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Autore: horjzon    10/04/2014    5 recensioni
Per la prima volta, da quando Amerisia era scappata da Haywire, fui felice per lei che si trovava lontano da tutto questo.
Non mollare Amerisia, io sono con te pensai tra me e me, guardando i cancelli che si vedevano da casa mia.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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ATTENZIONE: questa one-shot è un Missing Moments della fan fiction Mad.


 

Missing Moments

Discoveries, secrets and lies.
Scoperte, segreti e bugie.


 
Finalmente avevo finito di lavorare. Ero sfinita.
Non vedevo l’ora di tornare a casa e di sdraiarmi sul mio comodissimo letto a due piazze ed addormentarmi.
 
Stavo camminando nel lungo viale di casa mia, anche da lontano potevo notare che tutte le sue luci erano spente, segno che Amerisia stava dormendo. Essere sua madre a volte era difficile, spesso assumeva quel carattere ribelle, lo stesso di suo padre che mi aveva portata a sposarlo. Le somigliava molto, nei lineamenti, nello sguardo, nelle smorfie e nei suoi comportamenti, spesso ribelli. Le non lo immaginava neanche quanto fossero uguali, non pensavo che Amerisia potesse ricordarsi di suo padre a dire la verità, forse solo qualche piccolissimo flash back, ma niente di più. Suo padre era scomparso ormai da 13 anni. Mi ricordo come se fosse ieri la polizia che indagava sulla sua scomparsa improvvisa e di quando vennero alla mia porta dopo settimane d’indagini dicendomi che di lui non c’erano tracce e che probabilmente lo avevano ucciso per poi bruciarlo. La parte peggiore fu dirlo ad Amerisia, soprattutto fu doloroso mentirle.
 
Finalmente arrivai a casa. Entrai nel piccolo giardinetto attraverso il cancello e dopo qualche passo mi trovai davanti alla porta. Presi le chiavi e la aprii. Appena entrai in casa chiusi la porta, mi tolsi la giacca appendendola sull’appendiabiti, tolsi le scarpe e mi buttai sul divano accendendo con il telecomando la tv che si trovava di fonte. I programmi in televisione erano deludenti: in un canale vi erano dei ragazzi che si ubriacavano e dicevano parolacce in continuazione, in un altro c’era un gioco a quiz dove anche un’idiota avrebbe potuto rispondere correttamente alle domande, in un altro canale una conduttrice, che aveva una faccia da schiaffi, intervistava una donna che raccontava la sua difficile storia. Naturalmente la conduttrice per far capire che era davvero colpita dalla sua storia, faceva delle espressioni addolorate più finte dei capelli, pieni d’extension, della moglie del capo di Haywire.
 
Avevo una fame tremenda, quindi decisi di andare in cucina, a prepararmi qualcosa da mangiare. Appena vi entrai notai un foglio di carta piegato sul tavolo della cucina. Appena mi avvicinai riconobbi la calligrafia d’Amerisia c’era scritto “Per mamma”.
 
L’aprii curiosa e iniziai a leggere.
 
