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Autore: anqis    18/04/2014    2 recensioni
Do you remember, we were sitting there, by the water?
Ti ricordi? È stata la prima volta che mi hai abbracciato. Avevi sbadigliato, ti eri stiracchiato e la tua mano era finita casualmente sulla mia spalla.
«Seriamente?»
Avevi alzato un angolo della bocca con gli occhi azzurri rivolti al cielo, le stelle che ci osservavano e ridevano di te che ci provavi e delle mie guance rosse, nascoste dal buio della notte. «Seriamente» avevi risposto, stringendo la presa e soffocando ogni mia protesta nella stoffa del tuo maglione di lana, quello marrone che avevo cercato più volte – e ci provo ancora – di buttare a tua insaputa.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A Odara,
perche' potra' anche avere sempre da ridire su quello che scrivo,
ma e' la prima che quando "ma se scrivessi qualcosa su di te e..?"
comincia a plottare e fangirlare. 

 

Do you remember, we were sitting there, by the water?
You put me your arm around me for the first time.
You made me a rebel of a careless man’s careful daughter
You are the best thing that’s ever been mine.



Do you remember, we were sitting there, by the water?

Ti ricordi? È stata la prima volta che mi hai abbracciato. Avevi sbadigliato, ti eri stiracchiato e la tua mano era finita casualmente sulla mia spalla.
«Seriamente?»
Avevi alzato un angolo della bocca con gli occhi azzurri rivolti al cielo, le stelle che ci osservavano e ridevano di te che ci provavi e delle mie guance rosse, nascoste dal buio della notte. «Seriamente» avevi risposto, stringendo la presa e soffocando ogni mia protesta nella stoffa del tuo maglione di lana, quello marrone che avevo cercato più volte – e ci provo ancora – di buttare a tua insaputa.

Ti ricordi? Di quando ci siamo conosciuti? Andavi al college e lavoravi part-time in quella caffetteria in centro, il grembiule rosso sempre sporco di schiuma e zucchero a velo, perché tu con le tazze e i pasticcini proprio non ci sapevi fare. Ancora ora la colazione, la preparo io che come cameriera non ho mai lavorato, perché fai casino la mattina e il caffè lo bruci sempre. Le brioche ci sono sempre però – albicocca e cioccolato –, calde.
Io studiavo o almeno fingevo, il copione di un nuovo spettacolo nascosto sotto il libro di chimica, tu che mi sorridevi sempre, complice del mio piccolo segreto. Ad ogni «Un cappuccino, grazie», «Tanto cacao» finivi per me. Ed io annuivo appena, aspettavo che ti girassi e storcevo il naso. Non eri divertente e non lo sei neanche adesso che mi fai ridere con le lacrime agli occhi, perché lo sai, che non ammetterò mai che il motivo principale di ogni mio sorriso sei quasi sempre tu e la brioche al cioccolato.

