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Autore: Ser Balzo    11/04/2014    11 recensioni
Tutto è bene quel che finisce bene, o almeno così si usa dire. Ma per il signore e la signora Darcy, la fine non è che un intermezzo. E in una fredda notte di ottobre, il destino verrà a bussare per il secondo atto.
"Il destino dell’Inghilterra è in pericolo... tu sei in pericolo. E finché avrò vita, non posso permettere che questo accada."
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Bennet, Fitzwilliam Darcy
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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“- E mi dica, come sarebbe il mondo senza le donne?

- Terribilmente noioso, mio caro signore.”

 




 

1.
Il fuoco arriva a Pemberley


 

 

 

Quando Elizabeth Darcy si svegliò, quella fredda notte di ottobre, non fu stupita di non trovare suo marito nel letto accanto a se’. 
Da qualche tempo, infatti, il signor Darcy era diventato scostante e pensieroso. Una coltre di nubi temporalesche era perennemente sospesa sopra il suo volto, deformandone i bei lineamenti e spegnendone lo sguardo. Passava interi pomeriggi assorto nella sua poltrona, le mani intrecciate davanti al volto; ogni tanto si alzava e vagava per il salotto, gli occhi stanchi ridotti a due fessure.
Elizabeth aveva più volte tentato di sondare la cortina fumosa che avvolgeva la mente di suo marito: era piuttosto brava nel capirlo, e ne era sempre stata soddisfatta.
Ma il signor Darcy evitava di avere qualsivoglia apertura nei suoi confronti; era evasivo, distante, se non proprio seccato della presenza della moglie e delle sue domande. Prese a saltare i pasti, evitare i ricevimenti; smise persino di accompagnare Elizabeth nelle loro tradizionali passeggiate al tramonto.
La signora Darcy sopportava  i duri colpi che l’atteggiamento del marito infliggeva al suo cuore con stoica determinazione: sebbene la sua arguzia non fosse stata sufficiente per scoprire cosa tormentava il suo sposo, era bastevole per comprendere che il signor Darcy non si comportava così per capriccio o per un imperscrutabile mutamento d’animo. Qualcosa lo preoccupava: qualcosa di oscuro e misterioso, ed Elizabeth non poteva che averne paura.
Passò mesi interi ad interrogarsi, facendo appello a tutto il suo intelletto e il suo intuito. Arrivò addirittura ad introdursi nello studio del marito, alla ricerca di qualsiasi indizio che potesse esserle utile; ma niente e nessuno sembrava minacciare il signor  Darcy. E questo non faceva che aumentare le sue pene.
Fu un periodo travagliato e oscuro, e sembrò durare secoli interi. Ma proprio quella notte di ottobre,  fredda e buia come solo le notti inglesi sanno essere, le risposte che Elizabeth aveva a lungo cercato, inseguito e disperatamente desiderato finalmente giunsero. Accompagnate dal chiasso di una porta spalancata e dal volto preoccupato di suo marito. 
«Elizabeth, vieni con me. Adesso.»
«William, cosa...»
«Adesso, Lizzie. Non c’è un secondo da perdere.»
Incuriosita dallo strano evolversi degli eventi e preoccupata dal tono di voce e dall’espressione del marito, Elizabeth scese dal letto e prese la mano che il signor Darcy le offriva. Venne letteralmente trascinata fuori dalla camera, scalza e in vestaglia.
«Che sta succedendo?»
«Non ora, Lizzie. Per favore.»
«No, William!» Elizabeth puntò i piedi, arrestando la corsa sua e del marito. «Sono mesi che non ottengo altro che borbottii e musi lunghi. Voglio delle risposte, e non mi muoverò finché non le avrò ricevute.»
Darcy fulminò la moglie con lo sguardo. «Maledizione, Elizabeth! Saranno qui da un momento all’altro.»
«Chi? Chi sarà qui, William?» rispose Elizabeth, fiera, impettita e decisa a non cedere neanche un pollice di terreno.
Darcy fece un profondo sospiro, poi pronunciò una singola parola.
«Wickham.»
Una fitta di panico colpì Elizabeth alla sprovvista. Suo marito aveva pronunciato il nome del suo vecchio amico d’infanzia con un tono che si riserva soltanto ad un nemico spietato e mortale. Era Wickham la causa dei suoi turbamenti, ora ne era certa. 
Era stato, è, e sarà sempre Wickham. 
«Sarà qui a momenti. Lui... non ti deve vedere.»
«Ma...»
«Ti prego, Lizzie, fidati di me.»
Riluttante, Elizabeth si arrese. Si lasciò trascinare da suo marito, che la condusse fino all’ultimo piano della tenuta. Arrivato alla fine del corridoio, Darcy abbassò un candeliere appeso al muro. Una porticina segreta si aprì con uno scatto.
Elizabeth non credeva ai propri occhi. «Una stanza segreta! Da quando abbiamo una stanza segreta?»
