Note: La storia si situa dopo la fine dell’anime ma ci sono alcuni riferimenti al manga (opportunamente dotati di note). In particolare le frasi asteriscate sono prese dal manga (tradotte dall’inglese quando appartengono a quei numeri che è possibile leggere online). Il corsivo rappresenta dei flashback
Bleed for me
-
(Requiem in tre atti)
Atto
primo: Parallelismi
Hotsuma
conosceva ogni linea del corpo di Shusei,
ogni ombra o scanalatura che il tempo aveva fatto assumere alla sua
pelle nelle
vite precedenti. Ne ricordava le curve sostituite da spigoli,
i seni
tirati su un petto adesso piatto, le gambe sottili ora fasciate da
muscoli.
Poteva contare ogni differenza, ogni sfumatura del suo carattere
modellarsi
alla nuova vita, eppure l’anima di Shusei continuava ad
apparigli immutabile
nella sua perfezione, bellissima e stretta alla sua tanto da sentirsela
sotto
la pelle. Cucita con la stessa divampante sensualità con cui
in quel momento
gli tirava i capelli, incitandolo delicatamente a scendere
più in basso. Hotsuma
spostò il lembo della camicia e gli occhi tremarono sui
contorni violacei di
quell’ustione che tanto odiava e che non faceva altro se non
ricordargli la sua
debolezza.
-
Hotsuma.
La
voce di Shusei era cambiata, inevitabilmente,
smussando i toni in un perenne sussurro ed era così bello
starlo a sentire che
spesso si scordava di respirare. Solo allora Shusei si interrompeva e
gli
poggiava una mano sulla spalla stringendo la carne in una muta
richiesta di
riempire i polmoni.
-
Respira, Hotsuma.
E
Hotsuma lo faceva, dimenticando in un soffio di
chiedersi quando era successo che il suo sguardo e la sua voce avevano
iniziato
a vibrare di angoscia.
Non
voglio un trattamento speciale.*
Solamente
in quei momenti d’intimità tanto rari –
e
di cui non parlavano mai tra di loro – riusciva
paradossalmente a mantenere una
parvenza di lucidità. Solamente quando i brividi lungo le
braccia gli
strozzavano il respiro o la linea dei suoi due nei si sfumava sulla
pelle
pallida della sua coscia1, solo allora si
rendeva conto del buio che
inghiottiva l’iride negli occhi di Shusei. E aveva paura.
Renjou Hotsuma, che
con lui accanto avrebbe accettato anche di affrontare
l’intero Inferno,
inghiottiva bile e saliva che sapevano di terrore.
Quella era una delle tante cose di Shusei che la
nuova vita aveva portato con sé, oltre alle complicazioni
inespresse che essere
due uomini comportava. Davvero non sapeva come i fratelli Murasame
riuscissero
a convivere con la loro relazione parentale quando le loro anime erano
tanto
avviluppate da perdere i contorni l’una nell’altra.
Persino Shusei – che
neppure quando erano una coppia sposata2 aveva
perduto la sua
naturale freddezza – era mai riuscito a contenersi quando il
corpo smaniava per
quella fusione che era capace di strapparli alla morte ogni volta,
catapultandoli in una vita di dolore scandita da quel terrore gelido di
non
essere abbastanza forti. Di rimanere soli per tutta
l’eternità.
Kuroto
aveva impresso nella memoria ogni dettaglio di Oboro3
che il tempo e
il dolore avevano scolpito nella sua carne come una cicatrice
indelebile. Ne
ricordava ogni sorriso, ogni lacrima, ogni tocco caldo e deciso tra le
mani e
sui capelli. Ogni fottutissima sfumatura di sangue che sgorgava dal suo
petto,
impregnando il terreno tra i piedi di Cadenza.
Spesso
si svegliava di notte e la solitudine sembrava aver aperto una voragine
nella
sua vita talmente grande che solo il desiderio di vendetta riusciva a
tenerlo
in bilico sul ciglio, oscillando a ogni grido che si soffocava nei
polmoni.
Era
in quelle notti che Senshiro si allungava verso di lui e lo stringeva,
affondandogli il volto tra i capelli scuri. Kuroto non gli aveva mai
detto
nulla ma riusciva a contare ogni lacrima che l’altro gli
versava sulla nuca e
per qualche incomprensibile ragione questo lo calmava, permettendogli
di
riposare qualche ora prima di affrontare un nuovo giorno di rimpianti e
rimorsi. Lo avevano giurato sul corpo di loro nonno, con le ginocchia
invischiate nel fango e la rabbia a bagnargli i volti.
