Anastasiya’s
death note
Anastasiya
appuntò avvelenamento alla lista, sotto
folgorazione e impiccagione.
Scrisse un breve riassunto della modalità di quel
genere di suicidio, corredandolo da immagini, dettagli relativi ai vari
veleni,
alle conseguenze immediate della loro assunzione. Poi chiuse tutto.
Il suo obiettivo era procurarsi l’acido
solforico. Dalle sue ricerche, sapeva che era un liquido incolore e
inodore,
facilmente rintracciabile in commercio. Una piccola dose provocava
serie
lesioni e ustioni, difficoltà nella respirazione, vomiti
frequenti, fino alla
morte, poche ore dopo l’assunzione.
**********
There's a story in your
eyes
I can see the hurt behind your smile
For every sign I recognize
Another one escapes me
(Dream Theatre)
Il
ticchettio delle gocce sul tetto aveva un effetto ipnotico
su Alessandro: invece di innervosirsi, lui si rilassava perdendosi
nello
scorrere della pioggia.
Alzò lo sguardo e rimase catturato da una ragazza tremante
per il freddo e con il naso rosso. Portava un lungo cappotto nero, una
piccola
borsa di pelle stretta al petto, e teneva lo sguardo basso, con
l’intima
speranza che nessuno si accorgesse di lei. Difficile, essendo le tre
del
pomeriggio, orario in cui il negozio era pressoché vuoto.
«Posso esserti d’aiuto?»
esordì Alessandro, incuriosito dalla
presenza della ragazza in una bottega simile.
Lei sobbalzò, presa alla sprovvista, e alzò
repentinamente il
viso verso di lui. Dietro le spesse lenti degli occhiali, Alessandro
scorse due
grandi occhi verdi che, a dispetto del colore, sembravano aver perso
ogni sorta
di speranza. Poggiò la borsa sul bancone, vicino al
registratore di cassa e
ispezionò il locale. Cosa c’era sotto? Che cosa
nascondeva quella sfuggente
ragazza?
«Avete» si schiarì la voce, flebile e al
contempo
determinata, e poi continuò «dell’acido
solforico?».
«Puro?» Alessandro sgranò gli occhi per
la bizzarra richiesta
e cercò di immaginare a cosa potesse servirle una sostanza
del genere.
Continuando ad osservarla, si accorse del tremore delle mani e del
rossore
delle guance. Nascondeva qualcosa, era evidente, ma cosa?
Accortasi dell’analisi dettagliata che il ragazzo stava
conducendo su di lei, sorrise dissimulando le sue reali intenzioni.
«Mia madre
ha bisogno di uno sgorgante per il bagno», si
scostò una ciocca di capelli dal
viso e continuò «e preferirebbe fosse a base di
acido solforico».
La risposta più che calmarlo lo indusse a nutrire maggiori
sospetti. Improvvisamente si alzò dallo sgabello su cui era
seduto, aggirò il
bancone che lo separava dalla ragazza e avvicinandosi si rivolse
direttamente a
lei, con un tono un po’ inquisitorio.
«Come mai?».
La ragazza sbiancò, aprendo e chiudendo la bocca senza
sapere
cosa dire. Non si aspettava quella domanda, era evidente. E in
realtà nemmeno
Alessandro sapeva il motivo del suo interessamento. Avrebbe potuto
infischiarsi
di lei e dei suoi occhi fattisi improvvisamente lucidi, avrebbe potuto
darle
ciò di cui aveva bisogno, seguendo la regola d’oro
di suo padre “il cliente ha
sempre ragione”, avrebbe potuto ignorare la nota di
disperazione che emergeva
dalla sua voce. Avrebbe potuto, ma non volle.
Il tintinnio delle campanelle all’ingresso, di
nuovo, lo riscosse dalle sue elucubrazioni mentali. Ebbe appena il
tempo di
spostare lo sguardo attorno a sé per notare una chioma al
vento e un dolce
profumo di gelsomino. La ragazza era fuggita via. E aveva lasciato la
sua borsa
nel negozio.
**********
Let me know what plagues
your mind
Let me be the one too know you best
Violazione
della privacy. Furto. E tutto all’interno del
negozio di suo padre.
Questa volta l’aveva combinata grossa. Ma voleva- doveva-
farlo. Aveva bisogno di un recapito telefonico per contattare la
misteriosa
ragazza.
