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Autore: elyxyz    19/04/2014    19 recensioni
Riassunto: Arthur beve per sbaglio una pozione di Merlin e diventa un delizioso topolino.
“Hai fame?” domandò il servo. “Beh, sei bello grassoccio per essere un topo selvatico!” riconobbe, facendo inalberare il nobile Babbeo, che si indignò gonfiando le guancette pelose senza sapere che, così facendo, sembrava piuttosto buffo anziché intimorente. Merlin si limitò ad acuire le labbra arricciate in un’espressione ancor più sciocca. Salvo poi fermarsi a riflettere, battendosi un palmo della mano contro la fronte.
“Oh, cielo! Ma forse sei così grande perché sei una signora Topina e sei incinta!”
Arthur squittì con orrore.
“Io… mi dispiace, capisco che devi trovarti una tana, ma… Non puoi fare il nido nelle coperte del re! No, no, no! Mi manderà alla gogna!”

(...) Forse Merlin era abituato, tramite la sua magia, a comunicare con gli animali, in qualche modo.
Per questo, pur non aspettandosi una vera e propria risposta, il suo servo sembrava convinto che lui lo capisse.
Oppure Merlin era solo un Caso Perso e, tante grazie, bisognava tenerselo così.
[Trasformazione animale temporanea, crack!fic fluffosa. Pre-slash/hints merthur.]
Genere: Comico, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro, Contesto generale/vago
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Prima di tutto: Buona Pasqua

Prima di tutto: Buona Pasqua! E buona indigestione di cioccolato!!!

 

Come anticipato mesi fa, ecco un’altra delle fic lasciate ad ammuffire nel pc.

Ho diverse bozze in cui i nostri amati sfigati eroi diventano temporaneamente animali (più o meno senzienti) e prima o poi creerò una raccolta di tutte le shot.

 

Dopo l’assaggio di Arthur-aquila in Linette, per ora, godetevi questa.

Crack!fic fluffosa. Pre-slash e hints merthur. Arthur è re, ma l’arwen non esiste. ‘What if?’, perché la magia di Merlin è già stata rivelata e accettata dall’Asino Reale.

 

 

Storia dedicata ai miei preziosi, pazzi lettori, che mi seguono in ogni follia (detto con tanto amoreh!)
Grazie per il vostro sostegno. Ogni commento che mi lasciate è una botta di vita che mi dà l’entusiasmo necessario per scrivere ancora, anche se il tempo manca, anche se i casini sono tanti.

Vi abbraccio.

ely

 

 

<>O<>O<>

 

 

Arth-Rat Pendragon

 

(O Arthur Ratdragon, che dir si voglia…)

 

 

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Era quasi mezzodì, quando Arthur fece stancamente ritorno negli appartamenti reali per pranzare dopo l’ennesima, infinita e noiosissima Riunione del Concilio.

Ma ovviamente quell’idiota del suo servo era come sempre in ritardo, considerò, quando fu accolto dal silenzio più assoluto e dal caos più completo, segno che il suo valletto personale non si era ancora degnato di riordinare le stanze, come invece avrebbe dovuto fare.

 

Il re si sedette a tavola e borbottò il proprio malcontento, decidendo di ingannare l’attesa versandosi qualcosa da bere, perché aveva discusso a lungo su tasse e dazi, e si sentiva la gola riarsa e un’emicrania incipiente.

Distrattamente, quindi, prese una delle coppe e impugnò la caraffa di vino sul tavolo, quando, all’ultimo istante, preferì optare per uno di quegli intrugli ricostituenti che Gaius gli forniva regolarmente a colazione, e che quel mattino non aveva ancora bevuto. Forse, così, il mal di capo sarebbe stato scongiurato.

Stappò la fiala colorata e trangugiò il miscuglio in un sol colpo.

 

Un’improvvisa vertigine lo colse e, mentre il mondo si faceva tutto nero, Arthur imprecò, realizzando l’errore.

Quella non era una brodaglia di Gaius. E dannazione a Merlin, e ai suoi esperimenti da fattucchiere bislacco dimenticati in giro!

 

 

***

 

 

Fu un urlo tremendo e assordante a destarlo di colpo.

