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Autore: TheShippinator    06/04/2014    4 recensioni
C'è questo muro, alla NYADA, chiamato La Tela Bianca. Lì puoi essere te stesso, lì puoi scrivere, disegnare e raccontarti. Blaine non pensava che ne avrebbe mai avuto bisogno, finchè non si ritrova con un pennarello in mano ed una rosa davanti. Ancora di più, Blaine non pensava che qualcuno avrebbe deciso di trasformare quella rosa in un bouquet.
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Blaine, Sebastian e Thad sono amici e coinquilini, a New York; Kurt, Santana e Rachel anche. Blaine e Kurt non si conoscono ancora, ma Santana farà di tutto per far sì che questa lacuna, nelle loro vite, venga colmata.
• Pairings: Thadastian, Dantana, Klaine •
• Quattro capitoli, già completati •
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Santana Lopez, Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Blaine/Kurt, Sebastian/Thad
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Sono un po’ emozionata perché sto per presentarvi una nuova mini-long di tre capitoli, già tutti scritti, già completati. Ho avuto una folgorazione e l’ho semplicemente scritta! Potrà ricordarvi delle cose e ci sono citazioni piuttosto esplicite, al suo interno. Sappiate che sono tutte puramente volute, una sorta di mio omaggio alle opere originali (parlo sia di fanfiction che di telefilm). Ora.
Il rating giallo lo metto solo a causa del linguaggio. Ci sono dentro sia Sebastian che Santana, in questa ff, e siamo solo fortunati che sono riuscita ad attenermi al giallo, perché ragazzi, hanno di quelle boccacce, questi due… Spero che vi piaccia almeno quant’è piaciuto a me scriverla e spero davvero davvero davvero che non vi deluda!

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Vivere a New York era esattamente come Blaine aveva immaginato: perfetto.
New York era grande, piena di gente, di vita. Le regole delle città comuni non si potevano applicare al caos frenetico della Grande Mela: non si fermava mai, nemmeno di notte. Si era abituato presto ad addormentarsi con il sottofondo delle voci degli ubriaconi, nel locale sotto alla finestra di camera sua. Dall’altra parte della strada, poi, c’era anche un locale notturno, dal quale proveniva sempre un vago borbottio di musica pompata a tutto volume. Anche con le persiane chiuse, inoltre, era impossibile evitare che la luce penetrasse nella stanza perfino di notte. I neon e i cartelloni delle pubblicità erano sempre ben visibili, illuminati a giorno. Tutto sommato, però, erano quelle piccole cose che ti rendevano più forte. Essere abituato a dormire con la luce negli occhi ed il frastuono nelle orecchie, gli aveva fatto capire che c’erano limiti assurdi che poteva superare. Ora, per esempio, era certo che avrebbe potuto tranquillamente recuperare ore di sonno prezioso semplicemente appoggiando la testa sul banco, nell’Aula Studenti della NYADA.
La NYADA.
Frequentava quella scuola da alcuni mesi, ormai, e ne era affascinato almeno quanto lo era stato di New York stessa. I professori erano duri e pretenziosi, ma preparati. Lui era sempre stato sottoposto ad una certa dose di disciplina, grazie alla Dalton, quindi non era insolito, per lui, il peso delle responsabilità sulle spalle. I suoi orari, a volte, erano assurdi. Quando doveva prepararsi per qualche esame o esibizione, capitava anche che dovesse alzarsi alle cinque, per poter essere a scuola alle sei e mezza. Sebastian, uno dei suoi due coinquilini ed amico ormai di lunga data, non riusciva a capirlo. Perché alzarsi ogni mattina così presto, solo per andare a scuola e provare scale su scale per tutta la giornata? Blaine gli ricordava costantemente che alla Dalton anche lui aveva fatto parte del Glee, quindi sapeva esattamente perché Blaine lo facesse. Sebastian, per tutta risposta, sbuffava e gli diceva che, se fosse stato furbo come lui, avrebbe scelto, come professione, qualcosa che già sapeva fare perfettamente. Per esempio, Sebastian aveva vissuto per anni in Francia, visto che entrambi i suoi genitori avevano discendenze francesi, e parlava il francese come se fosse la sua prima lingua. Aveva deciso di diventare insegnante, solo perché sapeva che non avrebbe mai dovuto studiare per più di un paio di esami. Si godeva la vita, insomma.
Blaine, però, amava la sua scuola. Quello che amava di più, della sua scuola, era il supporto costante che comunicava ai suoi studenti a proposito delle arti. C’era un muro, alla NYADA, un muro completamente bianco e davvero, davvero grande, sul quale agli studenti era permesso di sfogare la loro vena artistica. Lo chiamavano “La Tela Bianca”, o più semplicemente “La Tela”. C’erano disegni davvero fatti bene, frasi di canzoni scritte qua e là, parole lasciate in un angolo, senza un apparente senso logico, ed anche intere poesie. Qualcuno aveva perfino disegnato un pentagramma e composto una piccola melodia. Una volta, aveva visto un ragazzo, con una chitarra in mano, fermarsi a suonarla. Lui non ci aveva mai scritto niente, perché non aveva mai trovato nulla che gli facesse sentire il bisogno di mettere per iscritto, ed in pubblico, i suoi sentimenti.
A Blaine non mancava niente -aveva la scuola, aveva degli amici, aveva la sua musica, la danza ed il canto- tranne una cosa: l’amore. Non che non avesse mai sperimentato l’intimità con qualcuno o che cosa volesse dire provare un fremito al petto, le classiche farfalle nello stomaco, no, quello l’aveva provato. Semplicemente, non era mai stato innamorato e non c’era nessuno, in quel momento, che potesse servire allo scopo. L’ultimo ragazzo con il quale si era frequentato, era stato il terzo che aveva conosciuto a New York. Con i primi due, secondo indicazioni di Sebastian, aveva passato un paio di magiche notti; con il terzo, invece, aveva provato a frequentarsi un po’ di più. Lui ed Eli avevano provato ad uscire insieme, e si erano anche abbastanza divertiti, ma dopo essere andati a letto, tutto era stato strano. Era a disagio a stare in sua compagnia e si vedeva che anche Eli non si trovava più bene come prima. Avrebbe tanto voluto che Eli gli piacesse davvero, perché sentiva che aveva bisogno di quelle che Sebastian chiamava le “coccole da femminuccia”.
