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Autore: kannuki    05/04/2014    4 recensioni
“Chi ti ha parlato di me?”
“La donna che mi ha partorito.”
“Un po' macabra come favola della buonanotte...”
"Tentare di risvegliare il suo amore, è come gettarsi su un coltello affilato. Non puoi lamentarti se ne esci ferita, dopo."
DAL CAPITOLO 8, GUEST STAR -> ELENA, JEREMY GILBERT + MATT DONOVAN ^^
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prima

La voglia di conoscere la donna era presa forte mentre osservava i cieli di Parigi tingersi di viola scuro nell'alba sudicia e quasi piovosa. La preferiva a Londra per la qualità della vita, sebbene il clima non fosse granché, soprattutto nei mesi invernali.

Quella mattina, Nadia aveva soffiato via il fumo della Gitanes, dozzinale come il vestito che indossava, e si era appoggiata alla cornice della ringhiera ferrosa della mansarda parigina. Era in piedi da ore, il sonno sembrava abbandonarla con il trascorrere degli anni.

Giunta a metà della sigaretta, aveva lasciato cadere la cicca spenta sul marciapiede sottostante, sfiorando di poco un ciclista che pedalava nelle viette deserte, e si era avvicinata al letto dove Jean George dormiva profondamente. I capelli stavano diradandosi sulle tempie ed ingrigendo fra le ciocche biondastre. Nel bagliore bluastro della luce, la pelle appariva pallida, quasi malata. Nadia aveva raccolto i vestiti dell'ecclesiastico e li aveva sistemati su una sediola raccattata al mercatino dell'usato di Montmartre. Per finire, aveva deposto il collarino bianco sul comodino con gentilezza.

L'aveva incontrato in chiesa, durante una funzione religiosa. La madre adottiva l'aveva educata a credere in Gesù, a temere l'Inferno e ad essere caritatevole e giusta. Come tutte le brave bambine, Nadia aveva seguito i consigli materni: si era mantenuta pura, aveva digiunato in Quaresima, aiutato i più bisognosi, ed una sera si era ritrovata di fronte un uomo dall'aria impudica, nero di capelli e altrettanto d'occhi che parlava una lingua che stentava a comprendere, ma sembrava conoscere la verità dei suoi fausti natali.

Nadia aveva assorbito silenziosamente le parole del Viaggiatore, era tornata a casa fluttuando nei propri pensieri e giunta al cospetto della madre, intenta a pelare due striminzite patate per la cena, le aveva chiesto se era vero, se era stata adottata.

L'espressione sbigottita e sorpresa di Margaret era durata una frazione di secondo. Sebbene non avessero lo stesso sangue erano creature simili, entrambe prive di slancio affettivo. Non scambiarono molte parole neppure in quell'occasione. Nadia uscì di casa per andare a prendere l'acqua al pozzo e quando tornò, si accorse di essere arrabbiata. Si coricò, voltando la schiena al fuoco che andava morendo nel camino, restò un po' a fissare la parete grezza dell'abitazione e, quando il gufo cominciò a bubbolare, sgusciò via dall'abitazione e raggiunse il Viaggiatore che l'attendeva al confine del villaggio. L'uomo l'aveva rifornita di un mantello pesante per la notte e un coltello affilato. “Per iniziare” aveva detto.

Per... iniziare? Iniziare cosa? E dopo cosa sarebbe successo?

Ormai Nadia non ci pensava più tanto spesso. Non amava ricordare la solitudine degli anni, il rude affetto della donna che aveva tradito fuggendo nella notte come un ladro. Si muoveva fra Varsavia e Parigi, sempre via terra, scrutando pensosa le enormi macchine voltanti con i nomi delle compagnie aeree di tutta Europa, chiedendosi come sarebbe stato volare su uno di quei cosi. O che sensazione avrebbe provato cadendo. Certo sarebbe sopravvissuta... ma cosa avrebbe sentito?

