A letter to my father
Caro papà,mi
dispiace.
Non
so cosa
sia successo al mondo,alle persone,ma posso solo dirti che mi dispiace.
Sta
succedendo qualcosa,qualcosa di terribilmente forte,e le nostre
realtà sono
state ancora una volta sconvolte. Ti sto guardando in questo momento ;
sono in
cucina con una penna e un foglio davanti,e ti guardo. Te ne stai
lì,sul
divano,con la tua decina di bottiglie di birra vuote a
terra,inerme come un morto che aspetta solo
di esser tale. Sai,ho riflettuto molto prima di fare una scelta,prima
di
scriverti. Ho guardato fuori dalla finestra e ho visto quei mostri
uccidere
un’intera famiglia. La donna ha urlato,piangendo lacrime
piene di disperazione,si
è parata davanti al suo bambino,ha guardato negli occhi suo
marito,ed ha perso
la vita così : piangendo e gridando a suo figlio di
scappare. Il bambino ha
percorso qualche altro metro,e poi è stato accerchiato e
sopraffatto,divorato
sotto i miei occhi impotenti e pieni di lacrime. Tremavo
mentre osservavo la
scena,tremavo e urlavo…urlavo di smetterla,urlavo al bambino
di scappare,perché
dall’alto,da spettatrice qual ero e già a
conoscenza del finale,avrei voluto
che l’inevitabile fosse stato evitato. Ma
papà,guardiamoci attorno…che cosa
succede?Non si tratta di una semplice malattia,non si tratta di
scappare,né di
urlare o di essere ascoltati…qui la vita finisce e si
ritorce contro
l’esistenza che diviene preda e mai cacciatrice. Siamo
come pezzi di carta che
volano con i respiri del vento : distrutti,non
ricongiungibili,trascinati qua e
là in base al volere dell’universo. La prima cosa
che mi è venuta in mente nel
vedere la nostra città distrutta è stata
:” ho perso tutto”. E’ vero,ho perso
ogni cosa,ogni singola briciola che abbia mai posseduto…ogni
singolo sorriso
spento e amareggiato che forzavo per nascondere quel che provavo.
Stringo forte
il pugno e mi ripeto che devo dirti quel che penso,anche se la mano mi
trema e
la mia scrittura si assottiglia sino a diventare quasi trasparente.
Devo dirti
quel che sento,quel che ho pensato e quel che penso,devo spiegarti
delle
cose,devo lasciarti guardare oltre quel che hai sempre visto,per
un’ultima
volta.
Papà,mi
dispiace. Mi dispiaccio per talmente tante cose,cose che le lacrime che
macchiano questo foglio mi riportano alla mente. Mi dispiace che la
mamma ci
abbia lasciati,mi dispiace che la donna che amavamo se ne sia andata
via
così,senza preavviso,senza un saluto,senza un ultimo bacio
sulle tue labbra e
sulla mia fronte. Mi dispiace che il male se la sia portata
via,condannandoci
alla sofferenza,legandoci a questa senza lasciarci via di scampo o un
misero
barlume. Mi dispiace che io e te siamo rimasti soli in questa
realtà
sconvolgente,senza il suo sorriso a regalarci forza e
serenità. Mi dispiace che
soltanto dopo la sua morte abbia capito quanto importante lei sia stata
per
me,e che soltanto dopo abbia capito il significato dell’amare
veramente
qualcuno. Quando hai qualcosa sempre presente,qualcosa di rassicurante
e
dall’importanza indefinibile…quando il bene che
provi per qualcuno e che ricevi
da quel qualcuno è inestimabile,sfumato e
variopinto,impregnato nell’aria che
respiri e che ti irradia,commetti lo sbaglio di dare tutto per scontato.
Dai per
scontato che quella donna che ti sorrideva al mattino sussurrandoti il
buongiorno mentre hai ancora la testa sul cuscino,che quella donna con
i tuoi
stessi lineamenti,quella donna che spesso stringeva tra le mani le
fotografie
di quando eri piccola,ti stia sempre vicino. Lei è parte
della tua vita,della
tua esistenza,è il motivo per cui tu respiri e sorridi o
piangi,è il motivo per
cui sei in grado di maledire l’universo o inginocchiarti al
cospetto di un
cielo stellato o della luna che sembra ridere assieme a te.
