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Autore: Ixia    18/04/2014    3 recensioni
[...]
Salutò presto Jenna quella sera. Un malditesta improvviso, scuse spezzate a mezza voce.
Aspettò con i brividi lungo la schiena nel retro del teatro, minuti che parvero secoli, contare le crepe nel muro non sortì alcun effetto.
Poi finalmente la porta del camerino si aprì, e sentì quella voce ancora una volta.
Non si chiese nemmeno perché lo stesse facendo.
Si staccò dal muro, e gli andò incontro. [...]

Klaine, obviously
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ok, due settimane fa non sapevo nemmeno chi fossero… Ed ora eccomi qui, a pubblicare il frutto della mia mancanza di studio nonostante il mio esame imminente. La storia è ambientata in un prossimo futuro in cui Kurt è diventato pressoché capo del mondo, grande artista, attore, cantante che però ha da tempo chiuso nel cassetto molti ricordi passati, tra cui Blaine. Vive a New York dove alterna fidanzati intercambiabili ad una vita frenetica, forse a discapito del suo proverbiale entusiasmo. Ok, se non mi fermo avrete ben poco da leggere.
BTW, ho scritto questa storia sotto la frusta di klio, che sa rivelarsi una piattola innata, e sempre sotto di essa la pubblico, anche se con un po’ troppe riserve… A voi il giudizio, vedremo chi delle due avrà ragione. Ultima osservazione, chiedo venia a tutti coloro che troveranno in questo testo alcune incongruenze musicali… Scusatemi gente, ma non ho mai visto il Re Leone dal vivo, nonostante io lo sogni da anni, quindi se mi sono inventata qualcosa di inverosimile abbiate pietà di me e ricordate che i pomodori in faccia fanno male. Detto questo, vi lascio allo sgorbietto, sottolineando che “Somewhere only we know (Keane)” è una delle più belle canzoni che Blaine abbia mai dedicato a Kurt.
Per il resto, fatemi sapere cosa ne pensate, anche solo una vostra impressione. Mi farà felice. Kisses, Ixia.

 
 
 
 

The Lion’s Roar

 
 
 

I walked across an empty land
I knew the pathway like the back of my hand
I felt the earth beneath my feet
Sat by the river and it made me complete

 
 
 
 

