Memorie d’un
tempo perduto
Lo
senti?
Il
rumore di qualcosa che si spezza
Sono
i sentimenti che il cuore
Non
riesce più a contenere
-Secret
Unriquited Love-
Mani abili acconciavano i capelli in uno chignon elegante, rendendo
ancora più piacente quel viso d’una bellezza particolare.
Le labbra stringevano con forza un mollettone nero, mentre gli occhi
fissavano con criticità lo specchio dai contorni azzurri e il riflesso che rimandava:
una giovane donna con una falsa espressione di soddisfazione sul viso solo
leggermente truccato.
Le labbra avrebbero tanto voluto arricciarsi in una brutta espressione
stizzita, ma quel becco bloccava ogni cosa; non avrebbe mai voluto vederlo
cadere a terra, rischiando così di stropicciare il vestito per piegarsi a
raccoglierlo.
Gli occhi azzurri fissavano qualsiasi difetto in quell’acconciatura,
mentre Ino si alzava in piedi silenziosa; osservava la stanza alla ricerca
della trousse per ritoccare (ancora) quel viso così smorto e brutto; voleva coprire quelle occhiaie
profonde, quelle guance scarne e quegl’occhi così dannatamente facili da capirei.
Ma nemmeno il
trucco può far sparire i segni del pianto, Ino, questo ti disse
lui, anni or sono.
Gli occhi erano lo specchio dell’anima, tutti l‘avrebbero vista così
imperfetta, così umana per una volta, così sofferente.
E ringhiò infuriata.
A passo di marcia raggiunse la
trousse rossa appoggiata alla scrivania, la aprì di scatto, i denti che
stringevano il labbro inferiore, una mano che afferrava il pennellino e veniva
portato sul colore bianco, che avrebbe fatto risaltare maggiormente quegl’occhi, e iniziò pennellare le palpebre, ancora e
ancora, finché una sfumatura argentea non la soddisfò.
Prima un occhio, poi un altro.
Passò alla matita, pronta a riempire abbondantemente quei pozzi
azzurri, pronta a far risaltare quel lato oscuro di anima: palpebra e linea inferiore
dell’occhio, più e più volte. Un filo nero, spesso.
Le labbra furono coperte da un rosso scarlatto, un rosso volgare, come
la additavano spesso molte di quelle persone che, tra poche ore, avrebbe
incontrato.
Nessun sorriso a quella festa. Un addio. Chi aveva voglia di
festeggiare?
Lei no, ma sapeva bene che ci sarebbero state pacche
d’incoraggiamento, sorrisi pieni di fierezza, sguardi seccati su di lei, commenti provocanti e risate.
Risate false o vere che fossero, nessuno avrebbe mostrato il proprio
stato d’animo. Nemmeno lei, quella che avrebbe dovuto strapparsi i capelli dal
dolore, invece che acconciarli.
Colei che avrebbe dovuto avere le guance imperlate di lacrime e non
truccate di pesante phard.
Occhi rossi e non neri.
Sorrise soddisfatta [un sorriso incrinato] afferrando una borsetta
nera e uscendo dalla stanza, gettandovi un’ultima occhiata, prima di chiudere
la porta.
«Un
‘altra porzione, per favore!»
Ino
storse il naso, osservando con criticità i quattro piatti vuoti che Choji
teneva di fronte a sé.
Sbuffò
seccata, sicura che ogni ramanzina sarebbe stata completamente inutile: il suo
amico sarebbe rimasto un pozzo senza fondo per l’eternità.
«Cho,
guarda che poi ti rimarrà tutto sullo stomaco», provò a dire Shikamaru, non guardando nemmeno l’amico. Era il primo a
sapere che Choji non avrebbe mai ascoltato quel consiglio.
«Non
ti preoccupare Shika, se mangio mi metto in forma, così potrò combattere al
pieno delle mie forze! »
Appunto.
Ino
sorrise serena, osservando di sottecchi il volto seccato di Shikamaru. Una leggera
peluria gli copriva il mento, rendendolo quasi più affascinante.
Strinse
con forza il tessuto del divano su cui era seduta accanto a lui, trattenendosi
dalla voglia di sfiorarlo.
Leccò
la labbra, girando il viso verso il nuovo piatto arrivato in quel momento.
«Favorisco», esclamò afferrando con le bacchette un
pezzetto di carne e mangiandolo prima che Choji possa replicare.