Ti ricordi di quando mi hai invitata ad uscire? Di come ti ho detto no e tu, offeso, non mi hai più servito per due settimane? La brioche non era più calda e sulla schiuma non c’era più il cacao a forma di cuore, l’unica decorazione che ti veniva bene.
«Moccioso» avevo mormorato la terza volta che mi eri passato accanto, gli occhi fissi sulla tua nuca. Ti eri girato, le mani strette al taccuino come una femminuccia e un sopracciglio inarcato.
«Come?»
«Un cappuccino. Con tanto cacao» e senza battere ciglio mi ero goduta la tua maschera di indifferenza frantumarsi in rabbia. Poi avevo spostato lo sguardo sulla finestra che dava sulla strada e scrollando appena le spalle, avevo aggiunto: «Sabato sera, qui davanti, alle otto. Sii puntuale.»
«Come?»
«Un cappuccino, grazie.»
«Con tanto cacao» avevi finito per me, un sorriso che partiva da un orecchio all’altro e gli occhi più chiari del cielo di Dublino in primavera.
Sabato mi portasti al Luna Park e fu solo grazie alla stecca di zucchero a velo che mi comprasti, che rimasi con te, incastrata in quella fila di venti persone e tu che «Mi sembrava carina come idea. Non pensavo ci fosse così tanta gente sabato sera» continuavi a giustificarti, nonostante non vi fosse nulla nel tuo viso che sembrasse dispiacere.
Indossavi il maglione marrone, primo motivo che mi fece pentire di aver accettato l'invito, la giacca di jeans che ora uso io e che profuma così tanto di te che il mio di odore quasi non me lo ricordo. I capelli caramello disordinati dal vento e gli occhi azzurri resi più scuri dalla notte, le ciglia che splendevano sotto la luce del lampioni. Ti eri fatto bello, per me, e lo eri così tanto che mi sentii a disagio nelle mie vans rotte e il maglione sfilacciato.
«Sei bellissima stasera» avevi buttato tutto ad un tratto, testimone la commessa cinquantenne che aveva commentato con un “che caro” e più ammiccamenti nella mia direzione.
«Imbarazzante. Ricordami di non accettare più appuntamenti da un certo Louis Tomlinson» avevo detto strattonandoti via, il naso nascosto nella sciarpa e forse anche un rossore che ancora oggi fingo raffreddore.
Tu ovviamente scoppiasti a ridere, la testa buttata all’indietro e la risata fragorosa ed appena acuta che – dannazione – non passava di certo inosservata. Alcuni bambini si unirono a te senza motivo e fui costretta a mordermi le labbra e sporcarmi di rossetto per non sorridere.
Girammo senza sosta da una giostra all’altra, io che stringevo la lana del maglione nel tentativo di nascondere ciò che non doveva essere visto, tu che invece coglievi ogni occasione per farmi tirare su le braccia. Ti accusai di molestia sessuale, allora per scusarti mi trascinasti ad una di quelle bancarelle a bersaglio promettendomi il pupazzo più grande – un’orribile carota arancione. Ti osservai con le braccia incrociate al pretto sbagliare ogni lancio e quasi uccidere il proprietario con una freccetta. Mi piace ricordarti quanti soldi hai perso in quel gioco e i tre tiri che ho impiegato io per beccare il bersaglio e vincere quell’orribile pupazzo, che alla fine ti sei portato a casa tu.
«Fortuna del principiante» ti giustifichi o più divertente, «Era il vento».
Io ti do ragione, tu te la prendi e mi abbracci soffocandomi il viso nel maglione, perché sei masochista e ti piace venire preso a pugni. Idiota.
Salimmo sulla ruota panoramica e mi bastò vederti confabulare con il ragazzo che dirigeva l’attrazione – che al posto dei capelli, aveva un cespuglio di ricci – per capire che speravi in un bel finale.
«Si è fermata la ruota» balbettai fingendo paura quando giungemmo l’apice. «Louis, soffro di vertigini e claustrofobia» mentii facendoti sgranare gli occhi.
«Non lo sapevo, scusami. Non doveva finire così, dannazione!» gridasti andando nel panico tu. Ti guardai sporgerti dal finestrino e gridare al ragazzo, Harry, di azionare di nuovo la ruota. E fino a quando non toccammo terra, non smettesti un attimo di scusarti grattandoti la nuca.
Non dissi nulla, poi sorrisi e «Sono nata per diventare attrice» dissi uscendo a lasciandoti seduto con la bocca spalancata.
Fui molto stronza, me ne resi conto solo dopo tutto il tragitto verso casa, venti minuti di puro silenzio. E zittirti era davvero difficile. Fu forse per i sensi di colpa – «È stato il mio fascino» dici tu – che alla fine ti baciai, in metropolitana, senza darti il tempo di ricambiare perché scesi alla mia fermata. Il gusto della frittata dolce condivisa sulle mie labbra.

