Anime & Manga > Uraboku
Ricorda la storia  |      
Autore: Edenya404    17/04/2014    6 recensioni
Seconda classificata al contest "Angst a tutto spiano" - valutata da Amahy
Prima classificata al contest "Ispirandovi alle immagini" - valutata da Mad_Fool_Hatter

Che Hotsuma non sopportasse Kuroto era qualcosa di cui nessuno avrebbe dovuto stupirsi; lo zweilt rappresentava per lui quel terrore sordo con cui combatteva da una vita, l’incubo che tormentava le sue notti e l’odore di sangue che gli contorceva lo stomaco. C’era anche lui quando Oboro era morto […] Ricordava l’angoscia che lo aveva pervaso mentre cercava con lo sguardo Shusei, a pochi metri da lui, e gli correva incontro […] Aveva ucciso l’Opast con cui stava combattendo, incenerendolo in un colpo solo, per poi cercare la sua schiena e appoggiarvisi, godendo del calore vitale che emanava a ogni respiro sbriciolato dai singhiozzi urlati di Kuroto.
(Hotsuma/Shusei con accenni Kuroto/Senshiro)
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hotsuma Renjou, Kuroto Hourai, Senshirou Furuori, Shusei Usui
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Note: La storia si situa dopo la fine dell’anime ma ci sono alcuni riferimenti al manga (opportunamente dotati di note). In particolare le frasi asteriscate sono prese dal manga (tradotte dall’inglese quando appartengono a quei numeri che è possibile leggere online). Il corsivo rappresenta dei flashback

Bleed for me

-

(Requiem in tre atti)

 

Atto primo: Parallelismi

 

Hotsuma conosceva ogni linea del corpo di Shusei, ogni ombra o scanalatura che il tempo aveva fatto assumere alla sua pelle nelle vite precedenti.  Ne ricordava le curve sostituite da spigoli, i seni tirati su un petto adesso piatto, le gambe sottili ora fasciate da muscoli. Poteva contare ogni differenza, ogni sfumatura del suo carattere modellarsi alla nuova vita, eppure l’anima di Shusei continuava ad apparigli immutabile nella sua perfezione, bellissima e stretta alla sua tanto da sentirsela sotto la pelle. Cucita con la stessa divampante sensualità con cui in quel momento gli tirava i capelli, incitandolo delicatamente a scendere più in basso. Hotsuma spostò il lembo della camicia e gli occhi tremarono sui contorni violacei di quell’ustione che tanto odiava e che non faceva altro se non ricordargli la sua debolezza.

- Hotsuma.

La voce di Shusei era cambiata, inevitabilmente, smussando i toni in un perenne sussurro ed era così bello starlo a sentire che spesso si scordava di respirare. Solo allora Shusei si interrompeva e gli poggiava una mano sulla spalla stringendo la carne in una muta richiesta di riempire i polmoni.

- Respira, Hotsuma.

E Hotsuma lo faceva, dimenticando in un soffio di chiedersi quando era successo che il suo sguardo e la sua voce avevano iniziato a vibrare di angoscia.
Non voglio un trattamento speciale.*
Solamente in quei momenti d’intimità tanto rari – e di cui non parlavano mai tra di loro – riusciva paradossalmente a mantenere una parvenza di lucidità. Solamente quando i brividi lungo le braccia gli strozzavano il respiro o la linea dei suoi due nei si sfumava sulla pelle pallida della sua coscia1, solo allora si rendeva conto del buio che inghiottiva l’iride negli occhi di Shusei. E aveva paura. Renjou Hotsuma, che con lui accanto avrebbe accettato anche di affrontare l’intero Inferno, inghiottiva bile e saliva che sapevano di terrore.
Quella era una delle tante cose di Shusei che la nuova vita aveva portato con sé, oltre alle complicazioni inespresse che essere due uomini comportava. Davvero non sapeva come i fratelli Murasame riuscissero a convivere con la loro relazione parentale quando le loro anime erano tanto avviluppate da perdere i contorni l’una nell’altra. Persino Shusei – che neppure quando erano una coppia sposata2 aveva perduto la sua naturale freddezza – era mai riuscito a contenersi quando il corpo smaniava per quella fusione che era capace di strapparli alla morte ogni volta, catapultandoli in una vita di dolore scandita da quel terrore gelido di non essere abbastanza forti. Di rimanere soli per tutta l’eternità.