Lo
stesso dolore. Lo stesso odio. Lo
stesso nemico.*
Lo
stesso amore lo aveva aggiunto Senshiro nella sua mente, con la mano di
Kuroto
stretta alla guancia4 e il fantasma di un
partner insostituibile a
caricargli il cuore di aspettativa e terrore. Tuttavia per lui lo
avrebbe
affrontato, per lui avrebbe affrontato anche se stesso e quella sua
incapacità
di abbandonarsi a qualcuno, perché Kuroto gli aveva permesso
di camminare al
suo fianco e tanto bastava per sentirsi invincibili. Insieme.
Quella
notte Kuroto si era girato nel suo abbraccio, fronteggiandolo da sotto
i ciuffi
scuri che gli drappeggiavano il volto.
-
Perché hai scelto proprio me?
Senshiro
inizialmente non aveva capito ma poi un raggio di luna aveva brillato
sulla
lacrima impigliata in quelle sue lunghe ciglia nere e allora il cuore
aveva
sobbalzato, piangendogli di tenerezza tra le costole.
-
Non poteva essere nessun altro.
Il
sorriso che gli aveva regalato era qualcosa che Kuroto non pensava
più di
meritarsi da quando aveva permesso a un maledetto Opast di strappargli
metà
della sua anima. Oboro era morto con lo sguardo rivolto a lui, sgranato
e
terrorizzato verso l’unica sua ragione di vita, e la
consapevolezza di non
essere stato capace di salvarlo era qualcosa che lo masticava da
dentro.
Tuttavia da quando la pelle di Senshiro aveva incominciato ad assumere
un
profumo familiare quella cicatrice nel suo cuore aveva smesso di
sanguinare e
il ghiaccio si era sciolto nei suoi occhi, liberando una tiepida
speranza che
s’increspava ogni volta che i loro sguardi si incontravano.
Ogni volta che la
sua mente si soffermava sul pensiero del futuro e non vedeva
più il gorgo
infinito della solitudine.
L’unica
cosa di Shusei che non era cambiata era il
colore del suo sangue. Hotsuma lo aveva visto versare più di
una volta in
battaglia e ogni volta il contraccolpo era come un conato, uno spasmo
dei
muscoli e un singhiozzo del cuore. Tutto che tendeva a lui, tutto che
urlava a
quel Dio che lo aveva maledetto con la sua voce di non portarglielo via
o di
trascinarlo con lui. Ovunque andasse, anche all’Inferno.
Anche nel nulla.
Perché persino il nulla acquistava i contorni di casa se
c’era Shusei.
-
Sono stanco di questa vita, Hotsuma.
Sono
stanco di vivere col terrore di perderci per
sempre.
Era inutile pronunciarlo, le sopracciglia
aggrottate del compagno erano un segnale più che sufficiente
che lo stesso
pensiero straziava le loro menti. Lo aveva notato, Shusei, che persino
la
bruciante vitalità di Hotsuma si era ridotta a una debole
fiammella che a
malapena riusciva a scaldarli entrambi quel tanto che bastava per
respirare.
Solo perché erano ancora assieme erano capaci di combattere,
solo per proteggere
Yuki e tutto ciò che rappresentava si tenevano aggrappati
alla vita. Quanto in
realtà desiderassero avvolgere le loro anime in un riposo
eterno era una
consapevolezza che si spingevano dentro tra lenzuola sudate e singulti
spezzati, salvo poi riporla in un angolo come un feticcio sporco della
verità
per il resto del tempo.
-
Non sopporto la vista del tuo sangue.
Il
tono di Hotsuma era basso e corposo come il
crepitio delle fiamme. Glielo aveva sussurrato sulla pelle del petto
prima di
lambire con le labbra le piaghe violacee che deturpavano quella
bellezza e
farlo annaspare in cerca d’aria in un singhiozzo che aveva
distrutto ogni
briciolo dell’eleganza che lo contraddistingueva. Shusei si
era inarcato
innaturalmente sul letto e la linea del suo collo si era spezzata sotto
la
lingua di Hotsuma come un macabro presagio.
Takashiro gli aveva detto di riposarsi. Takashiro
gli aveva assicurato che nessun grande scontro era alle porte per il
momento.
