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Autore: Iaiasdream    16/04/2014    5 recensioni
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I sogni, chi può vivere senza? Non riesco proprio ad immaginarmelo. Possono essere: dolci, lugubri, nascondigli per i tuoi più profondi pensieri, ma fanno sempre parte di te, rappresentano l’io di una persona, e anche se non si vuole credere, loro sono inevitabili... rieccolo lì, il mio passato. Arciere che scocca la freccia nel mio punto debole: l’inconscio. Di sicuro è lui che lo manovra. Lui, con quegli occhi taglienti e beffardi, con quel sorriso strafottente, disegnati su un viso irresistibilmente affascinante, è ritornato repentinamente a invadere la mia vita, lui artefice della sofferenza che mi aveva imprigionato per un po’ di tempo. Perché stava ricomparendo senza alcun pudore? Perché ricordarlo in quegli atteggiamenti? Che cosa vuole da me dopo tutti questi anni, che non sono molti ma, ancora oggi mi sembrano un’eternità?
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A quel punto... mi sarei fermato '
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1.
IL PASSATO IN UN SOGNO

La mia pelle brucia.
No, non è fuoco. Non sono le rosse fiamme a bruciarmi, sono i suoi tocchi che la fanno ardere. Li sento vividi, espandersi su tutto il mio corpo, dolci e travolgenti allo stesso tempo.
Ho la mente troppo offuscata dall’estasi per poter capire che cosa mi sta succedendo.
Ma chi voglio prendere in giro? So bene cos’è, è come un déjà-vu. So che quella mano, che adesso mi sta accarezzando veemente i fianchi, in pochi secondi salirà lungo il torace e si posizionerà su uno dei seni afferrandolo con grande impeto, poi vi poggerà umide labbra che bruceranno più delle mani. A quel punto gemerò piegando la testa all’indietro e mostrandogli in primo piano il collo, lui si staccherà, con passo felino si metterà sopra di me, come un ghepardo dopo aver catturato la sua preda, mi rivelerà un sorriso vittorioso e avvicinandosi al mio orecchio destro sussurrerà «Ti farò mia… per sempre!», poi il buio e un lieve suono che si intensificherà man mano che i miei sensi inizieranno a destarsi.
Sbuffo infastidita voltandomi a un lato, mi inoltro nella rossa trapunta per liberare il braccio intenta a raggiungere la sveglia sul comodino. Non ho gli occhiali e la penombra, grande alleata della miopia, mi rende le cose ancora più difficili.
Decido di andare a tentoni facendo attenzione, però, a non spingere involontariamente di sotto il mio piccolo cherubino di Swarovski.  “Se lo rompi, giuro che ti torco il collo” dico a me stessa chiudendo gli occhi e cercando di avere una specie di collegamento psichico tra questi e il braccio. Finalmente dopo tanti tentativi, decido con malavoglia di alzarmi e accendere l’abat jour per prendere quella maledetta sveglia analogica e spegnerla. Mentre faccio quel gesto mi viene spontaneo dire, come ogni mattina, «Possibile che non accontentiate mai le mie aspettative?».
Come può una persona, che dopo una serata passata al computer, intenta a portare a termine il lavoro ossessivamente e autoritariamente preteso dal proprio paffutello editore, ridestarsi il giorno dopo con vivacità e voglia di alzarsi, spalancare le finestre e augurare il buon giorno agli uccelli e tutti gli esseri del Creato, come succede in televisione? Odio quelle pubblicità, ti fanno rendere conto che non riuscirai mai a raggiungere i tuoi sogni perché sono solamente frutto della tua fantasia, e io che vivo solo di questi, mi sento scaraventata in una realtà che non accetto, in cui non voglio esserci.
I sogni, chi può vivere senza? Non riesco proprio ad immaginarmelo. Possono essere: dolci, lugubri, nascondigli per i più profondi pensieri, ma fanno sempre parte di te, rappresentano l’io di una persona e anche se per molti non hanno alcuna importanza, loro sono inevitabili.