Stordito, Arthur sbatté le palpebre e si guardò attorno, in cerca del pericolo, dell’allarme, ma non capiva dove fosse, la sua visuale era confusa e parziale.

 

“Un topo! Un topo nelle camere del re!” strillò nuovamente la voce femminile.

 

Oh, Gwen! Era solo Gwen, considerò Arthur, riconoscendo l’inflessione familiare. E tutto questo fracasso per un misero sorcio!, valutò poi, mentre lui, il sovrano di Camelot, era svenuto e vittima di chissà quale avvelenamento magico ad opera di quell’imbecille di Merlin!

 

Gwen, aiutami!” cercò di dire, ancora ottenebrato, ma la voce non gli uscì. Udì solo uno strano cigolio.

 

“Vattene, brutto topo, vattene!” riprese Guinevere, avvicinandosi a lui a passo di carica.

 

Gwen!” ritentò sgomento, rimanendo ignorato.

 

Arthur cercò di allungare le braccia per risollevarsi, ma – con suo sommo orrore – si ritrovò davanti al naso un paio di pelose zampette artigliate e, toccandosi il viso, si scontrò con un musetto appuntito e dei lunghi baffetti vibranti.

Inaspettatamente, egli si vide piombare addosso una fascina di saggina – la scopa con cui Merlin puliva i pavimenti e che aveva francamente visto tempi migliori –, e riuscì a sfuggire al colpo ferale solo grazie ai suoi riflessi pronti di abile guerriero.

 

“Aspetta che ti acchiappi!” si sentì dire, di rimandò, con una cattiveria così estranea alla dolce Gwen che conosceva da lasciarlo tramortito. “Brutto latore di epidemie!”

 

Coraggiosamente, Arthur fuggì da lei.

 

Poiché quello non era un combattimento ad armi pari e ogni esitazione poteva costargli la vita, il cavaliere prese a correre zigzagando per la stanza, per confonderla come avrebbe fatto sotto ad una pioggia di frecce nemiche, e poi finse di nascondersi in prossimità del canterano, finendo invece per trovare riparo sotto al letto, nei cumuli di polvere, dove Merlin non puliva mai.

 

Osservò col cuore in gola l’ancella chinarsi per controllare la base del cassettone, e poi verso l’armadio, cedendo infine, a malincuore, e abbandonando la caccia.

 

Ella si risollevò, spazzolandosi la gonna sulle ginocchia e ripose la biancheria pulita che era venuta a portare, poi borbottò qualcosa sulla necessità di disinfestare il luogo e se ne andò.

 

Rimasto solo, Arthur si accorse che stava ancora tremando, per lo spavento e lo sconvolgimento di quella che poteva essere la sua morte prematura.

Successivamente, cercando di dominarsi, iniziò un’ispezione più razionale del proprio corpo a partire dalle orecchie che – dannazione! – erano diventate giganti come quelle di Merlin, finendo con la coda – una lunga, sottile, codina che non poteva ignorare.

 

Avrebbe spedito Merlin alla gogna per un secolo almeno!, giurò fra sé, uscendo dal suo nascondiglio di fortuna e arrampicandosi sul letto tramite le coperte. Seminascosto dai tendaggi, non avrebbe dato nell’occhio e, una volta che quell’idiota fosse tornato a cambiare le lenzuola, si sarebbe fatto riconoscere, sempre che quel mago da strapazzo non decidesse di ucciderlo prima con la propria idiozia.

 

 

***

 

 

Doveva essersi appisolato, avvolto fra le lenzuola, perché fu il fischiettare allegro del suo scudiero a risvegliarlo.

Per un lungo, eterno istante, Arthur sperò ardentemente di aver fatto solo un sogno bislacco, ma la cruda realtà lo colpì in pieno, completa di zampe e pelo.

 

Merlin, intanto, si avvicinò al tavolo dove posò il vassoio col pranzo per il re e poi si diresse verso il baldacchino a passo veloce, agganciando le tende sui quattro supporti, pronto a riordinare il letto del suo padrone, partendo dai cuscini che doveva sprimacciare.

