Fanfic su attori > Jamie Campbell Bower
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Autore: herflowers    13/04/2014    2 recensioni
Ginger, convinta di aver finalmente voltato pagina e aver cominciato il primo capitolo della sua vita, si troverà di fronte a bivi che la costringeranno a prendere decisioni, alcune sbagliate e altre meno.
Dividersi in quattro per amicizia, amori e per se stessi è difficile. Amori complicati, ma allo stesso tempo unici. Amori condivisi, espansi alla solita relazione di “coppia”. Un triangolo stravolgerà ogni cosa. Quali occasioni verranno sprecate? Quali problemi sorgeranno e cosa succederà?
L’amore è proprio tutto quello di cui si ha bisogno per sentirsi vivi e parte di qualcosa?
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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A quella festicciola, gente con le mie stesse ideologie, come aveva sostenuto Lewis, non ne avevo ancora trovate. Piccioncini che stavano mano nella mano, si lanciavano occhiatine depravate della serie Appena siamo soli ti sgualcisco quel vestitino attillato che indossi, bevevano bicchieri di vino e mangiavano salatini. Le solite feste di Lewis con musica in sottofondo. Almeno, la scelta musicale era decente, per evitare di non esprimere opinioni sulla compagnia che invadeva la sua casa. Un piccolo Loft con mura in mattoni rossi e soffitto bianco alto molti metri. Mi incantava il modo in cui era arredata: un divano di tessuto scuro appoggiato alla parete tra due finestre stupefacenti, un tavolino di legno di ciliegio basso posto proprio di fronte al divano, un paio di quadri dipinti a colori ad olio che fece sua madre in gioventù. Un grosso tappeto era proprio sotto i miei piedi e si allargava per un metro e mezzo al centro della sala. In un angolo, vicino al camino, c’era una piccola poltrona isolata di un beige notevole accompagnato da stampe di fiori dello stesso colore, blu, rossi e bianchi. Amavo particolarmente quella poltrona, adatta a me, dove mi sedevo quando andavo a trovarlo e ascoltavo la musica chiudendo le palpebre oppure dove leggevo libri, senza sosta. Ogni volta, infatti, mi rimproverava dicendomi sempre le stesse parole «Sei venuta per me o per la poltrona?» e ogni volta rispondevo assolta «Entrambi, che domande..».
« Sei proprio la solita » Disse Lewis alle mie spalle. Si era piegato in avanti, verso di me, appoggiandosi con le mani allo schienale del divanetto dove ero seduta.
« Ti divertirai, certo Sherlock..» Commentai con le braccia incrociate.
« Allora dedurrò che sei venuta per me, grazie Watson..» rispose dandomi un bacio sulla guancia per poi tornare a rialzarsi. Non aveva affatto voglia di rimanere seduta lì, ferma in mobile e in silenzio tutta la sera. Mi alzai lisciandomi il maglioncino e dando un’occhiata ai Dr. Martens dall’alto. Camminai in direzione del bagno, forse la mia stanza preferita. Le pareti, appena qualche mese dopo la nostra conoscenza, le dipinsi insieme a lui. Era fissato col fare una parete artistica dalla parte della vasca, così eccola ancora lì come nuova. Entrai e i rami fatti di vernice catturarono la mia attenzione. Fortunatamente la ragazza di Lewis non aveva ancora avuto la brillante di apportare modifiche all’ambiente casalingo, anche se il suo tocco si poteva vedere sul tavolo della cucina: Una tovaglia in pizzo con sopra un vaso di girasoli. Andiamo, chi è che metterebbe dei girasoli in cucina? Forse lo avrei fatto anche io, non era male come idea. Chiusi la porta alle mie spalle e mi avvicinai alla finestra accanto alla lavasciuga. Come fa Lewis a vivere in questo “lusso”? sono di gran lunga meglio le cose semplici, carine e uniche.. come la vista da questa finestra. Mi sedetti sul davanzale interno della finestra guardando il parco sparso di foglie rosse, come la tinta dei miei capelli, e illuminato da lampioni tutt’intorno. Il comune spenderà un sacco dei nostri soldi per pagare tutta quella luce. Le macchine passavano una alla volta con intervalli di dieci minuti proprio sulla strada, sotto quella finestra. Io avrei tanto voluto una vista del genere nel mio appartamentino, invece, però, avevo avuto la fortuna di poter vedere il fisicaccio del mio vicino anziano e sovrappeso, molto sovrappeso, senza maglietta. Ogni volta che mi trovavo nello sgabuzzino chiudevo una persiana sverniciata proprio per evitare incontri ravvicinati dal vivo del genere. Soprattutto d’estate.  