 

Kuroto aveva impresso nella memoria ogni dettaglio di Oboro3 che il tempo e il dolore avevano scolpito nella sua carne come una cicatrice indelebile. Ne ricordava ogni sorriso, ogni lacrima, ogni tocco caldo e deciso tra le mani e sui capelli. Ogni fottutissima sfumatura di sangue che sgorgava dal suo petto, impregnando il terreno tra i piedi di Cadenza.
Spesso si svegliava di notte e la solitudine sembrava aver aperto una voragine nella sua vita talmente grande che solo il desiderio di vendetta riusciva a tenerlo in bilico sul ciglio, oscillando a ogni grido che si soffocava nei polmoni.
Era in quelle notti che Senshiro si allungava verso di lui e lo stringeva, affondandogli il volto tra i capelli scuri. Kuroto non gli aveva mai detto nulla ma riusciva a contare ogni lacrima che l’altro gli versava sulla nuca e per qualche incomprensibile ragione questo lo calmava, permettendogli di riposare qualche ora prima di affrontare un nuovo giorno di rimpianti e rimorsi. Lo avevano giurato sul corpo di loro nonno, con le ginocchia invischiate nel fango e la rabbia a bagnargli i volti.

Lo stesso dolore. Lo stesso odio. Lo stesso nemico.*
Lo stesso amore lo aveva aggiunto Senshiro nella sua mente, con la mano di Kuroto stretta alla guancia4 e il fantasma di un partner insostituibile a caricargli il cuore di aspettativa e terrore. Tuttavia per lui lo avrebbe affrontato, per lui avrebbe affrontato anche se stesso e quella sua incapacità di abbandonarsi a qualcuno, perché Kuroto gli aveva permesso di camminare al suo fianco e tanto bastava per sentirsi invincibili. Insieme.
Quella notte Kuroto si era girato nel suo abbraccio, fronteggiandolo da sotto i ciuffi scuri che gli drappeggiavano il volto.

- Perché hai scelto proprio me?

Senshiro inizialmente non aveva capito ma poi un raggio di luna aveva brillato sulla lacrima impigliata in quelle sue lunghe ciglia nere e allora il cuore aveva sobbalzato, piangendogli di tenerezza tra le costole.

- Non poteva essere nessun altro.

Il sorriso che gli aveva regalato era qualcosa che Kuroto non pensava più di meritarsi da quando aveva permesso a un maledetto Opast di strappargli metà della sua anima. Oboro era morto con lo sguardo rivolto a lui, sgranato e terrorizzato verso l’unica sua ragione di vita, e la consapevolezza di non essere stato capace di salvarlo era qualcosa che lo masticava da dentro. Tuttavia da quando la pelle di Senshiro aveva incominciato ad assumere un profumo familiare quella cicatrice nel suo cuore aveva smesso di sanguinare e il ghiaccio si era sciolto nei suoi occhi, liberando una tiepida speranza che s’increspava ogni volta che i loro sguardi si incontravano. Ogni volta che la sua mente si soffermava sul pensiero del futuro e non vedeva più il gorgo infinito della solitudine.

 

L’unica cosa di Shusei che non era cambiata era il colore del suo sangue. Hotsuma lo aveva visto versare più di una volta in battaglia e ogni volta il contraccolpo era come un conato, uno spasmo dei muscoli e un singhiozzo del cuore. Tutto che tendeva a lui, tutto che urlava a quel Dio che lo aveva maledetto con la sua voce di non portarglielo via o di trascinarlo con lui. Ovunque andasse, anche all’Inferno. Anche nel nulla. Perché persino il nulla acquistava i contorni di casa se c’era Shusei.

- Sono stanco di questa vita, Hotsuma.

Sono stanco di vivere col terrore di perderci per sempre.
Era inutile pronunciarlo, le sopracciglia aggrottate del compagno erano un segnale più che sufficiente che lo stesso pensiero straziava le loro menti. Lo aveva notato, Shusei, che persino la bruciante vitalità di Hotsuma si era ridotta a una debole fiammella che a malapena riusciva a scaldarli entrambi quel tanto che bastava per respirare. Solo perché erano ancora assieme erano capaci di combattere, solo per proteggere Yuki e tutto ciò che rappresentava si tenevano aggrappati alla vita. Quanto in realtà desiderassero avvolgere le loro anime in un riposo eterno era una consapevolezza che si spingevano dentro tra lenzuola sudate e singulti spezzati, salvo poi riporla in un angolo come un feticcio sporco della verità per il resto del tempo.