 

Arthur aveva ipotizzato diversi modi per attirare la sua attenzione e far sì che quell’idiota trovasse la cura del suo male…

Ma solo quando i loro occhi si incontrarono, il sovrano di Camelot sentì riecheggiare nella mente le grida ossesse di Gwen e si rese conto che Merlin avrebbe potuto avere la stessa reazione e farsi spuntare un insano desiderio di regicidio.

 

Nel momento in cui il suo servo effettivamente lo vide, Arthur fu convinto che lo avrebbe colpito, o lo avrebbe catturato, oppure gli avrebbe lanciato contro qualche sgradevole incantesimo, ma il suo valletto non fece niente di tutto questo.

 

Merlin lo guardò e gli sorrise dolcemente, piegando le ginocchia ossute per essere col viso al suo livello.

“Ehi, ciao…” lo salutò, allungando piano una mano. E Arthur si ritrovò paralizzato dalla sorpresa.

Si era aspettato di doversi difendere, di dover scappare nuovamente, non certo questa gentilezza. E perché non riusciva a fuggire? Dov’era finito il suo istinto di sopravvivenza? Si sentiva come se fosse stato incantato…

 

“Ciao…” ritentò il mago, accarezzandogli la testolina con un dito. “Che ci fai qui?” domandò retorico, e un po’ impensierito. “Se Arthur ti vede, è la volta buona che mi mangia vivo! Sai, senza offesa, ma è un po’ suscettibile sull’argomento ‘topi’ dopo la volta dello stufato di rat-” Merlin si era interrotto, mettendosi una mano sulla bocca e Arthur chinò la testolina, incuriosito.

“È una brutta faccenda…” gli confidò, cospiratore. “E spero non ci fosse di mezzo qualche tuo parente… Beh, no, direi di no. Non ho mai visto un topo di campagna con questo colore così chiaro, sembri quasi dorato!” si meravigliò, accarezzandolo di nuovo.

Arthur mosse i baffetti, ma non si sottrasse al suo tocco.

“Sei davvero carino, sai?” lo lusingò Merlin, con quel sorriso che faceva smuovere ogni volta la pancia del re, anche se lui preferiva ignorarlo.

Ma non puoi stare qui…” lo avvertì. “Oggi pomeriggio devo raccogliere delle erbe per Gaius fuori dalle mura, potrei liberarti lì, lontano dai gatti del castello… sono dannatamente bravi a cacciare, ci crederesti?”

 

Arthur frustò l’aria con la codina, in disaccordo. Quei quattro sacchi di pulci con le vibrisse non si erano mai resi utili, né in cucina né nelle stalle reali. Erano troppo grassi e pigri per fare un lavoro decente di sorveglianza, sempre a sonnecchiare davanti ai camini del castello; i suoi cani, invece… beh, la sua muta da caccia era completamente un altro discorso, quella sì che sapeva il fatto suo e – modestia a parte – era il suo orgoglio!

 

Merlin lo distrasse dai suoi pensieri quando lo raccolse in mano con gentilezza, per lisciare le coperte del letto con un tocco di magia, e poi lo ripose giù con altrettanto garbo.

 

“Hai fame?” domandò il servo. “Beh, sei bello grassoccio per essere un topo selvatico!” riconobbe, facendo inalberare il nobile Babbeo, che si indignò gonfiando le guancette pelose senza sapere che, così facendo, sembrava piuttosto buffo anziché intimorente. Merlin si limitò ad acuire le labbra arricciate in un’espressione ancor più sciocca. Salvo poi fermarsi a riflettere, battendosi un palmo della mano contro la fronte.

“Oh, cielo! Ma forse sei così grande perché sei una signora Topina e sei incinta!

 

Arthur squittì con orrore.

 

“Io… mi dispiace, capisco che devi trovarti una tana, ma… Non puoi fare il nido nelle coperte del re! No, no, no! Mi manderà alla gogna!”

 

Il giovane Pendragon sibilò protestando e si levò sulle zampe posteriori per spalancare le braccia come a dire ‘Guardami, idiota!” ma giusto in quel momento lo stregone deviò lo sguardo come se, solo ispezionando l’ambiente circostante, avrebbe trovato una soluzione.

 

“Oh, ma dov’è il signor Topino?” chiese, sembrando sinceramente preoccupato.