«Entra, presto. Qui sarai al sicuro.»
Elizabeth stava per replicare, quando vide con quanta angoscia il signor Darcy la stava guardando. Sentì il suo cuore sprofondare mentre avvampava di tenerezza.
«William, ti prego... vieni con me.»
Il signor Darcy la guardò disperatamente e intensamente, come un vecchio lupo di mare che osservi impotente la propria amata goletta sprofondare nell’oceano.
«Io... Dio sa quanto lo vorrei, Elizabeth. Se potessi strappare via il corpo dall’anima, quello che rappresento da quello che sono, e lasciare soltanto il cuore pulsante e l’anima nuda, allora non esiterei neanche un istante. Ma non posso, non posso sottrarmi al mio dovere. Il destino dell’Inghilterra è in pericolo... tu sei in pericolo. E finché avrò vita, non posso permettere che questo accada.»
«Fitz...»
«Ti prego, Elizabeth, ora ascoltami.» Darcy tirò fuori un oggetto dalla tasca e lo mise in mano ad Elizabeth «Se non torno entro domattina, va’ all’Old Dempsey Inn, a Londra. e ordina tre pinte di Locksley ben fermentato. Quando verrà il momento, pronuncia le parole “sic semper tyrannis”
«Ma... perché?»
«Perché sei l’unica persona su questa terra a cui affiderei tranquillamente la mia vita.»
In quell’istante, al pianterreno si udì uno schianto spaventoso.
«Sono loro» disse Darcy in un sussurro. «Addio, Elizabeth. Perdonami, se puoi.» E detto ciò, afferrò sua moglie e le diede un lungo bacio appassionato. Poi si voltò, uscì e chiuse la porticina dietro di se’.
Elizabeth si appoggiò ad una parete, e scivolando finì a terra. Attese, con il cuore in gola e la mente in fiamme, in attesa del ritorno del signor Darcy; ad ogni minuto che passava, lunghe spine affondavano sempre di più nel suo cuore. Era impotente, rinchiusa come una bestia in gabbia. Pianse a lungo, poi scivolò in un inquieto torpore. Immagini terribili le balenarono in mente, rosse e fumanti come il sangue appena versato.
Alla fine, qualcosa la svegliò. Ma non era suo marito.
Era il puzzo acre del fumo.
Tossendo, aprì la porticina. E una violenta fiammata rischiò di arrostirla viva.
La casa era in fiamme. Le tende, gli infissi, le porte, tutto bruciava, mentre dense volute di fumo scuro nascondevano il soffitto. 
Elizabeth corse alle scale. Una pesante trave si staccò dal soffitto e cadde a qualche metro dalla sua testa. Coprendosi la bocca con un fazzoletto, Elizabeth scese i gradini il più velocemente possibile. L’incendio era ormai in fase avanzata: per Pemberley ormai non c’era più speranza. 
Schivando le fiamme e le macerie carbonizzate, Elizabeth giunse al primo piano. Ma lì si interrompeva la sua corsa: le scale erano completamente crollate. La via era bloccata.
Elizabeth si guardò intorno freneticamente, alla ricerca di una via d’uscita. Nella sua mente balenò l’immagine di un paio di frondosi cespugli. Li aveva piantati lei stessa, un anno prima... proprio sotto le finestre del primo piano.
Il corridoio era invaso dai detriti e dal fuoco: Elizabeth si infilò nella prima porta alla sua sinistra, attraversò la stanza e spalancò una porta comunicante. Braci e scintille si riversarono nella camera, costringendo Elizabeth ad un balzo all’indietro. La stanza successiva era impraticabile.
Anche lì, la via era bloccata.
Elizabeth si vide perduta. Corse alla finestra: l’altezza non era molta, ma neanche sufficiente. Se si fosse buttata, molto probabilmente non sarebbe sopravvissuta.
Con un ruggito poderoso, le fiamme fecero il loro ingresso nella stanza, lambendo le succulenti coperte di lino del letto. Non c’era molto più tempo, ormai.
Elizabeth si guardò intorno, disperata. Poi lo sguardo gli cadde sul letto che ormai cominciava a prendere fuoco e un lume si accese nella sua mente.
Con uno scatto, afferrò le coperte e le tirò a se’, sottraendole dalla fame atavica delle fiamme. Le strappò, ricavandone delle striscie abbastanza spesse e le legò insieme. Poi fissò un capo alla maniglia della finestra e gettò la sua fune improvvisata dal davanzale.
Elizabeth guardò di sotto, poi nella stanza. Prese un bel respirò, afferrò saldamente la corda e si calò giù dalla finestra.
Lo sbalzo di temperatura fra la stanza rovente e il gelido esterno la fece rabbrividire. Cominciò a scendere, prima molto lentamente, poi una volta presa fiducia sempre più veloce. La terra si avvicinava sempre di più, e con essa la salvezza. 
Era a tre quarti circa del tragitto quando si udì un rumore terribile. 
Con un sonoro strappo, la corda di fortuna si ruppe. 
Elizabeth galleggiò senza peso per qualche istante, poi precipitò nel vuoto, sempre più veloce.