La prima volta che aveva voluto qualcuno ferocemente, così forte da perdere il lume della ragione, era stato in chiesa dopo la funzione domenicale. Il sacerdote che si intratteneva a conversare con i fedeli e dispensava carezze ai bambini, era un giovane che andava appassendo nella propria maturità. Nadia era tornata molte volte, senza mai osare avvicinarsi alla comunione come gli altri fedeli, aveva spiato i suoi movimenti compassati e misurati, poi, stanca dei pensieri lascivi indirizzati ad un uomo di Dio, si era seduta agli ultimi banchi a pregare. A chiedere consiglio. Ad invocare la purezza della mente intorpidita dal desiderio carnale. Nella vita era stata accorta, poco incline alla lusinga, giusta. Avrebbe fatto la cosa giusta anche quella volta, aveva pensato chiudendo gli occhi e girando fra le dita la croce d'oro che pendeva fra i seni.

Quando l'uomo si era avvicinato per raccogliere i libricini delle preghiere, Nadia l'aveva fissato dritto negli occhi ed egli aveva smesso di muoversi, intontito da una forza superiore a quella del suo dio. Le labbra di Nadia si erano socchiuse, in preda allo sconcerto per la perdita del controllo mentale ed era scappata via, imponendogli di dimenticare.

Non sarebbe mai più tornata, aveva deciso aggirandosi per le viuzze strette del Quartiere Latino, spiando senza vedere bancarelle di fiori e negozi di formaggi dal sapore incantevole. La notte stessa era scesa a Pigalle in cerca di divertimento a poco prezzo. Aveva scrutato la folla elegante che accompagnava l'uscita di uno spettacolo del Moulin Rouge e aveva trovato quel che cercava.

Nadia aveva trascorso dieci notti in preda ai dubbi, prima di tornare a l'Eglise de la Madeleine, dove la statua di Maria Maddalena tendeva le braccia al cielo e un tripudio di angeli ne accompagnava l'ascesa tutto il giorno.

Si era confessata, aveva fatto la comunione e poi aveva atteso nascosta fino alla chiusura. Fino a che Padre George non aveva sbarrato il portone dall'interno, abbassato l'illuminazione delle candele artificiali ed inchinato all'altare in segno di sottomissione.

Dopo quella notte, per molte notti, Jean George si inchinò a lei....

Ma era giusto trattarlo così? Ingannarlo, compromettere la purezza del suo spirito e del corpo con gli assalti amorosi? Il dilemma etico le scavava le viscere, togliendole il sonno e l'appetito.

ma se non l'avesse fatto, non sarebbe mai stato suo

Nel momento stesso in cui Nadia si allungò al suo fianco e chiuse gli occhi, portando il braccio sinistro sotto la testa, l'idea di Katerina Petrova le riempì la mente. Esigeva spiegazioni per l'abbandono brutale. Si era fatta trasformare in vampiro per semplificare la ricerca (un'altra notte che avrebbe voluto dimenticare con tutte le sue forze, tanta era stata l'agonia dell'anima per la perdita dell'umanità e il dolore del trapasso) e non avrebbe lasciato che quella cagna la facesse franca ancora a lungo.

Dopo

Nadia ha viaggiato fino a New Orleans in stato catatonico. Ha scelto il treno per lo sferragliare basso e rassicurante delle rotaie che accarezzano veloci l'acciaio. Ha scelto il posto singolo per non essere disturbata, la febbre sta salendo e non ha molta pazienza con i seccatori e gli avventurieri.

Appena scesa alla stazione, New Orleans l'ha aggredita con la sua allegria, i colori e le orchestre di benvenuto che credeva esistessero solo nei film. Non ha idea di che faccia abbia Klaus Mikealson e non ha più molto tempo. Lo stato febbrile che le offusca la mente la rende debole e indifesa. Quando scorge un locale poco appariscente e dall'entrata quasi invisibile, decide che non è un posto per turisti. Forse, un posto da Klaus Mikealson.

Una volta dentro, Nadia si aggrappa alla prima sedia libera e si siede, ordinando un bourbon, gli occhi bassi, le mani abbandonate sulle cosce. Le vede muoversi al rallentatore. E' squassata dai brividi. Quando il bicchiere compare, i polpastrelli serpeggiano sul vetro bagnato. Il liquore è lava fusa in gola. Avrebbe dovuto ordinare un bicchiere d'acqua.

