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Autore: Valerie Clark    15/04/2014    1 recensioni
''[…] non mi è servito tanto per capirlo, era come se già lo sapessi: lo amavo. Amavo i suoi occhi e il loro modo di guardare il mondo, amavo il modo in cui si portava le dita alla bocca e sorrideva.
È come se l’avessi sempre amato, è come se conoscessi tutto di lui.''
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Si porta il manoscritto vicino al viso, ne assapora l’odore; amava quell’odore di pagine vecchie, quell’odore di pagine vissute.
Si porta il manoscritto vicino al cuore e lo stringe forte a sé, come se quelle parole potessero saltare fuori dalle righe e abbracciarlo, farlo sentire meno solo, farlo sentire completo.
 
Aveva passato notti a scrivere quel pezzo, intere notti che avevano visto solo dita sottili impugnare una penna e labbra carnose incontrare una sigaretta. Aveva passato notti a crearne i personaggi, ad inventarli, a dare sfogo ad ogni suo pensiero.
Blaine era nuovo nel mondo dell’editoria, a dire il vero, era nuovo anche nel mondo della scrittura; un giorno, neanche troppi giorni fa, gli era venuto in mente di scrivere, e l’aveva semplicemente fatto. Ricorda bene quel giorno, Blaine. Un giorno di pioggia, una sera in cui non poteva fare altro che stare seduto nel suo studio con il suo blocco da disegno. Aveva preso in mano la penna e aveva cominciato; ogni linea veniva fuori da sé, e, più le linee si intrecciavano, più il disegno sembrava prendere vita. I suoi ritratti, tutti i suoi ritratti, raffiguravano persone che non aveva mai incontrato, ma che avrebbe tanto voluto conoscere; persone di altre epoche, di altri mondi, ogni tipo di persona. Il volto che aveva disegnato stavolta però aveva qualcosa di familiare, come se Blaine l’avesse già visto da qualche parte, a qualche incrocio tra il sonno e la veglia. Stanco, era andato a letto e si era addormentato, ed è stato in quel momento che tutto gli è sembrato tornare. Il tempo di un sogno veloce ed era di nuovo in piedi, seduto al tavolo dello studio, con la pioggia che cadeva fuori dalla finestra. Aveva preso la penna per disegnare, ma si era accorto di aver già disegnato, si era accorto che forse disegnare non era più abbastanza. Allora aveva strappato un foglio dal blocco, e poi un altro, e un altro ancora, e li aveva riempiti di parole. Alla fine, dopo intere notti che avevano visto solo dita sottili impugnare una penna e labbra carnose incontrare una sigaretta, era venuto fuori un libro, il suo primo libro.
 
Si porta il manoscritto vicino al viso, ne assapora l’odore; amava quell’odore di pagine vecchie, quell’odore di pagine vissute.
Si porta il manoscritto vicino al cuore e lo stringe forte a sé, come se quelle parole potessero saltare fuori dalle righe e abbracciarlo, farlo sentire meno solo, farlo sentire completo.
 
Sfoglia le pagine, cento, cento uno, cento due, ecco, cento tre, è quella che cercava. Legge, legge ad alta voce, per sentirsi abbracciato, per sentirsi meno solo, per sentirsi completo; legge ad alta voce per sentirlo vero.
Legge.
 
‘Stanotte l’ho sognato, erano diverse notti che non lo sognavo; stanotte indossava una camicia blu, blu oceano. Era così bello.
Stanotte, nel mio sogno, ci siamo dati un bacio. Sì, un bacio. Non lo so perché, non lo so come; ricordo solo di averlo visto da lontano, con la sua camicia blu oceano, e di aver avuto voglia di dargli un bacio. Ricordo di essergli andato incontro; lui no, lui non mi è venuto incontro, quasi non mi riconoscesse. Eppure lo sogno spesso, siamo diventati amici, amici veri. E poi ricordo che, ormai a pochi centimetri da lui, ho sentito il suo odore, come di pasta dentifricio, e mi sembrava di non voler più sentire nessun altro odore in vita mia, giuro. Ricordo di avergli sfiorato una guancia e di averlo tirato a me, sena esitazione, senza paura; ho poggiato le mie labbra sulle sue come se fosse la cosa più normale del mondo.’
 
Sospira.
Gli viene voglia di incontrarlo di nuovo.
Pagina due, ecco.
Legge.
 
‘[…] c’è questo mio disegno che mi piace particolarmente. È strano, a me non piacciono mai i miei disegni.
Questo non è fatto meglio, è solo diverso. È il disegno che mi serviva, è il soggetto che mi serviva.
Ho fatto solo il volto; due occhi piccoli color nocciola, un nasino alla francese e delle labbra sottili. Me lo immagino magro, alto e slanciato, con i suoi capelli sempre perfetti.
Poi è successa una cosa particolare; mi sono messo a letto, di sera, e appena chiusi gli occhi mi è apparso in sogno. Non diceva niente, non parlava. Non era in un contesto specifico, ricordo solo il suo volto e i suoi capelli perfetti.
Non mi era mai capitato di sognare i miei soggetti. Forse non li avevo mai sentiti così vicini, così vivi.
[…] non mi è servito tanto per capirlo, era come se già lo sapessi: lo amavo. Amavo i suoi occhi e il loro modo di guardare il mondo, amavo il modo in cui si portava le dita alla bocca e sorrideva.
È come se l’avessi sempre amato, è come se conoscessi tutto di lui.’
 
Chiude il manoscritto, lo ripone sulla scrivania. Prende il disegno fatto ormai molte sere fa e lo infila tra le pagine, tra le parole.
‘Un giorno ti incontrerò’ sorride.
Si tira in avanti per prendere una penna e riempire lo spazio bianco dedicato al titolo. Non ha dubbi.
‘Un giorno ti incontrerò, te lo prometto’ pensa di nuovo lasciando piccoli tratti sul foglio. Finito, lo osserva soddisfatto.
Legge il titolo, legge ad alta voce: ‘Kurt’. 
   
 
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