«Miss Darcy? Miss Darcy? Mi sentite?»
Elizabeth aprì gli occhi, confusa. La voce che la chiamava le sembrava distante migliaia di miglia.

«Oh, sia ringraziato il cielo, siete viva!»
La signora Mills, la governante, vegliava su di lei. Elizabeth si alzò a sedere. Era sul prato, davanti all’ingresso di Pemberley. O almeno, quello che ne rimaneva.
La casa era stata rasa al suolo dall’incendio. Della magnifica villa che aveva servito i Darcy per generazioni non rimaneva che una serie di monconi spezzati e annichiliti dal fuoco. Il fumo si levava alto e denso, oscurando il sole del mattino.
«Una disgrazia, Miss, una disgrazia! Eppure non avrei mai creduto che dei soldati del Re...»
Elizabeth le strinse il polso. «Aiutatemi ad alzarmi, signora Mills.» La testa le girava, e si dovette sostenere alla governante per non cadere. «Bene, signorina Mills. Ora raccontatemi cosa è successo.»
La governante, una donna massiccia senza collo che avrebbe potuto tenere per le corna un toro infuriato e metterlo con la schiena a terra, tremava come una foglia. «Sono giunti allo scoccare della mezzanotte. Bussavano insistentemente e con violenza. Ero piuttosto preoccupata, vista l’ora, così ho dato un’occhiata da una finestra: quando ho visto le uniformi mi sono tranquillizzata. Ho pensato che volessero ospitalità o del cibo, così sono andata ad aprire. Ma appena ho rimosso il chiavistello le porte si sono spalancate: un ufficiale a cavallo è entrato al trotto nell’ingresso, sissignora, seguito da una ventina di uomini. Sono finita schiacciata tra l’anta di destra e il muro; per questo non mi hanno visto.
«Ero lì schiacciata, dicevo, e pregavo tutti i santi perché proteggessero me, il signor Darcy e voi, Miss. Ed ecco che spunta proprio lui, il signor Darcy: aveva il fuoco negli occhi e una sciabola in mano! Per un attimo ho creduto di avere le traveggole. Ma, signora, che splendida visione! Il signor Darcy affrontava da solo tutti quegli uomini. Una furia tremenda pervadeva il suo volto: era così maestoso e terrificante che ho avuto paura per quei disgraziati che avevano osato mettersi contro di lui!
«Comunque sia, Darcy ha sollevato la spada, puntandola contro l’ufficiale. “È ora di finirla, una volta per tutte. Incrocia la spada con me, e muori” ha detto. Ma l’altro ha riso  - proprio così, un’orribile risata - e ha detto “non sei cambiato, Fitz. Sempre il più ingenuo”. Poi un soldato - maledetto vigliacco - lo ha colpito alle spalle; con un grido, il signor Darcy si è accasciato a terra. Due uomini lo hanno afferrato e trascinato via. L’ufficiale ha urlato “bruciate tutto!” ed è uscito al galoppo. Io ho approfittato della confusione per sgattaiolare via, e mi sono nascosta nel frutteto. Poi da lontano ho visto vossignoria scendere dalla finestra e cadere. Vi ho soccorso, mentre ho mandato il signor Murray a chiedere aiuto. Quando sono giunti i soccorsi, la casa era ormai perduta.»
Elizabeth ascoltò tutto il racconto senza fiatare. «Molto bene, signora Mills. Vi siete comportata egregiamente. Io...» Si voltò, distogliendo lo sguardo dalle macerie che un tempo erano state la sua casa. William era scomparso, la sua casa era bruciata. Non era rimasto più nulla, se non...
“Se non torno entro domattina, va’ all’Old Dempsey Inn, e ordina tre pinte di Locksley ben fermentato.”
Ripescò dalle pieghe del vestito l’oggetto che Darcy le aveva affidato prima di scomparire. Era una moneta, una corona d’argento, con tre buchi posizionati a formare i vertici ideali di un triangolo. Non c’erano altri segni particolari, o strane scritte. Con una punta di ironia che sorprese anche lei stessa, pensò che il destino aveva decisamente il senso dell’umorismo se l’unica cosa che le aveva permesso di salvare dall’incendio era un soldo bucato.
Elizabeth rigirò la moneta fra le dita, più volte. Poi, con voce calma, disse: «Prepara la carrozza. Vado a Londra.»
La signora Mills la guardò stralunata. «Ma come, Miss! E perché?»
Sic semper tyrannis.
«Hanno rapito mio marito. Me lo vado a riprendere.»



















