio tra me ed il soffitto, stringendo tra le dita i miei sogni perduti.

Dove fuggono, i sogni, una volta scomparsi, spariti nel cielo?

Ora erano tra le mie mani, quei sogni.

Con questa certezza in corpo, mi riaddormentai.

E ricordai.

Persone che conoscevo delle quali non potevo vedere i volti stavano cenando in una lunga e sontuosa tavola imbandita.

Assaggiai con una delle tre forchette del filetto di manzo e assaporai il dolce vino aspro che attendeva impaziente accanto al mio piatto.

Tutti parlavano, e ridevano. In un attimo di distrazione mi sporcai la cravatta.

Mi dispiacque molto: quella cravatta era la più elegante che possedevo.

Quindi chiesi permesso e mi alzai per andare in bagno.

Aperta la porta mi trovai quindi nella bottega del fabbro.

Il tintinnare del maglio sull’acciaio riempiva la stanza, il calore della fucina mi investì con impeto.

Lui si voltò: sapeva perché ero lì.

Gli porsi la cravatta con entrambe le mani.

-Puoi aggiustarla?- gli chiesi.

Lui mi fece cenno di si e la raccolse.

Era enorme, una sua mano era tre volte la mia. Per battere sull’incudine doveva sedersi a terra o avrebbe toccato il soffitto.

Cominciò a lavorare sulla cravatta ed io, per attenderlo, mi misi a correre nel prato di margherite.

L’aria fresca mi riempì i polmoni e cancellò l’odore di metallo e sudore che avevo nel naso.

Corsi velocissimo per prendere il freesbee prima del mio piccolo cagnolino, ma la corsa mi portò sino ad un burrone.

La caduta lacerò il velo che copriva i miei occhi e mi svegliai.

Di nuovo nel mio piccolo mondo buio di pochi metri quadrati. Il sogno era andato.

E quella cravatta non la rividi mai più.

  
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