Stai bene?”

Nadia lecca le labbra aride ma non trae alcun giovamento. “Tu sai...” inizia facendo un sforzo enorme per parlare. “Sai dove posso trovare... mh...” Il braccio brucia da morire nel punto in cui Tyler l'ha morsa. Il veleno sta prendendo possesso delle ultime fibre muscolari che hanno resistito strenuamente alla battaglia. Quando giungerà al cuore, morirà.

Klaus Mikealson...” bisbiglia, stringendo l'avambraccio. “Gira da queste parti...”

La bionda la scruta, dubbiosa e restia a rispondere.

Nadia afferra la manica del giubbotto e la solleva, mostrando la cancrena che la corrode. “E'... urgente...”

La targhetta della donna scintilla improvvisa sotto la luce, rivelandone il nome. Camille.

E' stato lui a farti questo?!”

Sembra sconcertata, furiosa. Come se le avesse fatto un torto grave. Nadia scuote la testa, debole. “Allora... è qui?”

Camille esita, Nadia la guarda con occhi febbricitanti. “Per favore... è... urgente...”

Il braccio ferito scivola improvviso lungo il fianco, abbassando al contempo la spalla. Nadia si ritrova di colpo con la guancia premuta contro il bancone, sorda ai rumori del locale, cieca all'espressione terrorizzata della barista. Nessuno la tocca ma si forma un cerchio di esseri demoniaci attorno a lei. Si fa forza, tenta di combattere la paralisi muscolare. Non può andarsene senza aver impartito una lezione a sua madre. La bellissima e tracotante madre che l'ha lasciata morire nella chiesetta sconsacrata per correre dietro il grande amore.

***

Puoi aiutarla?”

Cami svita lentamente il tappo dello scotch e versa una dose standard di liquore nel bicchiere. Klaus fa una smorfia, mandando giù un sorso. Emana sentore di morte ma non è agli sgoccioli: Camille dovrebbe imparare a non disturbarlo per qualsiasi 'randagio' morso da un licantropo! “Potrei.”

Il punto non è se può salvarla o meno. Il punto è che vuole essere pregato. Cami si protende verso di lui e il movimento deve coglierlo di sorpresa, perché il vampiro tira indietro la testa e la guarda negli occhi.

Si prendono più mosche col miele che con l'aceto.”

Klaus umetta le labbra e posa il bicchierino, poco incline a lasciarsi convincere. “Ne catturi di più col letame, cara.”

Deve aggirare l'ostacolo della sua ostinazione solleticando l'orgoglio maschile. “Una bellissima donna chiede il tuo aiuto e questo è quel che ne riceve?”

Ad essere onesti, ne ha viste di migliori. Klaus alza meccanicamente le spalle.

Dio mi salvi il giorno in cui avrò bisogno di te.”

L'ha lasciata cadere all'improvviso, disturbando il suo stato di indifferenza. Klaus saetta lo sguardo dalla propria ordinazione alla barista. E' un modo come un altro per manovrarlo e convincerlo ad aiutare la straniera. Non inganna nessuno con la psicologia spicciola da giornalino del parrucchiere. “Mi aspettavo qualcosa di meglio” mormora sollevando Nadia per la giacca e scrollandola un po' per farla rinvenire.

Fa piano.”

Ora vuoi insegnarmi a trattare quelli come me?”

La domanda è uscita dura e arrabbiata. Camille vorrebbe dire qualcosa a proposito ma intuisce il suo stato d'animo e tace, appoggiandosi al bancone. E' paranoico, ricorda. Ha paura di essere manipolato e lei non ha fatto altro che pungolarlo per dieci minuti, senza mai dargli un attimo di respiro.

Il movimento sussultorio non l'ha percepito ma Nadia sente che qualcosa è cambiato. Un'ondata di freddo sale dalle gambe. Qualcuno la sta toccando e anche se non sente e non vede niente, solo una macchia di fronte agli occhi, cerca di interagire col suo soccorritore. “Mhrg...”