Ma Takashiro aveva in fondo allo sguardo un’ombra che
né gli occhi né la voce
di Dio erano riusciti a ignorare e il cuore si era incastrato tra i
denti e la
gola con palpiti tanto dolorosi da annebbiare la ragione. Peggio della
morte,
peggio di quel sangue denso versato in ogni singola battaglia
c’era solo la
prospettiva di un’eternità separati.
Shusei gli aveva passato una mano tra i capelli –
il suo respiro debole e delicato a solleticargli il lobo – e
Hotsuma aveva
contratto le labbra in un ghigno amaro realizzando che
l’unica ferita che lui
gli aveva inflitto non aveva spillato neanche una goccia di sangue.
Ciò
che la nuova vita come compagni non aveva
ancora insegnato a Senshiro era l’odore del sangue di Kuroto.
Si era chiesto
più volte se Oboro ne avesse conosciuto ogni sfumatura,
quante ferite gli aveva
visto infliggere in battaglia e quante volte il suo petto aveva urlato
di paura
al timore di perderlo. Tuttavia da quando aveva il suo anello al dito
la
curiosità si era trasformata in un perenne disagio avvolto
di spine che
stringevano il suo cuore conficcandosi nella carne a ogni pulsazione.
Lo sapeva
perfettamente cosa significassero due zweilt l’uno per
l’altro – lo vedeva in
ogni sguardo tra Tsukumo e Tohko, lo percepiva in ogni tocco tra
Hotsuma e Shusei
– ed era consapevole di non essere nient’altro che
un sostituto nella vita di
Kuroto. Avrebbe camminato per sempre nel solco incancellabile di un
fantasma ma
se questo significava potergli stare accanto non avrebbe esitato.
Le dita si erano strette inconsapevolmente attorno
alla spalla, lasciando un segno rossastro alla base del collo e Kuroto
gli
aveva lanciato uno sguardo indecifrabile prima di scivolare via dal suo
abbraccio e sedersi sul letto, le unghie che graffiavano debolmente le
lenzuola
-
La prossima volta che incontreremo Cadenza lo
uccideremo.
Senshiro
aveva sorriso, distendendosi sulla schiena
e fissando il soffitto. La rabbia era ciò che dava sapore
alla vita di Kuroto,
la vendetta era ciò che rendeva caldo e confortante il loro
rapporto. Che cosa
sarebbe successo una volta placata non voleva immaginarlo, sperava solo
che le
spine che stringevano il suo cuore e avviluppavano la gola pallida del
suo
compagno smettessero di lacerare la carne permettendogli di proseguire
a vivere
quella vita che tanto desideravano e che il destino continuava ad
allontanare
dalla loro presa.
-
Con te accanto posso affrontare ogni cosa.
L’indice
aveva percorso la schiena di Kuroto con
una dolcezza talmente triste da costringerlo a deglutire un grumo
d’aria e
saliva che sapeva di bile. Non aveva mosso un muscolo nei secondi che
avevano
seguito quel gesto, aveva solo chiuso gli occhi e leccato via una
lacrima che
si era infiltrata tra le sue labbra. Oboro gli aveva sfiorato la
schiena mentre
si accasciava a terra, in un ultimo tentativo di aggrapparsi a lui e
alla loro
vita assieme, e Kuroto aveva percepito il tempo dilatarsi
contemporaneamente
alle sue narici, colpite da un odore ferroso fin troppo familiare.
Il sangue di Oboro puzzava di morte e abbandono e
lui aveva represso un conato mentre infilava le mani nella sua ferita
aperta.
In quel momento aveva creduto di non poter più vivere e il
profilo scuro della
sua katana era diventato improvvisamente attraente ma poi Cadenza aveva
parlato
e l’odio lo aveva scosso con un’ondata di
adrenalina. Tuttavia pensare di
ricominciare a quel tempo era semplicemente impossibile.
-
Cerca di non farti ferire.
La
voce di Kuroto era gelida e sofferta ma il suo
cuore sussurrava di vitalità a ogni contrazione. Senshiro lo
sapeva, perché
aveva cullato il suo sonno ogni notte.
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Intermezzo:
Riflessioni.