Poteva prenderlo in giro quanto voleva, ma sapeva che anche lui adorava passare la serata acciambellato sul divano, abbracciato a Thad (suo ragazzo e secondo coinquilino), senza fare altro che restare stretto a lui guardando telefilm e talk show. Qualche volta, lui si univa a loro, quando proprio si sentiva così solo da aver voglia di mangiare gelato, ubriacarsi e piangere tutto contemporaneamente. Thad, allora, apriva le braccia, mentre Sebastian spostava la coperta e si faceva un po’ più in là.
Blaine si sedeva tra loro e si lasciava abbracciare, chiudeva gli occhi e si godeva il calore dei suoi due migliori amici e la sensazione che, tutto sommato, non era così solo come poteva credere.
Quel giorno, era uno di quei giorni.
Si era alzato alle cinque del mattino, per poter arrivare presto a scuola e scaldare la voce, in previsione di una lezione di canto particolarmente tosta. Il professore metteva volontariamente le prove al mattino presto, così che tutti si trovassero a dover litigare con almeno cinque ore di mutismo alle spalle. La voce non è mai al top, al mattino.
Come sempre, Sebastian si era svegliato mentre Blaine faceva colazione. Si era alzato per andare in bagno ed aveva attraversato il salotto, guardandolo mentre raccoglieva nel cucchiaio gli ultimi cereali rimasti sul fondo della ciotola.
«Perché mangi a quest’ora?» gli aveva chiesto la voce impastata e roca di Sebastian.
«Devo andare a scuola.» aveva risposto Blaine, soffocando uno sbadiglio.
«Sei pazzo.» aveva sentenziato Sebastian, grattandosi la pancia nuda e tirandosi un po’ su l’unico indumento che indossava, i pantaloni del pigiama. Non chiuse nemmeno la porta, fece semplicemente pipì, si lavò le mani, quindi tornò indietro.
Blaine si allontanò dalla piccola stanza che era la cucina, dirigendosi, come Sebastian, nella parte della casa dedicata alle camere da letto. La porta di fronte a quella della sua camera era aperta. Riuscì ad intravedere Thad, nudo ed addormentato a pancia in giù, con un lenzuolo che gli copriva a malapena i polpacci.
Scosse il capo, Blaine, sorridendo vagamente, mentre Sebastian s’infilava di nuovo nel letto.
«Vuoi i maccheroni al formaggio stasera?» domandò la voce impastata di Sebastian, facendo girare Blaine, che era già in procinto di entrare in camera a cambiarsi.
«Va bene. Vi porto su le donuts per la colazione?» chiese Blaine, inclinando il capo, mentre Sebastian si rigirava ed avvolgeva la vita di Thad con un braccio. Lo strinse a sé, sistemandosi a cucchiaio assieme a lui, senza preoccuparsi di coprire il ragazzo nudo con il lenzuolo.
«Mmmmh… ti amo…» borbottò di nuovo, e Blaine era particolarmente certo che non fosse riferito a Thad e che, invece, fosse un “sì” rivolto proprio a lui.
Si soffermò, silenziosamente, a guardare i due ragazzi abbracciati. Gli si stringeva un po’ il cuore, ogni volta. Era contento per loro e li amava come si amano due fratelli, ma non poteva fare a meno che essere geloso di quello che condividevano. Abbassò il capo, sospirò e tornò nella sua camera.
Una volta cambiato ed ingellato, Blaine si preoccupò di raggiungere lo Starbucks all’angolo, per prendere il suo caffè mattutino e le donuts per Sebastian e Thad.
«Buongiorno, Blaine!»
Il ragazzo, sorrise alla ragazza dietro al bancone. Santana era stata la prima che aveva conosciuto a New York, anche se sorprendentemente avevano scoperto di provenire più o meno dalla stessa contea, in Ohio. Santana viveva in uno degli appartamenti del palazzo di fronte a quello di Blaine, ma dallo stesso lato della strada. Entrambi i palazzi in cui abitavano i due, erano compresi nello stesso complesso di condomini, quindi era capitato spesso che lui e lei si ritrovassero a fare la strada insieme. Superato il portone, poi, lei andava a destra e lui a sinistra.
«Oggi è una di quelle giornate in cui ti svegli presto, quindi? Tu si che prendi sul serio la NYADA, non come quei due fannulloni dei miei coinquilini. Sono ancora a poltrire, a quest’ora. Non si alzeranno prima delle nove, di sicuro.» disse la ragazza, infilando già un paio di donuts in un sacchettino di carta.
«Lo è, già. Sono sicuro che anche loro la prendono seriamente. Magari non hanno semplicemente le lezioni che ho io.» rispose Blaine, afferrando il sacchetto. «Mi fai il mio caffè e passo a prenderlo dopo che ho portato queste su ai miei coinquilini, vero?»
Santana sollevò le sopracciglia, come sempre.
«Li vizi troppo.» commentò soltanto, prima di sollevare le iridi al soffitto ed iniziare ad armeggiare con la macchina del caffè americano.
«Ti adoro.» esclamò semplicemente Blaine, mentre usciva dalla porta del locale e faceva una corsa verso casa. Adorava Santana e sapeva quanti sforzi faceva, lei, per riuscire a restare a New York. La mattina lavorava da Starbucks, la sera in una tavola calda ad un paio di isolati da lì. Non esitava mai a lasciarle mance generose, visto che tanto lui aveva alle spalle un patrimonio piuttosto saldo.
Una volta lasciate le donuts sul tavolo della cucina, Blaine tornò da Starbucks, recuperò il suo caffè, pagò e salutò Santana, quindi si diresse alla NYADA. Le lezioni furono toste, come sempre. In effetti anche di più, perché le uniche persone con le quali aveva legato, a scuola, non seguivano gli stessi suoi corsi, quel giorno.
Ovunque si girasse, tutti se ne stavano in gruppo o in coppia, mentre nessuna delle altre persone che conosceva lui, quest’oggi, era lì. Attraversò il corridoio, diretto all’Aula Studenti per potersi mettere a ricopiare in bella scrittura gli appunti di Storia della Musica. Aveva già l’astuccio nella mano destra ed il quaderno per gli appunti nella sinistra. Svoltò l’angolo, raggiungendo la Tela Bianca, quindi si fermò. Il corridoio era vuoto, tranne che per un ragazzo decisamente alto ed una ragazza (che al confronto sembrava uno gnomo) fermi davanti alla porta di un’aula. Il ragazzo stava porgendo alla ragazza una singola rosa rossa e stava parlando a bassa voce. Lei l’afferrò, non appena lui smise di parlare, e, sorridendo imbarazzata, annuì nella sua direzione. Lui si portò la stessa mano alla nuca, scompigliandosi i capelli biondissimi in maniera molto goffa, quindi le aprì la porta e, insieme, l’attraversarono, richiudendosela alle spalle.
