Ci sei sempre stata
“Chi ti ha dato tutta
la dolcezza, ti voleva bene.”
E sono qua a
guardarti finalmente in volto, mentre mi
accarezzi la mano e mi dici che sei contenta che io abbia ripreso
conoscenza.
Devo forse essere riconoscente a quel bastardo che mi ha mandato qui,
in
ospedale, perché ora posso osservare i tuoi lineamenti
sollevati?
Ti ho sempre osservata solamente dal mio banco, a poca
distanza dietro il tuo. Quei tuoi ricci indomabili avevano sempre
catturato la
mia attenzione, ma non potevo vedere il tuo viso.
Non ti conoscevo, sapevo solamente il tuo nome perché eri
nella mia stessa classe. Mi limitavo ad osservarti ridere con le tue
compagne
di corso e mi andava bene così.
Fino a che non mi sono iscritto al club di Basket quando ho
saputo che, come manager, quei ragazzi avrebbero avuto te.
Purtroppo il destino non mi ha permesso di allacciare un
grande rapporto con te e questo mi dispiace. Quei maledetti non me ne
hanno
dato l’opportunità, ma è solo grazie a
te se sono ancora vivo. Grazie a te,
questo angelo dai capelli ricci, se mi sento meglio.
“Più ti guardo e
più mi meraviglio,
e più ti
lascio fare
che ti guardo ed anche se
mi sbaglio
almeno sbaglio bene”
Ricordo ancora
quel giorno, quando mi ero rintanato sul
retro della scuola a cercare di fermare il sangue che colava dal mio
labbro
spaccato. I ragazzi del terzo anno non mi davano più tregua,
ma non pensavo che
dopo quell’occasione mi avrebbero tenuto un imboscata in
cinque.
Comunque, in quell’occasione, accasciato a terra dolorante
dopo
averle prese, solo per non darla vinta a chi voleva mettermi K.O, sei
arrivata
come un treno in corsa.
Tamponavo ancora con la maglia bianca della divisa il
taglio, fregandomene di sporcarla. Quel giorno avevo anche gli
allenamenti e,
sicuramente, avrei dovuto saltarli a malincuore.
Eppure, il destino giocò di nuovo con la mia vita. Forse
è
sempre stato destino che tu mi trovassi nei momenti peggiori, quando
avevo
bisogno di qualcuno ma il mio carattere mi impediva di chiedere
l’appoggio
degli altri.
Era come se tu potevi sentire il mio richiamo e con quella
solita aria divertita, e quel sorriso disegnato su quelle labbra
rosate,
arrivassi a dare manforte ad un manesco come me.
Era vero, facevo sempre a botte, ma non ero mai io ad
iniziare. E quella sul mio labbro ne era la prova…
Arrivasti con il tuo passo svelto, come se sapevi che ero
lì, ed una volta avermi visto ti sei avvicinata con lo
sguardo accigliato,
accucciandoti alla mia altezza.
Ho sempre notato che eravamo alti uguali. Forse, un gioco del
destino anche quello?
Spostai il mio sguardo su di te, che avevi preso a
sorridermi scuotendo sconsolata la testa.
Ovviamente non riuscii a tenere i miei occhi sui tuoi e,
rosso come un peperone, li abbassai di nuovo come tutte le volte che mi
rendevo
conto che ti stavo guardando quasi come un maniaco.
E tu, con la tua voce trasportatrice, sussurrasti il mio
nome come ad incitarmi di farmi guardare da te.
Voltai lo sguardo di nuovo, colpito. Mai e poi mai avrei
voluto farmi vedere da te in quelle condizioni, sottomesso da un misero
taglio
sul labbro che ancora continuava a perdere sangue.
Mi aspettavo una strigliata, un offesa, una presa di parole
contro ciò che avevo fatto…
Invece, facesti quello che meno mi sarei aspettato da te.
«Aspetta, usa questo…» Mi dicesti
iniziando a frugare nella
tasca della tua gonna a pieghe, tirandone fuori un fazzoletto
immacolato,
ripiegato in quattro.
Sgranai gli occhi, e con voce roca scambiai con te le mie
prime parole sensate al di fuori del campo.
«Ma…non posso accettare. Lo
sporcherei…» Ti dissi, facendo
una fatica immensa a parlare con quel brutto taglio. Eppure tu
scrollasti le
spalle e continuasti con un sorriso meraviglioso.
«Serve più a te che a me!» Continuasti,
issandoti in piedi
in direzione del sole. Dovetti fare fatica a tenere gli occhi aperti e
notai che eri bella proprio
come il sole. Così che il mio cuore ti ricorda, illuminata
dai
raggi pomeridiani che mi rendevano la tua figura luminosa quanto
quell’astro.