Ecco! INEVITABILE… questa è la parola che cercavo! Sono inevitabili proprio come il sogno che, da tempo immemore, assilla il mio sonno.
Sono passati tre anni, pensavo di aver finalmente sepolto l’arco dell’età “ribelle” e quella pagina del libro del mio destino che cambiarono la mia vita quasi insignificante. Adesso invece, rieccolo lì, il mio passato. Arciere che scocca la freccia nel mio punto debole: l’inconscio. Di sicuro è lui che lo manovra. Lui, con quegli occhi taglienti e beffardi, con quel sorriso strafottente, il tutto disegnato su un viso irresistibilmente affascinante, è ritornato repentinamente a invadere la mia vita, lui artefice della sofferenza che mi aveva imprigionato per un po’ di tempo. Perché sta ricomparendo senza alcun pudore? Perché ricordarlo in quegli atteggiamenti? Che cosa vuole da me dopo tutti questi anni, che non sono molti ma, ancora oggi mi sembrano un’eternità?
Ho appena spalancato la persiana, e guardando l’azzurro cielo primaverile, mi son resa conto che non si tratta di lui, ma di me. Sono io quella che, come il mondo necessita di calore dopo un lungo e pungente inverno, ho inevitabilmente bisogno di tutto ciò che lui rappresenta.
Lui. Sorrido al modo con cui lo nomino, da quando è ricomparso. Per il momento non ha un nome, non voglio chiamarlo con il suo, perché so già che ogni singola lettera che lo compone, mi trafiggerà il cuore. Sorrido beffarda al pensiero, «Cos’altro può farmi male?» sussurro toccandomi gli occhi con le dita che cercano ansiose di raccogliere qualche lacrima che non c’è. Mi guardo la mano quasi divertita “vi siete dimenticate che i miei occhi sono come l’arido deserto?” ormai sono tre anni che non hanno più il piacere di bagnarsi di quelle amare e dolorose lacrime. Sono tre anni che non so più cosa significhi piangere.
Mi accingo a prendere dal cassetto del comodino la lingerie e cerco di dimenticare i miei pensieri, ma so che da sola non posso riuscirci e come ogni mattina, ad aiutarmi è la mia affezionatissima co-inquilina Violet che bussa alla porta e mi avvisa che il bagno è libero.
<< Ti ringrazio Vil! >>
<< Di niente Rea! >> esclama lei con la sua timida vocina. Vil o Villy, come ormai sono abituata a chiamarla, è una delle amiche che mi sono state sempre accanto. Anche se molto timida e introversa mi trovo bene con lei. Dopo il diploma ci siamo trasferite nella mia città natale per necessità lavorative e condividiamo la stessa casa, che una volta apparteneva a mia nonna.
Vil insegna comunicazione visiva a una scuola elementare ed io invento e disegno manga per il mio editore che somiglia molto ad Happosai, il vecchietto pervertito e maniaco dell’anime Ranma, l’unica cosa che li distingue è che l’editore, di manie, ha solo i manga, del resto è un omino simpatico ma allo stesso tempo autoritario. Quando lo vidi la prima volta… be, lo vidi si fa per dire, è talmente piccolo che sulla poltrona dietro la scrivania non riuscii neanche a notarlo e me ne fui quasi andata, quando lui, con la sua voce da cartone animato mi chiamò puntando i piedi sulla sedia, mi girai e trattenni a stento quella che sarebbe potuta sembrare una risata da imbecille.
«Happosai?» mormorai incredula.
«Come scusi?» chiese lui ingenuamente. Mi resi conto che la situazione si stava facendo alquanto imbarazzante, non per me, ma quanto per lui, però, se volevo veramente esaudire il mio più grande sogno, dovevo mettere in standby il mio umorismo da Otaku e far lavorare la Rea seria e composta. Per mia fortuna, il piccoletto si innamorò dei miei disegni e della mia fantasia creare storie e così potei iniziare il mio attuale lavoro.
 
 
Dopo essermi lavata, rientro in camera mia ricordandomi di prendere la pen-drive con un intero lavoro notturno al suo interno. Dopo un po’, mi accorgo che Vil è entrata con un lieve sorriso sulle labbra.