Cara mamma,
 
come va? Domanda poco intelligente questa. Probabilmente quando leggerai questa lettera me ne sarò già andata via da Haywire. Sì, hai letto benissimo.
Credo di doverti raccontare tutto e per questo parto dal principio.
Come ben sai, da quando avevo otto anni, seguo questo corso che parla del mondo “normale”, quello al di fuori di tutte le città dalle alte mura. Naturalmente, come d’accordo, per frequentare questo corso non potevo raccontare a nessuno, nemmeno a te, cosa facevo, cosa scoprivo e cosa imparavo al corso. Bene, adesso a distanza di 10 anni posso solamente dirti che ho scoperto molte cose fantastiche e che sicuramente non ho infinito d’imparare. Là fuori si vive 100 mila volte meglio di qui. Dovresti vedere che bei posti e che belle persone ci sono.
Poi all’improvviso accade.
Un pomeriggio della scorsa settimana si è presentato un ragazzo (non ti dico dove e a che ora perché so che ti verrebbe un infarto visto che entrambe le cose erano proibite), inutile nasconderti il nome e il cognome del ragazzo, perché probabilmente indagheranno sulla sparizione di entrambi e conoscerai anche i suoi familiari. Si chiama Harry Styles e mi ha proposto di scappare con lui da Haywire sorpassando i cancelli. Non so se lo sai ma i cancelli di Haywire non rimangono sempre chiusi ma si aprono a distanza di lunghi periodi. Ovviamente ho pensato per una settimana intera alla proposta, giorno e notte e dopo aver conosciuto per bene Harry e pensato ai pro e ai contro di questa scelta, alla fine, ho preso la mia decisione solamente qualche ora fa. Se ora stai leggendo questa lettera è perché sono andata via e ho superato quei cancelli, ne dovrò superare tanti altri ma credo che ne varrà la pena.
So che questa notizia ti farà soffrire tanto, dopo aver perso mio padre, perdere anche me anche se io sono viva sarà dura ma devi essere felice essere felice. Tutti i genitori sperano sempre il meglio per i propri figli e se il meglio si trovava al di fuori di tutte le città dalle alte mura a questo punto dovresti sentirti felice per me.
Questa decisione è stata molto più difficile di quanto lascio intendere con questa lettera, soprattutto è stato difficile decidere di lasciarti. Io sono tutto quello che ti è rimasto e tu per me sei una mamma fantastica e una donna forte, ti sei sacrificata sempre per me e per questo non saprò mai come ringraziarti.
Vuoi sapere qual è la parte peggiore di tutta questa storia? Se tutto va per il verso giusto non ci rivedremo mai più al contrario probabilmente ci rivedremo quando mi giustizieranno a Haywire.
Ti amo mamma, grazie mille per tutto quello che hai fatto e che continuerai a fare per me (o almeno spero che mi coprirai in questa cosa).
Detto questo, spero di rivederti un giorno, preferibilmente nel fuori dalle città dalle alte mura.
Ti voglio bene,
 
Amerisia
 
P.s.: ho preso solo un paio di scarpette da ballo e qualche vestito, ho lasciato quasi tutto a casa. Ti voglio bene.
 
No, non poteva essere, non la mia bambina. Non volevo, non potevo credere che anche lei se ne fosse andata via. Corsi disperata per tutta la casa, sperando che tutto questo fosse uno scherzo. Non trovandola da nessuna parte andai in camera sua, accesi la luce e vidi il letto fatto, immacolato, con la tessera per segnalare che si stava dormendo inserita, quindi nessun esercito sarebbe venuto a cercarla fino al mattino seguente.
Dovevo riprendermi, dovevo proteggerla, nascondere la lettera, e avvisare l’organizzazione. Corsi fuori da casa mia, con le calze, non avevo tempo da perdere. Andai nell’area periferica e più nascosta di Haywire dove vi si trovava una mini bosco, presi una pala che si trovava da quelle parti e incominciai a scavare nel punto in cui 13 anni fa avevo nascosto una scatola marrone. Appena la vidi in superficie la presi, mi sedetti per terra e dopo dei lunghi respiri la aprii. Dentro si trovavano tutte le foto di mio marito che mi erano rimaste e molte delle sue lettere che mi scriveva. Iniziati a leggerle tutte una ad una, con le lacrime agli occhi. È tutta colpa tua iniziai a incolparlo stingendo al petto una sua foto le ho fatto seguire quel corso solo per te, che ci tenevi molto e, adesso, guardami, sono seduta qui, disperata, a guardare le tue foto in lacrime. Quando mi resi realmente conto che adesso ero, per davvero, completamente sola mi sentii sprofondare nel vuoto, come se non ci fosse più nessuno motivo per vivere quando in realtà ne avevo anche più di uno. Alla fine decisi, con riluttanza, di mettere nella casa, insieme alle cose di mio marito, anche la lettera di Amerisia. La chiusi a la rimisi nel terreno scavato e la ricoprii con la terra tolta in precedenza. Corsi tra le strade di Haywire, diretta verso la sede dello “Zilion” la collaborazione segreta che comunicava con le altre città dalle alte mura. Facevo parte di quella collaborazione da quando ero una ragazzina, e ho sempre amato quel posto, lì potivo sentirmi un po’ più libera e potevo essere me stessa. I fini dello “Zilion” erano quelli di proteggere le persone che vivevano nella propria città, sorvegliarle di nascosto, tenere sotto controllo le alte cariche e restare in comunicazione con le altre città dalle altre mura. Purtroppo qui, a Haywire, non si poteva fare molto: non potevamo comunicare con nessuna città perché eravamo sorvegliati 24 ore su 24 e tutte le linee telefoniche erano fortemente controllare ed, essendoci dei coprifuoco, era difficile uscire di casa e non essere notati. L’unica città con cui riuscivamo a comunicare era Warrior. Riuscivamo a comunicare con loro perché eravamo riusciti a creare una linea telefonica che non fosse sotto il controllo delle alte cariche di Haywire e, in più, avevamo avuto un aiutino dall’alto, ossia dal capo di Haywire. Anche lui faceva parte dello “Zilion”.
 