- Non sopporto la vista del tuo sangue.

Il tono di Hotsuma era basso e corposo come il crepitio delle fiamme. Glielo aveva sussurrato sulla pelle del petto prima di lambire con le labbra le piaghe violacee che deturpavano quella bellezza e farlo annaspare in cerca d’aria in un singhiozzo che aveva distrutto ogni briciolo dell’eleganza che lo contraddistingueva. Shusei si era inarcato innaturalmente sul letto e la linea del suo collo si era spezzata sotto la lingua di Hotsuma come un macabro presagio.
Takashiro gli aveva detto di riposarsi. Takashiro gli aveva assicurato che nessun grande scontro era alle porte per il momento. Ma Takashiro aveva in fondo allo sguardo un’ombra che né gli occhi né la voce di Dio erano riusciti a ignorare e il cuore si era incastrato tra i denti e la gola con palpiti tanto dolorosi da annebbiare la ragione. Peggio della morte, peggio di quel sangue denso versato in ogni singola battaglia c’era solo la prospettiva di un’eternità separati.
Shusei gli aveva passato una mano tra i capelli – il suo respiro debole e delicato a solleticargli il lobo – e Hotsuma aveva contratto le labbra in un ghigno amaro realizzando che l’unica ferita che lui gli aveva inflitto non aveva spillato neanche una goccia di sangue.

 

Ciò che la nuova vita come compagni non aveva ancora insegnato a Senshiro era l’odore del sangue di Kuroto. Si era chiesto più volte se Oboro ne avesse conosciuto ogni sfumatura, quante ferite gli aveva visto infliggere in battaglia e quante volte il suo petto aveva urlato di paura al timore di perderlo. Tuttavia da quando aveva il suo anello al dito la curiosità si era trasformata in un perenne disagio avvolto di spine che stringevano il suo cuore conficcandosi nella carne a ogni pulsazione. Lo sapeva perfettamente cosa significassero due zweilt l’uno per l’altro – lo vedeva in ogni sguardo tra Tsukumo e Tohko, lo percepiva in ogni tocco tra Hotsuma e Shusei – ed era consapevole di non essere nient’altro che un sostituto nella vita di Kuroto. Avrebbe camminato per sempre nel solco incancellabile di un fantasma ma se questo significava potergli stare accanto non avrebbe esitato.
Le dita si erano strette inconsapevolmente attorno alla spalla, lasciando un segno rossastro alla base del collo e Kuroto gli aveva lanciato uno sguardo indecifrabile prima di scivolare via dal suo abbraccio e sedersi sul letto, le unghie che graffiavano debolmente le lenzuola

- La prossima volta che incontreremo Cadenza lo uccideremo.

Senshiro aveva sorriso, distendendosi sulla schiena e fissando il soffitto. La rabbia era ciò che dava sapore alla vita di Kuroto, la vendetta era ciò che rendeva caldo e confortante il loro rapporto. Che cosa sarebbe successo una volta placata non voleva immaginarlo, sperava solo che le spine che stringevano il suo cuore e avviluppavano la gola pallida del suo compagno smettessero di lacerare la carne permettendogli di proseguire a vivere quella vita che tanto desideravano e che il destino continuava ad allontanare dalla loro presa.

- Con te accanto posso affrontare ogni cosa.

L’indice aveva percorso la schiena di Kuroto con una dolcezza talmente triste da costringerlo a deglutire un grumo d’aria e saliva che sapeva di bile. Non aveva mosso un muscolo nei secondi che avevano seguito quel gesto, aveva solo chiuso gli occhi e leccato via una lacrima che si era infiltrata tra le sue labbra. Oboro gli aveva sfiorato la schiena mentre si accasciava a terra, in un ultimo tentativo di aggrapparsi a lui e alla loro vita assieme, e Kuroto aveva percepito il tempo dilatarsi contemporaneamente alle sue narici, colpite da un odore ferroso fin troppo familiare.
Il sangue di Oboro puzzava di morte e abbandono e lui aveva represso un conato mentre infilava le mani nella sua ferita aperta. In quel momento aveva creduto di non poter più vivere e il profilo scuro della sua katana era diventato improvvisamente attraente ma poi Cadenza aveva parlato e l’odio lo aveva scosso con un’ondata di adrenalina. Tuttavia pensare di ricominciare a quel tempo era semplicemente impossibile.