Il telefono volò malamente giù dal comodino, schiantandosi con un tonfo secco sul parquet brunito dell’appartamento. Bene, pensò il proprietario -maldestro quanto infuriato-, quella sera alla lista di vittime di guerra poteva aggiungersi un onoratissimo numero dieci. Se un giorno avesse deciso di stilare un memoriale ai martiri della sua relazione con Maurice, i suoi telefoni sicuramente avrebbero dovuto occupare un posto d’onore, con poltrone di velluto e open bar no limits. Soprattutto il numero dieci, povera carcassa che in quel momento vibrava solitaria in un angolino polveroso, miseramente abbandonata, disturbando con le sue fusa tremule l’ennesimo drink della serata. Scusami tanto n.10, ma adesso non è il momento adatto.
Per dirla tutta, quella non era stata proprio la “giornata adatta”. Già dal mattino, dall’attimo in cui l’astro nascente dello show business Kurt Hummel aveva trovato delle formiche nella sua sacrosanta confezione di caffè, ogni passo delle sue 24 ore lo avevano trascinato verso un baratro incontrastabile. Formiche, nel suo sancta sanctorum! Lo avrebbe dovuto capire da subito che quella sarebbe stata la Sovrana delle giornate storte, ma no, lui aveva deciso di essere ingenuamente ottimista e aperto verso il prossimo, e non aveva colto l’oscuro presagio che quei disgustosi esserini brulicanti avevano tentato di trasmettergli con il loro zampettio da brividi. Resta a casa, Kurt! Non uscire! Hai ancora la serie completa di Desperate Housewives da finire, potrebbe essere la giornata giusta!
E questo si sapeva, la natura aveva sempre portato consiglio alle grandi anime artistiche: Wordsworth, Coleridge e Bob Dylan, loro erano dei simulacri viventi di come il mondo naturale potesse ispirare gli uomini dalle grandi potenzialità creative. Eppure lui non ci aveva creduto, Kurt non aveva prestato ascolto alla natura… Ed essa, matrigna, si era vendicata! Giustamente. Il giovane ventiseienne, ormai quasi sull’orlo di uno spaventoso ventisettesimo compleanno, si maledisse per questo suo peccato di orgoglio. La carcassa del suo telefono mugolò con dolore ancora per un paio di secondi prima di tacere, segno che Maurice aveva finalmente gettato la spugna. Sospirò. Alla buon’ora.
Ricapitolando, il giovane cantante nell’ultimo ciclo solare aveva dovuto sopportare fidanzati isterici, produttori esigenti, fotografi dalle idee forse un po’ troppo perverse e soprattutto uno stuolo di stilistoidi in erba da lui più delicatamente rinominati piattole in taffetà. Ognuno dei precedenti elencati aveva fatto del suo meglio per rendergli la giornata un vero e proprio inferno, subissandolo di domande, messaggi, chiamate e anche di agguati premeditati all’entrata della sua palazzina, soprattutto quella dodicenne isterica del suo ragazzo.
Kurt si alzò in piedi, deciso ad allontanare la frustrazione che cominciava a ristagnare in lui, e si passò una mano sugli occhi stanchi. Decise di gettarsi sul letto, ancora perfettamente ingabbiato da strati di jeans, pelle e lino, chiedendo alla sua emicrania il tempo necessario per richiamare il sonno, unico suo vero e fedele compagno.
Era esausto.
Sul suo comodino prendevano polvere, già da qualche settimana, alcune costruzioni di spartiti dall’aria decisamente traballante, che attendevano solo che il ragazzo decidesse di leggerle. Sul pavimento, quasi per accompagnare le torri futuristiche di musica, decine di riviste di haute couture giacevano sparse alla rinfusa come su di un campo di battaglia.
Stava lavorando troppo.
Troppi meeting, troppe conferenze, troppe interviste a cui lui non dedicava più un minimo di attenzione. Aveva così poco tempo per il canto, così poco tempo per la musica che a volte il suo agente, Mr. Henle, aveva rischiato di essere defenestrato dalla bellezza del dodicesimo piano di una palazzina nel Queens. Lo avevano salvato solo le scarsissime doti fisiche del giovane Hummel, che dopo tutti quegli anni aveva conservato la sua totale incompetenza in qualsiasi pratica sportiva, proprio come al liceo.
Al pensiero di se stesso coinvolto in una lotta corpo a corpo con il suo ben piazzato agente, Kurt si lasciò andare al primo risolino della giornata. Abbandonato mollemente sul letto, i capelli scomposti sul viso e sugli occhi, il ragazzo si permise il lusso di tirare un attimo il fiato. Era solo quella sera, forse per la prima volta in un mese. Maurice, la sua fiamma degli ultimi due mesi, un biondino aspirante modello conosciuto da Armani, lo aveva costretto nelle ultime settimane ad una vera e propria carovana di uscite, eventi, feste, aperitivi che avevano fiaccato persino la sua eterna anima da mondano.
Basta.
Basta.
Aveva bisogno di respirare.
Mi stai trascurando, Kurt. Tu non mi desideri più.
Quella era stata la litania delle ultime due ore, passate ad imprecare contro un apparecchio telefonico. Kurt tu sei freddo, Kurt sei distante, Kurt tu non mi vuoi… Un mucchio di stupidaggini. O forse no? Non che non lo desiderasse più, Maurice era di gran lunga il più bel ragazzo con cui Hummel fosse uscito negli ultimi tre anni, ma al di fuori della pura attrazione fisica, del sesso, il biondino non era diverso dai tanti che erano venuti prima di lui. Era vuoto. Completamento vuoto. Non c’era nulla di interessante in lui, nulla che in quei mesi fosse riuscito a risvegliare la sua curiosità sopita.
Maurice era noioso. Come tutti gli altri.
Infastidito ancora una volta da quei pensieri scomodi, Kurt venne distratto da un movimento improvviso sullo schermo del suo laptop, lasciato precedentemente aperto sulla cassettiera. L’irritante icona pulsante lo avvertiva che Jenna, una sua cara amica del TimeMagazine, aveva appena deciso di gettargli un salvagente nel bel mezzo di una brutta tempesta.
“Splendore, ancora libero stasera? Ho una proposta a cui non potrai dire di no. Ps, vestiti sexy, è un’uscita tra ragazze!”
Lui sorrise.
Ovviamente quando quella sera uscì dall’appartamento, Kurt lasciò il telefono a mugolare silenziosamente dietro lo schienale del divano.
 
