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Autore: kleines licht    11/04/2014    2 recensioni
" Normalmente avrebbe sprecato tempo e fiato per urlare dietro a chiunque gli fosse capitato a tiro, e nel migliore dei casi per provarci con qualche infermiera arrapata e ben dotata ma quella decisamente non era serata. E gli era sembrato sempre più chiaro da quando aveva visto il corpo scultoreo di suo fratello collassare rumorosamente a terra, sotto la pioggia di colpi dell’ennesima creatura infernale che avrebbero dovuto uccidere."
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Ottava stagione
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Characters: Dean Winchester/ Sam Winchester
Pairing: Wincest
Rating: Giallo
Genre: Sovrannatural, un bel po' di Fluff, Drammatico (ovviamente xD)
Warning: slash
Note dell'autrice: Doveva essere una flashfic ed è diventata una storia di 3008 parole...sì decisamente non so ancora governare la mia mente malata! L'idea era quella di un momento dolce e carino tra un Dean che ha appena scoperto il suo amore e un Sam sul punto di morte. Beh non sto qui a dirvi molto, spero che vi piaccia e che abbiate voglia di leggerla tutta! Attendo i vostri giudizi ;)

J.
Disclaimers: I personaggi di Supernatural non mi appartengono anche se vorrei tanto, così potrebbero esserci un bel po' di scene slash , appartengono a Kripke e a tutta la crew quindi tutto quello che leggerete è frutto della mia mente malata, non ha scopo di lucro o di altro.

Dean Winchester, il ritratto di un uomo forte e senza paura. Di un uomo che non ha limiti e che non vuole crearsene, un uomo attraente e decisamente privo di tatto…un uomo che molte donne ambivano ma che quella sera non avrebbe fatto nemmeno una conquista.

Era ricoperto di fango ormai da ore, tanto che l’impasto creato col sangue gli si era appiccicato alla pelle e ai vestiti, fradici e distrutti. Aveva i capelli arruffati, un espressione tirata e seria dipinta sul volto ceruleo. Le braccia era rigorosamente incrociate sul petto da talmente tanto tempo che probabilmente, se si fosse mosso troppo bruscamente, si sarebbe lesionato qualche muscolo.

Irremovibile, nella sua posa appoggiato contro il muro, occhi nel vuoto. Era così da ore ormai, da quando aveva parcheggiato poco elegantemente la sua baby nel parcheggio dell’Ospedale e aveva cominciato a urlare per farsi sentire da quel branco di imbecilli.

Normalmente avrebbe sprecato tempo e fiato per urlare dietro a chiunque gli fosse capitato a tiro, e nel migliore dei casi per provarci con qualche infermiera arrapata e ben dotata ma quella decisamente non era serata. E gli era sembrato sempre più chiaro da quando aveva visto il corpo scultoreo di suo fratello collassare rumorosamente a terra, sotto la pioggia di colpi dell’ennesima creatura infernale che avrebbero dovuto uccidere.

Non era la prima volta che capitava un incidente simile, e di solito non era lui quello che andava in paranoia! Si erano ricuciti a vicenda almeno un miliardo di volte negli ultimi anni e questa volta perché avrebbe dovuto essere diverso? Perché semplicemente non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine del volto di Sammy macchiato del suo stesso sangue? Perché, dannazione,non riusciva semplicemente ad andare avanti?

Quelli erano affari di famiglia, il destino che gli era sempre spettato, avrebbero dovuto farsene una ragione da tempo ormai. Si rischia di morire, si fanno cose pericolose, si uccidono cose e si salvano persone. Tutto compreso nel prezzo, tutto calcolato. Eppure… eppure questa volta era maledettamente diverso. Questa volta non si trattava di un semplice graffio, di una botta o di qualche osso rotto.

Se vogliamo essere precisi la sua mente si era paralizzato solo quando aveva sentito le parole “terapia intensiva”.

Terapia intensiva.

Sam era in terapia intensiva.

IL SUO SAMMY ERA IN TERAPIA INTENSIVA. E lui non poteva farci assolutamente nulla. Era impotente, totalmente inutile. Non sarebbe servito a niente urlare, quindi tanto valeva stare fermi no? Non fare confusione, cercare di limitare i danni…l’obbiettivo ormai era quello di fare meno casino possibile, evitando in qualche modo di distrarre quegli incompetenti abbastanza da sbagliare qualcosa.