Non era colpa sua se accidentalmente
avevo trovato, in quella bizzarra borsa, un diario
altrettanto bizzarro e
non era colpa sua se accidentalmente
aveva dato un’occhiata.
In realtà, pensò pochi minuti dopo, sarebbe stato
meglio non
curiosare.
Il diario era una sorta di agendina della morte. Vi erano
segnati diversi metodi per suicidarsi, che andavano
dall’asfissia al
dissanguamento, dall’avvelenamento alla folgorazione, e ogni
tipologia, se così
poteva definirsi, era ampiamente analizzata: affogamento e impiccagione
o un
semplice taglio delle vene, overdose di farmaci e di stupefacenti o una
veloce “scossa”
elettrica.
Alessandro non sapeva cosa pensare, mentre riponeva il diario
nella borsa. Non poteva essere uno scherzo, era troppo vivido il dolore
che
traspariva da quelle pagine. La voglia di farla finita emergeva con
forza,
inondando lo stesso Alessandro, che per sua indole era solito vedere
sempre il
bicchiere mezzo pieno. La ragazza, quel bicchiere, non lo vedeva
affatto.
Frugando nella borsa, aveva finalmente trovato ciò che gli
serviva: un portafogli, con una carta d’identità
all’interno.
Anastasiya Marino. 17 anni e tanta voglia di morire.
Continuò a scrutare il documento, alla ricerca
d’informazioni
più precise circa il suo domicilio.
Bingo.
Residenza: San Donato Milanese, via Morandi.
**********
Don't abandon me
Or think you can't be saved
Bagnato
fino al midollo, aveva raggiunto la zona sud est di
Milano viaggiando su un autobus pieno zeppo di persone, incuranti della
pioggia
battente che da ore inondava la città.
Non conosceva la ragazza e le sue abitudini, ma sperava –
eccome se ci sperava- che avesse deciso di tornare a casa, visto il
tempo non
proprio mite che imperversava.
E così fu.
Mentre saliva le scale, gocciolando lungo i gradini, l’aria
calda all’interno del palazzo lo inondò di un
confortante tepore. Alessandro
sospirò e si chiese nuovamente se stesse facendo la cosa
giusta. In fondo, non
erano né conoscenti né tantomeno amici, quindi
impicciarsi dei suoi problemi e
intromettersi con forza nella sua vita non era proprio il caso.
Ma quando il rispetto della privacy altrui scadeva nel
menefreghismo? Alessandro non lo sapeva, ma ciò di cui era
assolutamente certo
era che tutti potevano essere salvati. Era necessario solo un pizzico
di
volontà e di aiuto esterno, ed era ciò che lui le
avrebbe dato.
Raggiunse il pianerottolo di casa Marino e suonò. Mentre si
chiedeva, rabbrividendo, da dove provenisse quel gelido vento, la porta
si
dischiuse lentamente e Alessandro
si
accorse che fino a quel momento era stata solo accostata. Brutto segno.
Entrò di soppiatto e attraversò
l’ingresso seguendo la forte
corrente che infine lo condusse nel salone: le imposte dalla finestra
erano
spalancate, come le fauci di una tigre, le tende danzavano sospinte dal
vento e
la pioggia s’infrangeva contro il pavimento del salotto.
Alessandro corse e si
affacciò, temendo per ciò che di lì a
poco avrebbe visto.
“Ti
prego, fa’ che non sia come penso, ti prego.”
Quando
decise finalmente di aprire gli occhi per osservare il
marciapiede sotto di lui, un pianto
soffocato distolse la sua attenzione dalla strada: raggomitolata sul
divano,
tremante dal freddo e con il trucco sbavato c’era Anastasiya.
E Alessandro non
era mai stato così felice di vedere una persona piangere. La
raggiunse quasi
correndo e la abbracciò forte sospirando di sollievo.
Era arrivato in tempo.
