Non so
quando sia nata l’idea o l’ispirazione per questa cosa,
fatto sta che dovevo pubblicarla perché credo che sarei,
altrimenti, impazzita. Si annullano le mie capacità e
descrivo stralci di vita di un’Elena non mia, di un Damon non
mio perché si sono creati e scelti da soli, senza che io lo
volessi. C’è una varietà di non so cosa, c’è
Elena ed i suoi sentimenti e poi ci sono solo fatti e passi e pezzi di
puzzle che si devono combinare per forza. Assomiglia ad una minilong ed
ha buchi più o meno volontari qua e là,
è pazza e forse impossibile e a tratti la odio forte, ma
questi Damon ed Elena nuotano nella mia mente da troppo, troppo tempo.
Un parere
(oltre che a salvarmi) è ben accetto e (oltre che a
salvarmi) mi aiuterebbe un sacco con queste paranoie/realtà
all’ordine del giorno (oltre
che a salvarmi). L’unica nota che posso (devo!) fare
è lo spagnolo appena accennato che so ma non ho mai
studiato, trovato nei dialoghi di Elena:
1) signorina,
desidera qualcos’altro?
2) Oh, no, no,
santo cielo… 2$, ora sei di famiglia! […] no,
ciccina, 2$, senza parlare!
3) Ecco,
tesoro, è successo qualcosa? Sei in ritardo […] e
c’era anche quel ragazzo, un po’ freddo e tutto?
Faccio schifo nel
consigliare canzoni, ma questa qui ha fatto da sottofondo nella prima
metà della storia, ovvero nel V, estate e
metà autunno.
V
I Giapponesi non
dicono “ti amo”, è davvero sgarbato e un
po’
rude. Loro mascherano l’amore, lo traducono diversamente
dalle solite parole;
loro dicono “questa notte la luna è davvero
bella”.
Damon
è un po’ giapponese e un po’ cinico,
è freddo e distante
nella sua giacca di pelle nera ed io non ho mai voluto capire se fosse
innamorato
di me. Non me l’ha mai detto – “sei
splendida, se non è evidente” –
ma sorride comunque in quel modo che
solo lui sa fare e mi guarda comunque in quel modo che, giurerei, fa
tanto la
luna è davvero bella questa sera.
Ha sempre avuto
i capelli un po’ spettinati, l’alito di albicocca
quando la mattina riusciva a far colazione e gli occhi magnetici di
quel colore
magnifico, a metà fra il ghiaccio e l’oceano, fra
qualcosa di freddo ed
intoccabile e qualcosa di enormemente esteso ed impossibile da avere.
E’
stato lo sprazzo di caldo, paradossalmente, che non ho mai
avuto a New York, è stato un po’ greco
perché al contempo antidoto e veleno.
Non sappiamo
dirci “ti amo” ma va bene comunque, amore mio, va
bene comunque anche se siamo un po’ incasinati,
perché siamo reali quando io di
reale e concreto non ho nulla.
Enzo ci ha
ritenuti due fiamme gemelle: “scherziamo?” hai
detto
tu, la risata persa nell’appartamento a Bushwick, io che
dovevo andare via ma
sono rimasta, ed ho sbagliato, ho continuato a sbagliare e tu non hai
mai
segnato in rosso i nostri errori, hai semplicemente detto che lo erano
e hai
semplicemente continuato a commetterli.
Sbuffo, sono
troppo giovane per capire, troppo giovane per tutto e
non ho mai vissuto per davvero perché una come me vuole
emozioni forti per
smuovere l’animo.
I
Estate
Malibù
in confronto a New York è davvero un paragone assurdo: per
me, fra l’altro,
abituata
ad un cielo sempre aperto, sgombro, nessuno grattacielo a sfidare le
altezze e
solo sole, soltanto caldo e tepore perenne.
Caroline mi
ospita nel suo bilocale a Bushwick fino a che non
troverò uno spazio tutto mio, magari con una vista decente,
tanto cielo, il
fiume Hudson e cose del genere. Adesso mi limito ad un quartiere
strano,
spento, vivo ma non troppo, addormentato, metà
ispanico e metà americano.