- Cerca di non farti ferire.

La voce di Kuroto era gelida e sofferta ma il suo cuore sussurrava di vitalità a ogni contrazione. Senshiro lo sapeva, perché aveva cullato il suo sonno ogni notte.

 

----

 

 

Intermezzo: Riflessioni.

 

Che Hotsuma e Kuroto non andassero d’accordo era una consapevolezza oramai consolidata per gli abitanti della dimora Crepuscolo, i loro caratteri bruschi e scostanti erano semplicemente incompatibili e non importava quanto Tohko-chan cercasse di rabbonirli, non ci sarebbe stata mai nessuna comprensione tra di loro. Solo collaborazione e convivenza ma nulla di più, nessun contatto che andasse oltre la difesa di Yuki e il loro ruolo in quella guerra. Tsukumo lo aveva capito grazie al suo dono cosa si celasse dietro quell’astio. Era una sera come le altre di un periodo troppo calmo per sembrare realistico, la cena era appena stata servita e nella grande sala da pranzo della dimora un delicato chiacchiericcio accompagnava il tintinnio delle posate sui piatti. Forse era stato tra la prima portata e la seconda, oppure ancor prima che la cena incominciasse, Tsukumo non ricordava con precisione. Ciò che invece ricordava perfettamente era la dolcezza con cui Senshiro aveva scostato i capelli dal volto di Kuroto prima di porgergli un onigiri. La luce del lampadario aveva rimbalzato sull’anello che il nuovo zweilt portava al dito e il riflesso di sorriso che si era dipinto sul volto di sua sorella aveva contagiato tutto il tavolo, o almeno così era parso agli altri.
Le labbra di Hotsuma, invece, si erano increspate in una smorfia indecifrabile e la sua mano era corsa ad afferrare con decisione quella del compagno. Tsukumo aveva fatto appena in tempo a notare la carezza delicata che le dita di Shusei avevano disegnato sul palmo dell’altro prima che i loro occhi si incrociassero. Una breve occhiata era stata sufficiente, una stillettata al suo cuore fin troppo sensibile. Poi Shusei aveva abbassato lo sguardo e aveva smesso di cenare. Più tardi i due si erano rifiutati di seguire gli altri in salotto. Le continue proteste di Tohko si erano spente sulle loro schiene mentre si ritiravano in camera con le mani ancora strette l’una nell’altra.
Che Hotsuma non sopportasse Kuroto era qualcosa di cui nessuno avrebbe dovuto stupirsi; lo zweilt rappresentava per lui quel terrore sordo con cui combatteva da una vita, l’incubo che tormentava le sue notti e l’odore di sangue che gli contorceva lo stomaco. C’era anche lui quando Oboro era morto, si ricordava perfettamente la disperazione di Kuroto, le sue urla strazianti verso un cielo completamente sordo. Ricordava l’angoscia che lo aveva pervaso mentre cercava con lo sguardo Shusei, a pochi metri da lui, e gli correva incontro schivando colpi con un’agilità che non pensava di possedere. Aveva ucciso l’Opast con cui stava combattendo, incenerendolo in un colpo solo, per poi cercare la sua schiena e appoggiarvisi, godendo del calore vitale che emanava a ogni respiro sbriciolato dai singhiozzi urlati di Kuroto. Quella notte le gambe di Shusei si erano strette con una foga disperata attorno ai suoi fianchi e Hotsuma l’aveva preso soffocando i propri respiri sulla sua clavicola. Anche quella volta la linea del collo di Shusei si era spezzata all’indietro, riversandogli nelle orecchie frammenti di gemiti i cui contorni gli graffiavano il cuore, trasmettendogli e condividendo tutte le paure che li stavano consumando.
Il giorno in cui Hotsuma aveva scoperto di Senshiro la sua distanza da Kuroto era diventata, se possibile, ancora maggiore. Non comprendeva come fosse riuscito a superare la perdita di metà della sua anima né perché avesse permesso al suo cuore di trovare di nuovo la voglia di ricominciare. Per Hotsuma esisteva solo Shusei. Era per lui che i polmoni si contraevano per respirare, per lui il sangue circolava nelle vene e lo scorrere inesorabile di un’eternità di vite che si rincorrevano diventava sopportabile. Una prospettiva senza di lui non era semplicemente immaginabile e sapeva benissimo che nessuno dei due avrebbe continuato a sopravvivere se fosse rimasto da solo. Il nulla o l’eterna dannazione erano comunque migliori rispetto alla solitudine.