Finalmente arrivai a destinazione, completamente bagnata dalla pioggia che aveva incominciato a scendere, e spalancai la porta.  Cinque paia di occhi si voltarono spaventati nella mia direzione. Chiusi la porta alle mie spalle e raggiunsi il primo divano che trovai, non curante delle impronte che lasciavo sul pavimento, e mi sedetti osservando il vuoto.
Mi si avvicinarono tutti preoccupati circondandomi. Qualcuno si sedette di fianco a me alla mia destra, poggiando la sua mano sinistra sulle mie spalle.
 
«Isabelle tutto ok? Che è successo?» mi domandò preoccupato e premuroso, l’ultima persona che volevo vedere e ascoltare in quel momento, Des Styles. Dovevo dirglielo, ma avevo paura e non avevo il coraggio di farlo. Ero anche arrabbiata con lui perché suo figlio aveva convinto la mia Amerisia di scappare con lui, anche se, infondo, Des non c’entrava niente. Deglutii rumorosamente.
 
«Des, sono scappati. Se ne sono andati via, stanotte.» riuscii a parlare e a guardarlo negli occhi nonostante il tremolio della voce e la voglia di piangere, che aumentava sempre di più.
Des mi guardava confuso.
 
«Cosa stai dicendo Isabelle?»
 
«Harry… Harry, tuo figlio, ha… ha convinto Amerisia a sc-scappare insieme a lui. Hanno superato i cancelli.»
Tutta la stanza divenne improvvisamente silenziosa e carica di tensione.
 
«È impossibile.» disse l’uomo scuotendo la testa imponendosi di non credere a una parola di quello che dicevo.
 
«Amerisia mi ha lasciato una lettera con scritto tutto. L’ho anche già nascosta. Mi dispiace…»
 
Detto questo Des si lascio cadere con la schiena sul divano, incredulo. Sapevo cosa stava provando in questo momento e volevo stargli vicina, ma non potevo, le le leggi di Haywire non lo permettevano. Mi avvicinai e gli strinsi le mani cercando di dargli, inutilmente, conforto. Ma come potevo darglielo quando ero la prima che ne aveva bisogno?
 
«Mi state dicendo che domani dovrò mandare l’esercito nelle vostre case?» domandò il sindaco apparendo nella nostra stanza. Nonostante la sua carica era un uomo buono e gentile, sempre pronto ad aiutare il suo popolo, anche se costretto a farlo di nascosto da tutte le persone che collaboravano con lui.
 
«Così non gli aiuti Alfred.» disse Aaron, un uomo che faceva parte dell’esercito di Haywire. Probabilmente sarebbe venuto lui insieme a qualcun’ altro a prenderci.
 
