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Autore: kurukujo    15/04/2014    1 recensioni
[Anime e manga vari]
La giornata era abbastanza normale, per Kaede Hisan. Quasi come tutti gli altri giorni.
O forse no...?
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Beep beep beep.

Le sei del mattino.

Ah, già, le sei del mattino. Lunedì. Kaede non poteva aspettarsi altro, nonché il lunedì. Non vedeva l'ora di andare a scuola, ovviamente. Non vedeva l'ora di asisstere alle lezioni. L'unica cosa che non voleva vedere affatto, erano i suoi compagni.
Kaede si alzò dal letto, lo mise a posto, si mise i vestite, e fece del suo meglio per disinfettarsi le ferite sulla faccia e sulle gambe: dopotutto, per il resto non ce n'era bisogno. Chi avrebbe mai visto il segno di un calcio sullo stomaco? E i tagli sulle braccia causati dalle unghie maledette delle sue compagne perfettine? Nascosti dal maglione blu scuro, parte dell'uniforme formale della scuola privata dove andava. Cercò di spazzolarsi i capelli al meglio, e si mise le pinze nere che portava fin da bambina.

Nonostante i suoi sforzi, comunque, si vedeva benissimo un segno rosso sulla guancia. Un segno rosso, uno schiaffo. Kaede non ricordava neanche quando le fu dato uno schiaffo, ma non le importava. Non sentiva niente. Questo è quello che contava.

"Hai un'aspetto veramente schifoso." Le disse sua madre, appena scese giù dalla sua stanza.

"Mi dispiace." rispose la ragazzina, con voce assente, apatetica. "Sarà meglio che tu ti dispiaccia. Fai colazione e fila via a scuola." Kaede si sedette sulla sedia del tavolo e mangiò per colazione tutto quello che le fu offerto: latte e cereali. Neanche tanti. Kaede sapeva benissimo perché aveva così poco cibo, e, francamente, non era neanche un mistero. Era chiaro che gli Hisan non le volevano bene, poiché, dopotutto, lei era solo un oggetto.

Un oggetto inutile.

Kaede non veniva accompagnata a scuola. Ci andava sempre con la sua bici rossa. Le piaceva andare in bici, quindi non si lamentava mai.
La ragazzina sganciò il lucchetto, salì sulla sua bici, e si diresse verso la sua scuola, sempre con un'espressione apatetica sul volto. Non lo mostrava, ma si divertiva un sacco ad andare in bici-- anche se l'unico tragitto che poteva fare era quello di casa-scuola, scuola-casa. Andare in bici la rilassava, ed era quello che contava.

Due, cinque minuti di tragitto, e Kaede arrivò davanti alla scuola. Erano ancora tutti affollati fuori dal cancello, la campanella non aveva ancora suonato. Cercò di mettersi in disparte, come per non farsi vedere da qualcuno, ma in verità voleva solo restare da sola. Bulli o no, a lei non importava. Voleva soltanto stare da sola. Non voleva che nessuno desse fastidio.
Ovviamente, le sue speranze di distrussero appena un ragazzino poco più grande di lei s'avvicinò. 'Ah, il bullo...' pensò lei. Era un po' stupita, ma neanche così tanto.
"Hai deciso? Me li farai quei compiti, o no?" la voce dell'altro era secca, rauca, misto all'aggressivo. La sua espressione sembrava una di rabbia, e aveva le mani in tasca.

"No." fu l'unica cosa che Kaede disse, e in neanche un secondo, il ragazzino la prese per il colletto della camicia. "Oi, troietta. Non ti darò un giorno di più per decidere." era visibilmente pieno di rancore, ma la bionda non si mosse nemmeno d'un millimetro. Neanche all'insulto troietta. 'So perché mi ha chiamato così. Solo per far sì che io mi arrabbi.', si ripetè tra se stessa. "Mi stai ascoltando?!" "Sì." La faccia di Kaede era assente. Era chiaro che non le importava più oramai. E fu questo il motivo dell'ira del ragazzo, ma, nonostante la ragazza si stesse aspettando di tutto e di più, si sentì cadere sull'asfalto. 'Ouch'. Nemmeno un gemito di dolore.

La campanella suonò, e il ragazzo emise uno sbuffo. "Ne riparleremo dopo la scuola, e stai certa che non la passerai liscia." Kaede fissò il ragazzo, e non disse nulla. Lentamente si alzò, rimise a posto i suoi libri, ed entrò assieme alla folla di ragazzi nel cortile della scuola, per poi dirigersi verso la sua classe. A lei non importava se veniva pestata o toccata, comunque. Non le interessava più. Le aveva viste tutte, sin da quando era all'orfanotrofio.
Si staccò dalla folla di studenti per togliersi le sue scarpe e mettersi le ciabatte all'entrata, e si dirise verso la sua classe, al terzo piano. Kaede si sedette vicino alla finestra nell'ultima fila, e aspettò i suoi compagni, compreso il professore di Geografia. Notò qualcosa di diverso, e guardo sul ripiano sotto il suo banco: c'era un foglietto. Lo prese, e lo aprì, per poterlo leggere.