Blaine rimase lì, fermo ed immobile. Aveva appena assistito alla richiesta di un appuntamento? O magari quei due si erano appena messi insieme. No, non si erano baciati, impossibile.
Un forte dolore lo colpì al petto, quella terribile sensazione di solitudine lo trapassò come un proiettile sparato dritto nella pancia. Andava più o meno tutto bene, prima, ma è curioso come una semplice scenetta di trenta secondi, possa farti sentire peggio di un’intera giornata passata sotto la pioggia, con le scarpe bucate e senza l’ombrello. Respirò dal naso, tremante, quindi si guardò intorno. Aveva bisogno di qualcosa che lo distraesse, qualcosa che potesse fargli dimenticare quello che aveva appena visto. Oppure no.
Lo sguardo gli si posò sul muro bianco, sulla Tela. Forse non aveva bisogno di dimenticare le sensazioni che stava provando, forse aveva solo bisogno di buttarle fuori, in un modo o nell’altro. Di esternare i suoi sentimenti. Forse sarebbe servito, sì. Ma cosa poteva fare? Non scriveva poesie e non componeva né musica né testi. S’infilò il quaderno sottobraccio, quindi aprì l’astuccio e ne estrasse un pennarello verde scuro, indelebile. L’aveva usato per segnare sul muro della sua camera le misure del mobile che aveva comprato la settimana prima (non voleva rischiare di ritrovarsi con una cassettiera troppo piccola, meglio prevenire che curare), e da allora non l’aveva più utilizzato. Tolse il tappo e sollevò la mano, restando immobile con la punta del pennarello ad un paio di centimetri dal muro. L’odore penetrante dell’indelebile gli perforò le narici, riscuotendolo. Tutte le sensazioni, tutte le emozioni che aveva provato, le aveva provate a causa di quel fiore. Aveva odiato quel fiore, eppure un fiore è quella cosa che si regala a qualcuno a cui si tiene. Un fiore è una bella cosa, dovrebbe regalare emozioni positive, batticuori e sorrisi, non proiettili nel petto e lacrime di solitudine.
Sbatté le palpebre e, sorpreso, si ritrovò a fissare il disegno che aveva inconsciamente fatto sul muro. Era un singolo, semplice fiore, dalla corolla grande quasi quanto il suo pugno chiuso. Restò a fissarlo, come stupito, quindi richiuse il tappo e fece un passo indietro. C’erano poesie, c’erano frasi e c’erano stralci di canzoni qua e là, ma quel punto, là dove aveva disegnato lui, era vuoto. Il suo fiore se ne stava solo in un mare di bianco, circondato da frasi d’amore e poesie sull’amicizia e sull’arte. Proprio come lui, quel bel fiore se ne stava sulle sue, non perché nessuno lo volesse, ma semplicemente perché era diverso in mezzo ad un mare di emozioni tutte uguali. Un fiore non si può accompagnare ad una poesia d’amore, non un fiore nato per colpa della solitudine. Un fiore non si può accompagnare ad uno spartito, lo spartito è troppo pretenzioso, per un fiore così pieno di sentimenti contrastanti. Non può contenerne altri. No. Il suo fiore sarebbe rimasto lì, in attesa.
Blaine rimise il pennarello nell’astuccio, quindi si allontanò verso l’Aula Studenti.
Improvvisamente, stava molto meglio, come se tutta la sua tristezza fosse davvero rimasta su quel muro.



«Se state facendo cose sul tavolo della cucina, ho gli occhi chiusi ma non le orecchie tappate, quindi vi sarei molto grato se poteste evitare di dare spettacolo finché non mi sono chiuso in camera ed ho fatto partire il dvd del concerto di P!nk…» esclamò Blaine non appena varcata la soglia per proprio appartamento. Si affrettò a portarsi la mano di fianco agli occhi, per impedirsi la visione della cucina, dall’ingresso. L’ultima volta che Sebastian e Thad avevano cucinato i maccheroni al formaggio, li aveva trovati a darci dentro sul tavolo. Nonostante Thad avesse provato a coprirsi e a scendere, Sebastian aveva ignorato la presenza di Blaine ed aveva provato ad andare avanti. Blaine era semplicemente corso in camera sua urlando che non avrebbe mai più mangiato su quel tavolo.
Thad quella sera si era scusato -per il luogo che avevano scelto e perché Sebastian aveva provato a continuare- ed aveva dovuto portargli la cena in camera; più tardi, Blaine aveva costretto Sebastian a pulire tutto il tavolo, due volte, con il disinfettante. Lui era rimasto tutto il tempo a fissarlo, con le braccia incrociate, tentando di costringere la sua testa a sostituire quell’immagine con quella di lui che teneva Thad sdraiato sul tavolo, premendogli le mani sui fianchi e sulla schiena.
«Blaine… siamo vestiti e stiamo apparecchiando. Te lo giuro!» esclamò la voce di Thad, quindi Blaine si azzardò a lanciargli un’occhiata.
Quando si fu assicurato di essere in presenza di entrambi i suoi coinquilini vestiti e non eccitati, si decise a mollare la borsa vicino alla porta ed il cappotto su una sedia.
«Muoio di fame…» disse, annusando il profumo nell’aria.
«Hai il tempo di lavarti le mani. E grazie per le donuts!» esclamò Thad, scivolandogli di fianco per andare ad afferrare i guanti da forno e lasciandogli un veloce bacio sulla guancia nel mentre.
Dieci minuti più tardi, stavano tutti e tre soffiando con premura sulle loro forchettate di maccheroni e formaggio, per evitare di scottarsi come avevano già fatto al primo boccone.
«Oggi è stata… una di quelle giornate.» disse Blaine, infilandosi un paio di maccheroni in bocca, masticando con cautela. «Buonissimi, comunque, Sebastian.»
«Grazie.» sorrise Sebastian. «Una di quelle giornate, dici, in cui ti ricordi che hai lasciato le palle a Westerville e pensi di fartele spedire?»
«Sebastian…» disse Thad a bassa voce, lanciandogli un’occhiataccia.
«Dice così solo perché è convinto che le sue siano ancora al loro posto.» rispose Blaine, masticando.
«E perché, dove sarebbero, se no?» chiese Sebastian, sollevando un sopracciglio.
«Ce le ha Thad.» rispose semplicemente Blaine.
«Belle strette.» aggiunse Thad, aggrottando le sopracciglia, verso Sebastian.
«Mmmh, sembra interessante, dimmi di più…» rispose quello, socchiudendo le palpebre. S’infilò in bocca una forchettata di maccheroni e scivolò velocemente sul tavolo, sporgendosi verso Thad con il busto.