 

Kuroto lo aveva capito cosa passava nelle menti dei due zweilt ogni volta che scorgevano l’anello al dito di Senshiro e non poteva biasimarli. Dal canto suo, andare d’accordo con entrambi era qualcosa di semplicemente impossibile. Loro avrebbero sempre rappresentato ciò che a lui era stato strappato e che adesso cercava di riottenere. Sarebbero sempre stati il riflesso di quella parte di sé stesso che amava Oboro allo stesso modo di Senshiro e che gli dilaniava la mente coi sensi di colpa. Il cammino di rassegnazione che avrebbe potuto prendere e che invece aveva convertito in vendetta e voglia di vivere. L’eco di quelle grida di dolore che masticavano i bordi della speranza di una nuova vita e per cui avrebbe combattuto fino alla fine. Finché non avesse potuto baciare le labbra di Senshiro senza sentire il suo sapore mescolarsi a quello del rimorso.

 

----

Atto secondo: Promesse

Quando erano bambini Shusei credeva che Hotsuma fosse una di quelle persone per cui la vista del sangue altrui comportava un immediato malessere. Le rare volte in cui gli capitava di ferirsi, infatti, lui distoglieva sempre lo sguardo mettendo su un’espressione imbronciata che durava fino a che, dopo aver rimuginato in silenzio per qualche minuto, gli poggiava la fronte sulla spalla lasciandosi abbracciare. Solo pochi anni dopo la vera ragione di quel malessere si era fatta chiara, in un pomeriggio di quelli che spegnevano ogni voglia di vivere.

 Shusei stava suonando il piano nel salotto di casa propria e Hotsuma sedeva scompostamente ai piedi dello sgabello nero, la nuca poggiata sulla sua coscia e una console per videogiochi tra le mani. Erano piccoli e ancora lontani dalla battaglia eppure nelle loro menti qualcosa stava già silenziosamente incominciando a formarsi, una lieve nebbia di ricordi che si intensificavano ogni qualvolta i loro occhi si incrociavano o le loro pelli si sfioravano.
Il notturno di Chopin scorreva limpido tra i tasti bianchi e neri dello strumento e Shusei non si era neppure accorto che il margine dello spartito gli aveva ferito la mano – tanto era assorto nella melodia e nel calore che il peso del compagno spandeva sulla sua gamba – finché una goccia di sangue aveva sporcato il pianoforte. L’interruzione improvvisa della musica aveva fatto scattare Hotsuma sull’attenti in un istante, la console abbandonata a terra, e Shusei aveva appena fatto in tempo a sussurrare un “non è niente” che lo sguardo del compagno si era fissato sulla piccola ferita, le pupille dilatate e il respiro mozzato. Lo aveva richiamato piano una, due volte, ma era ovvio che la sua mente stesse già galoppando su sentieri ben lontani dalla realtà. Sulle guance scorrevano lacrime impietose che gli stringevano lo stomaco in una morsa di impotenza. Shusei sapeva benissimo dove fosse e avrebbe pagato con la sua stessa vita pur di tenercelo lontano.
Quando Hotsuma era tornato in sé gli aveva afferrato la mano e aveva poggiato un lieve bacio sulla ferita per poi puntargli addosso uno sguardo che vomitava sofferenza.

-Il tuo sangue ha sempre lo stesso colore.

La voce era un sussurro appena udibile ma Shusei aveva socchiuso gli occhi, capendo immediatamente che i ricordi delle vite precedenti si erano appena risvegliati del tutto.

 

