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Autore: SenzaFiato    16/04/2014    3 recensioni
Mentre le posava dolcemente la mano sulla testa, per allentare l’ansia e la paura che ancora la attanagliavano, Alessandro si era perso a fissare le gocce di pioggia precipitare dalle nuvole, giù, sempre più giù, e infrangersi contro le finestre del salotto, in un macabro suicidio. Era così che doveva sentirsi Anastasiya, pensò, osservandola di sottecchi: una fragile goccia d’acqua spinta a sfracellarsi dall’impetuoso vento della vita.
[ II classificata al contest "Non Può Piovere Per Sempre"] + [ Premio "miglior protagonista femminile" ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Anastasiya’s death note

Anastasiya appuntò avvelenamento alla lista, sotto folgorazione e impiccagione. Scrisse un breve riassunto della modalità di quel genere di suicidio, corredandolo da immagini, dettagli relativi ai vari veleni, alle conseguenze immediate della loro assunzione. Poi chiuse tutto.
Il suo obiettivo era procurarsi l’acido solforico. Dalle sue ricerche, sapeva che era un liquido incolore e inodore, facilmente rintracciabile in commercio. Una piccola dose provocava serie lesioni e ustioni, difficoltà nella respirazione, vomiti frequenti, fino alla morte, poche ore dopo l’assunzione.

**********

There's a story in your eyes
I can see the hurt behind your smile
For every sign I recognize
Another one escapes me

(Dream Theatre)

Il ticchettio delle gocce sul tetto aveva un effetto ipnotico su Alessandro: invece di innervosirsi, lui si rilassava perdendosi nello scorrere della pioggia.Il tintinnio delle campanelle all’ingresso, che indicavano l’entrata in negozio di un cliente, lo riportò alla realtà, una realtà in cui erano le 15:30 e lui era di turno nel negozio di ferramenta di suo padre.
Alzò lo sguardo e rimase catturato da una ragazza tremante per il freddo e con il naso rosso. Portava un lungo cappotto nero, una piccola borsa di pelle stretta al petto, e teneva lo sguardo basso, con l’intima speranza che nessuno si accorgesse di lei. Difficile, essendo le tre del pomeriggio, orario in cui il negozio era pressoché vuoto.
«Posso esserti d’aiuto?» esordì Alessandro, incuriosito dalla presenza della ragazza in una bottega simile.
Lei sobbalzò, presa alla sprovvista, e alzò repentinamente il viso verso di lui. Dietro le spesse lenti degli occhiali, Alessandro scorse due grandi occhi verdi che, a dispetto del colore, sembravano aver perso ogni sorta di speranza. Poggiò la borsa sul bancone, vicino al registratore di cassa e ispezionò il locale. Cosa c’era sotto? Che cosa nascondeva quella sfuggente ragazza?
«Avete» si schiarì la voce, flebile e al contempo determinata, e poi continuò «dell’acido solforico?».
«Puro?» Alessandro sgranò gli occhi per la bizzarra richiesta e cercò di immaginare a cosa potesse servirle una sostanza del genere. Continuando ad osservarla, si accorse del tremore delle mani e del rossore delle guance. Nascondeva qualcosa, era evidente, ma cosa?
Accortasi dell’analisi dettagliata che il ragazzo stava conducendo su di lei, sorrise dissimulando le sue reali intenzioni. «Mia madre ha bisogno di uno sgorgante per il bagno», si scostò una ciocca di capelli dal viso e continuò «e preferirebbe fosse a base di acido solforico».
La risposta più che calmarlo lo indusse a nutrire maggiori sospetti. Improvvisamente si alzò dallo sgabello su cui era seduto, aggirò il bancone che lo separava dalla ragazza e avvicinandosi si rivolse direttamente a lei, con un tono un po’ inquisitorio.
«Come mai?».
La ragazza sbiancò, aprendo e chiudendo la bocca senza sapere cosa dire. Non si aspettava quella domanda, era evidente. E in realtà nemmeno Alessandro sapeva il motivo del suo interessamento. Avrebbe potuto infischiarsi di lei e dei suoi occhi fattisi improvvisamente lucidi, avrebbe potuto darle ciò di cui aveva bisogno, seguendo la regola d’oro di suo padre “il cliente ha sempre ragione”, avrebbe potuto ignorare la nota di disperazione che emergeva dalla sua voce. Avrebbe potuto, ma non volle.
Il tintinnio delle campanelle all’ingresso, di nuovo, lo riscosse dalle sue elucubrazioni mentali. Ebbe appena il tempo di spostare lo sguardo attorno a sé per notare una chioma al vento e un dolce profumo di gelsomino. La ragazza era fuggita via. E aveva lasciato la sua borsa nel negozio.