Blaine, ridendo, fece finta di alzarsi ed andare a mangiare in camera sua.

«Stasera c’è la seconda puntata di quel nuovo telefilm con i robot, lo guardiamo? Mi era piaciuto…» disse Thad, gettandosi sul divano di fianco a Sebastian, che se ne stava sdraiato con i piedi sul tavolino.
«Ma sì, dai… il robot non era male.» commentò semplicemente Sebastian, ridacchiando.
Blaine si asciugò le mani e mise a posto lo strofinaccio con il quale aveva appena asciugato l’ultimo piatto. Lanciò un’occhiata ai due ragazzi sul divano, quindi fece per andare verso la sua camera.
«Blaine!»
Si voltò, il ragazzo, quando la voce di Sebastian lo richiamò.
«Vuoi perderti la seconda puntata di “Sono nero, figo e non mi stanco dopo il primo round perché sono un robot”? Vieni qui, dai…» borbottò di nuovo Sebastian, facendogli un cenno con il capo, indicando un punto tra lui e Thad.
«Sì, e porta qui il pouf e la coperta.» aggiunse, appunto, l’ispanico, sollevando le gambe.
Blaine sospirò e sorrise lievemente.
«Dite la verità, volete che venga lì solo perché sono una stufa ed avete freddo.» rispose Blaine, ben conscio che no, questo non fosse vero.
Si erano accorti entrambi di quanto fosse giù di morale il ragazzo e sapevano che, uno dei pochi modi che avevano per aiutarlo, era farlo sentire amato. E loro lo amavano, davvero.
Thad e Blaine si conoscevano dal primo anno del liceo, Sebastian si era trasferito lì al secondo. Avevano frequentato la Dalton assieme ed avevano fatto tutti parte del Glee Club. Sebastian ci aveva provato per mesi con Blaine, che, però, non aveva mai ceduto. Ai tempi, Sebastian era uno spirito libero e Blaine non era interessato alle storie usa e getta. Lui e Thad non si erano messi insieme fino al Natale dell’ultimo anno. Non si era capito come, ma Thad era riuscito a raffreddare i suoi bollenti spiriti e a metterlo in riga. Sebastian era cambiato tantissimo, nessuno si sarebbe mai immaginato di vederlo sdraiato su un divano, accoccolato a qualcuno, senza la minima intenzione di portarselo a fare ginnastica orizzontale dopo una decina di minuti.
Blaine si avvicinò al pouf rettangolare e lo spinse, con il ginocchio, fino a sistemarlo tra divano e tavolino. Thad e Sebastian sistemarono lì sopra le loro gambe, proprio mentre Blaine, con la coperta in mano, si arrampicava fino ad arrivare a sedersi in mezzo ai due. Stese a sua volta le gambe sul pouf e la coperta su tutti e tre. Sebastian non ci mise che mezzo secondo a posargli la testa sulla spalla ed intrecciare le dita con le sue. Thad gli si accoccolò di fianco e Blaine gli avvolse le spalle con un braccio.
«Tutto questo è decisamente troppo gay anche per me, comunque.» borbottò alla fine Sebastian, proprio mentre iniziava il telefilm.
«Disse quello che sta praticamente facendo le fusa.» rispose Blaine, stringendogli la mano ed ottenendo, in risposta, il pollice di Sebastian che strofinava placidamente sul dorso della sua.
«Ah-ah, divertente Miss Bel Culo Con Le Ragnatele. Parlavo del telefilm.» ribatté Sebastian, facendo sollevare le sopracciglia a Blaine.
«Oh.» disse lui, aspettando circa un altro minuto, prima di continuare. «Sì, hai ragione, è troppo gay.»
«Decisamente gay.» convenne Thad.
«Mi farei il robot.» disse nuovamente Blaine.
«In verticale, orizzontale e diagonale?» chiese Thad, ridacchiando.
«Ma sì, una bella botta in amicizia!» concluse Sebastian, facendo scoppiare a ridere tutti.

Non era insolito, per lui, Sebastian e Thad, addormentarsi sul divano. Come sapeva che si erano addormentati sul divano? Beh, semplice. Era stato svegliato dall’esuberante sigla di un vecchio telefilm, visto che la tv era ancora accesa, ed inoltre non riusciva a muovere il collo senza provare la sensazione che qualcuno glielo stesse tirando dall’altra parte. Sentiva anche l’incredibile bisogno di stiracchiare le gambe e gli faceva male la spalla. Spense, per prima cosa, la televisione, quindi si voltò verso la finestra.
La luce era di un morbido arancione, segno che, probabilmente, era l’alba. Quel giorno non doveva nemmeno svegliarsi così presto, che sfortuna! Durante la notte, Sebastian l’aveva abbracciato (aveva questo terribile bisogno di abbracciare qualcosa, quando dormiva, e Blaine lo sapeva: gli aveva fatto giurare di non dire mai a nessuno che portava a letto con sé un vecchio orsacchiotto, alla Dalton, se non aveva un ragazzo da poter sfruttare), mentre Thad aveva sovrapposto una gamba alle sue.
Cercando di non svegliare nessuno dei due, Blaine si divincolò dalla loro presa e scivolò via dal divano. Subito, Sebastian si rigirò alla ricerca di una posizione più comoda. Aprì le palpebre, confuso, e si avvicinò di più a Thad. Blaine si diresse verso la propria camera, lasciandosi cadere sul letto freddo, da solo, tornando a ronfare.
Due ore dopo, la sveglia sul suo cellulare -dimenticato in salotto- iniziò insistentemente a suonare. Non fu quella, però, a costringerlo ad alzarsi, bensì Thad e Sebastian.
«Blaine, la tua stupida sveglia ci ha svegliati!» esclamò Thad, aprendo la porta della sua stanza e lanciandogli contro uno dei cuscini del divano. Blaine nemmeno reagì, quando l’oggetto lo colpì al polpaccio e rimbalzò verso il muro, cadendo, poi, sul materasso alla sua destra.
«And you’re gonna heeear me rooooar!!» cantò Sebastian, tenendo stretto tra le mani il cellulare di Blaine ed entrando nella sua stanza. «Louder! LOUDER THAN A LIIIION! ‘Cause IIII am a chaaaampion! And you’re gonna heeear me roooooar-oh-oh-oh-oh-ooooh!!!»
Si buttò letteralmente a peso morto su Blaine e sul suo letto, sedendosi sulle sue gambe ed afferrando, con una mano, lo stesso cuscino che Thad gli aveva lanciato prima. A tempo di musica, iniziò poi a sbatterglielo proprio sul sedere.