Quella mattina, come d’altronde accadeva spesso negli ultimi tempi, Hotsuma si era risvegliato nel letto di Shusei, stretto alla sua vita in un modo tanto possessivo da far sembrare tutto il resto del mondo privo di importanza a confronto con il fianco magro che gli premeva sullo stomaco. In risposta al suo sbadiglio gli occhi castano-verdi del suo partner si erano piegati dolcemente sotto la linea morbida delle ciglia e ogni cosa era parsa perfetta, ogni pericolo lontano. Capitava raramente che entrambi si svegliassero presto per cui avevano deciso di uscire a fare una passeggiata prima di andare a scuola. La dimora Crepuscolo era deserta e silenziosa, fatta eccezione per Kuroto intento ad allenarsi nel cortile; Shusei gli aveva rivolto un breve sorriso – uno di quelli che nascondevano più parole di quante si pensasse – prima di essere richiamato bruscamente dal suo compagno che camminava avanti a lui con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo fermo di fronte a sé. Kuroto li aveva osservati per qualche minuto finché lo spazio tra le loro spalle si era fatto troppo stretto da sopportare, costringendolo a riprendere il suo allenamento.
L’idea di passare attraverso il parco era stata di Hotsuma e di certo se ne sarebbe pentito se per il senso di colpa ci fosse stato il tempo di manifestarsi. L’attacco era stato così violento e improvviso che Shusei era a malapena riuscito ad erigere una barriera per contenere i danni prima di venire scaraventato contro il corpo di Hotsuma – che lo aveva prontamente stretto e sorretto – e percepire il denso calore del sangue colare lungo il braccio destro. Era servito uno sguardo per contare il numero dei nemici e una frazione di secondo prima di sentire la voce profonda del suo compagno imprecare a denti stretti a pochi centimetri dal suo orecchio, le braccia ancora fermamente serrate attorno alla sua vita.

- Sono troppi!

Ammettere che Hostuma aveva ragione significava permettere a quel lieve senso di angoscia di farsi spazio tra le viscere ma sapeva benissimo che quattro Duras, seppur di basso rango, potevano rappresentare un problema persino per loro e i loro poteri. Shusei aveva avvertito le dita del compagno tastare con angoscia la calda viscosità che impregnava la sua maglia e l’improvviso timore che potesse farsi distrarre dai ricordi lo aveva attanagliato. Afferrargli la mano era stato un battito di ciglia.

- Respira, Hotsuma.

L’ordine aveva sortito l’effetto desiderato e le braccia di Hotsuma che lo aiutavano a risollevarsi da terra erano l’ultima cosa che aveva percepito prima di gettarsi entrambi nel combattimento.

 

Come potevano due bambini convivere col ricordo di ogni ferita del proprio partner impresso a inchiostro indelebile nella mente? Shusei se lo era chiesto la prima volta in cui una delle battaglie delle vite passate si era delineata nei suoi pensieri, tuttavia non avrebbe mai pensato che vedere Hotsuma spaccarsi davanti ai suoi occhi – per colpa degli stessi ricordi – sarebbe stato ancora più doloroso. Ogni ferita, lieve o profonda, che aveva deturpato il corpo di Shusei era vivida nella mente dello zweilt come fosse stata appena inflitta e la viscosità scura del suo sangue gli contraeva lo stomaco in conati che facevano male quanto una coltellata.
Per Shusei il gesto era stato così spontaneo che non avrebbe mai pensato si sarebbe trasformato in una promessa ma le lacrime che rigavano il volto del compagno portavano impresse cicatrici tanto palesi che non era riuscito a trattenersi, come suo solito, dietro la sua incrollabile razionalità. Aveva afferrato la mano di Hotsuma e vi aveva fatto scorrere il foglio dello spartito procurandogli un piccolo taglio sul palmo, non troppo profondo ma abbastanza da sanguinare. Lui lo aveva guardato incuriosito e totalmente fiducioso da sotto i ciuffi dorati e quando Shusei aveva avvicinato il proprio dito al taglio, permettendo al loro sangue di mescolarsi, qualcosa di caldo si era acceso nello stomaco del bambino, bloccando lo scorrere delle lacrime.

- Vedi? – aveva aggiunto Shusei – Insieme hanno un colore più bello.

A quell’affermazione Hotsuma gli aveva stretto la mano, sorridendo e giurando al destino che dal quel momento in poi avrebbero sanguinato solamente assieme, solamente l’uno per l’altro. Shusei aveva letto tutto nel fondo di quegli occhi che tanto amava e lo aveva abbracciato, suggellando nel silenzio quella loro promessa.

 

----

 

Atto terzo: Requiem.

 

Tsukumo stava dormendo placidamente abbracciato a sua sorella5 quando la voce di Hotsuma si era inserita prepotentemente nei suoi sogni, facendolo scattare in piedi col fiato spezzato. A Tohko era bastata solo un’occhiata al velo di sudore che bagnava la fronte del fratello per comprendere la gravità della situazione e la gola le si era stretta in una morsa.

- Tsukumo… chi?