Si
leccò i baffi [ma non fu per il piatto] soddisfatta.
«Buono! »
«Ino,
tu dovresti consultare un libro sulle buone maniere», borbottò Shikamaru, guardandola neutro,
disinteressato a tutto.
Gli
cacciò una linguaccia, come una bambina, sorridendo poi verso Choji che,
gentile, le porse un piatto di carne da condividere.
Traballava su quei tacchi: non era abituata a portarli, indossava
sempre sandali da kunoichi o, raramente, un paio di
scarpe diverse.
Ciabattine più che altro, che non implicavano tacchi a spillo di
dodici centimetri; Sakura aveva ragione, avrebbe dovuto prendere qualcosa di
più comodo per la serata.
Ma Ino non contava nemmeno di passare del tempo in piedi, se ne
sarebbe stata seduta in un angolino a bere, magari in compagnia di qualche uomo,
evitando occhi troppo seccati che la cercavano. Sfuggendo a qualsiasi domanda
relativa al suo stato d’animo. Perché lei era l’ultima persona a volere far
cadere la festa nella tristezza, nonostante lo stesso festeggiato non
sorridesse da un po’.
Da lontano vide le luci del locale in cui si stava dirigendo, luci al
neon, luci forti, che le davano fastidio agl’occhi.
Li strizzò, cercando di distogliere lo sguardo, ma quella luce rossa
era troppo forte, si abbatteva su di lei come una tempesta.
«Ino?»
La voce di Tenten la bloccò; era dietro di
lei, carina nel suo vestito rosso, proprio accanto a Neji e Lee. Entrambi i
ragazzi sembravano stupiti del cambiamento avvenuto nella compagna di squadra
quella sera, soprattutto il giovane Hyuuga che, come notò Ino, non le toglieva
gli occhi di dosso.
Sorrise dolce, sentendosi prendere a braccetto dalla castana.
«Entriamo insieme?», domandò ricambiando il sorriso, spintnandola un
po’ verso l’entrata del locale.
«Non posso ancora credere che Shikamaru abbia deciso di fare questa
festicciola proprio qui», esclamò Lee, arrivando alla destra di Ino.
Annuì distratta, l’unico rumore che sentiva era il suono dei tacchi
suoi e di Tenten infrangere l’asfalto sotto i loro
piedi.
Alzò gli occhi al cielo sereno, scorgendovi un paio di nuvole
solitarie. Poche stelle illuminavano la via, ma non erano per niente splendenti,
avevano una luce pallida e smorta, completamente diversa da quella che Ino si
ricordava.
Lei, Shikamaru e Choji erano soliti guardare le stelle più luminose,
insieme, la notte.
Entrarono nel locale, in cui la musica non era ancora arrivata a
livelli troppo elevati, ma la gente pullulava già per la sala, riempiendola:
metà Konoha era stata invitata, da quanto poté notare la Yamanaka, arricciando
il nasino stizzita.
Tenten tirò il suo braccio, scotendola dai suoi
pensieri, portandola di nuovo alla realtà. Con un dito le stava indicando un
codino alto e nero che, teoricamente, sarebbe dovuto appartenere al suo
compagno di squadra.
«Andiamo a salutarlo», squittì la giovane, afferrando la mano di Ino e
tirandola verso Shikamaru, per nulla accortasi dell’espressione dura che si era
aperta sul volto della kunoichi.
Shikamaru e Tenten si salutarono: la giovane
aveva poggiato appena le sue labbra sulla guancia del ragazzo, rimasto
totalmente indifferente dal gesto, continuando a guardare lei, l’ex membro
femminile del Team 10, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni troppo
larghi e scoloriti per poter essere eleganti.
Teneva gli occhi bassi, Ino, non voleva guardarlo; se l’avesse fatto,
non avrebbe resistito e sarebbe scoppiata in lacrime.
Scosse il capo, liberandosi dalla presa dell’amica e sparendo tra la
folla, mentre gli occhi di Shikamaru ancora la scrutavano.
«Shikamaru?»
Il
ragazzo sollevò lo sguardo, osservando la giovane che, per la prima volta,
l’aveva chiamato con il nome integro, senza utilizzare nessuno di quegli
stupidi nomignoli che solitamente gli affibbiava.
Mugugnò
in risposta, facendole capire che l’ascoltava.