 
 
 

I came across a fallen tree
I felt the branches of it looking at me
Is this the place we used to love?
Is this the place that I've been dreaming of?

 
 

 
 
 
-Jenna, sei seria?- chiese per la centesima volta il ragazzo di porcellana, rivolgendo uno sguardo tutt’altro che convinto al cartellone pubblicitario di uno dei tanti teatri di Broadway.
Lei, brunetta dal viso accattivante con una dipendenza patologica dal mascara blu elettrico, gli rivolse un sorriso malizioso. –Certo Splendore.-
Lui arricciò il naso, lasciandosi condurre a braccetto verso la fila d’entrata del teatro –Tesoro, lo sai che adoro i musical, ma proprio questo? Il Re Leone?! Lo sai come lo definisco…-
-…si Splendore, il “più sopravvalutato dei drammi musicali, osannato dalle grandi folle, vittima del degrado dei mass media…” e poi boh, qualcos’altro sull’incompetenza degli attori, o sui bambini sfruttati in Africa. Sinceramente non ricordo.-
-…è il blockbuster di Broadway, Jenna! È come la kriptonite di ogni attore di musical che si rispetti!- mise il broncio, intransigente.
-Oh ma dai, non farla così melodrammatica. Sarai anche una Diva di Broadway, ma tutti hanno pianto per Simba almeno una volta. E comunque mi hanno detto che quest’anno stia andando davvero forte.-
Kurt mantenne la sua espressione da bambino piccato e mosse alcuni passi avanti nella fila. Intorno a lui vedeva una stragrande maggioranza di adolescenti, di famiglie con bambini e di coppiette straniere dall’aria esaltata. Insomma, non un pubblico d’alta critica. Sbuffò ancora una volta, stringendosi nel suo trench e lanciando occhiatacce al prossimo indiscriminatamente.
-Jenna, l’anno scorso questo show ha rischiato di chiudere per le critiche negative.- rincarò
-Appunto! Se non ha chiuso, significa che ci sono stati dei grandi cambiamenti.- Sentendo l’ennesimo sospiro amletico provenire dal suo amico, la giovane giornalista gli rivolse un’espressione scocciata –Senti Kurt, nessuno ti obbliga. Il capo stamattina mi ha affidato una recensione su questo show, visto che sia il Globe che lo Spectator ne hanno parlato, quindi per me è strettamente necessario vedere lo spettacolo. Se il tuo dolce musetto da Diva non riesce a sopportare un paio d’ore di sane urla tribali, allora riporta i tuoi Marc Jacobs sui cuscini del tuo divano. Altrimenti, sarai il benvenuto nella poltrona accanto alla mia e potrai costringermi a scrivere una recensione piena di cattiverie sulla banalità di questo “Fenomeno di Massa”. In più, ti comprerò un gelato quando usciremo. Triplo caramello.-
Lo sguardo limpidissimo di Hummel si alzò al cielo, scuotendo il capo in un’espressione di rassegnazione. Sulle sue labbra, però, si dipinse il più sincero dei sorrisi. Sospirò.
-Jenna cara, avrai decisamente bisogno della mia esperienza per non rovinare la tua carriera con una recensione adolescenziale sul Lion King.- il suo tono era stucchevole, con una punta di saccenza –Già ti vedo, tutta presa dagli addominali dei ballerini mentre quelli prendono tutte le note calanti! Non ti accorgeresti di nulla… Hai bisogno di me, cara. E ringraziami, perché sappi che normalmente le consulenze le faccio a pagamento.-