«Ma com’è saltato in testa a quei due di scappare?» chiese Daniel, un uomo sulla trentina. Non capivo perché dovessero infierire liberamente con così poco tatto. Era già difficile accettare la situazione, non avevo sicuramente bisogno di qualcuno me lo ricordasse tutto il tempo.
 
«Dobbiamo aiutarli.» si intromise Mark
 
«Isabelle, so che è difficile per te, ma credo tu sappia perfettamente cosa fare…» avrei preferito non capire il significato della frase pronunciata da Alfred. Sapevo cosa dovevo fare, sapevo di doverlo chiamare. Avevo intenzione di farlo subito, ancora prima di nascondere la lettera, prima di venire ad annunciare la loro fuga ma sapevo che se avessi agito d’istinto avrei combinato solo guai.
 
Annuii velocemente e, tremante, mi alzai dal divano, avvicinandomi al telefono. La tensione nella stanza era asfissiante e non mi aiutava affatto. Non avevo più sue notizie ormai da tre anni da dopo che lui aveva espressamente detto che non voleva più avere niente a che fare con Haywire e le città dalle alte mura e di non chiamarlo mai più.
Feci per alzare la cornetta quando mi girai verso tutte le altre persone presenti nella stanza pregandoli, con gli occhi, di lasciarmi sola, così andarono tutti nella stanza accanto. Ero consapevole del fatto che avrebbero origliato la conversazione ma avevo bisogno di un po’ di privacy e non mi sarei sentita sottopressione.
 
Alzai la cornetta e digitai il numero. Non consultai neanche l’elenco telefonico (nel quale vi erano segnati solamente tre numeri telefonici), l’avevo utilizzato così tante volte che, ormai, lo avevo imparato a memoria e nonostante il lungo periodo di non utilizzo lo ricordavo perfettamente. Appena sentii il primo squillo il mio cuore iniziò a battere forte. Da una parte speravo che non rispondesse alla chiamata, sentire la sua voce avrebbe riaperto delle grandi ferite, dall’altra non vedevo l’ora che rispondesse per sentire se era vivo e se stava bene. Uno squillo, due squilli, tre squilli, quattro squilli, cinque squilli, poi, all’improvviso qualcuno rispose con un semplice «Pronto?»
 
Non avevo dubbi che fosse la sua voce, il mio cuore incominciò a battere all’impazzata, neanche fossi una dodicenne alle prese con la prima cotta. Mi schiarii la voce e un po’ titubante parlai.
 
«A-andrew» la voce mi uscì spezzata e poi ci fu silenzio, un’interminabile silenzio.
 
«Vi avevo detto, ti avevo detto di non chiamarmi più. Pensavo di essere stato chiaro.» disse in tono autoritario, freddo e distaccato. Nel sentire queste parole nel mio cuore cominciarono a riaprirsi tutte quelle crepe che con cura negli anni ero riuscita a rattoppare.
 
«Andrew… Amerisia se n’è andata, insieme al figlio di Styles…» stavo per aggiungere altro quando mi interruppe bruscamente «Non m’interessa, Isabelle. Ti prego lasciami stare.»
 
«Andrew io..» sarei scoppiata se non mi avesse interrotto di nuovo con un tono esasperato «Che dovrei fare Isabelle, eh? Dimmelo. Cosa speravi di ottenere chiamandomi?»
 
«Speravo potessi aiutarla, proteggerla…» ormai le lacrime scendevano senza controllo. Sapevo che sarebbe stata dolorosa questa chiamata ma non avrei mai pensato che potesse essere terribilmente dolorosa.
 
«Lei non è più affar mio» la sua voce si era incrinata, l’avevo sentita perfettamente. Stava mentendo.
 
«Ma lei è tua figlia…»
 
Andrew sospirò, potevo immaginarlo mettersi una mano sul volto, combattuto sul da farsi.
 