**********
Don't
give in
I walk beside you
Quando
Alessandro l’aveva stretta a sé, Anastasiya non
aveva
opposto resistenza, troppo provata per quanto era accaduto quel
pomeriggio, e
aveva affondato il viso nell’incavo del suo collo. Mentre le
posava dolcemente
la mano sulla testa, per allentare l’ansia e la paura che
ancora la attanagliavano,
Alessandro si era
perso a fissare le
gocce di pioggia precipitare dalle nuvole, giù, sempre
più giù, e infrangersi
contro le finestre del salotto, in un macabro suicidio. Era
così che doveva
sentirsi Anastasiya, pensò, osservandola di sottecchi: una
fragile goccia
d’acqua spinta a sfracellarsi dall’impetuoso vento
della vita. Quando
i singhiozzi cessarono di scuoterla e
la voce smise di tremare, iniziò a raccontargli degli anni
di bullismo subito,
dei ripetuti insulti che ogni giorno accompagnavano la sua entrata in
classe,
della discriminazione per le sue origini straniere, della mancanza di
amici.
Era stata adottata dai suoi genitori quando aveva appena cinque anni e
supportata dalla sua famiglia aveva ben presto imparato a parlare
perfettamente
l’italiano come i suoi coetanei; ciò nonostante
nessuno aveva tentato di andare
oltre il colorito pallido e i lunghi capelli rossi per stringere
amicizia con
lei che, d’altro canto, aveva risposto a questa indifferenza,
sfociata negli
ultimi tempi nel disgusto, chiudendosi in se stessa. La mancata
integrazione
pesava su di lei come un macigno che, giorno dopo giorno, si
appesantiva sempre
di più spingendola nel baratro della depressione. Con il
folle suicidio che da
mesi stava progettando, Anastasiya desiderava soltanto porre fine alla
sua
esistenza priva di significato, pur sapendo bene di recare un grave
dolore ai
suoi genitori che l’avevano accolta e riempita di premure,
sin da quando aveva
messo piede in quella casa. Alessandro strinse Anastasiya
più forte, tentando
con un abbraccio di colmare l’affetto negato che aveva
segnato la sua vita. Maledisse
mentalmente tutti coloro i quali erano stati condizionati pesantemente
da
stupidi pregiudizi e indotti ad isolarla, come fosse un alieno
proveniente da
un pianeta straniero e pericoloso, quando in realtà era solo
un cucciolo
bisognoso d’amore.
«Ascoltami» le disse, staccandosi un po’
da
quella stretta avvolgente per guardarla negli occhi. «Non
devi cedere, capito?
Troverai qualcuno, con un po’ di sale in zucca, consapevole
che non esistono
razze perché l’umanità è una
grande famiglia, malgrado le differenti
provenienze e caratteristiche somatiche dei suoi appartenenti. Troverai
qualcuno che vorrà abbattere le barriere culturali, qualcuno
in grado di
combattere stupidi stereotipi per arrivare all’essenza della
persona…» si
interruppe un secondo per inumidirsi le labbra e sfiorarle il viso con
la mano,
poi continuò, «o forse l’hai
già trovato».
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Oh
when everything is wrong
Oh when hopelessness surrounds you
Oh the sun will rise again
3
settimane dopo
Erano
passati 20 giorni e 5 ore da quel piovoso martedì che
aveva cambiato la sua vita per sempre. Alessandro era entrato nella sua
quotidianità a passi leggeri: un messaggio della buonanotte,
una telefonata,
una visita inaspettata. Inizialmente stupita dai gesti con cui tentava
di farsi
spazio nel suo cuore, Anastasiya comprese che la delicatezza di
Alessandro era
un’arma ottima per abbattere i muri dietro i quali in quegli
anni si era
nascosta.
Ed ora era lì, insieme a lui, in un campo alla periferia di
Milano, in attesa di dire addio a una delle pagine più
tristi della sua vita.
Per alcuni, il segreto per andare avanti era accettare il passato e
voltare
pagina; forse avevano ragione, ma lei necessitava di compiere quel
gesto,
perché nel bagliore del fuoco scoppiettante avrebbe
ritrovato la speranza
perduta, una scintilla che lentamente cresceva
nell’oscurità.
Mentre bruciava ad una ad una le pagine del suo
diario, in un lento rito silenzioso, Alessandro le strinse la mano
libera
accarezzandole il palmo con le dita. Guardarono insieme
l’orizzonte e
sorrisero: il chiarore dell’alba segnava l’inizio
di un nuovo giorno.
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La
storia è suddivisa in paragrafi e raccontata
in terza persona dal punto di vista di Alessandro. Il primo e
l’ultimo invece,
come a voler chiudere un ciclo, sono dal punto di vista di Anastasiya.
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WhatHasHappened.
Spero che vi piaccia :)
Grazie per l'attenzione!
SenzaFiato