«La missione di domani non è pericolosa, vero? », domandò la Yamanaka, evitando di guardarlo.
Choji
accanto a loro sgranocchiava una manciata di patatine, sereno e pacato,
ascoltando solo parzialmente quello che Ino diceva.
«Perché?»
«Voi tornerete, vero?»
Shikamaru
sollevò stancamente le palpebre pesanti, portando poi lo sguardo sul corpo formoso
della compagna di squadra, fasciata in
un abito poco femminile per la prima volta, scorrendola tutta, fino ad arrivare
gli occhi cerulei.
Occhi
preoccupati che lo fecero sbuffare sonoramente.
«Scema, è ovvio. Tu che faresti senza di noi?»
Morirei,
avrebbe volentieri risposto, ma si limitò semplicemente a sdraiarsi sul petto
del Nara, prendendo una mano di Choji fra le sue e stringendola forte.
«Vi voglio bene», proclamò con
una voce troppo dolce per una come lei.
Shikamaru
roteò gli occhi, mentre Choji si limitò ad annuire, carezzandole con
distrazione il dorso della mano bianca.
Ballavano tutti, chi a coppie, chi solo,
chi in gruppo: Ino poteva benissimo distinguere le chiome dei suoi più chiari
amici in mezzo a quella folla.
Sakura e Naruto decisamente imbarazzati,
cercavano di non sfiorarsi troppo ancora non abituati al fatto che, ormai,
stavano insieme da quasi un mese e mezzo.
Perfino Neji e Tenten
stavano ballando. Perfino il freddo e distaccato Hyuuga, pur di tenere fra le
braccia Tenten forse.
Sorrise, sorseggiando il drink che teneva
fra le mani.
Era seduta su un divanetto, lontano dagli
sguardi di tutti, proprio come aveva deciso. Niente e nessuno era ancora
riuscito a disturbarla, fino a quel momento.
«Ehi bellezza, che ci fai qui tutta sola?»
Sai la guardò con il solito sorrisetto falso, sedendosi accanto a lei
e portandole via il drink.
Ricambiò il sorriso, girando parzialmente il corpo verso il giovane
che, impudente, allungò una mano verso il suo viso, accarezzandolo.
Ino rimase piacevolmente sorpresa dal gesto, dimenticatasi dei suoi
progetti per la serata.
Rilassò il viso, lasciando che la mano di Sai continuasse ad
accarezzarla, non rendendosi conto di alcuni sguardi su di loro.
«Balliamo?»,domandò qualche secondo dopo il pittore, porgendole la
mano e alzandosi in piedi.
Ino fece per accettare, ma l’incrociare degl’occhi di Shikamaru la
fece desistere.
Sorrise colpevole a Sai, scotendo il capo in segno di diniego.
«Scusami, ma devo...»
Lasciò la frase in sospeso, scappando da quelle braccia.
Passò accanto a Sakura, accennandole un sorrisetto di incoraggiamento;
a Tenten a cui indicò Neji con gli occhi; a Hinata,
impacciata fra le braccia di Kiba.
«Che volevi?», domandò seccata una volta di fronte a Shikamaru, le
mani sui fianchi magri fasciati dal vestito violetto attillato.
Il ragazzo scrollò le spalle, appoggiandosi al muro senza smettere di
fissarla.
Si ritrovò nuda sotto quegl’occhi così penetranti che la scrutavano
fino dal più profondo dell’anima.
Morse un labbro, come faceva sempre quando l’agitazione prendeva
possesso del suo corpo.
«Domani parto», bofonchiò lui dopo un po’.
Come se non lo sapesse, pensò sarcastica Ino, sbuffando e scostandosi
il ciuffo biondo che le copriva parte del viso.
Si avvicinò a lui, andando ad appoggiarsi alla parete, spalla contro
spalla.
«Tornerai?», chiese con scetticismo, ben sapendo la risposta.
Il silenzio si fece largo fra di loro, nonostante la musica continuasse
a rimbombare nelle orecchie, sotto i loro piedi, contro i muri.
Il vociare della gente non era cessato, eppure ad entrambi sembrava di
essere piombati nel silenzio più assurdo di tutta la loro vita.
«Non lo so, Ino»
La bionda annuì piattamente, schioccando la lingua sul palato seccata.