Non tacciono mai, pensa Klaus lacerandosi il polso e avvicinandolo alle labbra della donna. Neppure in punto di morte. “Fa che ne valga la pena.”

All'inizio, il sapore di sangue in bocca non lo percepisce. Ha la lingua felpata e il liquido è ghiaccio bollente che anestetizza le gengive. Col trascorrere dei secondi, i brividi si azzerano e una bomba di calore esplode in gola e nello stomaco, cancella l'intorpidimento del veleno, i muscoli si contraggono e le dita di Naia stringono feroci il braccio del vampiro.

Aria.

Vita.

Una voce sconosciuta sussurra che non ne serve troppo e Nadia si stacca, ubbidiente, con un gemito gutturale e soddisfatto. Il labbro inferiore struscia sulla pelle sottile del polso, si ricongiunge al superiore e la gola inghiotte l'ultimo sorso. Un altro gemito di godimento che testimonia la sazietà. I lineamenti si distendono, le occhiaie spariscono e la bellezza di Nadia rifulge nuovamente.

Camille ha preso le distanze fisiche dalla scena ma nella sua mente si sta svolgendo di nuovo il film. Sente il cuore battere nella gola, nelle tempie, perfino nei polpastrelli. Fissa il vampiro che sembra annoiato da tutto quel trambusto e quando incrocia il suo sguardo, Camille gira la testa e riprende a sistemare le bottiglie già ordinate, voltando le etichette in direzione frontale e agganciando i bicchieri nei supporti. L'imbarazzo non riesce a mandarlo giù.

Klaus lascia scivolare lo sguardo sul corpo della barista, sente la cascata di sangue che pompa dal cuore, la interpreta a modo suo e torna a concentrarsi sulla vampira sconosciuta che sta riacquistando il controllo. Ha qualcosa di famigliare. Forse un nome lo aiuterebbe a rimettere insieme i pezzi. “Come...”

Nadia gli ruba il bicchierino pieno, passa le mani nei capelli arruffati con aria altera e soffoca la domanda di Klaus con la propria voce. “Dov'è il bagno, dolcezza?”

In fondo a destra.”

La ragazza sconosciuta non l'ha guardato in faccia neppure una volta e l'ha trattato come l'ultimo dei servi. Va a far del bene!, pensa scocciato mentre l'occhiata profonda di Camille gli perfora la fronte. Ha fatto quel che chiedeva, che altro vuole?

Klaus abbandona lo sgabello portando via la bottiglia e si accomoda nel settore più nascosto del locale. Ha già cancellato la maleducazione di Nadia dalla propria mente. Ora pensa a Camille. Non riesce sempre ad interpretare i comportamenti della strizzacervelli e detesta il suo modo semplice e diretto di metterlo di fronte alle proprie mancanze senza caricarle di accuse. Lui è quel che è, e fa quello che fa per una ragione. Prima lo digerisce, meglio sarà per tutti.

Quando Nadia torna dal bagno e chiede informazioni alla barista su un eventuale rifugio per la notte, Klaus la osserva. Studia la postura, la flessuosità del corpo, i vestiti stazzonati, tenta di eliminare il superfluo e concentrarsi sull'essenza. Intravede una crocetta d'oro al collo e mugola infastidito. La religione l'ha sempre messo di cattivo umore. Come può credere a qualcosa che non si può vedere o toccare?

Posso sedermi?”

Nadia indica la parte del divanetto occupata volontariamente dalle gambe del vampiro. Klaus la lascia attendere qualche secondo. “Come si dice?”

Grazie” sussurra inclinando la testa con un sorriso ironico. “Passamela, ero certa di morire.”

Klaus raddrizza lievemente la schiena, spostando le gambe. Le donne fanno sempre quel che vogliono. Anche se le dicesse di andarsene, non obbedirebbe.

Così quello sarebbe il vampiro che fa tanta paura a sua madre? E' un ragazzo, avrà più o meno la sua età. Emana negatività ed è più diffidente di un gatto randagio. Nadia decide che non ha proprio nulla di spaventoso. “Io sono Nadia.”