Il suo Sammy doveva riaprire gli occhi. Dannazione in quel momento soprattutto!

Ci aveva sperato, sul serio. Era stato sul punto di dirglielo, poi era successo tutto il resto. Non si aspettava un attacco massiccio, non nel bel mezzo dell’Oregon, in una casa isolata e piuttosto cadente. Aveva come sempre un’arma pronta accanto ma non avrebbe mai pensato di usarla. Se lo avesse saputo probabilmente sarebbe scattato in avanti prima, avrebbe posto maggiore attenzione sul suo giant broth anziché impedire a un demone di squarciargli la gola.

Aveva stupidamente pensato che il suo fratellino fosse cresciuto abbastanza per cavarsela da solo, si era fatto violenza pur di non intervenire perché… perché sentirsi accusato di essere troppo protettivo gli aveva mosso qualcosa dentro. Si era sentito imputato di un crimine che non aveva commesso, e aveva agito per orgoglio.

Stupidamente.

E proprio quel dannato orgoglio lo aveva portato in un fottuto corridoio asettico, dove le luci scricchiolavano ad intermittenza per dei dannati contatti tra i cavi, e dove le infermiere si muovevano lente e stanche sul linoleum. Avrebbe solamente voluto distruggere tutto, puntare la pistola in fronte a qualcuno e minacciarlo di morte pur di avere Sammy indietro.

Ma il suo compito era salvare le persone, e ucciderle o minacciarle non rientrava nei piani. Ovviamente.

Dopo qualche ora cominciò a chiedersi seccato se fosse quello il suo destino, aspettare in eterno una notizia che non sarebbe mai arrivata.

Poco prima dell’alba cominciò a domandarsi quanto dolore fisico avrebbe potuto sopportare prima di cedere a sua volta, di lasciarsi cadere sconfitto e urlare al cielo, chiedendogli perché diavolo tra tutti avessero preso Sammy.

Quando il sole era ormai sorto era sul punto di crollare sul serio: le palpebre cominciavano stupidamente a pesare, i lividi e le ferite che si era categoricamente rifiutato di far medicare cominciavano a pulsare sempre più forte e il dolore alle tempie stava progressivamente aumentando. Cominciò a pensare che forse, almeno questa volta, avrebbe potuto cedere definitivamente, appellarsi a Castiel anche se aveva smesso di chiedergli, e supplicarlo di tornare quando la sua personale salvezza si presentò sotto forma di una ragazza bionda, piuttosto bassa, con una consistente cartella clinica tra le mani.

Sandy, aveva letto sulla targhetta.

Beh Sandy era…una bella ragazza, una di quelle che avrebbe volentieri aggiunto alle sue fantasie di vero gigolot… se solo gliene fosse importato qualcosa. Nelle ultime ore aveva tristemente realizzato di essere arrivato ad un punto nel quale nemmeno la visione della più sexy e arrapante dolcezza in minigonna gli avrebbe suscitato una qualche reazione.

Lui voleva Sammy. Punto e basta.

La ascolto distrattamente, passandosi più volte le mani sul viso con movimenti resi lenti dall’affaticamento e dal torpore che si era auto-inflitto. Parlava di una stanza, di alcune terapie ma riuscì realmente ad attirare la sua attenzione quando, in parole semplici e dirette, gli concesse di poter vedere Sam.

In quel momento avrebbe voluto tanto allargare le braccia al cielo e commentare con qualche frase sarcastica e acida i tempi inutilmente lenti della sanità americana ma si limitò a ringraziarla, con lo sguardo di chi era davvero grato a quella specie di miracolo. Perché aveva perso la speranza, almeno una decina di volte, in quel corridoio ed ora qualcuno gliela stava restituendo.

Inutile dire che quasi corse verso la stanza che Sandy gli aveva indicato, mangiando velocemente i pochi metri di linoleum che lo separavano da quello che ormai era molto di più di un semplice membro della sua famiglia.

Rallentò solamente arrivato davanti alla porta, improvvisamente colto da una specie di …terrore. Cominciò a domandarsi se fosse davvero pronto a vedere lo spettacolo macabro che quella stanza gli avrebbe offerto, se il suo cuore martoriato fosse pronto alla botta emotiva che vedere suo fratello addormentato su un letto d’ospedale gli avrebbe causato. Probabilmente la risposta sarebbe stata negativa, se solo si fosse concesso il tempo necessario per ascoltarsi prima di costringersi a spingere la porta.