Lanciò uno sguardo di sottecchi a Shikamaru che, per un motivo a lei ben
conosciuto, giocherellava con la tasca destra della sua giacca nera.
«Se vuoi ti accompagno», propose sorridendo leggera, alludendo alle
sigarette.
Shikamaru abbozzò un sorriso, afferrandola per mano.
Una cosa che non aveva mai fatto, mai, nemmeno quando erano più
piccoli.
♪
Shikamaru creava delle nuvolette di fumo.
L’aria era sicuramente più tranquilla lì dove si trovavano, su quel
pezzo di praticello che avevano occupato così tante volte d’aver perso il conto.
Nessuno dei due spezzò il silenzio, solo il respiro di entrambi si
poteva udire, altri rumori non esistevano.
Neppure il rimbombo del vociare appartenente alle persone invitate
alla festa.
Ino lanciò un’occhiata di sottecchi a Shikamaru, arrossendo leggera
quando incrociò i suoi occhi.
Era da una vita che non rimanevano soli.
«Andrai a...?», domandò agitata, giocherellando con l’orlo di pizzo
dell’abitino.
Lui sbuffò fumo, guardandola con ovvietà.
«Ho saputo che Temari si è sposata», bofonchiò ancora lei, non
trovando altro da dire.
Eppure le cose che avrebbe voluto chiedere c’erano eccome.
Erano tantissime, non sarebbe mai bastata una notte intera per
raccontarle tutte.
«Già, proprio un mese fa», disse piatto, gettando la cicca della
sigaretta lontano da loro: Ino osservò l’arancione spegnersi placidamente.
Il moro si appoggiò sull’erba, portandosi le mani dietro la testa,
fissando il cielo di Konoha forse per l’ultima volta. Con lei, lì accanto, un
dolore lancinante nel petto.
Ino si mosse: appoggiò la testa al suo petto, accoccolandosi più
vicino a lui.
Avrebbe voluto ignorarlo quella sera, proprio per evitare tutti quei
gesti d’affetto, quelle lacrime che avevano iniziato a bagnarle il viso, che avrebbe
preferito versare solo una volta al sicuro, chiusa nella sua stanza, bagnando
il cuscino, il lenzuolo.
Sentì il cuore sussultare quando la mano di Shikamaru andò a sfiorarle
i capelli. Leggero, quasi con titubanza, iniziò giocherellare con il chignon
che Ino aveva acconciato.
Strofinò il viso contro la giacca, sporcandola di phard.
«Merda», sibilò Ino osservando il danno.
«Non ti preoccupare»
Si erano alzati entrambi, pochi millimetri tra i loro volti.
«Ino...Shika...»
Choji
tossì, sputando sangue e sporcandosi maggiormente. Socchiuse un occhio, per
osservare entrambi gli ex compagni di squadra, sorridendo tranquillamente, come
se nulla stesse accadendo.
Eppure
le lacrime di Ino e il viso scosso di Shikamaru erano un segno evidente di
quello che di li a poco sarebbe successo.
«Sto morendo, no?», domandò
con sarcasmo, alludendo al kunai che era piantato nel
petto.
Ino
cacciò un singulto, stringendo forte il braccio di Shikamaru.
«Voi...dovete farmi una promessa...»
Tossì
di nuovo, cercando gli occhi azzurri di Ino, che annuì silenziosa, mentre
quelli neri di Shika esprimevano già un consenso.
«Dovrete...essere sinceri con i vostri sentimenti...»
Un
altro sorriso si fece largo sulle sue labbra.
«Siamo stati il miglior team...di Konoha...»
Ino
osservò inorridita la bocca di Choji aperta ancora in un sorriso, gli occhi
socchiusi e il respiro inesistente.
«No, no, no!»
Shikamaru
l’afferrò per le spalle, stringendola.
Continuò
a piangere, mischiando le lacrime con quelle del ragazzo, ore ed ore,
imperterriti.
Senza
pudore o vergogna.
Non avevano mantenuto quella promessa.
A distanza di otto mesi, nessuno dei due
aveva più cercato il dialogo o tentato di rimanere solo con l’altra.
Ed ora Shikamaru se ne sarebbe andato e
il team 10 avrebbe smesso di esistere per sempre.
Eppure...
«Shikamaru, ricordi cosa ci disse Cho?»,
domandò Ino avvicinandosi maggiormente al Nara.