Aveva chiesto in un sussurro, ma prima che lui potesse risponderle Kuroto era entrato trafelato nella loro stanza, la voce rotta innaturalmente dalla preoccupazione non appena gli occhi sgranati del ragazzo gli avevano confermato il presentimento.

- Shu-kun e Hotsuma-kun non sono rientrati.

In pochi attimi i quattro zweilt si erano precipitati nel salotto e avevano informato Luka della situazione, pregandolo di svegliare Yuki e mandarglielo al più presto, per poi mettersi in movimento. L’aria di Novembre era fredda e tagliente sui loro volti ma nessuno accennava a fermarsi, correndo imperterriti sotto la guida di Tsukumo il cui fiato ancora tremava al ricordo del tono disperato con cui la voce di Hotsuma aveva scosso le sue orecchie.

- Dovresti essere più gentile con Kuroto.
La gola di Shusei vibrava nel buio a ogni sospiro, bianca e fragile e totalmente scoperta alla sua mercé. Avrebbe potuto tagliarla, reciderne la base come un fiore, sfilacciare quella pelle morbida senza alcuno sforzo, bruciarla sotto l’irruenza del fuoco che gli divampava in ogni cellula stretta tra le sue dita e contro il suo bacino. Eppure il modo fiducioso in cui l’esponeva, gettando la testa all’indietro al solo tocco delle sue labbra, era la cosa più oscenamente elegante che avesse mai visto e non se ne sarebbe mai saziato.

 

Quando gli zweilt erano giunti finalmente sul campo di battaglia la gravità della situazione si era immediatamente fatta chiara ai loro occhi. Hotsuma e Shusei erano ancora in piedi ai lati opposti del sentiero, intenti a combattere stoicamente contro due Duras a testa nonostante l’evidente tremore che sfibrava i loro muscoli. Kuroto aveva riconosciuto in un lampo il velo pallido della morte sul volto esangue dei due e si era gettato con gli altri in mezzo alla battaglia, ignorando il profilo di Shusei che si sfumava ai suoi occhi nella sagoma sottile di Oboro.
Ai quattro zweilt ancora in forze erano bastati pochi colpi per abbattere i nemici ma il silenzio gelido che si era innalzato dopo la vittoria aveva soffocato ogni esaltazione. Ognuno di loro avrebbe potuto trovarsi in quella situazione, lo comprendevano benissimo e nessuno meglio di Senshiro i cui occhi scorrevano lentamente dalla schiena rigida alle mani tremanti di Kuroto, mentre gli si avvicinava.
Non appena l’ultimo Duras era morto i due compagni si erano accasciati con un unico movimento fluido e le ginocchia di Hotsuma avevano colpito il suolo in un tonfo sordo il cui eco aveva gridato l’angoscia che gli si era intrappolata nello sterno.
Tohko era subito scattata in avanti per prestar loro soccorso ma Tsukumo l’aveva fermata, tirandosela al petto e scuotendo mestamente la testa.

- Yuki sta arrivando.

Le aveva sussurrato e lei si era fatta piccola e insicura nel suo abbraccio, soffocando le lacrime sulla sua maglia.

 

Shusei era l’acqua fresca che lo lambiva in continuazione e placava ogni sua inquietudine. Nulla avrebbe potuto affascinarlo più della sua anima, nulla avrebbe potuto completarlo più del suo corpo, nulla sarebbe mai riuscito a staccare la bocca di Hotusma dal pulsare lento della sua giugulare. Né la morte, né quel sangue che gli scorreva in corpo portandosi dietro la prova della loro vulnerabilità.
- Io non ti sostituirò mai, Shusei.

 

----

Epilogo: Sangue.

 

Il terreno umido si sbriciolava tra le sue dita mentre vi strisciava sopra, lasciandogli sulle braccia una brivido freddo che aveva il retrogusto della paura. Percepiva la ferita all’addome allargarsi e sputare sangue, pulsando dolorosamente a ogni centimetro guadagnato verso il corpo immobile di Shusei ma Hotsuma non se ne curava. Gli occhi fissati su di lui con una determinazione straziante, il cuore che annaspava nell’angoscia pregando di farlo arrivare in tempo. Lo avevano promesso. Avrebbe mantenuto la parola anche se avesse significato dissanguarsi su quell’erba nello sforzo.
Con un rantolo spezzato il biondo zweilt aveva raggiunto il compagno, mettendosi seduto e sollevandolo tra le braccia. In risposta Senshiro aveva sentito le dita di Kuroto serrarsi spasmodicamente attorno al proprio polso e l’ondata di dolore e rabbia che quel singolo gesto gli aveva trasmesso lo aveva fatto rabbrividire. Proveniva da un passato in cui non gli era mai stato permesso di entrare e si portava dietro le stesse spine che soffocavano Kuroto. Senshiro era rimasto immobile mentre si avvolgevano anche attorno alla sua gola, stringendo con una forza che aveva distrutto quell’ultimo muro rimasto a separarli, e aveva giurato che non lo avrebbe mai più permesso. Per lui, per loro, per quel futuro che si meritavano nonostante tutto.

