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Autore: writinglove    15/04/2014    1 recensioni
"A letter to my father" è una one shot che non è soltanto tale,ma si ricollega alla fanfiction "Between the hungry" sulla quale sto lavorando. In un mondo nel bel mezzo di una catastrofe apocalittica,dove i morti si risvegliano e smaniano per cibarsi dei vivi,l'uomo continua a restare uomo. Per quanto in una simile realtà ci sia un vero e proprio male,questo sembra nulla al confronto di quel che il vivo è in grado di fare. Per questo la ragazza che si firma "Quinn" scrive al padre,abbandonandolo alle sue tossiche catene,pronta ormai per un nuovo viaggio ed una nuova vita...
Genere: Drammatico, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quinn Fabray
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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A letter to my father

Caro papà,mi dispiace.

Non so cosa sia successo al mondo,alle persone,ma posso solo dirti che mi dispiace. Sta succedendo qualcosa,qualcosa di terribilmente forte,e le nostre realtà sono state ancora una volta sconvolte. Ti sto guardando in questo momento ; sono in cucina con una penna e un foglio davanti,e ti guardo. Te ne stai lì,sul divano,con la tua decina di bottiglie di birra vuote  a terra,inerme come un morto che aspetta solo di esser tale. Sai,ho riflettuto molto prima di fare una scelta,prima di scriverti. Ho guardato fuori dalla finestra e ho visto quei mostri uccidere un’intera famiglia. La donna ha urlato,piangendo lacrime piene di disperazione,si è parata davanti al suo bambino,ha guardato negli occhi suo marito,ed ha perso la vita così : piangendo e gridando a suo figlio di scappare. Il bambino ha percorso qualche altro metro,e poi è stato accerchiato e sopraffatto,divorato sotto i miei occhi impotenti e pieni di lacrime. Tremavo mentre osservavo la scena,tremavo e urlavo…urlavo di smetterla,urlavo al bambino di scappare,perché dall’alto,da spettatrice qual ero e già a conoscenza del finale,avrei voluto che l’inevitabile fosse stato evitato. Ma papà,guardiamoci attorno…che cosa succede?Non si tratta di una semplice malattia,non si tratta di scappare,né di urlare o di essere ascoltati…qui la vita finisce e si ritorce contro l’esistenza che diviene preda e mai cacciatrice. Siamo come pezzi di carta che volano con i respiri del vento : distrutti,non ricongiungibili,trascinati qua e là in base al volere dell’universo. La prima cosa che mi è venuta in mente nel vedere la nostra città distrutta è stata :” ho perso tutto”. E’ vero,ho perso ogni cosa,ogni singola briciola che abbia mai posseduto…ogni singolo sorriso spento e amareggiato che forzavo per nascondere quel che provavo. Stringo forte il pugno e mi ripeto che devo dirti quel che penso,anche se la mano mi trema e la mia scrittura si assottiglia sino a diventare quasi trasparente. Devo dirti quel che sento,quel che ho pensato e quel che penso,devo spiegarti delle cose,devo lasciarti guardare oltre quel che hai sempre visto,per un’ultima volta.

