Klavier poggiò le proprie labbra, fredde e sottili, sulla calda pelle dell’avvocato.
Un brivido percorse la schiena di Apollo; ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

‹‹ Justice, immagino per te non sia un problema occuparti di questo caso, ja? ››

Klavier morse quelle scarne spalle con lussuria e bestialità proprie d’una incontentabile furia.
Un gemito fuoriescì dalle labbra rosate di Apollo; inutile tentare di opporre resistenza; ogni sforzo è totalmente vano.

‹‹ Vostro Onore, il mio cliente non può essere colpevole, perché proprio quel giorno -alla detta ora del delitto- era tenuto occupato da “altre faccende”. ››

Klavier accarezzò con straordinaria delicatezza il suo membro; leccò il collo dell’altro, annusò il suo profumo, inebriando di quella delizia le proprie narici.
La povera preda, priva di libero arbitrio, socchiuse gli occhi e si lasciò guidare; in quell’universo che è solo loro non ha bisogno di null’altro.

‹‹ K–Klavier… ›› 


Apollo, nel buio e nel silenzio di quella misera camera da letto, sorrise. Sorrise nonostante la devastazione che lo circondasse, sorrise nonostante non avesse più nulla per la quale sorridere. Sorrise ascoltando il ritmo leggero del respiro del procuratore che gli stava affianco, pensando che -forse, forse, forse- aveva trovato qualcos’altro per cui sorride. Qualcosa che era sempre stata sotto i suoi occhi.
In quel silenzio, Apollo Justice si sentiva bene. In quel momento, in quel letto, a fianco di quel procuratore -al suo procuratore- Apollo Justice stava bene.