Che
Hotsuma e Kuroto non andassero d’accordo era
una consapevolezza oramai consolidata per gli abitanti della dimora
Crepuscolo,
i loro caratteri bruschi e scostanti erano semplicemente incompatibili
e non
importava quanto Tohko-chan cercasse di rabbonirli, non ci sarebbe
stata mai
nessuna comprensione tra di loro. Solo collaborazione e convivenza ma
nulla di
più, nessun contatto che andasse oltre la difesa di Yuki e
il loro ruolo in
quella guerra. Tsukumo lo aveva capito grazie al suo dono cosa si
celasse
dietro quell’astio. Era una sera come le altre di un periodo
troppo calmo per
sembrare realistico, la cena era appena stata servita e nella grande
sala da
pranzo della dimora un delicato chiacchiericcio accompagnava il
tintinnio delle
posate sui piatti. Forse era stato tra la prima portata e la seconda,
oppure
ancor prima che la cena incominciasse, Tsukumo non ricordava con
precisione.
Ciò che invece ricordava perfettamente era la dolcezza con
cui Senshiro aveva
scostato i capelli dal volto di Kuroto prima di porgergli un onigiri.
La luce
del lampadario aveva rimbalzato sull’anello che il nuovo
zweilt portava al dito
e il riflesso di sorriso che si era dipinto sul volto di sua sorella
aveva
contagiato tutto il tavolo, o almeno così era parso agli
altri.
Le labbra di Hotsuma, invece, si erano increspate
in una smorfia indecifrabile e la sua mano era corsa ad afferrare con
decisione
quella del compagno. Tsukumo aveva fatto appena in tempo a notare la
carezza
delicata che le dita di Shusei avevano disegnato sul palmo
dell’altro prima che
i loro occhi si incrociassero. Una breve occhiata era stata
sufficiente, una
stillettata al suo cuore fin troppo sensibile. Poi Shusei aveva
abbassato lo
sguardo e aveva smesso di cenare. Più tardi i due si erano
rifiutati di seguire
gli altri in salotto. Le continue proteste di Tohko si erano spente
sulle loro
schiene mentre si ritiravano in camera con le mani ancora strette
l’una
nell’altra.
Che Hotsuma non sopportasse Kuroto era qualcosa di
cui nessuno avrebbe dovuto stupirsi; lo zweilt rappresentava per lui
quel
terrore sordo con cui combatteva da una vita, l’incubo che
tormentava le sue
notti e l’odore di sangue che gli contorceva lo stomaco.
C’era anche lui quando
Oboro era morto, si ricordava perfettamente la disperazione di Kuroto,
le sue
urla strazianti verso un cielo completamente sordo. Ricordava
l’angoscia che lo
aveva pervaso mentre cercava con lo sguardo Shusei, a pochi metri da
lui, e gli
correva incontro schivando colpi con un’agilità
che non pensava di possedere.
Aveva ucciso l’Opast con cui stava combattendo, incenerendolo
in un colpo solo,
per poi cercare la sua schiena e appoggiarvisi, godendo del calore
vitale che
emanava a ogni respiro sbriciolato dai singhiozzi urlati di Kuroto.
Quella notte
le gambe di Shusei si erano strette con una foga disperata attorno ai
suoi
fianchi e Hotsuma l’aveva preso soffocando i propri respiri
sulla sua
clavicola. Anche quella volta la linea del collo di Shusei si era
spezzata
all’indietro, riversandogli nelle orecchie frammenti di
gemiti i cui contorni
gli graffiavano il cuore, trasmettendogli e condividendo tutte le paure
che li stavano
consumando.
Il giorno in cui Hotsuma aveva scoperto di Senshiro
la sua distanza da Kuroto era diventata, se possibile, ancora maggiore.
Non
comprendeva come fosse riuscito a superare la perdita di
metà della sua anima
né perché avesse permesso al suo cuore di trovare
di nuovo la voglia di
ricominciare. Per Hotsuma esisteva solo Shusei. Era per lui che i
polmoni si
contraevano per respirare, per lui il sangue circolava nelle vene e lo
scorrere
inesorabile di un’eternità di vite che si
rincorrevano diventava sopportabile. Una
prospettiva senza di lui non era semplicemente immaginabile e sapeva
benissimo
che nessuno dei due avrebbe continuato a sopravvivere se fosse rimasto
da solo.
Il nulla o l’eterna dannazione erano comunque migliori
rispetto alla
solitudine.