Sei il motivo per cui sto combattendo, sei la mia ragione di vita.*
Hotsuma aveva appoggiato la testa sulla sua fronte pallida, ispirando l’odore di casa che si sprigionava dai suoi capelli.
E finché avrai bisogno di me continuerò a vivere.*

- Avrò sempre bisogno di te.

La sua voce era debole e crepitante come un fuoco ormai spento ma l’anima di Shusei aveva reagito allo stimolo immediatamente, dischiudendo gli occhi e respirandogli il suo fiato caldo sul volto.

- Hotsuma.

Con un lieve velo di panico nello sguardo aveva percorso il corpo del compagno rilassandosi immediatamente alla vista della gora scarlatta che circondava la profonda ferita sull’addome. Insieme. L’uno per l’altro. Avevano mantenuto la promessa.
La camicia strappata sul petto di Shusei rivelava uno squarcio che si apriva e richiudeva innaturalmente al ritmo dei suoi deboli respiri. Hotsuma si era premuto la mano sulla propria ferita e poi l’aveva portata all’altezza del suo sterno, sfiorando con un sorriso i bordi violacei dell’ustione che si tingevano per la prima volta di scarlatto, con quella meravigliosa sfumatura che solo il loro sangue mescolato riusciva ad avere.

- Yuki sta arrivando.

Glielo aveva sussurrato a un soffio dalle labbra e Shusei gli aveva stretto la mano, sciogliendosi in un sorriso talmente raro da vedere sul suo volto che Hotsuma si era sentito improvvisamente svuotato di ogni paura. Non aveva importanza se Yuki fosse arrivato in tempo per salvarli. Non gli importava morire, non gli importava vivere. Ogni cosa acquistava i contorni di casa con lui, persino l’eterno riposo in un mare di nulla diventava sopportabile se significava affrontarlo con le loro anime cucite assieme e sapeva, pur non scambiandosi alcuna parola, che per il compagno valeva la stessa cosa. Per lui il suo cuore aveva sempre battuto, con lui si sarebbe fermato.
Finché starai con me, niente ha importanza.*
La linea del collo di Shusei si era piegata di nuovo all’indietro, donandogli senza riserve gli ultimi battiti frenetici della sua giugulare e Hotsuma l’aveva baciata, conscio che niente in quella vita o nelle successive – se ci fossero state – sarebbe mai riuscito a staccargli le labbra dal profilo pallido della sua gola.

 

 

 

NOTE:

1 In una storia bonus del manga a Hotsuma viene chiesto di rivelare una cosa che solo lui sa di Shusei; dopo averci pensato un po’ esordisce dicendo che “all’interno della sua coscia ci sono due grandi nei”.
2 Sempre in una storia bonus (Odagiri-sensei si diverte a parlarci di questi due) viene detto che Hotsuma e Shusei in una vita precedente erano una coppia sposata e hanno cercato anche di avere dei bambini. Questa affermazione, con quella precedente, mi hanno convinta al definitivamente a pensare che tra loro ci sia un rapporto molto più fisico di quanto non si veda (o legga).
3 Oboro è il nome dell’ex partner di Kuroto ucciso da Cadenza, nell’anime il nome viene solo mostrato scritto sull’anello che lo zweilt porta al dito, nel manga invece viene detto esplicitamente.
4 Questa scena è effettivamente presente nel manga ed è bellissima, tra parentesi.
5 Nel manga si accenna al fatto che Tohko e Tsukumo sono soliti dormire assieme ogni tanto quando Kuroto, recatosi in camera di Tsukumo per svegliarlo, lo trova appunto abbracciato alla sorella.

 

 

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Uraboku / Vai alla pagina dell'autore: Edenya404