La camera era immersa nella penombra, la luce che pendeva dal soffitto era fioca e sfrigolante, come tutte le altre del resto. Nessun fantasma, nessun demone questa volta…solamente un background piuttosto squallido per quella che sembrava l’ultima scena di un film melodrammatico, quella dove il vero amore del protagonista principale esala l’ultimo respiro in un lercio letto di morte.

No, pensò con forza Dean, stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, Non osare andartene in questo modo così patetico o giuro che vengo all’Inferno, in Paradiso o dovunque andrai a finire  e ti prenderò a calci in culo per l’eternità.

E lo avrebbe fatto, senza alcuna ombra di dubbio. Tutto pur di poter stare con Sam, anche se avrebbe preferito di gran lunga poter consumare qualche altro…decennio con lui si questa terra. Non necessariamente a cacciare, ormai era quasi sicuro da un po’ che se Sam avesse insistito anche solo un altro po’ gliel’avrebbe data vinta e avrebbe abbandonato tutto. Demoni, fantasmi, armi…avrebbe lasciato tutto in un vano del bagagliaio dell’Impala, se solo questo avesse voluto dire poter rimanere comunque con suo fratello. Gli importava poco del “dove”, sarebbe invecchiato anche in una baita isolata, avrebbe lasciato a Sam carta bianca. Andava bene tutto, a patto di condividere ancora la loro esistenza per un po’.

Sarebbe bastato qualche anno, qualche stupido anno per poter vivere a pieno quello che gli maturava in testa ormai da troppo tempo. Ammesso e non concesso che Sam davvero ricambiasse quel che provava per lui, altrimenti lo avrebbe lasciato andare e avrebbe continuato a cacciare, ammazzandosi di lavoro fino alla fine.

Provò inutilmente a non commuoversi, a non reagire davanti al lenzuolo bianco che copriva a stento il corpo di quel gigante, bendato da capo a piedi, che respirava lentamente circondato da rumorosi macchinati. E provò a trattenere le lacrime anche quando si lasciò mollemente andare sulla poltrona accanto al letto, ma quando si focalizzò sulle palpebre serrate del suo little brother non riuscì a impedire ad una solitaria lacrima di rigargli la guancia.

Unì le mani a coppa, posandosele davanti alla bocca, come se questo potesse impedirgli di urlare, e cominciò a sondare ogni singolo centimetro del suo corpo con lo sguardo, andando ben oltre quello che un comune spettatore avrebbe potuto vedere, ignorando bellamente le bende e le medicazioni, il gesso e le garze.

Lui non vedeva nessuna ferita macchiare quella pelle che ormai conosceva a memoria, non vedeva nessun filo partire dal suo corpo per collegarsi a una flebo o ad uno stupido monitor.

Lui vedeva solo il suo fratellino, piacevolmente addormentato accanto a sé in uno squallido motel, coperto come sempre troppo poco dalle coperte leggere, che si muoveva nel ben mezzo della notte in cerca di calore. E vedeva suo fratello rilassarsi debolmente appena le sue mani esperte lo coprivano, delicatamente, con quella che sarebbe dovuta essere la sua coperta ma che sacrificava volentieri per il bene di Sam, per poter godere ancora per un po’ di quella visione così serena, così infantile.

Lo faceva da quando aveva sette anni e non aveva ancora smesso.

Solamente, se prima aveva cominciato semplicemente a prendersi cura di lui in quanto fratello maggiore, con il tempo aveva cominciato a farlo per tutt’altri motivi: senso della responsabilità, certo, ma anche un sentimento crescente a cui per tanto tempo non era stato capace di dare un nome.

L’illuminazione era arrivata una sera qualunque, in un motel qualunque, in una città qualunque, mentre stava fissando con ben poca attenzione una partita di baseball in tv. Di solito lo facevano insieme, spalla contro spalla, una birra in mano, ma quella sera il piccolo Sammy aveva deciso che era il caso di litigare, di urlarsi in faccia le cose peggiori e, tanto per finire in bellezza, di uscire rabbiosamente sbattendo la porta dietro di sé, lasciando Dean mollemente disteso sul divano, apparentemente insofferente.