«E fatti vedere in infermeria, potrebbe fare infezione.
Quando hai fatto…» Ti girasti di nuovo verso di
me, oramai lontana in
direzione della palestra. «Ti aspetto per gli allenamenti,
Ryo-chan!» Mi
gridasti in segno di saluto e lì, sul retro della scuola,
promisi a me stesso che avrei
amato solo e solo una persona al mondo.
E quella eri tu.
Mi sei entrata dentro come un treno in corsa, rendendomi nulla
anche la fatica degli allenamenti col gorilla. Non sentivo neanche il
bisogno
di finire, perché nella palestra c’eri tu che ci
incitavi. A volte, anche se mi
sgridavi dandomi in testa quell’orribile ventaglio, mi
sentivo bene. A volte lo
facevo apposta per attirare la tua attenzione, devo ammetterlo.
Ma saresti qua con me, nella mia stanza di ospedale, se non
lo avessi fatto?
“Quando si allungava
l’ombra
Sopra tutta la giornata
Eri solo più
lontana
Ma tu ci sei sempre stata.”
Quella sera,
dopo gli allenamenti, il sole era in procinto
di tramontare e giocava con le ombre del nostro viso.
Il taglio sul labbro si era rimarginato ed il fazzoletto,
oramai sporco di sangue, era insieme alla divisa nel mio borsone. Lo
avrei
tenuto come un cimelio, visto che mi dicesti di tenerlo
perché mi avrebbe fatto
comodo. Non mi dicesti di finirla con le risse, ma solo di stare
attento.
In quella sera, mentre osservava di nuovo la tua schiena
diventare sempre più piccola e la tua ombra allungarsi di
fronte a me,
dichiarai alla luna ciò che provavo.
Non potevo immaginare che l’indomani Mitsui e la sua banda
mi bloccassero sul terrazzo e mi riducessero in fin di vita; non prima
di
essere riuscito a mandarceli io.
Sentivo dolore in tutto il corpo comunque. Ero steso a terra
e non riuscivo a muovere nemmeno un muscolo. Il sangue sul mio viso mi
offuscava la vista, eppure, riuscii a vederti mentre, tutta trafelata
dopo
esserti accorta di me riverso a terra, corresti verso il mio corpo e
l’ultima cosa che
riuscii a sentire prima che l’oblio si impadronisse di me
furono le tue calde
braccia che cercavano di sollevarmi e la tua voce che mi incitava a
rimanere
concio.
Ed adesso eccoti
qua, a prenderti cura di me in questa
stanza di ospedale dove, tutto ingessato, non potrei fare da solo le
semplici
cose che fanno tutti. Come mangiare.
Ti stai occupando di me quando hai già la scuola a cui
pensare, insieme alla squadra. Penso che tu lo faccia perché
sono uno dei
membri più validi del team, ma a me piace pensare che lo fai
perché provi per
me le stesse cose che sto provando io.
Quando uscirò dall’ospedale, ti dirò
tutto. Promesso.
Adesso, dopo aver terminato di pranzare, con il tuo sorriso
a cullarmi mentre mi aiuti a rimboccarmi le coperte, mi lascio andare
fra le
braccia di Morfeo.
Fine.
°°°
Colei che ha preso questi due sotto le sue grinfie (?)
Tadaaan xD Ok, l'ho scritta di
getto (quando mai?). A me l'ispirazione viene così..che
posso farci? D:
Bene, come avrete tutti capito, la storia è scritta in prima
persona da Miyagi e sono i suoi pensieri verso Ayako. Ovviamente ci ho
aggiunto pezzi che mi sono inventata, inventando anche dell'ospedale.
Mi piace pensare che lei sia andata a trovarlo nella sua convalescenza
u.u
Loro due sono la mia "coppia" Het preferita nell'anime (no, dico, ce ne
stanno altre? xD se possono chiamarsi "coppia" poi xD) ed una delle
coppie che preferisco in assoluto (sempre Het intendo xD). Non sono
teneri e dolci? *-* non è coccoloso Miya quando parla di Aya
e diventa tutto rosso? *_* e lei? Che donna, ma sono sicura che si
è lasciata trasportare da lui! U.U Sì, dev'essere
così! -sennò piango!-
La canzone che ho scelto è di Ligabue ed il titolo della fic è anche quello della canzone. La stavo ascoltando ed ho pensato a questi due, così ecco nata questa piccola one shot :3
Bene, come sempre spero mi facciate sapere cosa ne pensate! (chiudete anche un occhietto verso gli orrori, ok? ^^'')
Un bacione
a tutti e Stay Tuned per l'aggiornamento di "Our Life", in fase di
scrittura :3