Lo vide deglutire, ma non si allontanò.
«Avrei...», perse subito tutta quella
sicurezza, «avrei tanto voluto dirtelo prima...», bisbiglio abbassando gli
occhi azzurri sull’erba.
Sentì il respiro di Shikamaru farsi più
pesante.
Non voleva dirglielo, aveva odiato Shikamaru
nell’ultimo periodo, l’aveva detestato per averla lasciata sola, perché stava
per abbandonarla e per quello che le stava facendo provare.
«Ino», le mani di Shikamaru la
sollevarono il viso.
Non resistette: chiuse gli occhi e baciò
leggerissima le labbra di Shikamaru, aggrappandosi alla sua giacca, facendo si
che il bacio si approfondisse, sbocciando in qualcosa di più.
Si lasciò stendere, lasciò che le mani di
lui la sfiorassero, che la sua bocca baciasse ogni piccola parte del suo corpo,
lasciò le sue labbra libere da qualsiasi costrizione, permettendo loro di
chiamarlo.
Lasciò sfregare i loro corpi, lasciò che
lui l’amasse su un prato d’erba, sotto un cielo impudente, sotto un’unica
stella luminosa.
«Dov’è Shikamaru?», domandò
scendendo in cucina il giorno seguente, fissando negl’occhi il padre, intento a
bere una tazza di caffé.
Questi
inarcò un sopracciglio albino, osservando il vestito violetto che la figlia
indossava la sera prima macchiato d’erba.
«Ti ha portata a casa sta mattina. Che vi è...?»
«Se n’è andato?»
Inoichi
rimase silenzioso, scrutando gli occhi di Ino adombrarsi.
La
figlia sbatté la porta di casa, uscendo e correndo.
Nessuno
la guardava, o forse tutti guardavano quella ragazza così volgare che si era
lasciata amare su un prato da un uomo che non avrebbe più rivisto, che si era
lasciata calpestare il cuore.
Si
fermò solamente quando la lapide di Asuma Sarutobi e quella di Choji Akimichi
comparvero davanti ai suoi occhi.
Si
gettò su quest’ultima, in cerca di conforto.
«Cho...», sussurrò, «Cho ho fatto come mi hai detto...ma come al
solito...è stato troppo tardi...»
I
singhiozzi le impedirono una frase completa, non sentì nemmeno i passi che
arrivarono dietro di lei, silenziosi e tranquilli.
Una farfalla volava fra i cieli di Konoha,
un bambino al seguito correva spensierato, cercando inutilmente di afferrarla.
Saltò in alto, rovinando poi a terra
malamente.
Si grattò i capelli neri, borbottando un mendokuse tra i denti.
«Choji!», la voce squillante e stridula
di sua madre lo raggiunse.
Il volto si aprì in un’aria seccata
quando la sentì buttarsi a terra accanto a lui e le braccia che lo stringevano.
«Ti sei fatto male?», chiese poi la
donna, guardando il ginocchio preoccupata.
Choji scosse il capo, osservando i due
mazzi di fiori riposti con cura in un cestino di vimini, proprio accanto alla
madre.
«Ino, lascialo stare, è grande»,
bofonchiò la voce di un uomo maturo alle loro spalle.
La donna bionda si girò, ringhiando in
sua direzione.
«Tappati la bocca, Nara! Solo perché tu
hai la sensibilità di un bradipo non vuol dire che io non devo preoccuparmi!»,
sbottò guardandolo male.
L’uomo alzò gli occhi al cielo,
borbottando sottovoce.
«Oh, Cho, passiamo dallo zio Asuma e
dallo zio Choji o preferisci prima andare a casa a medicarti?»
Il bambino cercò mentalmente l’aiuto del
padre, ma questo alzò le mani in segno di resa.
Ino sorrise, resasi conto di quei muti
scambi di pensieri, arruffò i capelli neri del figlio.
«Ho capito. Andiamo prima a trovare gli
zii», esclamò allegramente, prendendolo per mano e allontanandosi.
Shikamaru li seguì con passo lento e
cadenzato, osservando le figure dei due di fronte a sé.
* *** *
Edit 11
settembre 2009, ore 19.11:
Ho cambiato alcuni punti, corretto alcune
frasi e altro.
Come sempre non apprezzo maggiormente
questa versione più dell’altra, ma mi farò una ragione.
Cà.