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Autore: Venice C Hunt    12/04/2014    0 recensioni
Chissà come si chiamava. Lake se lo chiedeva quasi ogni sera, quando alle dieci precise vedeva lo sconosciuto sedersi ed aspettare qualcosa o qualcuno che mai arrivava. Lo trovava bizzarro. Come i diversi look che portava. Il giorno prima, aveva indossato una parrucca dai capelli bianchi inanellati e dei vestiti tipici del primo Seicento. Qualche sera prima, ancora, si era vestito in maniera più frivola, con tanti merletti dorati e argentati. 
Un angelo. Ecco, quel ragazzo poteva essere un angelo. Di uno dei gradi più alti. Di uno di quelli più vicini a Dio. 
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa breve storia no sense era già stata pubblicata sul mio precedente account (cancellato).
Ho deciso di pubblicarla di nuovo, tanto per inaugurare questo account :)
Spero vi piaccia!

Venice






Enigmatica bellezza
 
 

   
 
  Quella notte lo vide nervoso. Se ne stava a sedere sul selciato sdrucciolevole continuando a dare occhiate furtive ai passanti. Custodiva gelosamente un orologio da taschino color bronzo tra le mani e, ogni quindici secondi circa, guardava l’ora.
Il ragazzo era in un austero abbigliamento ottocentesco. Una redingote color nero pece aderiva alla sua vita e, sotto il sedere, si intravedevano due lunghe falde. Dei pantaloni attillati color crema si stringevano attorno alle sue snelle gambe. Portava degli stivali scuri, alti fino alle ginocchia, ed un panciotto bianco. I riccioli, a metà tra l’oro e il castano, erano racchiusi sotto la bombetta corvina. A Lake parve terribilmente difficile distogliere lo sguardo. Lo sconosciuto era di una bellezza incantevole, ammaliante, e con quegl'abiti lo era ancora di più.
Lake ebbe l’impulso di afferrare una matita ed un blocco da disegno, tentando di imprigionare su carta i tratti spigolosi del suo volto, il naso greco come l'imperatore Augusto, le labbra carnose - così sensuali che i pensieri di Lake cadevano nel desiderio di sentirsele sulla pelle -, e il busto eretto ed elegante. Si frenò, però. Scacciò via la voglia di disegnare, come uno schiaffo improvviso, perché non voleva allontanarsi dalla finestra; non voleva neanche per un istante abbandonare una vista così piacevole. 
Avvicinò così tanto il volto al vetro che il suo respiro su di esso si condensò, annebbiandone una piccola concentrica parte. 
Chissà come si chiamava. Lake se lo chiedeva quasi ogni sera, quando alle dieci precise vedeva lo sconosciuto sedersi ed aspettare qualcosa o qualcuno che mai arrivava. Lo trovava bizzarro. Come i diversi look che portava. Il giorno prima, aveva indossato una parrucca dai capelli bianchi inanellati e dei vestiti tipici del primo Seicento. Qualche sera prima, ancora, si era vestito in maniera più frivola, con tanti merletti dorati e argentati. 
Lake avrebbe voluto aprire un’anta e sporgersi, e dare modo alle sue tante domande vorticanti nella mente, di poter essere realmente poste. Eppure, temeva che lo sconosciuto non gli avrebbe risposto. Perché doveva dire proprio a lui i suoi affari? 
Lake odiava essere così curioso. Lo soffocava. Una morsa che lentamente gli stringeva la trachea. 
Si mordicchiò il labbro inferiore, ed un gusto metallico non tardò ad invadergli la bocca asciutta. Arricciò il naso. Odiava avere le labbra screpolate, così delicate che bastava poco a farle sanguinare. 
Invidiava quelle dello sconosciuto, invece. Erano così belle e, a vista, così dannatamente morbide. Le guance di Lake si accaldarono, appena si mise a pensare a che sapore avrebbe potuto avere la bocca di quel ragazzo. Banalmente di menta? E se le sue labbra erano impregnate di un gusto sgradevole? No, impossibile. Erano così troppo splendide, e in lui ogni cosa dava di segno di aver raggiunto una perfezione oltre i confini della perfezione stessa. 
Un angelo. Ecco, quel ragazzo poteva essere un angelo. Di uno dei gradi più alti. Di uno di quelli più vicini a Dio. 
Si alzò. Lake aggrottò leggermente le sopracciglia. Resta un altro po’, pensò. Lo sconosciuto si mise l’orologio nella tasca del soprabito e, poi, si tolse il cappello. Lake trattenne un respiro. I riccioli erano ribelli e forti. Si immaginò di attorcigliarseli attorno alle dita, di tirarli mentre entrambi ansimavano. Il cuore scalpitò nel petto, la bocca dello stomaco si contorse. Non aveva mai provato un’attrazione del genere. Non aveva mai avuto la necessità di conoscere qualcuno solamente osservandolo sera per sera. In realtà, Lake non aveva mai avuto bisogno di nessuno e basta. 
Afferrò la maniglia d'acciaio. La girò pronto ad aprire, ma si bloccò. Lo sconosciuto aveva alzato il mento. E adesso lo stava fissando. Un piano che li divideva, diversi metri che allontanavano l’uno dall’altro, eppure, con la collisione dei loro sguardi, tutto sembrò ridursi; tutto sembrò scomparire.
Lake si sentì improvvisamente paralizzato. Ogni muscolo che veniva sepolto dallo sguardo curioso e intenso dello sconosciuto. Le iridi di quel ragazzo, che sembrava appartenere ad un’epoca lontana, erano scure, ma forse era la semplice luce dei lampioni che le rendeva così. Si morse di nuovo il labbro, non poté evitarlo. Era nervoso, troppo. Vide gli angoli della bocca impeccabile tirarsi in alto e creare l’accenno di due fossette. Stava mostrando il suo sorriso proprio a lui? Davvero?
Si sentì confuso e spaventato dal timore che lo sconosciuto si fosse accorto da molto di essere spiato. D’altro canto, Lake non aveva mai cercato di nascondersi. Non mai pensato di farlo.
Si pentì quasi subito quando fece scivolare la maniglia per aprire. Non seppe dove trovò la forza, non seppe perché lo fece ugualmente, invece di scappare imbarazzato. 
L’aria fu fresca ma non troppo fredda contro il suo viso. «Scusa».
Scusa? Lake si morse la lingua. Che idiota. Aveva un mondo di cose da poter dire per iniziare una conversazione e, invece, le corde vocali avevano vibrato delle stupide scuse. Probabilmente, lo sconosciuto voleva solo fargli una ramanzina sul perché non si dovesse spiare le persone. Insomma, che quel ragazzo intendesse flirtare con lui, gli parve praticamente impossibile. 
Il ragazzo dai bei riccioli inclinò di poco la testa. Un luccichio. Lake si accorse di un orecchino a cerchietto stretto al lobo del suo orecchio destro. «Ti interesso tanto?»
La pelle di Lake divampò, le sue guance e le orecchie si imporporano. «E' che sei strano» rispose. Volle darsi uno schiaffo in faccia da solo. «C-cioè … voglio dire … ».
Smise di balbettare appena lo sentì ridere. Lo sconosciuto chiuse gli occhi, con una mano davanti alla bocca. Il cuore di Lake batteva così forte da rompere il petto. 
La sua risata era melodiosamente bella. Quando finì di ridere, fece una cosa che Lake non si aspettò: un cenno con le dita che gli intimava di scendere. 
  
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