Kuroto
lo aveva capito cosa passava nelle menti dei
due zweilt ogni volta che scorgevano l’anello al dito di
Senshiro e non poteva
biasimarli. Dal canto suo, andare d’accordo con entrambi era
qualcosa di
semplicemente impossibile. Loro avrebbero sempre rappresentato
ciò che a lui
era stato strappato e che adesso cercava di riottenere. Sarebbero
sempre stati
il riflesso di quella parte di sé stesso che amava Oboro
allo stesso modo di
Senshiro e che gli dilaniava la mente coi sensi di colpa. Il cammino di
rassegnazione che avrebbe potuto prendere e che invece aveva convertito
in
vendetta e voglia di vivere. L’eco di quelle grida di dolore
che masticavano i
bordi della speranza di una nuova vita e per cui avrebbe combattuto
fino alla
fine. Finché non avesse potuto baciare le labbra di Senshiro
senza sentire il
suo sapore mescolarsi a quello del rimorso.
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Atto
secondo: Promesse
Quando
erano bambini Shusei credeva che Hotsuma
fosse una di quelle persone per cui la vista del sangue altrui
comportava un
immediato malessere. Le rare volte in cui gli capitava di ferirsi,
infatti, lui
distoglieva sempre lo sguardo mettendo su un’espressione
imbronciata che durava
fino a che, dopo aver rimuginato in silenzio per qualche minuto, gli
poggiava
la fronte sulla spalla lasciandosi abbracciare. Solo pochi anni dopo la
vera
ragione di quel malessere si era fatta chiara, in un pomeriggio di
quelli che
spegnevano ogni voglia di vivere.
Il
notturno di Chopin scorreva limpido tra i tasti bianchi e neri dello
strumento
e Shusei non si era neppure accorto che il margine dello spartito gli
aveva
ferito la mano – tanto era assorto nella melodia e nel calore
che il peso del
compagno spandeva sulla sua gamba – finché una
goccia di sangue aveva sporcato
il pianoforte. L’interruzione improvvisa della musica aveva
fatto scattare
Hotsuma sull’attenti in un istante, la console abbandonata a
terra, e Shusei
aveva appena fatto in tempo a sussurrare un “non è
niente” che lo sguardo del
compagno si era fissato sulla piccola ferita, le pupille dilatate e il
respiro
mozzato. Lo aveva richiamato piano una, due volte, ma era ovvio che la
sua
mente stesse già galoppando su sentieri ben lontani dalla
realtà. Sulle guance
scorrevano lacrime impietose che gli stringevano lo stomaco in una
morsa di
impotenza. Shusei sapeva benissimo dove fosse e avrebbe pagato con la
sua
stessa vita pur di tenercelo lontano.
Quando
Hotsuma era tornato in sé gli aveva afferrato la mano e
aveva poggiato un lieve
bacio sulla ferita per poi puntargli addosso uno sguardo che vomitava
sofferenza.
-Il
tuo sangue ha sempre lo stesso colore.
La
voce era un sussurro appena udibile ma Shusei aveva socchiuso gli
occhi,
capendo immediatamente che i ricordi delle vite precedenti si erano
appena
risvegliati del tutto.
Quella
mattina, come d’altronde accadeva spesso
negli ultimi tempi, Hotsuma si era risvegliato nel letto di Shusei,
stretto
alla sua vita in un modo tanto possessivo da far sembrare tutto il
resto del
mondo privo di importanza a confronto con il fianco magro che gli
premeva sullo
stomaco. In risposta al suo sbadiglio gli occhi castano-verdi del suo
partner
si erano piegati dolcemente sotto la linea morbida delle ciglia e ogni
cosa era
parsa perfetta, ogni pericolo lontano. Capitava raramente che entrambi
si
svegliassero presto per cui avevano deciso di uscire a fare una
passeggiata
prima di andare a scuola. La dimora Crepuscolo era deserta e
silenziosa, fatta
eccezione per Kuroto intento ad allenarsi nel cortile; Shusei gli aveva
rivolto
un breve sorriso – uno di quelli che nascondevano
più parole di quante si
pensasse – prima di essere richiamato bruscamente dal suo
compagno che
camminava avanti a lui con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni
e lo
sguardo fermo di fronte a sé. Kuroto li aveva osservati per
qualche minuto
finché lo spazio tra le loro spalle si era fatto troppo
stretto da sopportare,
costringendolo a riprendere il suo allenamento.
