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Autore: I Biscotti Inflessibili    19/04/2014    2 recensioni
La Montagna Solitaria è stata riconquistata, e il tempo degli eroismi è finito, ma è giunto quello più lento e meno remunerativo della ristrutturazione: il Regno di Erebor è pronto per tornare agli antichi splendori, ma avrà bisogno dell'aiuto del suo popolo a lungo esiliato. In risposta alla chiamata stavolta non interverranno solo pochi valorosi, ma molta gente comune desiderosa di tornare nella città che da lungo tempo viveva solo nei ricordi e nelle leggende.
I primi ad avventurarsi saranno naturalmente i familiari di coloro che sfidando l'inosabile hanno liberato la montagna dal Drago, e il convergere di clan familiari che sono stati a lungo divisi può portare a conseguenze inaspettate.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fili, Kili, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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  Salve! Con questa storia I Biscotti riprendono il loro lungo filone di What If? che prevede un finale a tarallucci e vino, e dopo essersi ripresi la Montagna i Durin devono ripulire le macerie e fare gli onori di casa a tutti quelli che stanno tornando dopo un esilio secolare, e se liberarsi di un Drago può essere fattibile con la giusta compagnia, serve un vero e proprio plotone per rimettere insieme un regno, e Thorin avrà bisogno della sua gente più che mai.
  Qui focalizziamo su una persona in particolare, un nostro personaggio originale che sarebbe una delle ipotetiche figlie di Bombur, di nome Bimba. Lei, i suoi fratelli e sua madre sono personaggi totalmente inventati da noi, mentre il resto si rifà il più possibile all'opera di Tolkien (e di Jackson, po'raccio, diamo qualche merito anche a lui).

  Le recensioni ci piacciono un sacco.
  Così, per dire.

  I Biscotti Inflessibili - Charme, lady hawke e Maiwe.






  La notizia della riconquista di Erebor si era sparsa in fretta, e non appena avevano ricevuto una lettera che li informava che il padre, zio Bofur e il cugino Bifur stavano tutti bene e avevano intenzione di stabilirsi provvisoriamente nella Montagna per contribuire alla reinstaurazione del regno quattro dei numerosissimi figli di Bombur avevano deciso di emulare l’esempio del padre e raggiungerlo.
  Naturalmente consultarono in merito la madre, alla quale erano molto devoti, e lei si disse favorevole.
  “Però – aggiunse Delonna, con espressione grave – dovrete portare con voi Bimba e badare a lei.”

  Dopo una pausa esitante Bebur, il maggiore, disse la sua. “Madre, sei certa che sia suo desiderio venire con noi?” Sembrò che avesse espresso anche il pensiero degli altri.
  Non era facile comprendere quel che passava per la mente della fanciulla, nona figlia di Delonna e Bombur; era molto timida e riservata, e non sarebbe stata la prima volta che si tratteneva dall’esprimere un desiderio per paura di chiedere troppo o sembrare egoista.

  Raramente i suoi fratelli – abituati a dire quello che pensavano senza riserve – riuscivano a dare un’interpretazione utile ai suoi lunghi silenzi e al suo modo di abbassare lo sguardo arrossendo quando qualcuno la apostrofava per chiederle qualcosa.  Fortunatamente, però, Delonna era bene in grado di capire le sfumature del carattere di sua figlia, e aveva certo notato il modo in cui le si erano illuminati gli occhi nell’apprendere che i suoi parenti erano sani e salvi e che Erebor era stata riconquistata, anche se il lavoro da fare era ancora tanto. I ragazzi più intraprendenti avevano visto un’opportunità di lasciare il nido e trovare la propria strada nel mondo, e Delonna non trovava giusto privare i propri figli di quell’occasione, nemmeno quelli che non avevano ancora trovato il coraggio di esprimere la propria volontà.