«Ti prego…» riuscii a biascicare solamente questo.
 
«Vedrò cosa posso fare.» mi accorsi di aver trattenuto il respiro fino a quel momento solo quando sospirai.
 
«Andrew… Mi manchi…» avrei voluto dirgli tutto quello che provavo veramente e che non poteva essere riassunto con un misero “mi manchi”, avrei voluto dirgli che lo amavo, che nonostante i tredici anni passati divisi provavo ancora gli stessi sentimenti che provavo all’inizio del nostro amore, avrei voluto raccontargli tutto quello che avevo passato da quando lui se n’era andato, lasciandomi sola ad accudire Amerisia, a quanto era stato difficile dire alla mia bambina, alla nostra bambina, che non saresti mai più ritornato, mentendole continuando a ripeterle che suo padre era morto quando in realtà era “solamente” lontano km da noi e che non potevamo raggiungerlo.
 
Lo sentii sospirare «Mi manchi anche tu… Ti amo…» disse quelle parole in un modo così intenso che mi faceva desiderare di radere al suolo tutto, avrei fatto di tutto per proteggere mia figlia e tutti quelli che cercano di scappare dalle città dalle alte mura, avrei potuto fare qualsiasi cosa dopo aver sentito quelle parole.
 
«Ciao Andrew.»
 
«Ciao Isabelle.»
 
E la telefonata finì. Sapevo che non avrebbe aggiunto altro, sarebbe stato troppo doloroso per entrambi.
 
Tornai al mio posto sul divano e immediatamente tutti gli altri tornarono da me ansiosi di sapere come s’era conclusa la nostra conversazione al telefono.
 
«Allora?» mi chiese Des speranzoso
 
«Credo che ci darà una mano.» risposi subito, non volevo fargli venire l’ansia per niente.
 
«Bene, consiglio ad entrambi» disse Alfred indicando sia me che Des «di tornare nelle vostre abitazioni e di riposarvi. Domani vi aspetterà una lunga e pesante giornata. Forse è meglio se torniamo tutti a casa. Credo che domani ci sarò molto da fare per tutti.»
 
Tornammo tutti a casa.
Mi cambiai lentamente e inserii la carta, per segnalare che si stava dormendo, nell’apposita fessura vicino al letto. M’infilai nel letto e mi addormentai accompagnata da mille pensieri.
 
 

Erano le 8.00 del mattino, avevo già fatto colazione ed ero seduta a tavola, in cucina, ad aspettare pazientemente l’esercito che di lì a poco sarebbe venuto a prendermi.
La mia faccia era provata e sconvolta. Non ero riuscita a chiudere occhio e quando riuscivo ad addormentarmi mi risvegliavo di soprassalto per gli incubi.
 
Stavo aspettando che i soldati venissero a prendermi per portarmi da Alfred, che doveva recitare la parte spietata parte del capo di Haywiree, dovevo ammettere dopo anni che lo conoscevo, che la sapeva recitare alla perfezione, nonostante, spesso, fosse clemente. In tutti i casi che gli si presentavano, cercava di essere il più clemente possibile, cercava di dare le pene minori, naturalmente se sapeva che il Consiglio, un gruppo di persone che collaborava con il capo, avrebbe probabilmente accettato.
 
Sentii la porta spalancarsi di colpo e subito dopo apparvero in cucina due soldati.
 
«Signora Laston Isabelle, dovrebbe seguirci.» riconobbi subito la voce di Aaron. Mi alzai e li seguii, in completo silenzio, per tutto il tragitto. Mi portarono dentro l’edificio dove lavoravano il Capo e tutti i suoi collaboratori chiamato Sheer, perché quando si entra dentro quell’edificio bisogna essere puri e sempre sinceri.
Mi scortarono nell’ufficio di Alfred dov’era già arrivato Des, il padre di Harry.
 