L'ANGOLO DELLA CHIACCHIERA: ho ideato questo sistema per scaricarmi la testa dalle nuove storie che continuano a spuntare come funghi velenosi, distogliendomi dai doveri e dallo studio. Scrivo un capitolo, lo metto come one shot e poi se il tempo e l'ispirazione mi sono favorevoli lo continuo.
Comunque sia, questa storia nasce da due libri che ho avuto il piacere di leggere ultimamente: Orgoglio e Pregiudizio Jane Eyre. Roba lontana dai miei soliti gusti (neanche un'ammazzatina piccina picciò), ma ne è decisamente valsa la pena. Le protagoniste di questi due libri sono dei gran diavolo di personaggi: ben costruite, ottimamente caratterizzate, sono una meraviglia della letteratura. E sopratutto, potrebbero stare bene in qualunque contesto.
Mettete alla signora Bennet o a miss Jane una toga o un paio di jeans, e non perderanno un minimo del loro fascino.
Non poteva passare molto tempo prima che decidessi di maltrattarle con uno dei miei bizzarri omaggi.
L'idea che sta alla base di La lega delle straordinarie gentildonne è abbastanza semplice: prendere l'idea del fumetto/film a cui il titolo è ispirato, plagiarla spudoratamente e volgerla in chiave femminile: un supergruppo di madamigelle che risolvono casi e altre meraviglie. Un po' come affidare una storia su un club del libro ad Agatha Christie.
Cosa può fare la lega delle straordinarie gentildonne? A parte litigare e spettegolare, volete dire?
La risposta è semplice, signori miei. Tutto quanto.

Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo di prova. Se il plauso del pubblico e la mia singhiozzante creatività si amalgamano come si deve, potrei tornare da queste parti prima del previsto.

A presto, allora, e tanti cari saluti dal vostro amichevole torturatore di classici di quartiere!


P.S. la citazione all'inizio capitolo è senza fonte perchè l'ho letta da qualche parte ma non ricordo di chi fosse. L'ho cercata senza speranza su internet, in lungo e in largo. Se sapete chi è l'autore, segnalatemelo! 
  
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