  La verità è che Bimba era in conflitto con se stessa: voleva rivedere il padre e gli altri parenti, dopo tanto tempo, ed era curiosa di vedere con i propri occhi la mitica Erebor ed essere tra quelli che avrebbero  contribuito a riportarla agli antichi splendori, ma dall’altro lato temeva l’abbandono della casa in cui aveva vissuto gran parte della sua infanzia e aveva paura di non essere in grado di affrontare il cambiamento.
  La giovane era sola con i suoi pensieri, e stava rimuginando sugli innumerevoli pro e contro che le venivano in mente, e più tempo passava, più si convinceva che quella di partire di punto in bianco fosse un’idea stupida. Inoltre, come avrebbe trovato il modo di dire ai suoi fratelli che sarebbe partita insieme a loro? Sicuramente sarebbe stata d’intralcio, e loro si sarebbero sentiti in dovere di rallentare la propria tabella di marcia per agevolare lei. Nossignore, meglio che non partisse, se doveva causare danno. Prima o poi avrebbe visto Erebor, in un modo o nell'altro. Non c'era alcuna fretta.
  Era appena giunta a questa sofferta decisione quando qualcuno bussò alla porta. Bimba sapeva che doveva essere sua madre prima che questa entrasse: era l'unica che bussava, gli altri di solito si limitavano a irrompere nelle stanze. D'altronde le famiglie numerose hanno vantaggi e svantaggi.
  "I tuoi fratelli stanno decidendo il da farsi, pensano di poter partire già tra due giorni, non molto dopo l'alba. Sarà un viaggio più lungo di quelli a cui sei abituata, forse ti servirà aiuto per preparare i tuoi bagagli."
  Bimba rimase di sasso: era vero che sua madre fosse colei che più di tutti riusciva a leggerle dentro, ma stavolta aveva stupito anche lei.
  "Non crederai che non abbia visto quante volte hai riletto il messaggio mandato da tuo padre. Se è tuo desiderio andare a Erebor non voglio che tu ti lasci trattenere da futili preoccupazioni: sei in gamba e riuscirai a cavartela, ma se devi partire, preferisco che ad accompagnarti siano i tuoi fratelli, e non una carovana di sconosciuti."

  Mamma Delonna non era facile ai complimenti, un po' per carattere, un po' perché con tanti figli i complimenti andavano dosati con cura, onde evitare gelosie, per cui si poteva essere certi che un complimento fatto da lei provenisse dal cuore e fosse autentico.
  Forte di ciò, Bimba decise di non disattendere le aspettative di sua madre e si rimboccò le maniche. 

 

  Come concordato, due giorni dopo i cinque fratelli si misero in cammino: avevano preventivato almeno tre mesi per coprire la cospicua distanza che separava la loro casa sui Monti dell'Est da Erebor, e avevano studiato attentamente quelli che sapevano essere i percorsi più sicuri da prendere nella fase più critica del loro viaggio, cioè quella nelle terre pressoché ignote di Rhûn, che troppo spesso ospitavano accampamenti dei predoni Esterling. Fintanto che fossero rimasti nei pressi delle Montagne Rosse, però, avrebbero potuto contare sull'appoggio della propria gente, che avrebbero poi ritrovato una volta attraversata la landa pianeggiante, sui Monti Ferrosi. Non restava che farsi coraggio e sperare che tutto andasse per il meglio.

 

  E per il meglio tutto andò, effettivamente, ricompensando la fiducia e l'accortezza che i giovani Nani avevano adoperato nel loro primo viaggio così lungo: giunsero a destinazione con qualche giorno di ritardo sui tre mesi stimati inizialmente, e fortunatamente non poterono vantare  - come avrebbe invece gradito fare il giovane Begnar - incontri con i predoni, combattimenti mozzafiato o fughe rocambolesche, e per quanto tutti e cinque provassero genuino orgoglio e soddisfazione nello scorgere finalmente la maestosa Montagna Solitaria, decisero di comune accordo di fermarsi alle sue pendici almeno qualche ora prima di affrontare la scalata.

  Bella, sì, ma oltre al coronamento del sogno di un intero popolo e simbolo supremo di una grandezza che ora poteva essere riconquistata, la montagna era ripida.