**********

Let me know what plagues your mind
Let me be the one too know you best

Violazione della privacy. Furto. E tutto all’interno del negozio di suo padre.
Questa volta l’aveva combinata grossa. Ma voleva- doveva- farlo. Aveva bisogno di un recapito telefonico per contattare la misteriosa ragazza.
Non era colpa sua se accidentalmente avevo trovato, in quella bizzarra borsa, un diario altrettanto bizzarro e non era colpa sua se accidentalmente aveva dato un’occhiata.
In realtà, pensò pochi minuti dopo, sarebbe stato meglio non curiosare.
Il diario era una sorta di agendina della morte. Vi erano segnati diversi metodi per suicidarsi, che andavano dall’asfissia al dissanguamento, dall’avvelenamento alla folgorazione, e ogni tipologia, se così poteva definirsi, era ampiamente analizzata: affogamento e impiccagione o un semplice taglio delle vene, overdose di farmaci e di stupefacenti o una veloce “scossa” elettrica.
Alessandro non sapeva cosa pensare, mentre riponeva il diario nella borsa. Non poteva essere uno scherzo, era troppo vivido il dolore che traspariva da quelle pagine. La voglia di farla finita emergeva con forza, inondando lo stesso Alessandro, che per sua indole era solito vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. La ragazza, quel bicchiere, non lo vedeva affatto.
Frugando nella borsa, aveva finalmente trovato ciò che gli serviva: un portafogli, con una carta d’identità all’interno.
Anastasiya Marino. 17 anni e tanta voglia di morire.
Continuò a scrutare il documento, alla ricerca d’informazioni più precise circa il suo domicilio.
Bingo. Residenza: San Donato Milanese, via Morandi.

**********

Don't abandon me
Or think you can't be saved


Bagnato fino al midollo, aveva raggiunto la zona sud est di Milano viaggiando su un autobus pieno zeppo di persone, incuranti della pioggia battente che da ore inondava la città.
Non conosceva la ragazza e le sue abitudini, ma sperava – eccome se ci sperava- che avesse deciso di tornare a casa, visto il tempo non proprio mite che imperversava.
E così fu.
Mentre saliva le scale, gocciolando lungo i gradini, l’aria calda all’interno del palazzo lo inondò di un confortante tepore. Alessandro sospirò e si chiese nuovamente se stesse facendo la cosa giusta. In fondo, non erano né conoscenti né tantomeno amici, quindi impicciarsi dei suoi problemi e intromettersi con forza nella sua vita non era proprio il caso.
Ma quando il rispetto della privacy altrui scadeva nel menefreghismo? Alessandro non lo sapeva, ma ciò di cui era assolutamente certo era che tutti potevano essere salvati. Era necessario solo un pizzico di volontà e di aiuto esterno, ed era ciò che lui le avrebbe dato.
Raggiunse il pianerottolo di casa Marino e suonò. Mentre si chiedeva, rabbrividendo, da dove provenisse quel gelido vento, la porta si dischiuse lentamente e Alessandro si accorse che fino a quel momento era stata solo accostata. Brutto segno.
Entrò di soppiatto e attraversò l’ingresso seguendo la forte corrente che infine lo condusse nel salone: le imposte dalla finestra erano spalancate, come le fauci di una tigre, le tende danzavano sospinte dal vento e la pioggia s’infrangeva contro il pavimento del salotto. Alessandro corse e si affacciò, temendo per ciò che di lì a poco avrebbe visto.

“Ti prego, fa’ che non sia come penso, ti prego.”
Quando decise finalmente di aprire gli occhi per osservare il marciapiede sotto di lui, un pianto soffocato distolse la sua attenzione dalla strada: raggomitolata sul divano, tremante dal freddo e con il trucco sbavato c’era Anastasiya. E Alessandro non era mai stato così felice di vedere una persona piangere. La raggiunse quasi correndo e la abbracciò forte sospirando di sollievo.
Era arrivato in tempo.