“La
caffetteria di fronte” mi spiega adesso,
“è davvero il tesoro
del posto, fanno dei cappuccini assurdi e non lasciarti ingannare da
Teréza, mujer
de Nueva Yorke”
Ridacchio un
po’, è sempre bionda e sempre vivace come la
ricordavo un paio d’anni prima, come quando l’ho
conosciuta durante lo spring
break al
Whitmore, quando nessuna delle due
era uscita fuori perché non aveva nessuno e
perché aveva degli arretrati riguardo
lo studio.
Poi ha lasciato
tutto, all’improvviso, di punto in bianco: Malibù
non faceva per lei.
Solo qualche
tempo dopo ho compreso che c’era un segreto più
grande dietro la sua partenza, un segreto biondo e dagli occhi chiari.
Leigthon
è tutta pepe come la mamma, ha quattro anni e vive
nell’appartamento di fronte al mio assieme
all’unico suo genitore,
alla donna che l’ha messa al mondo e che le vuole davvero
tanto bene.
“Ti
ringrazio, Caroline” sorrido sulla poltrona rosso fuoco nel
soggiorno, stringendo un cuscino verde in mano.
“E’
un piacere”
Due settimane e
otto giorni trascorsi: Teréza mi stringe le guance
quando mi vede e mi offre un cornetto al cioccolato squisito, mi dice
che le
ricordo sua figlia Ana Lucìa e che per questo non dovrei mai
lasciare New York.
Rido sempre
quando lo dice, con quel suo accento spagnolo, poi
quella sibilante indimenticabile mentre chiede “sssenorita,
queress algo
màss?*”. Ho conosciuto i colleghi di lavoro di
Caroline, mi ha raccontato del
suo primo amore, il padre della piccola che non ha idea
dell’esistenza di
quello scricciolo, di quel cuoricino che batte forte e
all’unisono con il suo.
Mi manca
Malibù ma New York non è così male
come sembra: c’è un
takeaway cinese sulla parallela al Tereza’s(ssss) ed
è la tradizione del lunedì
sera, oramai. C’è Vinny ed i suoi frullati il
mercoledì mattina prima di
cercare lavoro come designer d’interni.
Ogni tanto
ripenso al mio passato: al college avrei scelto
medicina, magari, avrei conosciuto prima Caroline e avrei evitato che i
miei
genitori divorziassero per prendere strade opposte: uno a
Malibù, l’altro nella
grande mela.
“Davvero,
Elena, sei un tesoro con la T maiuscola! Ti sono
debitrice!”
Io e Leighton la
salutiamo agitando la mano sinistra, prima di
gettarci sul divano. Ricorda una lista che pare infinita di cose da
fare e di
cose da preparare, dove sono le medicine, i numeri di telefono
principali ed i
gusti di gelato biologico che la piccola può mangiare.
Sorride guardandosi
un’ultima volta allo specchio, le auguriamo buona
fortuna e
ci rilassiamo.
Chiude la porta
alle sue spalle mentre noi ci dedichiamo a fatine
e maghetti alle prese con il male.
“Mamma
dove è andata?” la vocina di Leigh è
piena di curiosità, la
guardo sorridente, poi inclina lateralmente il capo.
“Mamma
forse ha trovato l’amore”
“E’
andata dall’amore?”
Scuoto la testa,
abbassando il volume dei cartoni animati. “Voleva
trascorrere una serata con un uomo… le piace, sai?”
“E’
andata da un uomo?”
Mi mordo le
labbra, mentre gli occhietti azzurri e vispi mi
osservano con insistenza.
“Sai
quando due persone si vogliono bene? Quando vogliono
stringersi per mano e passare tanto tempo insieme?”
“Io e
mamma?”
“Sì,
Leigh, come tu e la mamma, ma è un sentimento
diverso… un po’
come quello nei cartoni… vedi la fatina? Dice che ama il
mago, che darebbe la
vita per lui. E’ un po’ complicato da
spiegare…”
La bambina tira su con il naso. E’ raffreddata ed
è adorabile. “Tipo—tipo mamma
e papà?”
Sbatto le
ciglia, perplessa. “Tipo mamma e papà”
“Mamma
è andata da papà?”
“Mamma
forse ha trovato un altro papà. Uno migliore del
primo”
“Mamma
è innamorata?”
Non so cosa sia
l’amore ma non voglio deludere né illudere la
piccola, avvolta da una coperta per via del raffreddore intenso che
l’ha
colpita in piena estate, in pieno agosto.