«Oddio, Sebastian, smettila!» esclamò Blaine, indeciso tra l’insultarlo e lo scoppiare a ridere.
Cercò di sfuggire alla sua presa, ma fu quasi impossibile.
«Sono sveglio, guarda!»
«No, lo so, è che non vorrei che ti dimenticassi cosa si prova, quindi ti do una mano!» esclamò Sebastian, dandogli una cuscinata più forte delle precedenti.
«AH! Sebastian! Quando mai avrei detto che sono passivo??» sussultò Blaine, sgusciando poi via dalle sue grinfie, schivando Thad e facendo partire un inseguimento, per tutto l’appartamento, sotto alle note di Roar di Katy Perry.
Non seppe nemmeno lui come fece ad uscire in orario, quella mattina. Forse il motivo era che la giornata era iniziata… bene? Era sorridente, era allegro. A lezione, la July non gli aveva corretto nemmeno un movimento, cosa che l’aveva particolarmente reso felice. Stava proprio tornando indietro dalla sua Aula di Ballo con lo stomaco brontolante per la fame, passando davanti alla Tela, quando lo vide.
Il suo fiore, quello che aveva disegnato il giorno prima con il pennarello verde.
Il suo fiore, non era più solo.

«E tu che cosa ci fai qui, così triste in mezzo al niente?»
Kurt Hummel conosceva ogni centimetro della Tela. Adorava camminare lentamente e leggere le varie dichiarazioni, i vari sfoghi, canticchiare le melodie che talvolta qualcuno vi scriveva sopra. Riusciva a riconoscere una frase aggiunta da poco solo dando un’occhiata sommaria alla parete. Vi aveva anche scritto sopra, una volta, assieme a Rachel. Rachel che, per l’appunto, lo stava tirando per una manica.
«Kurt, dai, è solo un fiore. Faremo tardi dalla Tibideaux…» mormorò la ragazza, preoccupata.
Kurt le lanciò un’occhiata ed aggrottò le sopracciglia.
«Ma se siamo usciti mezz’ora prima dalla lezione di Recitazione perché il professore si è preso un’intossicazione alimentare…» rispose il ragazzo, liberando il braccio dalla presa di Rachel.
«Speravo di riuscire ad arrivare prima per parlare con lei dell’esibizione di fine anno!» piagnucolò la ragazza, nuovamente.
«Vai avanti, allora, io arrivo subito…» rispose ancora Kurt, tornando a voltarsi verso il fiore. Sentì Rachel sbuffare, girare i tacchi ed affrettarsi verso l’aula della Tibideaux. Mancavano ancora venti minuti alla pausa pranzo, tutti gli altri studenti erano ancora chiusi nelle varie classi ed il corridoio era vuoto. Kurt era riuscito a trovare due nuove poesie, all’angolo del muro, ma quel fiore spiccava nella moltitudine di scritte nere. Innanzitutto, non era una scritta, ma era un disegno, che non era proibito, ma era insolito. Poi era verde, un bel verde scuro, ed era solo in mezzo alla parete bianca.
«Nessuno dovrebbe stare, da solo, nemmeno un fiore.» commentò semplicemente il ragazzo, posando la propria tracolla a terra ed estraendole un piccolo astuccio nero. Il pennarello che ne tirò fuori, era un indelebile rosso che Kurt aveva comprato per decorare, in maniera poco ortodossa, uno dei muri della sua camera. Prendendo spunto dalla Tela Bianca, aveva infatti deciso di dedicare una porzione della parete a frasi o citazioni per lui piuttosto importanti, ma che non voleva necessariamente condividere con il mondo. Senza pensarci troppo su, iniziò a disegnare intorno a quel fiore solitario. Disegnò altri fiori, tutti diversi, ma tutti dotati di uno stelo. Gli steli andavano a congiungersi in un unico punto, ovvero quello in cui finiva lo stelo della prima rosa solitaria e verde. Quel fiore, adesso, non era più solo, ma circondato da una moltitudine di fiori rossi, tutti uniti in quel singolo punto, a formare un mazzo.
Soddisfatto, Kurt rimise il tappo al pennarello, lo sistemò di nuovo nell’astuccio, quindi si mise la tracolla in spalla e s’incamminò dietro a Rachel. Sentiva di aver fatto una buona azione.



Kurt Hummel aveva avuto una vita complicata, una vita alla quale non gli piaceva particolarmente pensare. Il Glee Club che aveva frequentato al liceo, comunque, l’aveva aiutato molto.
Non è facile, essere gay, quando vivi in un paesino di poche anime, dove tutti conoscono tutti. O quasi.
Aveva fatto il conto alla rovescia sin dal primo anno di liceo, per sapere quanto tempo sarebbe dovuto passare prima di poter mettere piede in un aeroporto ed andare a vivere a New York. Fortunatamente, non era stato il solo ad avere l’ambizione di levare le tende. Rachel e Santana l’avevano seguito e da allora vivevano insieme. Lavoravano anche insieme, in una tavola calda, ma Santana era quella più impegnata di tutti. Usciva di meno, sgobbava di più. Kurt sapeva che la ragazza ce la stava mettendo tutta per essere indipendente e la stimava molto. Si sentiva in colpa, a volte, quando tornava a casa e la trovava addormentata sul divano con ancora il piatto del pranzo sulle ginocchia. Le levava il piatto dalle mani, la copriva e si appuntava mentalmente di svegliarla dopo un paio d’ore per non farle perdere il turno al lavoro.
L’unica cosa che Santana aveva, più di lui, era la ragazza. Dani era una delle loro colleghe cameriere e Kurt l’adorava. Avrebbe dato di tutto, per poter avere un ragazzo che fosse come Dani. Per ora, tutto quello che faceva era uscire con Adam, il leader del Glee Club della NYADA. Tra loro non era ancora successo nulla. Uscivano e si divertivano come amici, anche se era chiaro che Adam fosse interessato a lui. Kurt, invece, non era certo che Adam fosse quello giusto, e questa sensazione lo frenava continuamente dal lasciarsi andare.
Kurt era una persona romantica, amava i grandi gesti teatrali, le lettere d’amore ed i bigliettini nei mazzi di fiori. Gli piaceva essere corteggiato e sapere che qualcuno lo trovasse degno del proprio affetto, ma al contempo tutto questo lo spaventava: aveva sempre la sensazione che tutti pretendessero troppo, da lui. Per questo, si era concentrato sulla NYADA, sui suoi studi. Se l’idea di intraprendere una relazione lo spaventava così tanto, l’unica cosa rimasta da fare era concentrarsi sull’unica persona che avrebbe dovuto sopportare per tutta la vita: sé stesso.