Ti ricordi di come ti vendicasti? Del giorno dello spettacolo, del mio debutto, della mia ansia? Io mi ricordo delle tue braccia che mi circondarono in camerino, del cappuccino ormai freddo dimenticato sul tavolino, e di come mi calmasti. Mi ricordo delle tue labbra che canticchiavano al mio orecchio, sfiorandolo appena, il sorriso divertito e insieme serio che si rifletteva nello specchio di fronte a noi. Di come scesero lungo la mia guancia colorandola di rosso, di come ti soffermasti sul mio collo, accarezzasti il mio mento e poi mi baciasti, poggiando appena la bocca sulla mia. Il sapore delle tue labbra ancora più buono del ricordo di quel sabato.
Feci per rispondere, ma tu mi fermasti per i polsi. «Devi entrare in scena. Non mi sembra proprio il momento giusto, miele
Annuii dandoti corda e proprio quando tu lasciasti i miei polsi, ti rifilai una bella manata aperta sulla guancia. «Grazie.»

Ti ricordi di quando ci siamo accorti che la tua casa era diventata ormai la nostra, che sul letto c’erano due cuscini e nella tazza di plastica in bagno uno spazzolino in più? Di come è tutto diventato più serio, delle tasse da pagare, del frigorifero troppe volte vuoto e del mio conto in banca chiuso, perché i miei avevano scoperto che gli esami non li avevo portati a termine e che non avevo intenzione di farlo? Fu il periodo peggiore, io che non trovavo lavoro, tu che facevi i turni doppi e non avevi più tempo per i libri, per i tuoi studi, i tuoi sogni. Ci soffrivo io perché tu di tempo non ne avevi, mi arrabbiavo ed urlavo perché tu di parole non ne dicevi. Allora decisi di andarmene, per te, una notte alle due e trenta. Ma tu mi seguisti in strada e mi fermasti abbracciandomi da dietro.
Scossi la testa, perché altro non potevo fare, la voce soffocata dai singhiozzi e dalle imprecazione. Mi accarezzasti la guancia, il naso affondato nella lana del tuo maglione, come fosse casa. «Mi ricordo di cosa provavo seduti vicino all’acqua, quando ti strinsi a me per la prima volta. Mi sono sentito come a casa e per la prima volta Doncaster, mia madre, le mie sorelline, non mi erano mai parse così vicine.»
«Non ti lascerò mai da sola. Non voglio fare lo stesso errore dei tuoi genitori.»» mi sussurrasti crollando a terra, trascinando me insieme a te.



«Ti ricordi di come ti ho accettato di sposarti quella domenica mattina, quando mi portasti la colazione a letto per farti perdonare del ritardo della notte precedente?»
Alzi gli occhi dalla tazza di cappuccino che stringi tra le mani, un pezzo di brioche incastrato tra le labbra e gli occhi azzurri, più verdi questa mattina, spalancati dalla sorpresa. Le lenzuola sporche di briciole e marmellata all’albicocca. «Quando, come? Aspetta, io non ti ho mai-»
Ti sorrido da dietro la tazza. Allora tu capisci, lasci cadere il pezzo di brioche nella tazza e – «No, che siamo a letto!» - mi abbracci, soffocando le mie proteste nel maglione marrone che, forse, non butterò.


 

One shot scritta nell'Ottobre del 2013, quindi potrete perdonarmi la trama banale, la canzone banale (versione Glee addirittura - Santana, sei gnocca!),lo stile terribile e.. la pubblico perche' quella stronza a cui ho dedicato la one shot e'in Irlanda per le vacanze e mi manca, quindi devo in qualche modo colmare il vuoto causato dall'astinenza dei suoi messaggi idioti.
Spero comunque che abbiate apprezzato questa doccia di fiori fluff (finalmente qualcosa di leggero eh!)se volete lasciarmi un parere, sara' piu' che apprezzato!
Alla prossima,

Anqi.



 

 

 
   
 
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