 

Arthur roteò gli occhi, seccato.

 

“Accidenti!, spero che non sia finito in una delle nostre trappo- ehm…” Il valletto si morse la lingua, interrompendo il flusso delle sue scomode supposizioni. “Senti, non… Non ti devi preoccupare”, riprese, cercando di sembrare positivo. “Anche mia madre mi ha cresciuto senza un padre e guarda come sono venuto su!” rassicurò, con un sorriso incoraggiante. “I tuoi cuccioli staranno benissimo!”

 

Arthur avrebbe dovuto essere dispiaciuto per lui e la sua perdita, se non fosse stato così sconvolto. E irritato.

 

Com’era possibile che quell’idiota l’avesse scambiato per una sorcio incinto?

E, per amor di tutti gli dei!, in quale mente malsana era normale conversare con un dannato ratto?

 

Fu solo dopo tre lunghi respiri, per riprendere dominio di sé, che Arthur arrivò ad una specie di conclusione.

Forse Merlin era abituato, tramite la sua magia, a comunicare con gli animali, in qualche modo.

 

Per questo, pur non aspettandosi una vera e propria risposta, il suo servo sembrava convinto che lui lo capisse.

 

Oppure Merlin era solo un Caso Perso e, tante grazie, bisognava tenerselo così.

 

“Uhm… e se invece… beh, potrebbe essere che la tua pelliccia sia solo particolarmente folta?” meditò il mentecatto, e il re fu sul punto di gettare la dignità alle ortiche e di buttarsi a pancia all’aria solo per mostrargli i virili attributi – benché considerevolmente rimpiccioliti, Arthur era certo che c’erano – e sfatare ogni ulteriore dubbio.

 

Ma le campane di mezzogiorno risuonarono nella piazza e Merlin sbuffò, smettendo di arrovellarsi il cervello con le sue strampalate ipotesi, per avvicinarsi alla finestra e sbirciare l’andirivieni della gente nel cortile esterno.

 

“Ecco! È mezzodì e Sua Maestà non si degna ancora di arrivare! E poi si lamenta con me, perché  sono sempre in ritardo!”

 

Arthur ringhiò oltraggiato, ma uscì solo uno squittio acuto e assai poco intimorente, per questo si lasciò scivolare giù dal letto e corse lesto ai piedi del suo valletto, pronto a morderlo per fargli sentire il fatto suo.

 

“Beh, è un Asino Reale… ma almeno si impegna in ciò che fa…” aggiunse il mago, inaspettatamente, facendo fermare il re un istante prima di piantare gli incisivi sul cuoio dei suoi stivali logori.

 

Merlin non se n’era accorto, perché continuava a fissare oltre il vetro, assorto. “Ci mette il cuore nell’addestrare ogni cavaliere e ogni recluta del regno, perché ogni soldato deve proteggere Camelot, ma deve anche salvarsi e poter tornare alla propria famiglia…

Arthur è un buon re, è legato al suo popolo ed è coraggioso e giusto, si batte per le cose in cui crede.

È impossibile non amare un sovrano così…” sussurrò, con lo sguardo perso ben oltre la finestra che dava sulla piazza.

 

Arthur rimase immobile, sinceramente stupito di quell’accorata dimostrazione di elogio.

Certo, l’idiota del suo servo – proprio perché era un idiota! – gli aveva ribadito la sua cieca fedeltà un’infinità di volte da che si erano conosciuti e generalmente l’aveva fatto sempre nei momenti peggiori, quando una grave disgrazia aveva colpito il regno, e le cose volgevano al peggio, o quando la fiducia di Arthur stava per vacillare.

Ma anche adesso, ad uno stupido topo, Merlin confidava la sua devozione incondizionata e il re sentiva ancora una volta quella stretta allo stomaco che non aveva nulla a che fare con la fame.

E c’era anche uno strano tepore dentro nel petto, tutto nuovo, ma doveva essere colpa della pelliccia da roditore.

 

“Oh, sei qui?” si sentì dire, scrutando il suo valletto da sotto in su. “Per favore, non andare in giro, o finiremo entrambi nei guai…” lo supplicò il mago, raccogliendolo da terra per poi appoggiarlo sul tavolo, accanto al vassoio del pranzo.