Ormai, New York era diventata casa sua e lui l’amava. La cosa che gli piaceva più di tutte, era l’accoccolarsi sul divano, la sera, e lasciare che la consapevolezza di avercela fatta, a lasciare Lima, gli percorresse tutto il corpo, dalla testa ai piedi.
Certe volte non riusciva a convincersi, certe altre, invece, la realizzazione di vivere con le sue due migliori amiche in una delle città più belle del mondo era così forte, così shoccante, che doveva prendersi un paio di minuti per provare a rallentare il suo battito cardiaco. Mai nessuna sensazione al mondo sarebbe stata migliore di quella, del sapere di avercela fatta e di aver superato tutta la merda che la vita gli aveva lanciato contro, nel tentativo di farlo affondare ed arrendere.
Ma Kurt Hummel non si era arreso. Kurt Hummel studiava, Kurt Hummel sarebbe diventato un grande cantante di Broadway.
«Alla fine cosa ti ha detto la Tibideaux?» chiese il ragazzo, sistemandosi meglio sul divano, con in mano un piatto colmo di Shepherd’s Pie vegetariana.
Rachel si sedette sulla poltrona, alla sua destra, infilzando la forchetta nella sua porzione, per poi portarla alla bocca.
«Oh, non sono molto preoccupata. Ha detto che, se tutto va bene, noi del secondo anno dovremmo esibirci tutti quanti. Forse, non lascerà cantare quello alto e biondo e la ragazza con il piercing al naso. Ti ricordi che li ha beccati a bisbigliare, la scorsa settimana? Beh, a quanto pare stanno insieme, adesso, e alla Tibideaux non va giù che si rimorchi durante le sue lezioni.» spiegò Rachel, masticando.
«Mh, dici quella che ieri girava con una camelia in mano?» domandò Kurt, riempiendosi la bocca a sua volta.
«Era una rosa.» lo corresse Rachel, voltandosi verso la porta del loro appartamento, che si stava aprendo.
«Sembrava una camelia…» borbottò Kurt, voltandosi a sua volta. «Bentornata, Santana! A proposito di rose…»
«Già, a proposito di rose: mi spieghi cosa c’era di così interessante in quel disegno sul muro?» domandò Rachel, sollevando un sopracciglio. Probabilmente, la irritava ancora il fatto che Kurt l’avesse messa in secondo piano.
«Prima di tutto, è la Tela Bianca, non un muro. Secondo, mi metteva tristezza vedere quella rosa lì da sola, così ho disegnato un bouquet tutto intorno.» affermò orgoglioso Kurt, lasciandosi andare ad un mezzo sorrisino.
«Sono indiscreta se chiedo di che diavolo state parlando?» domandò Santana, gettandosi sul divano di fianco a Kurt, munita anche lei di un piatto stracolmo di sformato.
«Della Tela della NYADA. Kurt ha disegnato qualcosa vicino al disegno di qualcun altro.» spiegò Rachel, tornando poi a mangiare.
«Wow, sono impressionata, Porcellana. Potrebbe essere la cosa più vicina al sesso occasionale che tu abbia mai fatto da quando ti conosco. O al sesso in generale.» sorrise Santana, infilandosi orgogliosamente una forchettata di Shepherd’s Pie in bocca.
«Santana, per la millesima volta, io non sono vergine. E poi, ho solo voluto sottolineare che nessuno al mondo dovrebbe stare da solo. Nemmeno un fiore su un muro.» spiegò Kurt, sospirando.
«Non è un muro, Kurt, è la Tela Bianca!» gli fece il verso Rachel, sollevando le sopracciglia.
«Oh, falla finita…» rispose il ragazzo, con un mezzo sorriso.
«A proposito di non essere vergine, stamattina il mio amico della Terra di Mezzo non si è fatto vedere, sai, Kurt?» disse Santana, al ragazzo, a bocca piena.
«E dovrebbe interessarmi perché…?» chiese Kurt, con un sopracciglio sollevato.
«Perché te l’ho detto mille volte di venire anche tu a prendere qualcosa da me, la mattina. Ormai i suoi orari li conosco, potrei dirti quando venire e te lo presenterei. Ti piacerebbe, te lo assicuro!» insisté Santana.
Sin da quando aveva preso a lavorare da Starbucks, Santana parlava di questo fantomatico Hobbit della Terra di Mezzo. A quanto pareva, era un ragazzo che abitava da quelle parti e frequentava addirittura la loro scuola. Kurt era certo di non averlo mai incontrato: si sarebbe accorto di non avere davanti un essere umano normale, no? Quale tipo di ragazzo poteva stare simpatico, a Santana?
Considerando che prima di capire di essere lesbica, lei usciva con uno dei “duri” della scuola, Kurt immaginava in maniera fervida quale sarebbe potuto essere l’aspetto dello Hobbit: capigliatura strana, giacca di pelle, jeans sdruciti, stivali da motociclista, filtrino in bocca, cartina dietro l’orecchio e dita infilate in una confezione di tabacco.
Scosse il capo, Kurt, leccandosi le labbra e mettendosi in bocca altro pasticcio.
«Non se ne parla, Santana, non ho intenzione di uscire con uno dei tuoi motociclisti con l’aria da macho.» rispose deciso Kurt.
Santana sollevò gli occhi al cielo, masticando e rispondendo con ancora la bocca piena.
«Perché non puoi semplicemente fidarti di me, per una volta?» esclamò lei, posando il piatto sul tavolino ed allungandosi, per fare lo stesso con quello di Kurt.
«La mia Shepherd’s Pie…» mormorò Kurt, cercando di riacchiapparlo, senza riuscirci, perché Santana intercettò le sue mani e lo costrinse ad alzarsi.
«Vieni. Zitto e vieni, Lady Hummel.» ordinò imperiosa, trascinandolo fino alla finestra. Scostò le tende ed restò a scrutare il palazzo di fronte al loro, quindi indicò una finestra. Era spostata un po’ sulla sinistra, ma era al loro stesso piano.
«Vedi quell’appartamento? Lo Hobbit abita lì. Adesso, sarà sicuramente a casa… Ecco, vedi? Lo vedi? È lui!» esclamò Santana, indicando con veemenza la stessa finestra, alla quale erano appena comparse due persone. Una era decisamente altra, l’altra, al confronto, era… beh, uno Hobbit.
Kurt restò a guardare. Non che si riuscisse a vedere bene, da quella distanza, ma sembrava che fossero entrambi abbastanza carini.