Beh… apparentemente. Per le ore seguenti non aveva fatto altro che provare a ignorare l’istinto di prendere in mano il telefono e chiamarlo, chiedergli dove fosse, costringerlo a tornare a casa, e si era rilassato solamente quando aveva sentito la serratura scricchiolare sotto il peso di una chiave girata con poca convinzione.

Quella notte ringraziò un Dio che non aveva mai pregato per aver fatto ubriacare abbastanza suo fratello da renderlo semi-incosciente, dandogli così la possibilità di occuparsi di lui senza sembrare debole, stupido o idiota.  Si era occupato di lui con la dolcezza di un amante, sentendosi incredibilmente smielato ma aveva finito per farsene una ragione e solo una volta sotto le coperte, impegnato a controllare maniacalmente che Sam stesse bene, anche se era evidentemente troppo distrutto per stare male,  aveva capito che quello era non era semplice senso di responsabilità. Sam era abbastanza grande da cavarsela, lo sapeva bene, e conoscendolo avrebbe saputo sbrigarsela anche senza il suo aiuto, anche se non ci fosse stato lui sveglio ad aspettarlo.

Lui lo stava facendo per amore.

Da quel momento non era riuscito a darsi pace e aveva vissuto in completa solitudine tutte le fasi della nascita di un nuovo amore: l’incredulità, la negazione, l’accettazione, la tristezza, la sorpresa e infine la totale perdizione. Aveva fatto di tutto per ignorare la cosa, ma alla fine si era arreso. E quel bastardo del destino aveva deciso che quando Dean Winchester fa la sua scelta bisogna per forza rendergli le cose ancora più complicate!

Sospirò pesantemente, allungando debolmente una mano per accarezzargli il volto, provando a non interferire con nessun tubo e nessun ago.

Se osi non svegliarti, brutto idiota…io….io…. sussurrò senza riuscire a dare un senso alla sua frase. Che cosa avrebbe potuto fare? Niente, assolutamente niente. Non poteva nemmeno prendere in considerazione l’idea che Sam avrebbe potuto non svegliarsi, non poteva pensarci!

 

Rimase al suo fianco per ore, interminabili ore, rifiutando ogni pasto e ogni richiamo. Non se ne sarebbe mai andato, soprattutto se rischiava di tornare e trovare suo fratello…morto.

Aveva cominciato quasi per caso, probabilmente più per noia che per altro, ma aveva finito per prenderci gusto: aveva così iniziato a raccontargli tutto, di quando si era accorto di amarlo davvero, di come aveva fatto a non dirgli niente, del perché lo aveva fatto. Gli aveva parlato di quanto aveva dannatamente odiato Amelia il suo essere costantemente nei suoi pensieri, nell’ultimo periodo, e di quanto avrebbe voluto conoscerla per dirgli “ehi guarda che non è questa gran cosa!”, anche se sapeva che lo avrebbe detto a prescindere. Gli aveva parlato di come aveva cominciato ad accettare la cosa, a farsene una ragione, e aveva ammesso che, conoscendolo, lui ci avrebbe messo molto meno. Aveva detto tutto, in quella stanza, aveva lasciato che tutto quel che si portava dentro da mesi scivolassi fuori da lui e si disperdesse nell’aria, nella certezza più assoluta che Sam in qualche modo lo avrebbe ascoltato.

Il suo era stato un percorso di presa di coscienza, che lo aveva accompagnato verso alla certezza ultima che quel che provava fosse più forte di quel che pensava, e che aveva accompagnato Sam verso una lenta ripresa. Giorno dopo giorno avevano cominciato a diminuire i macchinari, e aveva cominciato a respirare autonomamente, malgrado avesse mantenuto gli occhi sempre rigorosamente chiusi.

Dean non aveva sicuramente dimenticato di rinfacciarglielo, ripetendogli spesso che “me le stai proprio facendo desiderare quelle dannate pozze verdi, fratellino”.

Eppure non si era arreso, con sua stessa sorpresa: aveva lasciato che il tempo gli si posasse leggero ma percettibile sulle spalle, senza smettere di sperare nemmeno un secondo, quasi come se la forza delle sue parole avesse potuto certamente contrastare con la forza della morte.