E tu pensi
semplicemente che sarà sempre inevitabile la sua
presenza,che sia scontato
sussurrarle un ti voglio bene quando lei ti abbraccia forte,o che sia
superfluo
raccontarle la tua giornata quando sai che le basta guardarti negli
occhi per capire
cosa c’è che non va. Spesso diamo per scontato
tutto,troppo…e poi…quando il
mondo ti porta via quella presenza maledettamente importante,quando ti
toglie
quei sorrisi che ti facevano stare bene,ti maledici fino a che
respiri…ti
maledici perché non le hai sussurrato il “ti
voglio bene” che avrebbe voluto
sentire,ti maledici perché non gli hai mai detto quanto i
suoi sorrisi fossero
importanti per te,e perché non le hai raccontato le giornate
o perché spesso
hai deciso di ignorare i suoi occhi per evitare di sapere cosa le si
agitasse
dentro,e cosa a volte rendesse i suoi sorrisi amari.
Papà,l’ho amata quando era
in questa casa e l’ho amata ancor di più quando
invece l’ha lasciata. Non so
cosa darei per poterla riabbracciare,per poterle permettere di
asciugare le
lacrime che adesso bagnano il mio viso,o per farmi sussurrare una dolce
frase
come :”coraggio”. Perché ti parlo della
mamma?Non te lo sei chiesto?Ti parlo di
lei perché è giusto che tu capisca alcune cose
che non ho mai avuto il coraggio
di dirti…
La sera del
suo funerale,quando non era rimasto altro che il silenzio attorno a
noi,e la
tristezza delle lacrime che si maledicevano a vicenda,sentendosi
colpevoli,io
cercavo un abbraccio. Cercavo un abbraccio che potesse inglobarmi e
cancellarmi
per un istante da quel brutto incubo nel quale eravamo entrambi
partecipi,cercavo un abbraccio che potesse proteggermi,che potesse
essere una
torre invulnerabile dalla quale osservare il mondo e ridere incurante
dello
scorrere del tempo e del continuare della vita. Quando io cercavo
quell’abbraccio,tu non c’eri. Te ne stavi assente
con un bicchiere di whisky in
mano,meditando sul tuo dolore e su quella che sarebbe stata la tua
verità da
quel momento. Forse quella verità ancora non l’hai
capita,ma io sì. Quella verità
ha la forma di delle catene oscure e indistruttibili che ti legano a
sé. Sei
perso in un mondo che ti sembra essere migliore,ma che da quel momento
ha
logorato il mio senza pietà,senza versare una lacrima,senza
sforzarsi di
chiedere scusa. Quelle catene ti stringono,ti fanno male,e tu lo
avverti il
dolore…lo senti,eppure non hai la forza per odiarle. Non riesci a liberarti
perché preferisci il dolore delle catene a quello della
morte della mamma.
Quando respiri,e senti i polmoni riempirsi di ossigeno,quando parli,e
avverti
il suono della tua voce roca riempire la stanza,quando cammini e senti
i
muscoli stanchi costringersi a muoversi…tu vuoi sentire
dolore. Vuoi sentire il
dolore sulla tua pelle perché pensi di meritarlo,vuoi
sentire il dolore del tuo
mondo inglobarti a sé,e trascinarti lontano da tutto il
resto. Papà,tu
soffri,ma io soffro con te. Ogni tuo sguardo,mi manda in pezzi
perché so che ti
sforzi di guardarmi,ma non vedi altro che lei. Quando le tue mani mi
hanno
toccata per la prima volta,quando ho visto un livido scuro coprire il
mio
occhio e l’impronta di una mano sulla mia guancia,ancora non
capivo. Piangevo
chiedendomi il perché,chiedendomi perché il mondo
avesse deciso di privarmi
dell’ultima persona che mi restasse al mondo. Poi ho capito ;
ho capito che non
era colpa del mondo se eri fatto anche tu di carne,e ho capito il
motivo per
cui le tue mani desideravano procurarmi del male. Tu vedevi in me lei,ed odiavi
lei,odiando me. Perché in fondo siamo sempre state simili
noi due,più sorelle che
madre e figlia…così simili
nell’aspetto,negli atteggiamenti…persino la nostra