«Santana, non vedi che è in compagnia? È chiaramente il suo ragazzo. E poi, come fai a sapere che abita lì? Hai detto che non siete mai usciti.» borbottò Kurt, sollevando le iridi al cielo.
«Sbagliato! Vive con una coppia. Non li ho mai visti, ma porta loro le donuts per colazione, ogni volta che viene a prendere il caffè. Comunque, è ovvio che l’ho seguito, una volta. Mi annoiavo e, in più, è sempre meglio sapere quante più cose si può, dei propri quasi amici.» affermò la ragazza, orgogliosamente, incrociando le braccia al petto.
Kurt tornò a guardare la finestra. I due sembrava stessero prodigandosi in qualche lavoro domestico. Forse stavano lavando i piatti.
«Dolce…» sussurrò semplicemente Kurt, sorridendo. Sì, beh, era un gesto dolce, no? Portare la brioche alla mattina ai tuoi amici, per colazione.
«Non sarebbe male, trovare delle donuts sul tavolo, per colazione, ogni tanto. Dovresti prendere esempio, Santana!» suggerì quasi soprappensiero Rachel, mentre riponeva il proprio piatto, già lavato ed asciugato, nella credenza e si dirigeva verso la propria camera.
«Gli chiederai di uscire??» domandò spazientita Santana, lasciando scivolare le braccia fino ai fianchi ed ignorando i commenti dell’amica.
«Quella finestra dà su camera mia?» domandò Kurt, cercando di sporgersi, accorgendosi all’improvviso che una delle finestre dell’appartamento di fronte, dava proprio su quella della sua camera.
«Eee… cambia pure argomento.»
Santana sollevò le mani in aria, per poi tornarsene sul divano e riprendere il proprio piatto.

«Fammi capire… quindi hai disegnato un fiore sul muro.»
«Era una rosa, sì.»
«E prima di pranzo, hai visto che qualcuno ci ha disegnato intorno un bouquet?»
«Precisamente.»
«Quindi, ripetimi cos’hai fatto e passami il detersivo, l’ho finito.»
Blaine si abbassò, aprendo un piccolo mobiletto e frugando al suo interno. Schivò il flacone del detergente per le superfici della cucina e prese una confezione di detersivo per piatti. Si sollevò di nuovo, porgendolo a Sebastian e mettendo da parte quella vuota.
«Io ho… disegnato un uomo con in mano il mazzo di fiori.» disse Blaine, aspettando che Sebastian gli passasse il piatto che stava lavando, tendendo già lo strofinaccio umido.
«Okay, davvero, non pensavo la NYADA potesse diventare più patetica, ma ehi, c’è riuscita!» esclamò Sebastian, posando il piatto pulito in mano a Blaine.
«E piantala! La mia è una scuola di tutto rispetto!»
«Vi fanno disegnare sui muri!»
«Si chiama Tela Bianca
«È un fottuto muro, Blaine, e tu ci hai disegnato sopra un fiore e qualcuno ti ha anche risposto! A quando le nozze?»
Blaine scosse il capo.
«Sebastian, non te ne ho parlato perché tu mi prendessi in giro. Volevo un consiglio, da te…» spiegò Blaine, sistemando il piatto asciutto nella credenza sopra al lavandino.
Sebastian rimase in silenzio qualche istante, strofinando con attenzione una pentola, quindi scosse la testa.
«No, davvero, scusa Blaine, ma mi sembra una cosa idiota… cosa pensi di ottenere, scambiandoti disegnini sui muri con qualcuno che non conosci?» domandò Sebastian, e Blaine rimase in silenzio.
«Non è come quando chatti al buio con qualcuno, su internet? Perché in quel caso non è strano, ma se lo faccio disegnando su un muro lo è?» domandò alla fine, sbuffando e spostando il peso del corpo da destra a sinistra.
«Sono due cose diverse, su internet puoi sempre chiedere una foto, fare una chiamata con Skype, cose così… puoi vedere o sentire la persona che hai davanti!» disse Sebastian, facendo spallucce e risciacquando la pentola sotto l’acqua corrente. Blaine si voltò un po’, per proteggersi il volto dagli schizzi.
«Beh, magari potrei beccarlo mentre sta disegnando, no?» disse Blaine, sinceramente speranzoso.
«Non sapresti nemmeno se è stato lui a disegnare intorno alla rosa. E magari è un cesso.» rispose Sebastian, passandogli la pentola, che Blaine iniziò ad asciugare con meticolosità.
«Perché sei così sicuro che disegnerà ancora?» domandò Thad, arrivando dietro ai due, intento a strofinarsi i capelli bagnati con un asciugamano.
«Non lo so, è una… sensazione. L’ho praticamente invitato a farlo, no? Un uomo che porge un mazzo di fiori… è quello che si fa quando si vuole invitare qualcuno a fare qualcosa, giusto?» rispose Blaine, facendo spallucce.
Thad dondolò piano il capo, pensieroso.
«Non lo so, Blaine… se non rispondesse più, non ci rimanere male, okay? Dovresti cominciare a guardarti attorno in maniera più seria, non fissarti su fantasie romantiche che potrebbero non avverarsi.»
Blaine sapeva che i suoi due amici parlavano in quel modo solo perché tenevano a lui e volevano evitare che ci stesse male, ma era fiducioso. Sapeva che, chiunque fosse stato a disegnare, avrebbe continuato.
«Blaine…»
Il ragazzo sollevò il viso, richiamato dalla voce di Sebastian. Sollevò le sopracciglia, invitandolo a parlare. Lo stava guardando in maniera concentrata e pensierosa.
«Come sai che non è una ragazza?» domandò, alla fine. Blaine sbatté le palpebre, sinceramente preso in contropiede. Non aveva pensato all’eventualità che potesse essere stata una ragazza a disegnare. Avrebbe dovuto trovare il modo di scoprirlo.
«Beh… beh, in quel caso potrebbe nascere una buona amicizia, no?» rispose, semplicemente, sentendo una lieve e familiare morsa stringergli lo stomaco. «Se abbiamo finito con i piatti, andrei anche io a farmi la doccia.»
Sebastian annuì e tolse il tappo al lavandino. Si lavò le mani e se le asciugò.
«Sebastian, cosa facciamo con Blaine?» domandò Thad, sospirando.
«Non lo so…» rispose semplicemente l’altro, appoggiandosi al lavandino, demoralizzato.