 

  Quella di fermarsi a riposare prima di affrontare l'ultima fatica fu l'ennesima ottima pensata, perché nel momento in cui varcarono la porta d'ingresso non venne loro concesso neppure il tempo di sollevare il naso e osservare con meraviglia crescente l'enormità delle volte o la grandezza dell'architettura che una Nana marciò verso di loro e disse loro quali sarebbero state le loro mansioni. 
  "Tu e tu, rimozione detriti, fatevi consegnare una pala e andate nella piazza a sinistra. Voi tre invece girerete tra i luoghi di rimozione e caricherete i detriti su una carriola che porterete alla cava. Si accede dalla galleria nord. Potete lasciare i bagagli nella stanza qui accanto, ma vi consiglio di lasciarli compatti e non disperderli."
  Travolti in tal modo, solo Bebur fu in grado di controbattere: "Ma siamo appena arrivati!" protestò.
  La Nana non parve impressionata. "Siete fortunati, tra due ore viene servito il rancio. C'è gente che lavora dall'alba." 
  Bebur parve sul punto di commentare che abbaiare alla gente cosa fare non gli sembrava un lavoro particolarmente spossante, ma qualcosa nello sguardo glaciale della donna lo dissuase dal farlo.
  Così i fratelli si separarono: Bebur e Beran andarono a dare il loro contributo per liberare la piazza del mercato dalle macerie e Boran, Begnar e Bimba andarono a procurarsi delle carriole, sperando poi di imboccare la galleria giusta per giungere alla cava.

  

  Malgrado quello di trasportare i detriti venisse spacciato per 'lavoro leggero', al trentesimo viaggio avanti e indietro Bimba iniziò a dare cenni di cedimento: i detriti non diminuivano mai, e il lavoro che faceva era utile e producente come cercare di svuotare l'oceano con un cucchiaio. Un cucchiaio da tè. Un cucchiaio da tè bucato.
  Visto che comunque le macerie non sembravano destinate a diminuire, ma solo ad aumentare, Bimba si fece furba, e anziché caricare personalmente la sua carriola si appostò vicino ai lavoratori, che coglievano l’antifona e gettavano palate di rocce, ghiaia e residui vari direttamente lì dentro: fare due volte lo stesso lavoro era un’inutile perdita di tempo che non giovava a nessuno. Così il lavoro era svolto più rapidamente e Bimba poteva tirare il fiato, e anche se gli intervalli tra un viaggio e l’altro si facevano più brevi, perlomeno non si sentiva più come se la schiena le si dovesse spezzare da un momento all’altro.
  Mentre passava da un punto di raccolta all’altro, poi, cercava di guardarsi in giro per cercare i suoi parenti, perché dopotutto era andata lì per loro. A costo di sembrare appiccicosa, lei voleva il suo papà che non vedeva da tanto tempo. E lo zio Bofur, anche. Il cugino Bifur le faceva un po’ paura per via del fatto che non capiva niente di quel che diceva, ma le avrebbe fatto piacere vedere pure lui. E invece niente, non si trovavano da nessuna parte.
  C’era ancora tutto il giorno, sì, ma cosa sarebbe successo una volta tramontato il sole? Lei e gli altri non avevano un posto dove andare. Avrebbero dormito all’addiaccio anche quella notte? Sulla montagna faceva davvero freddo. Mentre era nel bel mezzo di queste considerazioni venne investita in pieno da un’ondata di polvere e sassolini. E le andò bene, perché quello che lavorava davanti a lei fu vittima di una gragnuola di rocce ben più grandi.
  “KILI, perché non ti sei spostato? Avrei potuto farti del male!”
  “Mi hai fatto male, infatti!”
  “Sei tu che ti sei fermato come uno stoccafisso! Hai rotto il ritmo!”
  I due Nani si fissarono in cagnesco, e per un attimo parvero sul punto di picchiarsi, ma poi notarono la seconda vittima dell’incidente.
  “Sei ferita? Tutto bene? Complimenti, Kili.”

  “Non sono stato io a sollevare un turbine di rocce!”
  Bimba non si era fatta niente, ma tutta la polvere della Terra di Mezzo le era finita negli occhi, per cui sembrava che stesse piangendo fino all’ultima lacrima.