«Buongiorno signor Fitch»
 
«Buon giorno signora Laston, si accomodi pure.» mi accomodai immediatamente. Era strano sentirlo parlare in questo modo formale. Ero abituata a parlare normalmente con lui.
 
«Bene, credo che sappiate entrambi del perché siete qui. I vostri figli Harold Edward Styles e Amerisia Jade Laston sono scomparsi. Le mie truppe hanno già setacciato ogni cm di Haywire e non c’è nessuna traccia dei vostri figli. Sono costretto a porvi delle semplici domande. Come sempre prima le signore.» gli sorrisi solo per cortesia. In quel momento ero più propensa a picchiare chiunque mi rivolgesse la parola.
 
«Allora, signora Laston. Dove si trovava ieri alle ore 21.20?» mi domando un uomo del Consiglio che si trovava di fianco ad Alfred.
 
«Ero a lavoro, come sempre.» risposi tranquillamente. Almeno alla prima domanda avevo risposto dicendo la verità. Dubitavo già che alle prossime avrei potuto rispondere altrettanto sinceramente.
 
«A che ora è tornata a casa?»
 
«Credo per le 22.00» queste domande mi avevano già stufato ed erano solo all’inizio.
 
«E quando è arrivata nella sua abitazione sua figlia era a casa?» domanda ovvia e prevedibile. Idiota.
 
«Sì, stava già dormendo.» risposi immediatamente. Ormai ero la campionessa delle bugie, inoltre dovevo essere da esempio per Des.
 
«Dai risultati che possediamo lei ha inserito la carta alle 24.03. Può confermare?»
 
«Certo, ho inserito io personalmente la carta.»
 
«Ci può spiegare cos’ha fatto dalle 22.00, ora in cui lei è rientrata a casa, alle 24.00, ora in cui lei è andata a dormire?» domanda ovvia anche questa.
 
«Sono entrata in casa. Ho posato e messo via tutte le mie cose, mi sono seduta sul divano e ho acceso la tv. Mi sono sciacquata e ho indossato il pigiama. Sono tornata a guardare la tv sul divano e mi sono addormentata dalla stanchezza. Quando mi sono risvegliata ho spento la tv e sono andata a letto.»
 
Stava per farmi un’altra domanda quando qualcuno spalancò la porta urlando «L’abbiamo trovata»
 
Mi voltai e vidi una ragazza dai lunghi capelli biondo cenere e dagli occhi blu. La riconobbi subito: era Alicia, la figlia di Aaron. Mi girai inconsciamente verso di lui che guardava la scena sbalordito.
 
«Benvenuta signorina Alicia Jane Evans, prego si accomodi pure. Credo che con la signora Laston abbiamo anche finito possiamo subito passare alla ragazza.»
 
Il rappresentante  del Consiglio stava per protestare ma fu interrotto da un’occhiattaccia da parte di Aaron e fece come gli era stato ordinato.
 
«Signorina Evans, siamo venuti a sapere che conosceva sia Harold Styles che Amerisia Laston. Conferma?» la ragazza, terrorizzata, annuì solamente. Mossa sbagliata, temevo già il peggio per lei.
 
«Come ha conosciuto Harold e Amerisia?»
 
«Amerisia è una mia compagna di classe mentre Harr-Harold fa educazione fisica insieme alla mia classe.» l’interrogatorio di Alicia non stava andando bene, per niente. Ricevette una strana occhiata dall’uomo del Consiglio e Aaron era sul punto di svenire ma doveva rimanere impassibile, nonostante quello che stava accadendo.
 
«Ha mai parlato con Harold?»
 