Che altro vuoi da me, Nadia?”

Quanta immotivata ostilità! Credeva la esercitasse abbondantemente solo contro i nemici manifesti. “Intendo restare qualche giorno, devo chiedere il tuo permesso per nutrirmi?”

Gli piace il fatto che chieda il suo 'permesso'. Ce ne vorrebbero di più come lei. “Puoi morderli ma non puoi ucciderli. Il sindaco la prende male se decimiamo la popolazione turistica... non che mi interessi quel che dice quel vecchio pirata imbroglione...”

Nadia sorride, rallegrata dalla battuta, e afferra la parte inferiore della borsetta con entrambe le mani, portando i gomiti vicino al corpo. La catenella dorata finisce in mezzo ai seni, attirando lo sguardo del vampiro. Assecondare la propria natura sospettosa è quel che gli riesce meglio e in lei c'è qualcosa che ha già visto... “Tieniti lontano dal bayou. Pullula di lupi mannari.”

Cos'è un bayou?”

Non sei mai stata a New Orleans?” Klaus tamburella le dita sul tavolino, pensoso. “Ad essere onesti, tutta la città è invasa da quelle bestiacce pulciose.”

La donna sorride, mostrando fossette sulle guance che addolciscono i lineamenti spigolosi del viso.

Chi ti ha parlato di me?”

La donna che mi ha partorito.”

Un po' macabra come favola della buonanotte.”

Nadia serra le labbra e una tempesta d'odio la possiede in un istante. Se solo ripensa allo sguardo 'dispiaciuto' di Katherine mentre se ne stava distesa sulla panca della chiesuccia sconsacrata, in preda alla febbre... nessuna madre al mondo lascerebbe morire la propria figlia a quel modo! Nessuna madre degna di questo nome metterebbe la propria vita di fronte a quella di sua figlia!

Mi ha allevato una brava donna” sibila e afferra la bottiglia, tracannandone un buon sorso e bruciando tutto, lingua, gola e stomaco. Un modo come un altro per mascherare gli occhi umidi di rabbia e delusione.

Approfondire la conversazione con la straniera è una stravaganza inusuale che ha deciso di concedersi per ammazzare il tempo, ma la sua reazione l'ha genuinamente coinvolto. Klaus si accorge di trattenere il respiro. Lo fa sempre quando si parla di affetti famigliari.

Tentare di risvegliare il suo amore, è come gettarsi su un coltello affilato” sussurra Nadia fissando un punto inesistente del tavolo. “Non puoi lamentarti se ne esci ferita, dopo...”

A Klaus non piace il discorso. Gli tornano in mente gli umilianti soprusi patiti in passato. Un pallido muro di silenzio scende fra i due vampiri, poi Nadia allunga una mano e prende quella di Klaus, abbandonata con noncuranza accanto alla bottiglia. “Ti devo la vita, non lo dimenticherò” sussurra portandola alle labbra e deponendovi un bacio sopra. “Grazie.”

Klaus si accorge di avere le labbra socchiuse per lo stupore, l'espressione di un bambino che scopre l'esistenza di qualcosa di meraviglioso. La catenina d'oro rifulge alla luce. “Fa attenzione a chi pesti i piedi. Solo la prima volta è gratuita” mormora con voce roca. Stupido. Ecco come si sente. Manca poco che balbetti. “Hai capito?”

I suoi occhi sono azzurri. Le torna in mente Jean George. “Ho capito” sussurra spiando tutti i cambiamenti in atto nel suo corpo. Ha fatto qualcosa che l'ha turbato profondamente. “Tanto per sapere, la seconda volta quant'è?”

Klaus accartoccia una banconota e la lancia accanto alla bottiglia. Abbozza un sorriso complice e Nadia l'osserva mentre si dirige verso una donna dai capelli rossi. Dal desiderio con cui lei lo guarda e dal modo in cui lui l'afferra, capisce come andrà a finire. La nostalgia di Jean George non la lascia andare. Loro esistono solo dal tramonto all'alba... e solo se è lei a permetterlo.

  
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