I biglietti furono strappati, e i due ragazzi si accomodarono nei posti riservati alla Stampa, ben lontani dalle famigliole con bambini urlanti che tanto avevano spaventato Kurt.
Jenna fu costretta ad allontanarsi una decina di minuti per salutare, tra giornalisti era d’obbligo mantenere saldi gli armistizi e le convenzioni sociali con la concorrenza, mentre Hummel rimase seduto al suo posto, incantato come se fosse la prima volta da quella foresta di velluti rossi e luci soffuse. Viveva ormai in quei posti, ma ogni volta che entrava in un teatro nuovo non poteva fare a meno di reprimere un brivido adrenalinico che lo riempiva. Un nuovo teatro, una nuova sfida. Un nuovo palcoscenico, così lontano dal linoleum scuro dell’aula magna della sua vecchia scuola. Il McKinley… Adesso guardandosi intorno, gli occhi quasi aggrediti dalle tinte calde del sipario di quel nuovo teatro, non riusciva bene a ricordarsi come fosse finito così lontano. Quanto avesse viaggiato in quegli anni.
Non più i crampi allo stomaco e i tremori incontrollabili prima che un sipario di stoffa scadente si aprisse su un pubblico astioso, o ancora peggio inesistente. Non più la voce scomparsa un attimo prima dell’attacco della band, o lo scambio di sguardi con il professore, sempre pronto per loro dietro le quinte, ad assicurare che quel pavimento di linoleum lo calcassero sul serio. Ora quel mondo per Kurt era il suo lavoro, la sua quotidianità. Ma doveva ammettere che ogni volta che visitava un nuovo teatro, che vi entrava come attore, come cantante o come semplice spettatore, un po’ della magia che da ragazzo lo aveva riempito tornava a presentarsi, sfiorandolo. Delle dita leggere… un solo brivido.
-Nostalgico stasera, eh Splendore?- mormorò Jenna quando si sedette nuovamente vicino a lui, prendendogli una mano per tenerla fra le proprie. Lui annuì.
-La prima volta che da diciassettenne sono entrato in un teatro di Broadway non sono riuscito a vedere neanche dieci minuti di rappresentazione. Sono scoppiato a piangere quattro minuti dopo l’aria iniziale, e ho passato il resto dello spettacolo in bagno ad ascoltare attraverso la porta.- storse la bocca, frustrato –Non credo ora sarei in grado di fare lo stesso.-
-Ti sei solo abituato, è normale.-
Non era normale. Era tremendo. Che la sua più grande passione, che la sua più grande emozione stesse soffocando sotto le avances della fama e della quotidianità non poteva essere etichettato come “normale”, o come “inconveniente del mestiere”. Si stava spegnendo, lo sapeva. Anni fa il linoleum sporco di granita di un liceo sperduto nell’Ohio era stato in grado di illuminarlo come mai quel teatro che adesso aveva davanti, avrebbe potuto fare.
-Sto perdendo la mia gioia, Jenna.- mormorò dopo un lungo periodo di silenzio, quando le luci si furono spente.
Lei gli strinse la mano, in silenzio. La ritroverai, Kurt. Il sipario cominciò ad aprirsi. Stanne certo.
 