"scommetto che sai dare dei pompini da sballo
                                               che troia                                               sei solo un'oggetto
      mi piacerebbe inculare la tua faccia apatetica
                non rifiuteresti  vero?                                                           fai i compiti per me
                                                                                                      ti romperò le braccia le gambe e poi la tua
                                      figa da 4 soldi"

Un messaggio minatorio, con vari insulti sessuali e minacce...
Non una novità di certo.
Kaede ricordò di essere già stata assalita durante degli intervalli, o dopo scuola. Fortunatamente, non perse la verginità, quelle volte. Facendo lezione di karate, le era sempre suggerito di difendersi a proprio vantaggio: cosa che lei faceva. Non voleva perdere la verginità solo a dodici anni, le faceva disgusto. Non era una troia di certo. Non voleva esserlo da grande.

Oh, ecco una seconda campanella.
La lezione cominciò, e come sempre, Kaede aveva tutti i compiti fatti, a differenza di molti dei suoi compagni. Durante la lezione prese appunti, alzò occasionalmente la mano per fare una domanda riguardante alla lezione, e ricevette occhiate fulminanti da alcuni compagni e compagne. L'intervallo lo passò sempre seduta al suo banco, e mangiò il sashimi che si preparò la sera prima. Era buono, come sempre.
Le altre ore passarono senza nessuna grande differenza: monotone, noiose, per i suoi compagni. Ma a Kaede piaceva la scuola, le piaceva imparare, nonostante fosse sempre così apatetica con se stessa e con gli altri. Non le frullò neanche per un momento che doveva incontrare quel ragazzo dopo scuola, anche perché più probabilmente se n'era dimenticata. La sua memoria non brillava magnificamente, infatti Kaede, nonostante diligente, aveva spesso vuoti di memoria. Una memoria da pesce rosso, s'intende.

Ultima campanella: è ora di andare a casa.
La ragazza rimise a posto i libri, il suo astuccio, e allacciò la cartella. Pensava già a come sarebbe stata la sua serata, senza ricordarsi minimamente di quell'incontro.
Buttò la lettera minatoria che trovò qualche ora prima nel cestino, noncurante. Tanto non sarebbe cambiato nulla. Non è mai cambiato nulla. Occasionalmente, nei corridoi, nelle scale, sentì qualcuno "salutarla" con parole tipo "Ehi, troia!", "Hisan, divertita l'altra sera? Quanto hai guadagnato?", "Sei riuscita a contare quanti calci nel culo hai ricevuto?". Ovviamente, lei non se la prese per nessuna di queste frasi, e rispondeva solo scuotendo la testa, o annuendo. La maggior parte delle volte scosse la testa, anche perché, non voleva farsi passare come troia della scuola. Come se non ce ne fossero già tante in tutto il resto del palazzo...

I passi di Kaede erano lenti, così com'erano lenti i suoi movimenti.  Ci mise un minuto per cambiarsi le scarpe, e ci mise ancora di più per superare il cancello.
Caso vuole, che fu fermata esattamente appena mise il piede fuori dal territorio scolastico. 'Oh? Cos'è...? Chi...?', pensò Kaede, senza nemmeno badarsi a girare il capo. "Ehi, Hisan." Era il ragazzo di quella mattina. Non sembrava adirato com'era qualche ora prima, ma la ragazza non si mosse d'un millimetro. "Sei ancora decisa a dirmi di no?" domandò lui, con aria indifferente. Kaede sentì i suoi passi, si stava avvicinando. Non si mosse d'un millimetro comunque: stava aspettando di vedere cosa voleva fare. Alla sua domanda lei annuì, come per dire 'E' comunque un no'; e poi sentì due mani poggiarsi sulle sue spalle, per poi spingerla brutalmente sul muretto che segnava il confine della scuola. "...?"

"Se non vorrai aiutarmi, vorrà dire che ti devo obbligare. O con le buone, o con le cattive." La voce era decisa, e Kaede capì subito cosa voleva intendere con buone e cattive. Se avesse accettato, probabilmente, l'avrebbe assalita, sicuro che voleva qualcosa in cambio. Se diceva di no, l'avrebbe pestata. "Ma perché...?" la domanda uscì automatica. Forse non avrebbe dovuto dirlo: infatti, la ragazza sentì chiaramente uno sbuffo irritato dell'altro. "Sono un disastro a scuola. Mi devi aiutare. Senti, io non sono un tipo da pestaggio," riprese lui. "Ma se non mi aiuti, mi tocca farlo. Se mi dici di sì, però... Ti potrei dare un... premio."