Sospirai e mi tornai a mettere sui miei stessi piedi. Avvicinandomi alla porta chiusa, mi soffermai davanti allo specchio a guardare il mio aspetto; quei capelli rossi, di natura castani, e quegli occhi grigi stanchi e ricoperti da una riga sottile di eyeliner che li rendevano ancora più.. dolci, sensibili. Scossi la testa notando il pallore della mia pelle e il naso arrossato proprio dove sostava un anellino attaccato alla narice destra. Avrei voluto cambiarlo, ormai lo portavo da tre, quattro anni e vedevo sempre la stessa ragazza. Forse, se avessi cambiato qualcosa del mio aspetto avrei potuto sembrare diversa, cambiata in qualche modo. Mi ripresi del tutto tornando a liberare la mente da tutto e uscii dal bagno.
Mi sedetti su quella poltrona tanto amata e raccolsi le gambe contro il petto. Stavo guardando tutta quella gente camminare, scherzare e incazzarsi cercando di capire cosa potessero mai pensare. Ovviamente non ci sarei mai riuscita, non avevo il potere di leggere nel pensiero. L’unico che mi colpì, con onestà, fu un ragazzo dalle lunghe gambe snelle e i capelli biondi seduto sul divano dove pochi minuti mi trovavo io. Possibile che in tutto quel tempo, seduta ad osservare ogni minimo movimento, non mi ero accorta della presenza di quel ragazzo? Si, era possibile. Infondo, nessuno si sarebbe accorto di me, come di lui; entrambi fermi senza fare niente se non intenti a pensare, pensare e ascoltare sciocchezze su sciocchezze. Portò una gamba in alto accavallandola sull’altra. Lo sguardo perso al soffitto fino a quando non abbassò il viso e incontrando il mio sguardo. Distolsi lo sguardo da lui sentendomi terribilmente in soggezione, nervosa, e in colpa. In colpa per cosa? Non lo sapevo nemmeno io, a dire il vero. Mi alzai andando verso la libreria di Lewis e presi uno dei miei libri preferiti. Mi voltai per tornare alla poltrona e in lontananza, vicino alla finestra intravidi il corpo snello del ragazzo biondo. Guardava concentrato fuori dalla finestra e teneva le mani infilate nelle tasche di un jeans nero strappato su entrambe le ginocchia. Nelle tasche, sotto i palmi delle mani, si era incastrato il tessuto della sua maglia, nera a maniche lunghe e con una tasca larga sulla parte sinistra del petto, facendo vedere la sua magrezza. Le mani che erano tirate su all’altezza dei gomiti e, il suo spetto lo faceva sembrare un tipo.. misterioso. Scossi la testa e tornai a camminare in direzione della poltrona, a pochi passi da lui. Fino a quando non mi voltai per sedermi. Tenni lo sguardo sulla sua chioma bionda. Incrociai le gambe e aprii la prima pagina di quel libro. Cominciai col leggere quelle prime righe nonostante ne conoscessi già le parole. Mi persi completamente nella lettura senza nemmeno accorgermi di essere completamente sola in quell’angolo di stanza. Anche il ragazzo biondo se n’era andato. Quando mi guardai in giro incontrai gli occhi di Lewis. Gli sorrisi appena e lui ricambiò abbassando appena lo sguardo. Jules, la sua famosa ragazza dai capelli biondi, era molto gelosa persino della nostra amicizia. Infatti, come previsto, richiamò Lewis facendolo voltare. Gli mise un palmo sulla guancia con fare delicato, sussurrandogli qualcosa e baciandolo successivamente. La gelosia porta a questo, ma è gelosia sprecata. Continuava a non importarmene nulla della sua presenza nella vita di Lewis, ma quando faceva una delle sue sfuriate, per uno sguardo tra me e lui o per due parole scambiate, lì mi si alzava la rabbia a mille.