“Forse”
Il negozio di
torte in cui Care lavora è vicino al palazzo a
Bushwick, è ampio e colorato, le vetrate che danno sulla
strada e l’insegna
luminosa che rende l’atmosfera calda e adorabile. Una volta
entrati è
impossibile non percepire l’odore intenso di dolci ed in
particolare di
cioccolata, ma, quando varco io la soglia del locale, tutto
ciò che noto è la
mia amica bionda alle prese con due clienti che la fanno sorridere come
al
Whitmore, quando era spensierata e ancora giovane, senza un pancione e
un
uragano biondo da gestire.
“Non
ci credo!” spalanca le labbra ed emette ancora quella risata
gradevole, a tratti acuta e quasi coinvolgente.
Mi avvicino a
passo lento, e sorrido quando lei ci nota, distanti
a una decina di passi.
“Ciao
Care” passo una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. “Siamo
tornate dal parco,” esclamo, prendendo in braccio Leighton e
facendola sedere
sul bancone. “E abbiamo rincorso i taxi gialli come piace
alla biondina qui
presente. Qualche cane potrebbe aver persino abbaiato contro di
noi”
“E’
stato divertentissimo!” urla lei “la prossima volta
dobbiamo
farlo con te” precisa puntigliosa la piccola, mettendo su un
broncio quasi
adorabile, quasi identico
a quello della madre.
“D’accordo,
d’accordo” ridacchia ancora Caroline.
“Elena, voglio
presentarti Enzo e Damon… ragazzi, lei è
Elena”
“Piacere”
Enzo
è l’uomo con cui la mia amica esce da un paio di
sere, le
stesse che io trascorro con la piccola, instaurando un rapporto che non
credevo
possibile perché da bambina ho sempre desiderato essere
mamma ma con il passar
del tempo ho visto il sogno trasformarsi in utopia, poi l’ho
accantonato, non
volendo che accadesse lo stesso riservatomi dai due genitori esemplari che ho
avuto.
“Piacere”
dicono all’unisono loro, Enzo con il suo accento
affascinante e Damon con un sorriso sornione sulle labbra.
“Allora”
propone Caroline strofinando le sue mani “chi vuole
aiutarmi a preparare una torta?”
Sbatto le ciglia
ma non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione
di un freddo appena accennato ma insistente che mi fa rabbrividire.
II
Autunno
“Dolcissssima!”
Saluto
Teréza con un cenno della mano e mi avvicino a lei,
poggiando le mani sul bancone con il registratore di cassa.
“Allora,
cappuccino…”
“…Con
cacao e cornetto all’albicocca, il ssolito!”
termina lei al
mio posto e sorrido sorpresa. Sono qui da poche settimane e lei sembra
conoscermi da una vita, inclina le labbra mentre mi da lo scontrino e
mi regala
uno sguardo pieno d’affetto.
“3,80$,
giusto?” domando io prendendo già gli spiccioli
dal mio
borsellino.
“Oh,
no, no por dios” si affretta a rispondere, enfatizzando la
risposta negativa con un movimento della mano.
“”2$, ormai sei di familia**”
“Ma
Teréza…”
“No,
gordita, 2$, sin hablar!”
Stringo le
labbra e mi affretto a darle ciò che vuole, un po’
contrariata, un po’ arrabbiata, ma riscaldata, per la prima
volta a New York,
da uno strano affetto verso la donna che mi considera la sua famiglia.
“Buona
colazione!”
“Ho
sentito che un avvocato si stabilisce qui, ha comprato lo
studio legale che apparteneva ai Lockwood, nell’edificio
adiacente al negozio
di Vinny… pensi che avrebbe bisogno di te?”
Stringo le
labbra, passando una mano fra i capelli di Leighton:
“Non so, Caroline, ho una laurea in design ma New York non mi
offre alcuna
opportunità: presentarmi per chiedere ‘ehi,
hai bisogno di una mano con l’arredamento?’
non è l’ideale”
“D’accordo”
sospira, “dato che ora sei una tuttofare – e sto ovviamente parlando
del babysitting e della tua
abilità di cucinare pranzi squisiti- potresti farmi
l’ultimo favore della vi-
della giornata?”
“Quale
sarebbe?”