«Rea la colazione è pronta» mi dice quasi con un sibilo.
«Sì Vil, mi vesto e arrivo»
«Devi andare a lavoro?»
«Devo consegnare il manga ad Happosai» rispondo dicendo quel nome con indifferenza.
«Oggi è il mio giorno libero» continua lei abbassando lo sguardo imbarazzata. Guardandola, capisco che vuole chiedermi qualcosa ma non ha il coraggio di parlare. La conosco e so che fa sempre così, allora, come da copione, la sprono chiedendole cosa le serve e lei, arrossendo ancora di più, mi dice che le piacerebbe andare a fare shopping.
«Va bene, puoi venire con me se ti va, e poi da lì andremo al negozio di abbigliamento che si è aperto qui vicino», la guardo con un sorriso aspettando una sua risposta e lei annuisce schiarendosi il viso. Dopo essermi abbottonata il pantalone, prendo veloce la giacca di rasatello blu scuro e usciamo dalla stanza, ma in quel momento, prima di chiudere la porta, mi accorgo che mi è sfuggito qualcosa, non ho voglia di scervellarmi, così, vado in cucina e inizio la mia abbondante colazione.
«Scommetto che Kim ha dormito di nuovo fuori» sospiro mentre spalmo delicatamente il burro sulla fetta biscottata.
«Penso di sì» risponde Violet sorseggiando il suo spumoso cappuccino «ieri non la vidi rientrare» ad un tratto, sentiamo aprire la porta di entrata, ci voltiamo simultaneamente, io con la fetta di pan biscottato tra le labbra e Violet mentre appoggia la tazza sul apposito piattino. Vediamo entrare, ormai abituate, la nostra amica dalla pelle color cioccolato, vestita in modo eccentrico che si avvicina mogia, fra le mani le sue converse, il piede destro intento a strofinare la pianta contro la gamba sinistra, la guardo in volto e scorgo due mostruose occhiaie, gli occhi con venature rosse agli angoli, più giù la bocca che si distorce in smorfie che dovrebbero somigliare a degli sbadigli.
«Passata bene la nottata?» le mormoro divertita.
«Non puoi immaginare quanto» mi risponde sbadigliando e sprofondando sul divano adiacente al piano bar dove sto consumando la colazione in compagnia di una Violet che rimane indifferente ai nostri ragionamenti.
«È inutile chiederti dove sei stata, so che tanto non mi risponderesti»
«Perspicace la ragazzina» esclama accennando un sorriso e chiudendo gli occhi «lasciatemi dormire, dire che sono stanca morta è troppo poco».
Le sorrido vedendola addormentarsi spensierata.
Anche Kim si è trasferita con noi dopo il diploma. Il motivo? Non è preciso, almeno conoscendola so che quando si parla di lei, la sua vita privata è un tabù, si sa soltanto che lavora part time come barista in una discoteca, ma non è solo per il suo lavoro che ritorna a casa, quasi sempre, il giorno dopo.
So, anche se mi comporto discretamente, che lei ha molte “avventure piacevoli”. Con Violet non l’abbiamo mai giudicata e non ci passa neanche per la mente farlo. Kim per noi è molto importante, soprattutto per me, perché è stata l’unica che mi ha sorretto nel momento della mia sofferenza e volere o no, so che il suo trasferimento è dipeso anche da questo: dal non volermi lasciare sola. Perciò, le sarò grata per tutta la vita.
Maledizione, lo sto facendo ancora! Sto di nuovo pensando a lui!
Senza farmi accorgere da Violet, mi tiro un pugnetto sulla tempia destra.
Eh basta! Esclamo nella mia mente. Diventerai una rincoglionita se continui a fissarti! Sono già le otto e quindici, sbrigati, altrimenti Happosai, chi lo sente? A proposito, ricordati di chiamarlo signor Baldini, non appena gli sei di fronte!
Seguita da Violet mi dirigo verso la porta, esco in giardino e nel farlo una vocina mi dice che sto dimenticando qualcosa. Ma cosa?
 
   
 
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