Passai l’intera sera leggendo, alternando un paio di capitoli con un bicchiere di vino fermo e delicato. Ormai tutti gli invitati se n’erano andati, rimanevano meno di una decina di persone in tutto l’appartamento compresa me. Lewis, incatenato al corpo della sua bella, non mi aveva rivolto la parola per tutta la durata della festicciola, nemmeno per chiedermi di andarmene, ne vedevo la necessità visto la mia utilità in quel posto. Mi alzai da quella poltrona, chiudendo il libro, e mi avvicinai al tavolo per un altro bicchiere di vino e qualche stuzzichino. Tamburellando le dita sulla superficie del tavolo scelsi una ciotola piccola di patatine. Ne presi una manciata, mi voltai  e appoggiai la schiena contro la sedia alle mie spalle posta sotto al tavolo. Cominciai a guardare Lewis e Jules salutare una coppia di amici, sorridendogli. Spesso invidiavo il suo modo di vestire e di apparire alla gente; maledettamente bella, così bionda e con due occhi da cerbiatto seguiti da un sorriso smagliante. Era totalmente il mio opposto. Scossi la testa, sentendo un vuoto improvviso e alzai lo sguardo notando la presenza del biondino. È ancora qui? Mi domandai mentalmente guardandolo portarsi una bottiglia di birra alle labbra, bevendone un sorso. Sospirai mangiando l’ultima patatina tra le mie mani, bevvi un sorso di vino e mi avvicinai a Lewis, intento a chiudere la porta d’entrata. Non avevo più voglia di rimanere lì, mi ero annoiata già abbastanza quella sera.
«Gin » Disse sorridendomi.
« Vado a casa, Lew…»
« Adesso? Non ti va di rimanere qui?» Domandò.
« E dormire sul divano mentre tu e la tua bella ci dante dentro, tutta la notte?» Chiesi sottovoce « No grazie » Scossi la testa.
« La mia “Bella”, come la chiami tu, non rimane qui. Domani mattina ha degli impegni importanti » Disse abbassandosi al mio livello.
« Più importanti di te, da come vedo » Sentenziai. Il suo corpo si raddrizzò, l’espressione seria e stanca fissa su di me e un senso di disagio cominciò ad affiorare dentro il mio corpo. Non potevo rispondere semplicemente “no”? Pensai rabbiosamente.
« Ginger, per favore..» Si passò una mano tra i capelli castani, portandoli all’indietro. Aveva l’aria di chi proprio non ce la faceva più di ascoltare le mie parole. Lo capivo, in qualche assurda maniera.
« Scusami, Lewis » Sussurrai, abbassando lo sguardo e voltandomi per andare verso l’attaccapanni. Attraversai il salone sotto gli occhi di Lewis, ai quali si aggiunse lo sguardo del ragazzo appoggiato alla parete. Scossi la testa e mi fermai prendendo la mia giacca. Dovevo rovinare proprio tutto, d’altronde non era la prima volta che lo pensavo. Tutte le persone con cui avevo chiuso i ponti da tempo, mi dissero che ero io a rovinare tutto. Inizialmente non ci diedi molto penso, mi limitai a pensare che fossero loro ad avere problemi sul vedere la verità davanti ai loro occhi, ma poi aveva capito che avevano ragione. Lewis era l’unico che mi rimaneva, a cui tenevo, ma stranamente era come se la mia testa stesse cercando di far allontanare anche lui.
« Hey, ti stai dimenticando il cellulare » Parlò una voce calda, adulta mai sentita prima di allora. Mi voltai, fermandomi di colpo e puntando il ragazzo, ancora appoggiato alla parete, intento a rigirarsi la bottiglia di vetro tra le dita, guardandomi da sotto le ciglia chiare.