Merlin allungò una mano e recitò un incanto per mantenere caldi i cibi. Arthur osservò affascinato come il bagliore d’oro inondò il piatto, dove delle gigantesche cosce di pollo fumanti erano grosse il doppio di lui.

Non si era mai accorto di mangiare così tanto.

Forse Merlin aveva un po’ ragione a dire che stava ingrassando... e c’era bisogno di un nuovo buco da aggiungere alla cintura…

Ma il re, a discapito dei buoni propositi, sentì l’acquolina in bocca e la pancia gorgogliare.

 

“Vuoi un pezzetto di formaggio?” si sentì offrire, come se lo stregone gli avesse letto nel pensiero.

 

Assecondando il suo spirito di cavaliere, avrebbe voluto rifiutare per amor proprio, ma si ritrovò con le zampette allungate prima ancora di sapere come e, un momento dopo, affondò il musetto nel miglior cacio del mondo.

 

“Hai tanto appetito, tu, eh?” constatò il suo servitore, sorridendogli con infinita tenerezza.

 

Arthur si bloccò a metà di un boccone, con le guancette ancora goffamente piene, osservandolo.

Avrebbe ceduto miserevolmente altre cento volte, perché era bello vedere Merlin felice semplicemente perché stava nutrendo in piccolo animaletto indifeso.

 

Quell’impiastro dal cuore tenero era fatto così, rifletté il sovrano. Sembrava capace solo di raccattare esseri bisognosi e indigenti e lo faceva senza mai aspettarsi qualcosa in cambio.

 

…Anche con lui succedeva sempre. Non importava che fosse un nobile e il suo padrone, Merlin si prendeva cura di lui. E lo faceva con dedizione e affetto.

Certo, brontolava continuamente e criticava impunemente ogni sua regale scelta, ma poi era quello pronto a raccattarlo quando era stanco e stremato dagli allenamenti, quando erano in battaglia e gli curava le ferite, quando metteva a repentaglio la propria vita per salvare la sua (magia o non magia), quando con un solo sguardo sapeva capirlo e anticipare i suoi desideri, o quando con un sorriso rimetteva a posto anche la più ingarbugliata delle situazioni…

Merlin era così, sì. Così dannatamente inutile… servitore e amico prezioso.

 

“Un ultimo pezzetto?” gli chiese lo stregone, porgendoglielo, e Arthur lo afferrò d’istinto, però lo trattenne a mezz’aria.

 

Ma perché il suo valletto non mangiava?

Lo sapeva benissimo che l’altro gli sgraffignava regolarmente dal piatto quello che gli piaceva. A volte, lui lasciava di proposito degli avanzi puliti per darli al suo servo tutto pelle e ossa.

 

Ma fu guardando il vassoio che comprese. Tutta la parte del formaggio mancante era considerevole e Merlin si era privato della possibilità di sfamarsi per darla a lui.

 

Arthur deglutì a vuoto e allungò indietro il pezzetto ancora intatto.

 

“Oh, no. No, grazie”, rifiutò lo scudiero, stiracchiando amichevolmente le labbra mentre declinava l’offerta. “Tu ne hai sicuramente più bisogno di me!” motivò. “Cuccioli o non cuccioli, là fuori non è facile trovare un pasto così buono…

 

Stupido, stupido idiota dal cuore generoso!, l’insultò re Pendragon, sentendo un peso diverso nella pancia, lo stesso strano disturbo che sentiva sempre quando Merlin gli sorrideva.

 

Sotto al suo sguardo attento, Arthur fu costretto a consumare il proprio pasto e si rassegnò a constatare che il mago aveva spiluccato a malapena qualche acino d’uva, prima di riprendere il proprio dovere e riassettare gli appartamenti reali.

 

 

***

 

 

“Cerca di non cadere, intesi?” s’era raccomandato Merlin, accomodandolo fra le pieghe del suo fazzoletto. “Ora andremo da Gaius a prendere l’elenco delle erbe da raccogliere e prenderemo le bisacce, poi usciremo dal castello…” lo aveva informato, spiegandogli le proprie intenzioni. Ma Arthur si era addormentato quasi subito, tanto era il calore confortevole e l’odore familiare di Merlin; la stoffa ruvida non era un problema, anzi. Sembrava quasi un nido perfetto per lui, fra le sue pieghe.