Papà,mi dispiace. Mi dispiaccio per talmente tante cose,cose che le lacrime che macchiano questo foglio mi riportano alla mente. Mi dispiace che la mamma ci abbia lasciati,mi dispiace che la donna che amavamo se ne sia andata via così,senza preavviso,senza un saluto,senza un ultimo bacio sulle tue labbra e sulla mia fronte. Mi dispiace che il male se la sia portata via,condannandoci alla sofferenza,legandoci a questa senza lasciarci via di scampo o un misero barlume. Mi dispiace che io e te siamo rimasti soli in questa realtà sconvolgente,senza il suo sorriso a regalarci forza e serenità. Mi dispiace che soltanto dopo la sua morte abbia capito quanto importante lei sia stata per me,e che soltanto dopo abbia capito il significato dell’amare veramente qualcuno. Quando hai qualcosa sempre presente,qualcosa di rassicurante e dall’importanza indefinibile…quando il bene che provi per qualcuno e che ricevi da quel qualcuno è inestimabile,sfumato e variopinto,impregnato nell’aria che respiri e che ti irradia,commetti lo sbaglio di dare tutto per scontato. Dai per scontato che quella donna che ti sorrideva al mattino sussurrandoti il buongiorno mentre hai ancora la testa sul cuscino,che quella donna con i tuoi stessi lineamenti,quella donna che spesso stringeva tra le mani le fotografie di quando eri piccola,ti stia sempre vicino. Lei è parte della tua vita,della tua esistenza,è il motivo per cui tu respiri e sorridi o piangi,è il motivo per cui sei in grado di maledire l’universo o inginocchiarti al cospetto di un cielo stellato o della luna che sembra ridere assieme a te. E tu pensi semplicemente che sarà sempre inevitabile la sua presenza,che sia scontato sussurrarle un ti voglio bene quando lei ti abbraccia forte,o che sia superfluo raccontarle la tua giornata quando sai che le basta guardarti negli occhi per capire cosa c’è che non va. Spesso diamo per scontato tutto,troppo…e poi…quando il mondo ti porta via quella presenza maledettamente importante,quando ti toglie quei sorrisi che ti facevano stare bene,ti maledici fino a che respiri…ti maledici perché non le hai sussurrato il “ti voglio bene” che avrebbe voluto sentire,ti maledici perché non gli hai mai detto quanto i suoi sorrisi fossero importanti per te,e perché non le hai raccontato le giornate o perché spesso hai deciso di ignorare i suoi occhi per evitare di sapere cosa le si agitasse dentro,e cosa a volte rendesse i suoi sorrisi amari. Papà,l’ho amata quando era in questa casa e l’ho amata ancor di più quando invece l’ha lasciata. Non so cosa darei per poterla riabbracciare,per poterle permettere di asciugare le lacrime che adesso bagnano il mio viso,o per farmi sussurrare una dolce frase come :”coraggio”. Perché ti parlo della mamma?Non te lo sei chiesto?Ti parlo di lei perché è giusto che tu capisca alcune cose che non ho mai avuto il coraggio di dirti…

La sera del suo funerale,quando non era rimasto altro che il silenzio attorno a noi,e la tristezza delle lacrime che si maledicevano a vicenda,sentendosi colpevoli,io cercavo un abbraccio. Cercavo un abbraccio che potesse inglobarmi e cancellarmi per un istante da quel brutto incubo nel quale eravamo entrambi partecipi,cercavo un abbraccio che potesse proteggermi,che potesse essere una torre invulnerabile dalla quale osservare il mondo e ridere incurante dello scorrere del tempo e del continuare della vita. Quando io cercavo quell’abbraccio,tu non c’eri. Te ne stavi assente con un bicchiere di whisky in mano,meditando sul tuo dolore e su quella che sarebbe stata la tua verità da quel momento. Forse quella verità ancora non l’hai capita,ma io sì. Quella verità ha la forma di delle catene oscure e indistruttibili che ti legano a sé. Sei perso in un mondo che ti sembra essere migliore,ma che da quel momento ha logorato il mio senza pietà,senza versare una lacrima,senza sforzarsi di chiedere scusa. Quelle catene ti stringono,ti fanno male,e tu lo avverti il dolore…lo senti,eppure non hai la forza per odiarle. Non riesci a liberarti perché preferisci il dolore delle catene a quello della morte della mamma. Quando respiri,e senti i polmoni riempirsi di ossigeno,quando parli,e avverti il suono della tua voce roca riempire la stanza,quando cammini e senti i muscoli stanchi costringersi a muoversi…tu vuoi sentire dolore. Vuoi sentire il dolore sulla tua pelle perché pensi di meritarlo,vuoi sentire il dolore del tuo mondo inglobarti a sé,e trascinarti lontano da tutto il resto. Papà,tu soffri,ma io soffro con te. Ogni tuo sguardo,mi manda in pezzi perché so che ti sforzi di guardarmi,ma non vedi altro che lei. Quando le tue mani mi hanno toccata per la prima volta,quando ho visto un livido scuro coprire il mio occhio e l’impronta di una mano sulla mia guancia,ancora non capivo. Piangevo chiedendomi il perché,chiedendomi perché il mondo avesse deciso di privarmi dell’ultima persona che mi restasse al mondo. Poi ho capito ; ho capito che non era colpa del mondo se eri fatto anche tu di carne,e ho capito il motivo per cui le tue mani desideravano procurarmi del male. Tu vedevi in me lei,ed odiavi lei,odiando me. Perché in fondo siamo sempre state simili noi due,più sorelle che madre e figlia…così simili nell’aspetto,negli atteggiamenti…persino la nostra voce adesso è quasi uguale. Papà,vorrei che capissi che non mi hai persa nel giorno dell’incidente,che io ci sono sempre stata. Persino quando mi chiudevo in camera e ti urlavo di andare via,ed osservavo i segni del male che mi facevi,o piangevo e colpivo il muro sino a rompermi le nocche,desideravo la tua presenza. E’ sempre stato così : ti ho odiato,ma allo stesso tempo non sono mai riuscita a starti lontano. Sei sempre stato parte di me,inevitabile nel bene e nel male…ti ho sempre voluto bene,anche quando ho pensato che quel bene non fosse corrisposto,ho sempre voluto un tuo abbraccio nei momenti in cui sentivo che la vita non aveva più senso e che il mondo mi aveva abbandonata al nulla,alla polvere di quel che è stato e di quel che mai più sarà. E adesso che ti guardò papà,adesso che mi asciugo le lacrime,continuo a chiedermi se sia la cosa più giusta da fare. Perché con te ogni cosa vacilla…non so come spiegarmi,ma sarei in grado di annullarmi per permetterti di esistere,di essere…umano. Provo un bene incommensurabile per quell’uomo che abbraccia me e la mamma nella foto sulla mensola in cucina,ma adesso ho capito che quell’uomo è morto assieme alla mamma per amore,per sacrificio…perché era una di quelle persone che per vivere doveva essere completata,perché senza la sua metà,non era niente di più del nulla stesso che si espande nelle vene.