L’idea di passare attraverso il parco era stata di
Hotsuma e di certo se ne sarebbe pentito se per il senso di colpa ci
fosse
stato il tempo di manifestarsi. L’attacco era stato
così violento e improvviso
che Shusei era a malapena riuscito ad erigere una barriera per
contenere i
danni prima di venire scaraventato contro il corpo di Hotsuma
– che lo aveva
prontamente stretto e sorretto – e percepire il denso calore
del sangue colare
lungo il braccio destro. Era servito uno sguardo per contare il numero
dei nemici
e una frazione di secondo prima di sentire la voce profonda del suo
compagno
imprecare a denti stretti a pochi centimetri dal suo orecchio, le
braccia
ancora fermamente serrate attorno alla sua vita.
-
Sono troppi!
Ammettere
che Hostuma aveva ragione significava
permettere a quel lieve senso di angoscia di farsi spazio tra le
viscere ma
sapeva benissimo che quattro Duras, seppur di basso rango, potevano
rappresentare un problema persino per loro e i loro poteri. Shusei
aveva
avvertito le dita del compagno tastare con angoscia la calda
viscosità che
impregnava la sua maglia e l’improvviso timore che potesse
farsi distrarre dai
ricordi lo aveva attanagliato. Afferrargli la mano era stato un battito
di
ciglia.
-
Respira, Hotsuma.
L’ordine
aveva sortito l’effetto desiderato e le
braccia di Hotsuma che lo aiutavano a risollevarsi da terra erano
l’ultima cosa
che aveva percepito prima di gettarsi entrambi nel combattimento.
Come
potevano due bambini convivere col ricordo di ogni ferita del proprio
partner
impresso a inchiostro indelebile nella mente? Shusei se lo era chiesto
la prima
volta in cui una delle battaglie delle vite passate si era delineata
nei suoi
pensieri, tuttavia non avrebbe mai pensato che vedere Hotsuma spaccarsi
davanti
ai suoi occhi – per colpa degli stessi ricordi –
sarebbe stato ancora più
doloroso. Ogni ferita, lieve o profonda, che aveva deturpato il corpo
di Shusei
era vivida nella mente dello zweilt come fosse stata appena inflitta e
la
viscosità scura del suo sangue gli contraeva lo stomaco in
conati che facevano
male quanto una coltellata.
Per
Shusei il gesto era stato così spontaneo che non avrebbe mai
pensato si sarebbe
trasformato in una promessa ma le lacrime che rigavano il volto del
compagno
portavano impresse cicatrici tanto palesi che non era riuscito a
trattenersi,
come suo solito, dietro la sua incrollabile razionalità.
Aveva afferrato la
mano di Hotsuma e vi aveva fatto scorrere il foglio dello spartito
procurandogli un piccolo taglio sul palmo, non troppo profondo ma
abbastanza da
sanguinare. Lui lo aveva guardato incuriosito e totalmente fiducioso da
sotto i
ciuffi dorati e quando Shusei aveva avvicinato il proprio dito al
taglio,
permettendo al loro sangue di mescolarsi, qualcosa di caldo si era
acceso nello
stomaco del bambino, bloccando lo scorrere delle lacrime.
-
Vedi? – aveva aggiunto Shusei – Insieme hanno un
colore più bello.
A
quell’affermazione Hotsuma gli aveva stretto la mano,
sorridendo e giurando al
destino che dal quel momento in poi avrebbero sanguinato solamente
assieme,
solamente l’uno per l’altro. Shusei aveva letto
tutto nel fondo di quegli occhi
che tanto amava e lo aveva abbracciato, suggellando nel silenzio quella
loro
promessa.
----
Atto
terzo: Requiem.
Tsukumo
stava dormendo placidamente abbracciato a
sua sorella5 quando la voce di Hotsuma si era
inserita
prepotentemente nei suoi sogni, facendolo scattare in piedi col fiato
spezzato.
A Tohko era bastata solo un’occhiata al velo di sudore che
bagnava la fronte del
fratello per comprendere la gravità della situazione e la
gola le si era
stretta in una morsa.
-
Tsukumo… chi?
Aveva
chiesto in un sussurro, ma prima che lui
potesse risponderle Kuroto era entrato trafelato nella loro stanza, la
voce
rotta innaturalmente dalla preoccupazione non appena gli occhi sgranati
del
ragazzo gli avevano confermato il presentimento.
-
Shu-kun e Hotsuma-kun non sono rientrati.