voce adesso è quasi uguale. Papà,vorrei che
capissi che non mi hai persa nel
giorno dell’incidente,che io ci sono sempre stata. Persino
quando mi chiudevo
in camera e ti urlavo di andare via,ed osservavo i segni del male che
mi
facevi,o piangevo e colpivo il muro sino a rompermi le
nocche,desideravo la tua
presenza. E’ sempre stato così : ti ho odiato,ma
allo stesso tempo non sono mai
riuscita a starti lontano. Sei sempre stato parte di me,inevitabile nel
bene e
nel male…ti ho sempre voluto bene,anche quando ho pensato
che quel bene non
fosse corrisposto,ho sempre voluto un tuo abbraccio nei momenti in cui
sentivo
che la vita non aveva più senso e che il mondo mi aveva
abbandonata al nulla,alla
polvere di quel che è stato e di quel che mai più
sarà. E adesso che ti guardò
papà,adesso che mi asciugo le lacrime,continuo a chiedermi
se sia la cosa più
giusta da fare. Perché con te ogni cosa
vacilla…non so come spiegarmi,ma sarei
in grado di annullarmi per permetterti di esistere,di
essere…umano. Provo un
bene incommensurabile per quell’uomo che abbraccia me e la
mamma nella foto
sulla mensola in cucina,ma adesso ho capito che quell’uomo
è morto assieme alla
mamma per amore,per sacrificio…perché era una di
quelle persone che per vivere
doveva essere completata,perché senza la sua
metà,non era niente di più del
nulla stesso che si espande nelle vene.
Mi dispiace.
Mi dispiace che questa terra non ci regali più speranze e
che persino i morti
siano pericolosi quanto i vivi. Mi dispiace che questa lettera sia
macchiata
dalle mie lacrime,e che presto non avrai niente oltre a questa. Ti
lascio
papà,ma non è un addio. Ho bisogno di
allontanarmi da te,di fare quello che
avrei dovuto fare tempo fa…sei tossico e non posso rischiare
che la malattia
che ho nel petto mi uccida. Quando guardi la foto della mamma,non
pensare a
me,pensa a lei. Immaginami come una figlia che ti ha sempre voluto
bene,ma
sappi che in realtà quella figlia non l’hai mai
conosciuta. Mi auguro che il
marcio che invade il mondo sia in grado di farti tornare a respirare,di
renderti vivo e di farti reagire…io ho bisogno di
reagire,papà ; sono stanca di
lasciarmi trasportare da quel vento,dalla tempesta. Ho bisogno di
camminare,di
rialzarmi da terra e smetterla di strisciare. Ogni notte,dovunque tu
sarai,guarda
le stelle e pensami ; io le guarderò assieme a te.
Non
saremo
più lontano di quanto invece saremo vicini.
Ti
voglio
bene papà,e per sempre continuerò ad immaginare
che quell’abbraccio arrivi.
Scusami, tua figlia Quinn.
Carissimi,che dirvi?Ho avuto un'ispirazione!Ero nel bel mezzo dell'ozio,quando improvvisamente sono rimasta folgorata da una mezza idea. "A letter to my father" è una one shot che non è soltanto tale,ma si ricollega alla fanfiction "Between the hungry" sulla quale sto lavorando. In un mondo nel bel mezzo di una catastrofe apocalittica,dove i morti si risvegliano e smaniano per cibarsi dei vivi,l'uomo continua a restare uomo. Per quanto in una simile realtà ci sia un vero e proprio male,questo sembra nulla al confronto di quel che il vivo è in grado di fare. Per questo la ragazza che si firma "Quinn" scrive al padre,abbandonandolo alle sue tossiche catene,pronta ormai per un nuovo viaggio ed una nuova vita...
Beh,gente...se mostrerete interesse per il frutto della mia folle ispirazione,questa mia idea potrebbe prender piede e magari presto potrei pubblicare one shot per lasciarvi entrare un po' di più nel folle mondo di "Between the hungry". Insomma,è superfluo dirvi che ogni tipo di recensione è ben accetta,quantomeno per permettermi di farmi un'idea se il racconto è stato apprezzato oppure no...
Dunque,alla prossima!
Un bacio da writinglove