 

Fu solo quando arrivarono ben oltre le mura esterne che il re venne svegliato e delicatamente appoggiato a terra.

“Adesso che hai riottenuto la tua libertà, penso che sia ora di salutarci…” incominciò il suo servo, piegato sulle ginocchia per essergli più vicino. “Buona fortuna!” gli augurò, risollevandosi con l’intento di dedicarsi al compito affidatogli da Gaius. “E cerca di restare lontano dai gatti del castel-” Merlin si interruppe quando Arthur, tutt’altro che intenzionato a lasciarlo, si mise a seguirlo mentre egli s’incamminava.

 

“No, a-aspetta…” farfugliò, incerto. “Mi piacerebbe tenerti, davvero, sei intelligente e delizioso…” premise, indorando l’amara pozione. “Ma il mio padrino è un medico, e non è salutare tenere un topo nel laboratorio dell’archiatra reale”, si rammaricò.

 

Arthur ignorò l’obiezione ragionevole e accorciò le distanze fra loro.

 

Vuoi restare ancora un po’ con me?” tirò a indovinare il mago, sorpreso.

Il sovrano fece un ulteriore passo avanti, per conferma.

 

“Beh, se non hai niente di meglio da fare, mi fa piacere la tua compagnia!” accordò gioioso, prima di caricarselo su una spalla per dirigersi dove crescevano le radici medicamentose di cui aveva bisogno.

 

 

***

 

 

Arthur avrebbe dovuto fermare quella follia molto prima che degenerasse in una specie di addio inutile, ma aveva scelto di non farlo.

In realtà, avrebbe dovuto farsi riconoscere fin da subito – o poco dopo.

Quand’era stato posato sul tavolo, nelle proprie stanze, e aveva ottenuto la piena attenzione di Merlin, mentre lo sfamava, avrebbe potuto rivelarsi.

E se quell’idiota non avesse capito… beh, nel caso peggiore, lui avrebbe potuto arrampicarsi sulla scrivania e intingere la codina nell’inchiostro, e usarla come penna d’oca improvvisata per compilare il proprio nome su una delle pergamene perennemente in disordine sullo scrittoio.

 

D’accordo, avrebbe potuto. Ma aveva scelto di non farlo.

 

Perché… perché sembravano passati secoli da che si era preso mezza giornata di riposo.

Per una volta, poteva anche concedersi il lusso di lasciare doveri e problemi a se stessi per un po’. Mezza giornata di tregua, un momento di egoismo rigenerante.

Ma con Merlin, ovviamente.

 

Anche concentrandosi, Arthur non riusciva a ricordare quanto tempo era passato dall’ultima volta che erano stati solo loro due, l’ultima caccia in cui avevano passato la notte all’addiaccio, stretti per condividere un po’ di calore. E battute irriverenti e amicizia, lontani da doveri e ruoli.

 

Davvero, davvero sembrava trascorsa un’eternità. E (almeno con se stesso, poteva ammetterlo) gli era mancato tutto questo.

Stare con quel fannullone di Merlin e basta.

Lasciarsi viziare e vezzeggiare senza fingere di provare fastidio o accondiscendente sopportazione.

 

 

***

 

 

Arthur era consapevole che Merlin doveva avere la schiena in pezzi dopo essere rimasto chino, per ore, a raccogliere erbe medicinali e radici per gli intrugli di Gaius. Eppure non si era mai lamentato.

Di tanto in tanto, il suo servo gli lanciava un’occhiata e lui simulava disinteresse lisciandosi la codina per passare il tempo, ma non si perdevano mai di vista, reciprocamente.

 

Quando l’apprendista dell’archiatra terminò con un sospiro soddisfatto, il re ne fu quasi deluso. Era quindi tempo di tornare a casa e tutto sarebbe finito.

 

E invece il suo scudiero lo stupì una volta di più, perché richiuse le bisacce e le abbandonò a se stesse. Dopo averlo raccolto e cullato fra le mani, si diressero ad uno stagno poco lontano – era davvero solo una pozzanghera, ma l’acqua sembrava limpida –, e Merlin si dissetò e rinfrescò.