Sorride:
“Semplice, coprire il turno alla tua fantastica amica qui
presente”
“Torte
di fronte, pasticcini sulla destra e pane sulla sinistra…
tutto chiaro?”
Una ragazza dai
lineamenti dolci e dalla pelle ambrata mi indica i
reparti dei quali Care si occupa, sorride calma mentre credo di non
aver
compreso quasi nulla. “Credo di sì…
Bonnie, giusto?”
“Bonnie,
abbiamo cenato una sera assieme, quando Care ci ha
presentate”
“Bene,
allora… okay, torte, pasticcini, altre cose…
no?” indico i
reparti con una mano.
Assottiglia gli
occhi per qualche attimo, “è tutto il
contrario”
poi scoppia a ridere, il tempo necessario per farmi sentire
un’ idiota.
“Senti,
se hai bisogno puoi chiamarmi, i numeri di cellulare degli
impiegati sono in quella stanza” la indica sorridendo,
“ma non credo che avrai
problemi”
Sospiro:
“D’accordo, grazie Bonnie”
“Chi
avrà problemi?”
Ci voltiamo
quasi contemporaneamente verso la voce in questione,
calda e, ne sono convinta, piuttosto ironica.
“Lei
non ne avrà… tu stanne fuori,
d’accordo?”
Alza i
sopracigli e le mani, per proteggersi da Bonnie, che si
sfila il grembiule e lo lascia sotto il bancone.
“Ciao,
Elena… Damon”
“Lunatica”
la saluta lui.
“Ciao
Bonnie”
Mi inumidisco le
labbra con la punta della lingua e sbuffo appena,
tanto per dirigere involontariamente la sua attenzione verso di me.
“Desideri
qualcosa?”
“Mhm,
Caroline dov’è?”
“La
sto sostituendo io” esclamo con una punta di
acidità dovuta a
non so cosa nella mia voce.
“D’accordo…
non dirle che sono passato”
Il bar
è distante da Bushwick di qualche isolato ed è
una giornata
fra donne: io, Caroline, Leighton, Bonnie.
“Lei
sa tutto” continua Caroline, quando siamo sedute al tavolo
con poltrone rosse in pelle, riferendosi a Bonnie.
“Su
Leighton ed il padre” la piccola sta giocando con la bruna in
questione, ridono e scherzano come se fossero sorelle. “Forse
lo ricordi anche
tu… era all’ultimo anno al Whitmore,
Nik?”
Indaga con lo
sguardo e la voce un po’ troppo vivace, la
parlantina più rapida del solito e tamburella le dita sul
tavolino.
Scuoto il capo,
rispondendole negativamente.
“E’
impossibile! Niklaus, Mikaelson, l’egoista narcisista
dell’ultimo anno con cui sono accidentalmente andata a
letto”
Stringo le
labbra, “la mia vita al college è stata terribile,
con
il divorzio dei miei, mio fratello che si trasferisce con mio padre a
New York…
nessuna protesta inutile, nessuna lezione divertente o spring break da
non dimenticare”
La Primadonna
sorride al cameriere che prende le nostre
ordinazioni, Bonnie sorride consolatrice a me e a Caroline e lasciamo
la bimba,
quindi, divertirsi con il povero ragazzo con il blocchetto in mano.
“Quand’è
il tuo compleanno, Lena?”
“Uhm?”
Sono seduta su
uno sgabello stile anni cinquanta del negozio in
cui lavorano Care e Bonnie, alzo lo sguardo dagli annunci di lavoro del
giornale e lo rivolgo alla mia amica.
“Tra
un po’ è il compleanno di Leighton, ho
già organizzato ogni
cosa… in tema di nascite, quando sei nata?”
“Ventidue
giugno” affermo sorridente, “la piccola
compirà cinque
anni, giusto?”
Annuisce fiera,
“sì, ho pensato di rimanere qui, a casa, qualche
torta e qualche amico intimo… tu ci sarai?”
“Non
potrei perdermi la sua festa neanche se volessi” ricambia il
sorriso e continua a parlare, poggiando i gomiti sul bancone.
“Non
avrai problemi di socializzazione, Bonnie ed Enzo ci saranno,
si aggiungeranno Camille ed Hayley, ma manca una persona
all’appello…”
Inarco le
sopracciglia. “Damon,” risponde lei alla mia
silenziosa
domanda “Damon perché è Damon”
Sospira.