 
 

Oh simple thing where have you gone?
I'm getting old and I need something to rely on

 

 
 
So tell me when you're gonna let me in
I'm getting tired and I need somewhere to begin

 





Ok, dovette ricredersi. Porcapaletta se dovette ricredersi. Misericordia se non era mai stato così ingiustamente prevenuto nei confronti di uno spettacolo. Già dalle prime note, dal primo potentissimo –e celebre- urlo che una matrona di più di centocinquanta chili di talento sparò nel bel mezzo del teatro, Kurt si rese conto di aver fatto fiasco. Dalla prima nota, sentì qualcosa muoversi dentro di lui. Pazzesco.
Era palese capire che negli ultimi cinque mesi la produzione del Lion King avesse indetto una rivoluzione. Da quanto gli aveva sussurrato Jenna in quei dieci secondi precedenti all’apertura del sipario, quasi la metà del cast era stata cambiata, per salvare per mano di un differente equipaggio l’inevitabile ammaraggio di una nave troppo vecchia. E che salvataggio che era stato… Fenomenale. Kurt non riusciva a staccare gli occhi di dosso a nessuno dei personaggi. I costumi, le luci, i ritmi lo stavano coinvolgendo forse troppo, facendo pizzicare un po’ il suo orgoglio.
I ballerini, soprattutto, erano il fiore all’occhiello della rappresentazione. Si muovevano con una scioltezza quasi inquietante, mostrando l’anima più animalesca della danza, ricalcando le andature degli animali come se non avessero passato altro tempo nella loro vita se non ad esercitarsi nella camminata di un leone, o nel salto di un’antilope.
-O mio Dio Kurt, guarda quello.- sussurrò Jenna, indicando una figura appena apparsa sul palcoscenico, un leone dipinto di nero e rosso, che si muoveva con la scioltezza di una vipera.
-Scar?- chiese, lanciando un sorrisetto malizioso alla sua amica in direzione del fisico mozzafiato del leone più odiato della savana. Lei ghignò, maliziosa –Anche io vorrei uno zio così.-
-Oh Jenna, fermati qui. Tieniti per te i tuoi pensieri incestuosi.- rise.
-Oh Splendore, fai poco il puritano…- il ballerino in questione aveva appena terminato un solo, ipnotizzando entrambi –So cosa stai pensando nella tua piccola testolina da pervertito.-
Ora fu il turno di Kurt di lasciarsi andare ad un ghigno serafico. Certo, per quel corpo non ci avrebbe pensato due volte a scaricare Maurice…
Più Scar continuava a ballare, nascondendosi tra le ombre, scivolando alle spalle degli altri personaggi che al suo contrario, avevano già cominciato a cantare, più Kurt cominciò ad avvertire una sensazione familiare. Mentre quel corpo si abbandonava a movimenti fluidi, a volte quasi fuori dalla naturale flessibilità umana, qualcosa dentro il ragazzo tentava di affiorare da qualche parte molto nascosta della sua testa. Guardare quel ballerino sembrava essere un faticoso riemergere di un pensiero, di un ricordo. Spaventato, ma anche completamente catturato dalla musica, Kurt si rese conto di avere le mani sudate. Il pensiero continuava ad affiorare e con lui, stranamente, si svegliò un’ansia sottile.
-Voglio sentirlo cantare…- sussurrò Jenna al suo orecchio, non perdendo il tono divertito e malizioso di prima –Secondo me sarà ancora più sexy!-
Certo che lo sarebbe stato, Kurt ne era sicuro… Ma chiuso questo pensiero l’ansia si fece ancora più fastidiosa, e fu costretto a sfregarsi i palmi delle mani, ormai diventate gelide.
La musica si era fatta ancora più travolgente, l’aria iniziale stava per raggiungere il suo massimo carico emotivo. Fra poco anche Scar avrebbe avuto la sua parte… Ma Kurt inconsciamente sperò di essersi sbagliato, e che ballerino non fosse nient’altro che una comparsa. Purtroppo venne brutalmente smentito, quando dopo un balzo degno di un agguato, il leone atterrò in un fascio di luce e diede vita alla sua voce.
Come aveva previsto Jenna, quello lo rese ancora più sexy. Se sexy era ancora passabile come termine riduttivo, vista l’energia che quel ruggito liberò nel teatro. Da qualche parte partì un applauso, il ballerino si rivelò come lo straordinario cantante che in verità era. Jenna spalancò gli occhi, piacevolmente colpita.
-Kurt, hai sentito?-
Kurt invece rimase immobile, paralizzato. Come una bolla di sapone, scoppiata in malo modo da un bambino.
Il suo pensiero era affiorato, silenziosamente, prima che il ballerino avesse dato vita alla sua voce.
Quel ragazzo sembrava…
Si, il pensiero era stato discreto, aveva seguito un percorso docile attraverso le diecimila barriere della sua testa, in modo da non turbarlo. 
La voce di quel ragazzo, invece, non si era fatta tanti scrupoli. Lo aveva colpito. Aveva scoppiato il suo pensiero come acqua e sapone.
Quel ragazzo sembrava…
Brutale, come la pura verità.
Un fantasma dal passato, un dormiveglia notturno.
Oh no, non sembrava… quel ragazzo era Blaine.
 
 

And if you have a minute why don't we go
Talk about it somewhere only we know?



 
 
 
Salutò presto Jenna quella sera. Un malditesta improvviso, scuse spezzate a mezza voce.
Aspettò con i brividi lungo la schiena nel retro del teatro, minuti che parvero secoli, contare le crepe nel muro non sortì alcun effetto.
Poi finalmente la porta del camerino si aprì, e sentì quella voce ancora una volta.
Non si chiese nemmeno perché lo stesse facendo.
Si staccò dal muro, e gli andò incontro.
 
 

This could be the end of everything
So why don't we go somewhere only we know?