  Le venne portata dell’acqua, e sciacquarsi il viso l’aiutò a riprendersi quel tanto che bastava a rassicurare i due Nani che ancora battibeccavano, ma prima che potesse liberarsi definitivamente dei loro sguardi su di sé intervennero Beran e Boran.
  “Che cos’è successo? Che state facendo a nostra sorella?” I gemelli le si materializzarono accanto con aria bellicosa. Non era troppo consolante pensare che se davvero si fosse fatta male i suoi fratelli sarebbero stati più interessati a far scempio dei suoi aggressori che non ad aiutarla attivamente.
  “Non è successo niente, solo un incidente, è tutto a posto, davvero.” Tentò di placarli Bimba, fin troppo abituata a scene del genere. Era lo scotto da pagare, quando si era l’unica sorella non in grado di lanciare un’ascia a trenta metri di distanza. Ma nemmeno quindici. O due. A ben pensarci, Bimba non aveva mai lanciato un’ascia, anche perché convinta che se la sarebbe fatta cadere su un piede, qualora ci avesse provato.

  In ogni modo, Beran e Boran non parvero troppo convinti, malgrado le rassicurazioni della sorella, e Boran decise di prendere la sua postazione.
  “Non mi va che tu stia in mezzo a certa gente”, brontolò, lanciando occhiate cupe a quelli che aveva deciso essere gli aguzzini di sua sorella. Quindi si avvicinò alla carriola di lei, lasciata incustodita, e la strattonò bruscamente, posizionandola in modo che fosse smaccatamente troppo vicina per permettere a quello chiamato Kili di scavare agevolmente.
  “Senti, tu, facciamo che adesso ti allontani da mio fratello.” Intervenne colui che fino a un istante prima aveva accusato Kili di essere responsabile di ogni disgrazia fosse avvenuta nei settant’anni precedenti.
  “O magari tu puoi allontanarti dal mio, se non vuoi che… Fili?”

  I due si fissarono per un tempo che parve infinito. Da quella risposta dipendeva il loro destino. Pugni e calci nei denti o pacche sulle spalle e grandi feste.
  “Boran?”
  “Beran.”
  “Quasi, dai.”

  E pacche sulle spalle e grandi feste furono. Bimba tirò un sospiro di sollievo: pur dovendosi rassegnare a non poter comprendere le labili leggi silenti che regolavano l’amicizia maschile, era felice di non aver dovuto assistere a uno scontro.
  Di lì a un paio di minuti i gemelli e Fili erano tornati amici come lo erano stati più di mezzo secolo prima, quando tutti loro abitavano sulle Montagne Azzurre. Malgrado avessero ripreso a lavorare più alacremente di prima, a un certo punto la stessa Nana che li aveva rudemente accolti all’arrivo giunse per bacchettarli.
  “Più detriti e meno chiacchiere!”
  “Quella megera inizia a darmi sui nervi”, commentò Beran a bassa voce, quando fu passata oltre.

  “È nostra madre.”
  Silenzio.
  Poi di nuovo pacche sulle spalle e risate di cuore.

  No, Bimba queste cose proprio non sembrava destinata a capirle.

 

  Più tardi giunse l’agognata pausa per il pranzo, e mentre i tre migliori amici per la pelle facevano un baccano d’inferno, Kili e Bimba facevano a gara a chi si faceva notare di meno.
  “Mi dispiace per prima. Spero… spero che la polvere negli occhi non ti abbia fatto male.”

  Sicuramente non le aveva fatto bene, ma Bimba evitò di dirglielo.
  “Tutto bene, brucia solo un po’. Un pochino. – sminuì, perché non era gentile far sentire in colpa qualcuno – Comunque io mi chiamo Bimba.”
  “Lo so.”
  “E come fai, scusa?” rispose Bimba, che già si pentiva di avergli risposto in primo luogo.
  “Perché mi ricordo di te. Da bambini abitavamo tutti nell’Ered Luin. Siccome i nostri fratelli dicevano che non potevamo giocare con loro avevamo deciso di giocare insieme per conto nostro. Ci inventavamo delle storie, e noi eravamo gli eroi.”
  A giudicare dal livello di rossore sul volto di lui, era evidente che Kili si stesse sentendo molto stupido nel rivangare quell’episodio, ma Bimba aveva assunto un’espressione pensosa.
  “Kili e Bimba della nave volante. Una volta eravamo arrivati fin sulla Luna, mi pare.” Disse Bimba, lieta di esserselo ricordato. La soddisfazione dell’una si rifletté nel sorriso dell’altro.