Mi dispiace. Mi dispiace che questa terra non ci regali più speranze e che persino i morti siano pericolosi quanto i vivi. Mi dispiace che questa lettera sia macchiata dalle mie lacrime,e che presto non avrai niente oltre a questa. Ti lascio papà,ma non è un addio. Ho bisogno di allontanarmi da te,di fare quello che avrei dovuto fare tempo fa…sei tossico e non posso rischiare che la malattia che ho nel petto mi uccida. Quando guardi la foto della mamma,non pensare a me,pensa a lei. Immaginami come una figlia che ti ha sempre voluto bene,ma sappi che in realtà quella figlia non l’hai mai conosciuta. Mi auguro che il marcio che invade il mondo sia in grado di farti tornare a respirare,di renderti vivo e di farti reagire…io ho bisogno di reagire,papà ; sono stanca di lasciarmi trasportare da quel vento,dalla tempesta. Ho bisogno di camminare,di rialzarmi da terra e smetterla di strisciare. Ogni notte,dovunque tu sarai,guarda le stelle e pensami ; io le guarderò assieme a te.

Non saremo più lontano di quanto invece saremo vicini.

Ti voglio bene papà,e per sempre continuerò ad immaginare che quell’abbraccio arrivi.

Scusami, tua figlia Quinn.


Carissimi,che dirvi?Ho avuto un'ispirazione!Ero nel bel mezzo dell'ozio,quando improvvisamente sono rimasta folgorata da una mezza idea. "A letter to my father" è una one shot che non è soltanto tale,ma si ricollega alla fanfiction "Between the hungry" sulla quale sto lavorando. In un mondo nel bel mezzo di una catastrofe apocalittica,dove i morti si risvegliano e smaniano per cibarsi dei vivi,l'uomo continua a restare uomo. Per quanto in una simile realtà ci sia un vero e proprio male,questo sembra nulla al confronto di quel che il vivo è in grado di fare. Per questo la ragazza che si firma "Quinn" scrive al padre,abbandonandolo alle sue tossiche catene,pronta ormai per un nuovo viaggio ed una nuova vita...

Beh,gente...se mostrerete interesse per il frutto della mia folle ispirazione,questa mia idea potrebbe prender piede e magari presto potrei pubblicare one shot per lasciarvi entrare un po' di più nel folle mondo di "Between the hungry". Insomma,è superfluo dirvi che ogni tipo di recensione è ben accetta,quantomeno per permettermi di farmi un'idea se il racconto è stato apprezzato oppure no...

Dunque,alla prossima!

Un bacio da writinglove

  
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