 
 
 

~

 
 
Kurt spalancò gli occhi, risvegliandosi dal suo torpore come un colpo di cannone. Prese alcuni respiri avidi, l’aria lasciata libera di scendere senza alcuna gentilezza, poi rimase immobile ad ascoltare il cuore che gli batteva nel petto come un tamburo, squassandogli il petto ad ogni colpo. Respira Kurt. Respira. Era disteso su un letto, sulla schiena, il corpo intrappolato da un’edera di lenzuola e le braccia fredde, proprio come il petto, dove la luce dei grattacieli fuori dalla finestra disegnava inquietanti geometrie sulla sua pelle nuda. Per una manciata di secondi, non si ricordò chi fosse. Un’auto più maleducata delle altre passò strombazzando sotto alla finestra, illuminando con la luce dei suoi fari il grosso orologio a muro proprio di fronte al suo viso. Le quattro di notte. Incredibile. Ancora non riusciva a capire dove si trovasse. E soprattutto, perché.
Fu quando trovò il coraggio di voltare il capo verso il lato destro del letto, che il sasso che aveva legato intorno alla sua memoria lo trascinò senza alcuna misericordia negli avvenimenti delle ultime ore. Oh sì, stava letteralmente affogando. L’aria che aveva respirato così avidamente pochi secondi prima lo abbandonò senza troppi scrupoli in un gemito di sorpresa. Lui dormiva, profondamente.
Kurt dovette mordersi la lingua per non mettersi ad urlare.
Si era svegliato nudo, ubriaco, nel letto del suo ex-fidanzato del liceo. Blaine. Blaine Anderson. Blaine l’usignolo. Il suo Blaine.
Erano sei anni che i suoi occhi non incontravano quel viso.
E sì, poteva anche negarlo e sopprimere quel senso di annegamento che i ricordi gli stavano provocando, ma aveva fatto l’amore con lui tutta la notte, senza nemmeno scambiarci una parola.
Il viso del suo ragazzo, Maurice, gli passò davanti così veloce che nemmeno decise di porci attenzione, impegnando tutta la sua disciplina mentale ad erigere un muro contro le immagini di poche ore prima.
Blaine.
Blaine.
Vedeva il suo corpo in controluce, i capelli scuri a coprirgli buona parte del viso, la bocca ancora gonfia di baci in una linea appena accennata. Poi, si ricordò di aver pianto.
Cazzo.
Erano passati sei anni. Sei anni. Era stato tutto così facile, tutto così ben organizzato. Un giorno aveva chiuso il ragazzo dal farfallino appariscente in un cassetto, a tripla mandata, sotto pile e pile di nuove memorie. Aveva dimenticato il suo viso da bambino premuroso, aveva liberato i ricordi e aveva vissuto bene così, diventando grande, poi adulto, e finalmente uomo. L’usignolo lo aveva lasciato tra gli animaletti dell’infanzia, insieme ai pesci rossi delle fiere e ai gattini infiocchettati, dicendogli addio una volta per tutte e lasciandolo sparire. Silenziosamente, lo aveva fatto volare via.
E adesso?
Kurt fissò il soffitto, incapace di muoversi sotto il peso delle ombre della finestra. Adesso era caduto in trappola. L’uomo che aveva accanto, la vipera che lo aveva ipnotizzato, non aveva nulla a che fare con l’eroe in armatura di tanti anni prima. Aveva un fascino ipnotico, magnetico, e anche in quell’istante nonostante la paura gelida che lo attraversava, Kurt doveva tenere a freno l’impulso di sfiorarlo.
Sospirò.
Blaine.
Il suo Blaine.
Piccolo manipolatore, era stato bravo ad ottenere la sua vendetta. Gliene doveva dare atto, era riuscito a restituirgli il male che Kurt anni fa gli aveva fatto, forse con gli interessi.
Non avrebbe mai creduto che l’usignolo dalla faccia d’angelo, il cavaliere dei mulini a vento, sarebbe stato capace di tornare a sedurlo sei anni dopo e di farlo innamorare, completamente e disperatamente, di nuovo di lui.
Una notte.
Era bastato troppo poco per farlo cedere.
Una sola notte d’amore.