Era presto, era molto presto, ma Kurt era già a scuola quel giorno. Aveva un bel po’ di lavoro arretrato, per Storia del Teatro Moderno, ed aveva bisogno di portarsi avanti quando sapeva che nessun altro, in biblioteca, avrebbe potuto rubargli i libri che gli servivano. Non sapeva che cosa l’aveva portato a deviare e a fare un’altra strada, rispetto alla solita, per raggiungere la sua meta. Forse, semplicemente, era stata la curiosità. Aveva deciso di passare davanti alla Tela, e quello che vi aveva trovato l’aveva sorpreso moltissimo.
Il giorno prima, non era più dovuto passarci davanti, quindi non aveva più guardato quel disegno. Ora, invece, aveva volontariamente deciso di andare a vedere se qualcuno avesse scritto altre poesie, canzoni o melodie. Inutile dire che non controllò nessuna di queste cose. L’unica cosa che vide, fu che probabilmente la persona che aveva disegnato la rosa era tornata ed aveva visto il suo bouquet.
«Santana.» disse Kurt, non appena l’amica rispose, al telefono. Era molto presto, ma sapeva che la ragazza avrebbe comunque dovuto alzarsi a causa del turno mattutino da Starbucks.
«”Non ora, Kurt, sono in ritardo!”» esclamò lei, anche forse un pochino lontana dal ricevitore. C’era un’acustica strana.
«Non stai di nuovo rispondendo mentre sei in bagno, vero?» chiese Kurt, mettendo da parte per un attimo i suoi problemi. Il suono dello sciacquone del water rispose per lei.
«”Hai il solito meraviglioso tempismo e mi chiami sempre quando devo fare pipì, Lady Hummel, che posso dirti?”» rispose Santana, mentre il rumore veloce del rubinetto aperto gli faceva intendere che stesse per lavarsi i denti.
«Senti, ha risposto.» tagliò corto Kurt, scuotendo piano il capo.
«”Chi?”» rispose Santana, con voce strana, forse con lo spazzolino in bocca.
«La persona del muro! Ha disegnato… un uomo! Con in mano il mio mazzo di fiori!» esclamò Kurt, avvicinandosi al muro e guardando le linee verde scuro tracciate sull’intonaco bianco.
«”… usate protezioni?”»
«Santana!»
Kurt arricciò il naso, quando la sentì sputare il dentifricio.
«”Senti, cosa vuoi che ti dica? Congratulazioni? Lo sai che cosa penso io: dovresti trovarti un -non avrei mai pensato di dirlo- cazzo vero. Devi trovarti un uomo con cui uscire, non uno disegnato su una parete…”» continuò Santana, con voce impastata. L’acqua scorse di nuovo e s’intromise un’altra voce.
«”Ho sentito bene? Hanno disegnato ancora??”»
Era chiaramente Rachel, che pretendeva il suo turno in bagno.
«”Berry, vattene, ci sono io qui!”»
«Eddai, ragazze…» mormorò Kurt, sospirando.
«”Oh, ti stai solo lavando i denti! Kurt, disegna qualcosa, mettiti in un angolo ed aspetta che arrivi, no? Verrà a ricontrollare!”» esclamò Rachel.
«”Scrivigli il tuo numero sulla parete ed aspetta che ti chiami!”» esclamò Santana, da molto vicino.
«Non sono una prostituta, Santana!!» esclamò Kurt, scandalizzato, anche se nessuna delle due sembrava dargli ascolto.
«”Ehi, dove vai?!”» disse nuovamente la voce di Rachel, che si stava allontanando.
«”È il mio cellulare, Berry, e sono in ritardo!”»
Kurt udì un piccolo click, quindi solo silenzio. Allontanò il cellulare dall’orecchio e fissò lo schermo.
Gli avevano appeso senza nemmeno salutarlo?
«Ma che due brutte…» strinse le labbra, Kurt, sbuffando come un toro ed infilando di nuovo il cellulare nella tasca. Tornò a fissare il disegno, con più attenzione.



Era un omino molto semplice, era chiaro che chi l’aveva disegnato non era un grande maestro. Non c’erano dita, ma solo una mano abbozzata. L’omino era girato di profilo, stava alla sua destra, ma gli dava il fianco sinistro; anche la mano che stringeva i fiori era la sinistra. Non aveva alcun tratto facciale, solo una piccola protuberanza un po’ a punta che, probabilmente, stava a simboleggiare il naso.
Perché era stato disegnato, quell’omino? A chi stava offrendo quei fiori?
Kurt sussultò, dopo qualche minuto passato a pensarci. A lui. Quei fiori erano per lui. Davvero?
Sbatté le palpebre, abbozzando un sorriso. Qualcuno gli aveva offerto dei fiori e, stando al fatto che non c’era una ragazza che accoglieva il bouquet che lui aveva disegnato, lì, ma un uomo che li offriva, la speranza era quella di avere davanti un maschio. Non che la cosa avesse avuto importanza, nel momento in cui aveva deciso di disegnare quei fiori intorno alla rosa, ma di certo sarebbe stato comico dirlo a Santana. Riusciva già a sentirla: “Non ci credo, come hai fatto a trovare l’unico altro gay così teatrale da essere da palcoscenico, a New York, disegnando su un muro??”.
Ciononostante, non poteva esserne certo. Guardò per un istante il disegno sul muro, quindi si morse il labbro inferiore e ricominciò, lentamente, a camminare.
Non poteva accettare quei fiori, era troppo strano, era assurdo. Che cosa poteva voler dire, quello scambio di disegni? Forse sarebbe potuto essere solo un modo come un altro di trovare un nuovo amico, lì a New York. Ne avrebbe proprio avuto bisogno… ma no. Lui aveva Adam, aveva Santana ed aveva Rachel. Non aveva bisogno di ricevere fiori da un omino disegnato su una parete.
Kurt continuò a camminare, superando il disegno sul muro e raggiungendo la fine del corridoio, pronto a svoltare l’angolo e lasciarsi alle spalle quella strana proposta senza parole…

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Ebbene, che ne pensate? Ci tengo a precisare che sì, i disegni sono opera mia e no, non sono così capra a disegnare xD Ovviamente, la loro essenzialità (a parte per i fiori, ma ehi, Kurt è mezzo stilista, no?) è voluta. Come al solito, vi invito a lasciarmi una recensione, se volete, e se invece preferite insultarmi per le mie ff precedenti o fare due chiacchiere, vi lascio il link della mia Pagina d'Autore su fb (Cliccate pure qui)!
Se volete contattarmi potete farlo anche su Twitter (The Shippinator), su Tumblr (TheShippinator (Ship All The Characters!)) e su Ask (Andy TheShippinator)
Ci leggiamo domenica prossima, con il secondo capitolo!

Un bacio, Andy <3

  
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