«È capitato raramente. In realtà non abbiamo mai avuto una vera conversazione. Più che altro erano i soliti scusami, grazie, prego che ci si scambia durante la lezione quando si va a riprendere, per esempio, la palla o un oggetto nella loro parte di palestra. Ho scoperto come si chiamava perché una volta la nostra insegnante non era potuta venire a scuola e siamo stati costretti a fare educazione fisica insieme e disse a tutti di chiamarlo Harry e non Harold.» forse aveva parlato un po’ troppo ma era stata precisa e credibile, non sincera, visto che ero a conoscenza del corso che seguiva Alicia da anni ormai. Suo padre l’aveva costretta a seguirlo all’età di 8 anni subito dopo che il padre di Des decise di schiantarsi contro i cancelli di Haywire con un carro armato, morendo. Sapevo che Alicia seguiva il corso insieme a Harold o Harry o come si chiama. Io avevo espressamente chiesto che Amerisia seguisse quel corso da sola.
 
«Lei sa se invece se Harold e Amerisia si conoscessero tra di loro?»
 
«No, mi dispiace.»
 
«Scusi signorina ma lei ha precedentemente detto che lei e Amerisia frequentate la stessa classe e che lei conosce Harold perché fa educazione fisica insieme a voi. Come fa a non conoscerlo?» imbecille pensai immediatamente. Non capivo come avesse fatto con la sua (non) intelligenza ad entrare nel Consiglio.
 
«Beh io intendevo che non si conoscevano se non di vista e per nome, ovviamente.» se fossi stata in lei non avrei risposto alla domanda avrei guardato l’uomo con una faccia da “ma mi prendi in giro?”, sbagliando.
 
«Non so lei signor Fitch ma la signorina Evans non mi convince.» che? Sgranai gli occhi e puntai lo sguardo su Alfred come tutte le persone presenti nella stanza.
 
«Io credo che la ragazza sia stata più che chiara e meticolosa nel raccontarci i fatti. Non credo ci sia bisogno d’altro.» disse Alfred dopo essersi schiarito la voce. Inizia a pregare per l’incolumità di Alicia. Se l’uomo del Consiglio lo avesse ritenuto necessario l’avrebbero torturata finché non avrebbe parlato e detto la verità. Avrebbero iniziano con semplici schiaffi, mentre era legata su una sedia e poi se non avrebbe parlato o aggiunto altro avrebbero aumentato il livello della punizione finché non pensano che possa bastare e che la ragazza abbia detto la verità. Questo non ci voleva proprio.
 
«Io lo ritengo necessario.» disse l’uomo del Consiglio. Alfred sospirò, non poteva opporsi.
 
«Portatela giù.» tutti i soldati all’interso della stanza si mossero verso la ragazza per accompagnarla nella stanza che io chiamavo “la stanza degli orrori”. Alicia aveva le lacrime agli occhi, era perfettamente conscia di quello che sarebbe accaduto da lì a poco e guardò negli occhi suo padre.
 
«Signor Evans lei non è costretto ad assistere a tutto questo, anzi le pregerei di rimane qui con noi.» aggiunse subito Alfred. Da una parte ero d’accordo con la sua decisione, Aaron avrebbe sofferto di meno se non avesse visto nulla ma dall’altra no perché penso sia una cosa terribile essere in una stanza a pochi passi da quella dove alcuni colleghi torturano la propria figlia.
 
Appena Alicia venne scortata fuori dalla stanza venne interrogato Des mentre, ogni tanto, si sentivano delle urla femminili. Quando finì d’interrogarci entrambi ci liquidò dicendoci che avrebbero investigato sulla scomparsa dei nostri figli e che ci avrebbero fatto sapere qualcosa il prima possibile.
Mentre tornavo a casa pensavo ad Alicia, quella povera ragazza e a tutte le ingiuste pene che stava subendo.
 
Per la prima volta, da quando Amerisia era scappata da Haywire, fui felice per lei che si trovava lontano da tutto questo.
 
Non mollare Amerisia, io sono con te pensai tra me e me guardando i cancelli che si vedevano da casa mia.






Ciao a tutto, so che vi ho fatto aspettare tantissimo per il capitolo di Mad e, per questo motivo ho deciso di regalarvi questo missing moments per farvi capire cosa succede in contemporania ad Haywire
Grazie a tutti, spero che vi sia piaciuto.
Alla prossima!
  
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