« Grazie » Mi limitai camminando verso il salone. Mi bloccai, Dov’è?
« Sulla poltrona » Disse, come avesse risposto alla mia domanda implicita. Lo guardai senza dire nulla, presi il cellulare e mi avviai alla porta d’ingresso.
« Ci vediamo » Dissi guardando i miei anfibi, passo dopo passo. Appena arrivai al suo fianco sentii il suo profumo. Chiusi gli occhi percependo quelle lacrime tanto oppresse negli ultimi anni. Non potevo piangere, non volevo piangere. Sentii i tentativi di provare a dire qualcosa, di trovare il coraggio di dirmi qualcosa, ma non lo fece. Sentii la sua voce pronunciare un semplice Ciao prima di chiudere la porta alle mie spalle.
Il pomeriggio seguente…
« Robert, non dovremmo studiare matematica?» Chiesi sorridendo e arricciando il naso, « infondo sono qui per questo. »
« Si, ma prendere una pausa dallo studio non penso sia diventato un reato, per ora. » Rispose, portandosi il pacchetto delle sigarette alle labbra ed estraendone una. Quei ricci scuri, che circondavano il suo viso di carnagione chiara e che risaltavano i suoi occhi verdi, ricadevano sulla sua fronte. Rimasi in silenzio guardando i suoi movimenti, i muscoli che si contraevano sotto i vestiti, sottili e leggeri nonostante il tempo all’esterno del salotto di casa sua. Quei gesti lo rendevano diverso dal solito. Sembrava veramente assorto nei suoi pensieri, era come se si lasciasse tutta la voglia di dire stronzate senza senso da parte.
« Vuoi favorire?» Mi chiese senza rivolgermi lo sguardo.  Tenne la testa china nell’accendere la sigaretta mentre io continuavo a guardarlo, concentrata. Forse era il suo modo di essere spavaldo o forse per il suo aspetto, ma quando mi trovavo con lui, a pochi centimetri di distanza, nella stessa stanza, una sensazione strana pervadeva i muscoli del mio corpo, fremevano come non mai. È dovuto sicuramente alla sua bellezza, infondo… guardalo! Pensai inopportunamente.
« Mh…?» Mugolò fievolmente, alzando lo sguardo su di me.
« Non fumo, lo sai.» Risposi, incrociando le gambe.
« Nemmeno una prova? Potresti farlo indirettamente, semplice fumo passivo.» Spiegò alzando un angolo della bocca, accennando un sorriso.
« Non sarebbe la prima volta. » Sentenziai.
« Avvicinati…» Disse incrociando le gambe e mettendosi la sigaretta tra le labbra con un movimento veloce. Le sue mani si appoggiarono sulle mie ginocchia e il suo corpo si mosse, cercando di sistemarsi e diminuire la distanza tra noi. Seguii i suoi movimenti, appoggiò un gomito sulla sua gamba mentre con l’altra prese l’involucro tra le labbra all’altezza del filtrino.
« Avvicina il viso al mio, dischiudi appena le labbra. » Spiegò con voce semplice, come se stesse insegnando a un bambino qualcosa di importante. Seguii le sue parole alla lettera, ritrovandomi a pochi millimetri dalle sue labbra. A quel punto si portò la sigaretta tra le labbra e tirò una boccata di fumo abbastanza abbondante. Staccò la sigaretta ed ispirò unpo’d’aria, poi disse trattenendo il fumo:
« Ispira.» E lo lasciò uscire in modo lento e delicato, come se fosse più leggero di quello che era in realtà. Ispirai sentendo i polmoni riempirsi e il spore di fumo, mischiato a quello di Robert, venire assorbito dai miei organi sensitivi. Le lunghe ciglia scure di lui si incontravano delicatamente, ma da sotto le palpebre socchiuse, riuscii a scorgere comunque il colore dei suoi occhi, fissare i miei lineamenti. Tutta quella nebbia si adagiò sulla mia pelle, ma fece presto ad issarsi e salire verso il soffitto, disperdendosi nell’ambiente. Si raddrizzò e aprì completamente gli occhi, portandosi nuovamente la sigaretta tra le labbra.