L’impulso della fuga lo assalì all’improvviso, scatenato da quel poco di amor proprio che in quei lunghi anni era riuscito a racimolare. Alzò le barricate, scivolò silenziosamente dalla morsa umida delle lenzuola e cominciò a vagare alla cieca in quella stanza estranea, intimandosi di non girarsi, nemmeno per sbaglio, quasi ci fosse la sua Euridice alle sue spalle ad attenderlo. Afferrò i suoi oggetti alla rinfusa, sentendo l’acre sapore del rimorso in bocca. Per l’ennesima volta, non si sentiva altro che un giocattolo di seconda mano. Usato… ma quella volta era peggio. Era stato proprio lui a farlo.
Si rivestì in fretta, a pezzi, sbattendo contro i mobili e soffocando i lamenti serrando a denti serrati, forse con un po’ più rabbia del dovuto. Desiderava solamente uscire da quella casa, togliersi quell’odore di dosso e fare a pezzi qualcosa di grosso. O trovare qualcuno in grado di convincerlo di non aver perso la testa, come il patetico adolescente che era stato, per un uomo troppo lontano dalla sua portata. Sfigato.
-Che fai Kurt… scappi di nuovo?-
Gelo.
Un centinaio di spilli gli si conficcarono nelle spalle, le orecchie gli dolsero per un fischio acuto.
Girò il capo e sì, appoggiato allo stipite della porta con l’aria di chi aveva appena combattuto una battaglia, stava la sua Euridice, fortunatamente con indosso i pantaloni di un pigiama. Non svanì come avrebbe fatto lei, Blaine rimase a fissarlo con uno sguardo sufficiente, un’espressione matura e fiera che ebbe su Kurt l’effetto di una tromba da stadio. Boccheggiò.
-Ciao Blaine.-
Fu tutto quello che riuscì a dire. Poi distolse lo sguardo, sperando che fissare i mattoni vuoti del muro cancellasse dalla sua mente le immagini di quella notte. Ovviamente senza alcun risultato.
Lui non rispose, continuando a tenere quegli occhi luminosi incollati al viso del ragazzo, con diligenza, in una testardaggine quasi metodica. Questo è proprio tipico di te, Blaine Anderson.
-Hai intenzione di stare lì impalato ancora per molto?-
Il suo tono di voce annoiato lo ferì, quindi Kurt strinse a sé il fagotto appallottolato che conteneva la sua giacca e la sua cravatta, e mosse alcuni passi.
-No… infatti, stavo proprio per… per andare. Arrivederci Blaine, è stato un piacere…-
-Resta.-
Un ordine. Un sussurro.
-Cosa?-
-Ti ho detto: “Resta”.-
Kurt pensò ai ricordi di quella notte, e alla paura che in quel momento gli stava gridando di scappare via da quell’uomo così pericoloso, di fuggire prima che fosse troppo tardi.
-Blaine, non penso sia una buona idea. Sono passati tanti anni…-
-Resta.-
Davanti all’espressione quasi terrorizzata di Hummel, il viso dell’ex-usignolo si addolcì un poco, gli angoli delle labbra si tirarono, e il ragazzo mosse alcuni passi verso l’amico.
-Resta… almeno fino a domani mattina. Fino a colazione, Kurt. Non puoi uscire a quest’ora della notte conciato in quel modo…- indicò la camicia sbottonata, i pantaloni senza cinta –È pericoloso. Resta- ora la sua voce si era fatta un sussurro, dolcissima –solo fino a domani.-
Kurt sentiva le guance in fiamme, e una vocina lontana lontana nel suo cervello gli gridò che aveva ventisei anni, non quattordici. Però Hummel la azzittì ed abbozzò un sorriso goffo, imbarazzato, poi annuì. –Solo fino a colazione. Ieri ho trovato le formiche nel caffè del mio appartamento.-
-Io ho il caffè più buono di New York.- aggiunse Blaine, avvicinandosi a Kurt e togliendogli di mano la giacca, lanciandogliela chissà dove nella penombra –e anche quei biscotti all’anice che ti piacevano tanto.-
Kurt non fece in tempo a rispondere, perché Blaine si accertò che il ragazzo avesse la bocca ben sigillata quando lo prese per la mano, stringendogliela forte, e lo condusse di nuovo verso la camera da letto. Il ragazzo trattenne un risolino, ripensando un attimo a quell’inspiegabile colpo del destino.
-Però domani li voglio, quei biscotti- mormorò ad un certo punto, con le dita affondate tra i capelli di Blaine. L’altro alzò gli occhi al cielo.
-Ma stai zitto Kurt, per una buona volta.-
 
 
 
 
 

Somewhere only we know.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

   
 
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