La parola premio fu così piena di enfasi, che Kaede non era neanche stupita. "Non mi importano premi." replicò lei, sempre con la sua faccia apatetica. In un secondo notò una cosa alquanto nauseante, osservando il ragazzo meglio. Cos'era, quella cosa nel mezzo delle sue gambe... Una... erezione?
'Che schifo...', pensò lei. In effetti faceva veramente schifo, tutta la situazione. Ma quello che faceva più schifo era lui. Un disgusto assurdo, era l'unica cosa che lei potè pensare di lui-- Finchè non fu riportata alla realtà da una sua risata rauca. "Ahahah..." Che cosa aveva in mente? "Questo tuo... atteggiamento... Mi... Mi eccita troppo!" Oh. Un'altra risata, questa volta un po' più alta, e lui sembrava chiaramente rosso in faccia. Kaede non sapeva se dall'imbarazzo, o dall'estasi. "E', è come se io potessi fare sesso con te, una troietta senza valore, dalla mattina alla sera..." Le sue mani cominciarono a scendere dalle spalle fino ai fianchi. Per la prima volta, lei sentì terrore nelle sue vene. "E tu potresti anche stare zitta... Saresti una perfetta puttana portatile, lo sai? Ce ne sono pochissime che farebbero come te..." Era terrorizzata. I suoi occhi si allargarono, e cominciò a sentire sudore sulla fronte. Questo ragazzo voleva stuprarla, era chiaro. Per la prima volta in tutti questi anni, a Kaede importava eccome se era toccata.

Il peggio, era che non riusciva a muoversi dal terrore e dal disgusto.

"Ora, che ne dici..." la voce di lui era troppo, decisamente falsa. "Di darmi una mano?"
Mise così tanta enfasi nel "darmi una mano", che a lei sfuggì un gemito di paura. No, no, no no no no no no no...! "No..." Kaede disse spontaneamente. "Come?" la voce di lui era chiaramente stupita. "No!" esclamò lei. "Mi... mi fai schifo... Mi fai veramente, tanto schifo..." provò a togliersi le mani di lui dai suoi fianchi, ma questo cambiò soltanto la situazione nel peggio: il ragazzo la buttò a terra di sedere, a gambe all'aria. "A-ah!"

"Ti faccio schifo, eh?" ripetè lui, con un tono irritato, misto all'eccitazione. Che schifo, che schifo... "Vuoi vedere? Non hai mai provato, eppure tutte le dodicenni in questa scuola hanno fatto sesso... Mai quanto me." Era chiaramente deciso a farle un lavoretto orale, ed era uno stupro in piena regola. Kaede non sapeva come ragire, era terrorizzata e voleva vomitare allo stesso tempo. "Smettila, smettila!!" cercò di dargli un calcio, ma lui le prese tutte e due le gambe con le mani, e tirò fuori la lingua. 'No, no...!' "Coraggio, tesoro, so benissimo che lo vuoi." "Hrk...!"

Era la fine.
Kaede avrebbe decisamente preferito essere pestata che stuprata.
La fine, la fin--

"Oi, tu! Figlio di puttana!"

Eh?
Una voce... Una voce? Era la voce di un'altro maschio, però, le sembrava familiare...
Uno sei suoi compagni di classe?
Kaede per un secondo girò la testa, e vide un ragazzo con un giubbotto sportivo avanzare in tutta carica contro il maniaco. In meno di cinque secondi, il ragazzo che stava tenendo Kaede per le gambe si mise in piedi, pronto ad accogliere l'avversario. Lo prese in pieno davvero.
E iniziarono a prendersi a calci, pugni, di tutto di più. Kaede era stupita, non riuscì a fare nient'altro che fissare i due combattere. Riconobbe immediatamente chi fu il suo salvatore: il capitano della squadra di calcio della scuola, Masaki. Occasionalmente sentì urlare qualche insulto, oppure "Hisan è mia, stronzo!", "Fuori dal cazzo!", ma lei non si mosse d'un centimetro. Era troppo stupita: era così felice di essere salva che una lacrima le scese sulla guancia.

"Hisan, vai!  Me ne occupo io!" Fu quello che Masaki le urlò. Kaede eseguì il suo ordine: aprì il lucchetto della bici poco lontana, e fuggì in sella della bicicletta, tornando a casa.

La serata la passò in mezzo agli insulti dei parenti e i rimproveri, ma a lei non interessarono e non le diedero fastidio. Anzi, ebbe per tutta la sera un sorriso felice sulla sua faccia: qualcuno l'aveva salvata, per una volta.
Prima di andare a letto, Kaede si chiese se sarebbe riuscita a ringraziare Masaki la mattina dopo, che non l'avesse dimenticata.

Sperava davvero che non l'avesse dimenticata.
  
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