In
pochi attimi i quattro zweilt si erano
precipitati nel salotto e avevano informato Luka della situazione,
pregandolo
di svegliare Yuki e mandarglielo al più presto, per poi
mettersi in movimento.
L’aria di Novembre era fredda e tagliente sui loro volti ma
nessuno accennava a
fermarsi, correndo imperterriti sotto la guida di Tsukumo il cui fiato
ancora
tremava al ricordo del tono disperato con cui la voce di Hotsuma aveva
scosso
le sue orecchie.
La
gola di Shusei vibrava nel buio a ogni sospiro, bianca e fragile e
totalmente scoperta
alla sua mercé. Avrebbe potuto tagliarla, reciderne la base
come un fiore,
sfilacciare quella pelle morbida senza alcuno sforzo, bruciarla sotto
l’irruenza del fuoco che gli divampava in ogni cellula
stretta tra le sue dita
e contro il suo bacino. Eppure il modo fiducioso in cui
l’esponeva, gettando la
testa all’indietro al solo tocco delle sue labbra, era la
cosa più oscenamente
elegante che avesse mai visto e non se ne sarebbe mai saziato.
Quando
gli zweilt erano giunti finalmente sul campo
di battaglia la gravità della situazione si era
immediatamente fatta chiara ai
loro occhi. Hotsuma e Shusei erano ancora in piedi ai lati opposti del
sentiero, intenti a combattere stoicamente contro due Duras a testa
nonostante
l’evidente tremore che sfibrava i loro muscoli. Kuroto aveva
riconosciuto in un
lampo il velo pallido della morte sul volto esangue dei due e si era
gettato
con gli altri in mezzo alla battaglia, ignorando il profilo di Shusei
che si
sfumava ai suoi occhi nella sagoma sottile di Oboro.
Ai quattro zweilt ancora in forze erano bastati
pochi colpi per abbattere i nemici ma il silenzio gelido che si era
innalzato
dopo la vittoria aveva soffocato ogni esaltazione. Ognuno di loro
avrebbe
potuto trovarsi in quella situazione, lo comprendevano benissimo e
nessuno
meglio di Senshiro i cui occhi scorrevano lentamente dalla schiena
rigida alle
mani tremanti di Kuroto, mentre gli si avvicinava.
Non appena l’ultimo Duras era morto i due compagni
si erano accasciati con un unico movimento fluido e le ginocchia di
Hotsuma
avevano colpito il suolo in un tonfo sordo il cui eco aveva gridato
l’angoscia
che gli si era intrappolata nello sterno.
Tohko era subito scattata in avanti per prestar
loro soccorso ma Tsukumo l’aveva fermata, tirandosela al
petto e scuotendo mestamente
la testa.
-
Yuki sta arrivando.
Le
aveva sussurrato e lei si era fatta piccola e
insicura nel suo abbraccio, soffocando le lacrime sulla sua maglia.
Shusei
era l’acqua fresca che lo lambiva in continuazione e placava
ogni sua
inquietudine. Nulla avrebbe potuto affascinarlo più della
sua anima, nulla
avrebbe potuto completarlo più del suo corpo, nulla sarebbe
mai riuscito a
staccare la bocca di Hotusma dal pulsare lento della sua giugulare.
Né la
morte, né quel sangue che gli scorreva in corpo portandosi
dietro la prova
della loro vulnerabilità.
-
Io non ti sostituirò mai, Shusei.
----
Epilogo:
Sangue.
Il
terreno umido si sbriciolava tra le sue dita
mentre vi strisciava sopra, lasciandogli sulle braccia una brivido
freddo che
aveva il retrogusto della paura. Percepiva la ferita
all’addome allargarsi e
sputare sangue, pulsando dolorosamente a ogni centimetro guadagnato
verso il
corpo immobile di Shusei ma Hotsuma non se ne curava. Gli occhi fissati
su di
lui con una determinazione straziante, il cuore che annaspava
nell’angoscia
pregando di farlo arrivare in tempo. Lo avevano promesso. Avrebbe
mantenuto la
parola anche se avesse significato dissanguarsi su quell’erba
nello sforzo.
Con un rantolo spezzato il biondo zweilt aveva
raggiunto il compagno, mettendosi seduto e sollevandolo tra le braccia.