  “Sì, ma era tutta ricoperta di margherite, e le margherite mi fanno starnutire” continuò Kili.
  “E alla fine ci siamo accordati sulle campanule. È bello rivederti…” iniziò, e non lo diceva per posa, ma lo pensava davvero. Avrebbe continuato a parlare, ma in tutta l’enorme sala calò un improvviso silenzio innaturale.
  La ragione di quel silenzio si attribuiva alla comparsa di un Nano dall’aria grave, che spiccava lugubremente in mezzo alla folla di volti rilassati dei lavoratori che si godevano il pasto e la loro pausa. Il nuovo arrivato era alto e massiccio, e la sua sola presenza bastava a incutere rispetto. Quando iniziò a parlare, la sua voce stentorea parve risuonare in ogni anfratto della montagna.
  “Desidero ringraziarvi per quel che state facendo. Il Drago è stato sconfitto, ma il suo retaggio osceno permane, e se vorremo porre fine definitivamente al suo regno del terrore dovremo eliminare ogni traccia del suo passaggio e riportare Erebor alla sua antica gloria. Ogni aiuto è apprezzato, e anche l’ingranaggio più infinitesimale gioca un ruolo vitale. Vedo anziani e giovani lavorare fianco a fianco per ricostruire il regno che fu perduto e che spero di essere degno di guidare. Vi ringrazio tutti, dal primo all’ultimo.” E detto questo tacque. Non attese parole di lode o altri commenti e si rimise a sedere, tornando a essere un operaio come tutti gli altri.

  Nonostante non l’avesse mai visto prima di allora, in quel momento Bimba seppe con certezza di aver appena sentito parlare Thorin Scudodiquercia, Re sotto la Montagna.
  Avvertì in cuor suo l’importanza di quell’evento, e malgrado il suo primo pensiero fosse stato che quel Nano aveva un’aria minacciosa che l’intimidiva un po’, dovette convenire che avrebbe agito nel migliore dei modi per proteggere gli interessi del suo popolo.

  Kili si girò verso di lei e fece per dirle qualcosa, ma l’attenzione di Bimba si spostò tutta su una figura imponente ben conosciuta.
  “Papà!” gridò, poi chiamò i suoi fratelli e non perse altro tempo. Un istante dopo stava abbracciando suo padre – anche se non s’illudeva di riuscire ad abbracciarlo tutto – e lui le aveva fatto indossare la treccia della sua barba a mo’ di ghirlanda. Poco dopo spuntarono fuori anche Bofur e Bifur, e visto che l’intera famiglia non era nota per la sua loquacità, Bofur s’investì del compito di parlare abbastanza per tutti.

  Avrebbero voluto avere più tempo per aggiornarsi vicendevolmente sui rispettivi viaggi, ma bisognava riprendere il lavoro; in compenso i figli di Bombur scoprirono non senza sollievo che non avrebbero dovuto dormire all’addiaccio, perché in previsione di una grande affluenza di persone da ogni angolo della Terra di Mezzo i primi edifici a essere rimessi in funzione a Erebor erano state delle abitazioni.
  “Certo non sono granché, e bisognerà stringersi un po’, ma meglio che dover dormire per terra al freddo” commentò Bofur con un sorriso, sfregandosi le mani coperte da mezzi guanti impolverati.

 

  Lavorarono fino a che non fu troppo buio per riuscire a vedere più in là del naso, che anche se nel caso di certi Nani era comunque una distanza considerevole, non era proprio l’ideale.
  Bimba e i suoi fratelli salutarono di sfuggita Fili e Kili, prima di seguire i propri parenti verso la casa in cui avrebbero alloggiato.
  “Anche loro hanno un posto dove dormire, vero?” s’informò Bimba. C’era davvero molta gente, e sperava che i calcoli del Re fossero giusti.
  “Se non ce l’hanno loro…” commentò Bebur con un tono pieno di significato. Significato che però a Bimba sfuggì completamente.
  “Bimba, loro qui ci abitano. Sono i nipoti del Re.”