Quel pomeriggio di fine estate non era particolarmente caldo, tutt’altro, ma il mago era tutto sudato e stanco da quella faticaccia.

Sfilandosi gli stivali scalciando, si lasciò cadere seduto sulla riva, sospirando di beatitudine nel momento in cui i suoi piedi finirono in ammollo, trovando l’agognato refrigerio.

 

Successivamente, confermando la sua innata premura, lo stregone preparò un nido di erba fresca e morbida, intrecciato con la magia, dove depositò il topino; e, a sua volta, si lasciò cadere all’indietro, a braccia spalancate, riposando.

Ma Arthur, dopo aver tastato quel giaciglio, decise di disertare l’offerta in favore di un posto molto più comodo e, approfittando del fatto che il suo servo sembrava sul punto di appisolarsi, inforcò l’entrata di stoffa al lato della sua mano e si arrampicò su per la manica della sua casacca, facendogli il solletico, sbucando nello scollo, nascondendosi fra le pieghe di quell’assurdo fazzoletto che non mancava mai.

 

Merlin reagì agitandosi un po’ e ridendo, impreparato a quell’assalto, perché effettivamente le sue zampette da roditore dovevano averlo stuzzicato o forse era stata colpa della sua pelliccia troppo morbida.

 

“Non dovresti fare dispetti, sai?” lo sgridò, con assai poca convinzione in verità, senza darsi pena di aprire gli occhi.

 

Arthur squittì, dimostrando il suo punto e, per rabbonirlo, il mago gli grattò le orecchie e gli lisciò il pelo.

 

Anche da topo, il suo servo sapeva benissimo come farlo capitolare e difatti il re si lasciò coccolare, strofinando il musetto contro il collo di Merlin con beatitudine, facendosi cullare dal suo respiro regolare, dal battito del cuore che sentiva pompare nella vena sottopelle contro cui si era rannicchiato. Era un suono confortante, e Arthur si addormentò.

 

Poi… poi, a cose fatte, quando avrebbero fatto ritorno al castello, e tutto sarebbe tornato alla normalità, lui avrebbe sempre potuto fingere che, come topo, non aveva capito niente, e non ricordava nulla di ciò che aveva vissuto nelle veglie da roditore, ma le parole del suo servo – del suo amico, e forse qualcosa di più – gli rimbombavano ancora dentro, riscaldandolo. E quel tepore non c’entrava niente coi tiepidi raggi di sole di quel pomeriggio di fine estate.

 

 

 

- Fine -

 

 

 

 

Disclaimers: I personaggi, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro da parte mia.

Anche le immagini non sono di mia proprietà, ma le trovo deliziose ed è così che mi immagino Arty. XD

 

Ringraziamenti: Alla mia kohai che subisce le mie paranoie. X°D

A Laura, per il suo entusiasmo! <3


Note: Ho un debole per Arthur e Merlin trasformati in animali, penso si sia capito. ^^’’

Quando si parla di Arthur ingrassato e dei buchi alla cintura, credo che i riferimenti al TF siano chiari.

L’accenno allo stufato di ratto si rifà all’episodio 1x11 “Il labirinto di Gedref”.

 

Vorrei spendere due parole sul comportamento di Gwen. Non era mia intenzione renderla ‘cattiva’ verso Arthur-topo, semplicemente credo che lei abbia più senso pratico di Merlin. Un topo va cacciato, punto.

Il nostro mago, invece, ha notoriamente il cuore tenero. So che, messo alle strette, anche lui ha ucciso animali per sfamarsi, ma lui è contrario alla caccia per hobby e come dimenticare le sue lacrime di commozione davanti alla piccola Aithusa o per il povero unicorno? Ecco, di fondo, me lo immagino così. Lui avrebbe dato ospitalità al topino anziché cacciarlo malamente.

 

E voi cosa ne dite? Avete interpretazioni diverse dalla mia?

 

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Waiting for you cap. 8 è stato aggiornato pochi giorni fa.

 

 

 

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elyxyz

   
 
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