**********

Don't give in
I walk beside you


Quando Alessandro l’aveva stretta a sé, Anastasiya non aveva opposto resistenza, troppo provata per quanto era accaduto quel pomeriggio, e aveva affondato il viso nell’incavo del suo collo. Mentre le posava dolcemente la mano sulla testa, per allentare l’ansia e la paura che ancora la attanagliavano, Alessandro si era perso a fissare le gocce di pioggia precipitare dalle nuvole, giù, sempre più giù, e infrangersi contro le finestre del salotto, in un macabro suicidio. Era così che doveva sentirsi Anastasiya, pensò, osservandola di sottecchi: una fragile goccia d’acqua spinta a sfracellarsi dall’impetuoso vento della vita. Quando i singhiozzi cessarono di scuoterla e la voce smise di tremare, iniziò a raccontargli degli anni di bullismo subito, dei ripetuti insulti che ogni giorno accompagnavano la sua entrata in classe, della discriminazione per le sue origini straniere, della mancanza di amici. Era stata adottata dai suoi genitori quando aveva appena cinque anni e supportata dalla sua famiglia aveva ben presto imparato a parlare perfettamente l’italiano come i suoi coetanei; ciò nonostante nessuno aveva tentato di andare oltre il colorito pallido e i lunghi capelli rossi per stringere amicizia con lei che, d’altro canto, aveva risposto a questa indifferenza, sfociata negli ultimi tempi nel disgusto, chiudendosi in se stessa. La mancata integrazione pesava su di lei come un macigno che, giorno dopo giorno, si appesantiva sempre di più spingendola nel baratro della depressione. Con il folle suicidio che da mesi stava progettando, Anastasiya desiderava soltanto porre fine alla sua esistenza priva di significato, pur sapendo bene di recare un grave dolore ai suoi genitori che l’avevano accolta e riempita di premure, sin da quando aveva messo piede in quella casa. Alessandro strinse Anastasiya più forte, tentando con un abbraccio di colmare l’affetto negato che aveva segnato la sua vita. Maledisse mentalmente tutti coloro i quali erano stati condizionati pesantemente da stupidi pregiudizi e indotti ad isolarla, come fosse un alieno proveniente da un pianeta straniero e pericoloso, quando in realtà era solo un cucciolo bisognoso d’amore.
«Ascoltami» le disse, staccandosi un po’ da quella stretta avvolgente per guardarla negli occhi. «Non devi cedere, capito? Troverai qualcuno, con un po’ di sale in zucca, consapevole che non esistono razze perché l’umanità è una grande famiglia, malgrado le differenti provenienze e caratteristiche somatiche dei suoi appartenenti. Troverai qualcuno che vorrà abbattere le barriere culturali, qualcuno in grado di combattere stupidi stereotipi per arrivare all’essenza della persona…» si interruppe un secondo per inumidirsi le labbra e sfiorarle il viso con la mano, poi continuò, «o forse l’hai già trovato».

**********

Oh when everything is wrong
Oh when hopelessness surrounds you
Oh the sun will rise again

3 settimane dopo
Erano passati 20 giorni e 5 ore da quel piovoso martedì che aveva cambiato la sua vita per sempre. Alessandro era entrato nella sua quotidianità a passi leggeri: un messaggio della buonanotte, una telefonata, una visita inaspettata. Inizialmente stupita dai gesti con cui tentava di farsi spazio nel suo cuore, Anastasiya comprese che la delicatezza di Alessandro era un’arma ottima per abbattere i muri dietro i quali in quegli anni si era nascosta.
Ed ora era lì, insieme a lui, in un campo alla periferia di Milano, in attesa di dire addio a una delle pagine più tristi della sua vita. Per alcuni, il segreto per andare avanti era accettare il passato e voltare pagina; forse avevano ragione, ma lei necessitava di compiere quel gesto, perché nel bagliore del fuoco scoppiettante avrebbe ritrovato la speranza perduta, una scintilla che lentamente cresceva nell’oscurità.
Mentre bruciava ad una ad una le pagine del suo diario, in un lento rito silenzioso, Alessandro le strinse la mano libera accarezzandole il palmo con le dita. Guardarono insieme l’orizzonte e sorrisero: il chiarore dell’alba segnava l’inizio di un nuovo giorno.

*********************

La storia è suddivisa in paragrafi e raccontata in terza persona dal punto di vista di Alessandro. Il primo e l’ultimo invece, come a voler chiudere un ciclo, sono dal punto di vista di Anastasiya. Partecipa al contest Non può piover per sempre indetto da WhatHasHappened.
Spero che vi piaccia :)
Grazie per l'attenzione!
SenzaFiato

  
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