  E lei ci aveva parlato di navi volanti e campanule. Perfetto.

 

  In realtà lo status di Principi di Erebor non comportava troppi privilegi, visto che il Palazzo non era ancora stato nemmeno lontanamente ripulito dalla devastazione di Smaug. E i camini nelle case erano in funzione, mentre nel Palazzo si sarebbero potuti scordare il riscaldamento ancora per chissà quanto. Thorin sosteneva che la dispersione di calore fosse tale da rendere totalmente inutile ogni tentativo di riattivarlo. In compenso Dìs, che era giunta a Erebor non appena aveva sentito vociferare che la Montagna era stata riconquistata, si era imposta, dicendo che i suoi bambini non avrebbero mai patito il freddo, finché lei era viva, e che Thorin poteva dire tutto quel che voleva, ma non era più un ragazzino, e dormire al gelo non gli faceva per niente bene.
  Aveva presentato la soluzione più a portata di mano, e così la famiglia reale di Erebor dormiva nella fucina, che era appositamente strutturata per mantenere il calore più a lungo possibile, e in cui per questioni pratiche e organizzative bruciava un fuoco perenne.

  Thorin non ci aveva pensato, e Dìs gli aveva prontamente dato la qualifica di Zuccone sotto la Montagna.

  Quella sera Fili si premurò di essere più molesto del solito.
  “Com’è stato rivedere la tua fidanzatina d’infanzia?”

  “Non era la mia fidanzatina, era mia amica, e mi trovavo molto meglio con lei che con te, visto che eri – sei – straordinariamente odioso e antipatico.”
  “Valutando i tuoi gusti in fatto di femmine da un anno a questa parte posso dirti che Bimba ha la mia approvazione incondizionata.”
  Il riferimento a Tauriel fece avvampare Kili fino alla radice dei capelli, e la luce rossa del fuoco perenne si rivelò di estrema utilità a scopi mimetici.

 

  Nei giorni a venire Fili, che era un osservatore attento solo quando gli faceva comodo, notò una curiosa corrispondenza di fatti: Kili cercava con lo sguardo Bimba, ma lei sembrava rifuggirlo, il che era in apparenza inspiegabile, visto che il primo giorno parevano andare così d’accordo. Però tutti e due tendevano ad arrossire tutte le volte che i loro sguardi s’incontravano.
  Malgrado fingesse malamente di ignorare il fatto, una volta Kili commentò amareggiato che sicuramente ce l’aveva con lui per quella volta in cui l’aveva fatta cadere dall’altalena sessantacinque anni prima.
  A seguito di quell’affermazione Fili lasciò cadere a terra la pala e fissò suo fratello per due minuti esatti senza mai battere le palpebre.
  “Che c’è?”

  Fili scosse la testa e recuperò la pala. Finalmente riusciva a capire perché sua madre diceva sempre che se non ci pensava lei non l’avrebbe fatto nessuno.
  Molto bene. Se Kili e Bimba non facevano niente per avvicinarsi se non trasformarsi in fiaccole, ci avrebbe pensato Fili.
  Come, ancora non lo sapeva, ma un modo l’avrebbe trovato.

 

 

 

  “Dìs, devi sapere che trovo poco… appropriato il modo in cui Fili corteggia la giovane figlia di Bombur. Se non gli dirai di mantenere più riserbo ci penserò io.” Annunciò Thorin in un tono esageratamente grave, in cui sua sorella non faticò a individuare l’imbarazzo che da sempre s’impadroniva di Thorin in presenza di questioni di cuore.
  “Oh, fratellone, il modo in cui riesci a travisare ogni indizio e giungere alla conclusione più errata non manca mai di rallegrarmi.” Ribatté lei, con espressione condiscendente.
  Thorin le rivolse un’occhiata così colma di rimprovero che sarebbe stata sufficiente ad annichilire una pietra, ma la faccia tosta di Dìs funse da scudo, e lei si limitò ad abbracciarlo, lasciandolo interdetto.

 

  
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