L’unico effetto collaterale era che ormai aveva perso il conto dei giorni, era dimagrito notevolmente malgrado alla fine Sandy fosse riuscita a costringerlo a mangiare qualche boccone, e una barba ispida aveva cominciato ad incorniciargli il volto. Era cresciuto, in quella stanza, e da inesperto ragazzino alle prime armi con la sua prima cotta omosessuale, era diventato un uomo cosciente e determinato che altro non voleva che sbattere in faccia a suo fratello la dura verità. E che era pronto ad accettarne le conseguenze.

 

Quando Sammy aprì gli occhi era una giornata quasi tersa, il sole entrava timidamente dai pochi buchi concessi dagli scuri della finestra. Dean era crollato in un sonno breve e senza sogni, che comunque non avrebbe contribuito a lenire le occhiaie scure che si ritrovava sotto gli occhi.

Sam impiegò parecchio a capire dove si trovasse e perché, frugando stancamente tra gli ultimi flash che il suo cervello aveva deciso di regalargli, ovviamente tutti rigorosamente in blocco e tutti ben poco nitidi. Solo dopo si era reso conto di non essere da solo, e anche questa volta aveva impiegato un po’ a capire chi si trovasse accanto: il ragazzo pallido che si ritrovava di fianco assomigliava a tutti tranne che a suo fratello.

La barba avevo coperto gran parte dei lineamenti che col tempo aveva imparato a conoscere a memoria, la giacca di John gli cadeva addosso ancora macchiata di sangue e fango, i capelli erano talmente scompigliati da sembrare un unico groviglio, il volto era talmente segnato da averlo fatto invecchiare di qualche anno.

Eppure si ritrovò a constatare quanto fosse comunque decisamente…incantevole.

Ci stava pensando da parecchio, a dire il vero, a quanto poco fosse normale ritrovarsi a pensare al proprio fratello a petto nudo impegnato ad aggiustare meticolosamente la sua bambina, o a sbirciare di sottecchi il suo profilo illuminato dalla luna. Eppure non ci aveva dato peso, aveva proseguito con la sua vita provando a distrarsi.

Mentre Dean era stato in purgatorio aveva messo da parte tutti quei pensieri poco ortodossi e si era concentrato su una ragazza decisamente carina, dagli occhi rigorosamente scuri –tanto per allontanare i demoni di quegli occhi chiari e quel viso tempestato di lentiggini- che era stata abbastanza brava da salvarlo dal suo circolo di masochismo puro.

E anche questa volta si costrinse a pensare ad altro, concentrandosi sulle sue membra intorpidite che provl a stiracchiare, prima lentamente, poi con più convinzione. Finì per mettersi a sedere al bordo del letto, osservando concentrato i suoi piedi a penzoloni a pochi centimetri dal pavimenti.

Sammy…che diavolo stai cercando di fare?! Brontolò all’improvviso una voce assonnata alla sua spalle, che lo fece sussultare visibilmente e lo portò a voltarsi velocemente verso quella direzione

Io…sono felice anche io di vederti Dean! Osservò con tristezza, ritornando alla realtà dove il suo fratello maggiore altro non faceva che vederlo come un ragazzino da proteggere, mentre lui poteva bere birra e andare a donne. Sospirò profonamente, sfuggendo alla trappola a doppio taglio degli occhi chiari del maggiore, e vagò oziosamente per la stanza.

Dean, dal suo canto, non riuscì a capire che diavolo gli fosse preso e come mai avesse reagito in quel modo così burbero e freddo, quando finchè Sam aveva tenuto gli occhi chiusi era diventato tanto dolce da farsi pena da solo. Probabilmente era la paura di essere in un sogno, di svegliarsi e vedere che tutto era ancora piatto, e che suo fratello non era… più lì.

Impiegò parecchio per svegliarsi dal suo torpore, convincersi che era la realtà quella che stava vivendo e obbligarsi ad alzarsi e fare qualcosa.

E quel che fece fu forse la prima cosa giusta nella sua vita da mesi, e la prima cosa che avrebbe voluto fare dall’inizio. Semplicemente tirò dolcemente Sam verso di sé e sfiorò le sue labbra con le proprie, subito invaso dalla consapevolezza che quel gesto era tutt’altro che disprezzato.

   
 
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