« Bene, com’è stato?» Mi domandò sorridendo e alzando un paio di volte le sopracciglia. Com’è stato?
« Rob, in genere una cosa così la si chiede in altri casi, ma questo… avanti, novellino.» Risposi prendendo le punte dei miei anfibi tra le mani, sbilanciandomi appena all’indietro.
« Hey, cercavo di… lasciamo perdere. E sentiamo, tu che sai tutto della vita, in quali casi si dovrebbe usare questa domanda specifica?»
« Per esempio per chiedere come è stato un giro sulle montagne russe, com’è stata una serata passata in un locale esclusivo…»
« Oppure per chiedere com’è stata una nottata di sesso selvaggio, eh.» Disse, alzando le sopracciglia e mettendo la punta della lingua tra i denti.
« Tu, novellino, pensi solo al sesso?» Domandai, scherzosa.
« No, ovviamente. Quello è il secondo punto della mia lista.»
« Il primo quale sarebbe, sentiamo?»
« Abbordare una bella ragazza e offrire il pacchetto completo, che domande. C’è tanto Robert da donare »  Disse come se fosse la cosa più scontata al mondo.
« Sei squallido.» Risi. Mi alzai appoggiando una mano sulla spalla di Robert, cercando un sostegno per darmi più forza.
« Avanti, casanova. Al lavoro.» Dissi avvicinandomi al grande tavolo di legno, ricoperto da fogli volanti e libri di algebra aperti a caso. Mi sedetti al mio posto, portando la sedia ben sotto il tavolo e ripresi a controllare il lavoro svolto da Robert qualche minuto prima.
« Hey, la pausa non è ancora finita. Se diventerò un vegetale perché troppa matematica rischia di fondermi il cervello, ti denuncio.» Protestò alzandosi, mettendosi la sigaretta penzoloni tra le labbra.
« Senti, non sono io quella ad avere bisogno di una mano, a venticinque anni, in matematica per passare un esame.» Replicai, appoggiando il foglio sulla superficie occupata da un quaderno.
« Solo perché mi sto facendo aiutare da una novellina più piccola di qualche anno, nonostante la mia età matura, non è da ignoranti. È solamente la buona volontà che manca, ma sono sempre il più intelligente della famiglia.» Sentenziò gesticolando e camminando in quel suo modo così strano, come imitando i vecchi film western in bianco e nero.
« Si, come vuoi.» Scossi la testa. La sedia, di legno scuro, alla mia sinistra strisciò sul pavimento. Robert si sedette e appoggiò svogliatamente le braccia incrociate sul bordo del tavolo, guardandomi correggere gli esercizi.
« Senti, Gin…» Parlò, seriamente questa volta. Alcune ciocche dei miei capelli rossi, vivaci, caddero in avanti formando una sottospecie di barriera che mi impediva di vedere oltre il mio campo visivo. Alzai di colpo lo sguardo dal foglio, rivolgendolo alla figura al mio fianco.
« Dimmi.» Risposi, imitando la sua posizione e guardandolo interessata.
« Se ti chiedessi di uscire accetteresti o rifiuteresti, per il mio essere idiota?» Domandò, stavolta facendo una smorfia ridicola, provocando una mia risata che cercai di trattenere a tutti i costi. Abbassai lo sguardo tornando ad essere delimitata dai mie capelli, poi lo alzai guardando il soffitto.
« Bhè, Rob » Cercai le parole, « Okay, forse lo sei- e non poco- ma penso che tu sia un idiota piacevole…»
« Quindi, sarebbe un si?»
« Può darsi » Alzai un angolo della bocca, abbassando lo sguardo sui fogli proprio sotto i miei palmi. Il suo respiro mi diede l’impressione di un esulto silenzioso e non espresso, improvviso. Sospirai leggermente giocherellando con la biro tra di dita.

 
   
 
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