In
risposta Senshiro aveva sentito le dita di Kuroto serrarsi
spasmodicamente
attorno al proprio polso e l’ondata di dolore e rabbia che
quel singolo gesto
gli aveva trasmesso lo aveva fatto rabbrividire. Proveniva da un
passato in cui
non gli era mai stato permesso di entrare e si portava dietro le stesse
spine che
soffocavano Kuroto. Senshiro era rimasto immobile mentre si avvolgevano
anche
attorno alla sua gola, stringendo con una forza che aveva distrutto
quell’ultimo muro rimasto a separarli, e aveva giurato che
non lo avrebbe mai
più permesso. Per lui, per loro, per quel futuro che si
meritavano nonostante
tutto.
Sei
il motivo per cui sto combattendo, sei la mia ragione di vita.*
Hotsuma
aveva appoggiato la testa sulla sua fronte
pallida, ispirando l’odore di casa che si sprigionava dai
suoi capelli.
E
finché avrai bisogno di me continuerò a vivere.*
-
Avrò sempre bisogno di te.
La
sua voce era debole e crepitante come un fuoco
ormai spento ma l’anima di Shusei aveva reagito allo stimolo
immediatamente,
dischiudendo gli occhi e respirandogli il suo fiato caldo sul volto.
-
Hotsuma.
Con
un lieve velo di panico nello sguardo aveva
percorso il corpo del compagno rilassandosi immediatamente alla vista
della
gora scarlatta che circondava la profonda ferita sull’addome.
Insieme. L’uno
per l’altro. Avevano mantenuto la promessa.
La camicia strappata sul petto di Shusei rivelava
uno squarcio che si apriva e richiudeva innaturalmente al ritmo
dei suoi deboli respiri. Hotsuma si era premuto la mano sulla propria
ferita e
poi l’aveva portata all’altezza del suo sterno,
sfiorando con un sorriso i
bordi violacei dell’ustione che si tingevano per la prima
volta di scarlatto,
con quella meravigliosa sfumatura che solo il loro sangue mescolato
riusciva ad
avere.
-
Yuki sta arrivando.
Glielo
aveva sussurrato a un soffio dalle labbra e
Shusei gli aveva stretto la mano, sciogliendosi in un sorriso talmente
raro da
vedere sul suo volto che Hotsuma si era sentito improvvisamente
svuotato di
ogni paura. Non aveva importanza se Yuki fosse arrivato in tempo per
salvarli.
Non gli importava morire, non gli importava vivere. Ogni cosa
acquistava i
contorni di casa con lui, persino l’eterno riposo in un mare
di nulla diventava
sopportabile se significava affrontarlo con le loro anime cucite
assieme e
sapeva, pur non scambiandosi alcuna parola, che per il compagno valeva
la
stessa cosa. Per lui il suo cuore aveva sempre battuto, con lui si
sarebbe
fermato.
Finché
starai con me, niente ha importanza.*
La
linea del collo di Shusei si era piegata di
nuovo all’indietro, donandogli senza riserve gli ultimi
battiti frenetici della
sua giugulare e Hotsuma l’aveva baciata, conscio che niente
in quella vita o
nelle successive – se ci fossero state – sarebbe
mai riuscito a staccargli le
labbra dal profilo pallido della sua gola.
NOTE:
1
In
una storia bonus del
manga a Hotsuma viene chiesto di rivelare una cosa che solo lui sa di
Shusei;
dopo averci pensato un po’ esordisce dicendo che
“all’interno della sua coscia
ci sono due grandi nei”.
2
Sempre
in una storia
bonus (Odagiri-sensei si diverte a parlarci di questi due) viene detto
che
Hotsuma e Shusei in una vita precedente erano una coppia sposata e
hanno
cercato anche di avere dei bambini. Questa affermazione, con quella
precedente,
mi hanno convinta al definitivamente a pensare che tra loro ci sia un
rapporto
molto più fisico di quanto non si veda (o legga).
3
Oboro
è il nome dell’ex
partner di Kuroto ucciso da Cadenza, nell’anime il nome viene
solo mostrato
scritto sull’anello che lo zweilt porta al dito, nel manga
invece viene detto
esplicitamente.
4
Questa
scena è
effettivamente presente nel manga ed è bellissima, tra
parentesi.
5
Nel
manga si accenna al
fatto che Tohko e Tsukumo sono soliti dormire assieme ogni tanto quando
Kuroto,
recatosi in camera di Tsukumo per svegliarlo, lo trova appunto
abbracciato alla
sorella.