“Credi che riuscirò a convincerlo se glielo
domandasse la
piccola?”
Alzo le spalle,
“Non ho avuto modo di conoscerlo” poi passo una
mano fra i capelli e lei sorride con un pizzico di malizia.
“Perché”
inizia sbattendo le lunghe ciglia “ti piacerebbe
farlo?”
“No!”
esclamo con un tono di voce un po’ troppo alto,
“non è il
mio tipo… sembra un donnaiolo egoista con un accento del
sud”
“E tu
sei per le persone incasinate, giusto?”
Sorrido alla sua
provocazione, “Parlando di accenti, è questo
ciò
che ti ha affascinata di Enzo?”
III
Inverno
Are
we all
forgotten? dei Paper Route
fa da sottofondo alla
preparazione per questa serata: il locale dove Bonnie e Care lavorano,
Taste&Smell, sarà chiuso dalle sette di sera in poi:
forse stupido, un po’
strano e basicamente assurdo.
Ma si festeggia
il compleanno di Leighton, 28 dicembre, qualche
amico, la luce un po’ soffusa ed una torta di compleanno su
un tavolino dei
tanti, mentre il cartello “chiuso” sarà
posto in bella vista sulla porta
principale.
E’
freddo, molto freddo, e anche se avessi trovato un appartamento
migliore e poco costoso quasi a Manhattan e un lavoro come designer di
interni per
un’agenzia immobiliare non mi trasferirei: troppo ghiacciato
impacchettare la
propria vita, troppo emotiva e sentimentale per dirlo a Caroline e alla
primadonna a cui mi sono affezionata.
Bonnie controlla
se ci siano candeline, io mi dedico ai cupcakes
al cioccolato e mente che Leigh adora, Caroline agli invitati e un
po’ tutto il
resto.
“Damon
ci sarà” sorride, batte le mani e Leighton
applaude
seguendola. Scuoto la testa, sono identiche.
“Ha
detto che ha risolto il suo problema, quindi ci vediamo questa
sera alle diciannove. E non ho dovuto neanche usufruire degli occhioni
di mia
figlia”
“Secondo
me ha una famiglia alle nostre spalle. Oppure era la
ragazza di turno” Bonnie prende un pacco di fiammiferi e lo
apre.
“Secondo
me dovresti smetterla con queste paranoie… lui è
un tipo
a posto, disordinato, incasinato… e suo fratello
è appena tornato dal Canada!”
Il mio cellulare
squilla, rifiuto la chiamata e continuo ad
osservare la crema scura dei dolcetti a forma di tazza.
“Elena?”
“Nessuno
in particolare” rispondo prima che possa domandare il
perché del mio gesto.
Nessuno in
particolare meno che mio padre.
“Ecco,
gordi! E’ successo qualcosa? Sei en destiempo!***”
Ho imparato
qualcosa di spagnolo grazie a Teréza e al suo
considerarmi come la quarta figlia mai avuta: ogni mattina scendo da
lei prima
di svolgere uno dei miei mille lavori, come una tuttofare, lei mi
prepara il
solito senza neanche più chiedermelo e quando arrivo in
ritardo si preoccupa
come non so chi.
“E’
tutto okay, ieri abbiamo fatto tardi per il compleanno della
piccola”
“Ah”
esclama colpita e un po’ preoccupata. Arriccia il naso
spostando una ciocca riccia dietro l’orecchio: ha la pelle
olivastra ed i
capelli scuri e folti, riccissimi dalla radice alla punta. “E
c’era anche quel
chico, un po’ freddo y todo?”
“Chi?”
“Damon?”
Annuisco,
“c’era anche Damon”
“Ed
è carino come sempre?”
“Perché
lo chiedi a me?”
“Perché
sembri interessata a lui”
“Quando
pensavi di dirmelo?” esordisce Caroline stringendo le
labbra in una striscia severa.
“Hai
trovato tuo padre ma non vuoi parlargli perché sei troppo
orgogliosa, io ho… l’ho saputo, l’ho
sempre saputo ma addirittura… lettere,
Elena? Ti ha scritto e la posta è strapiena…
Perché?”
“Ho
avuto paura, Caroline” mi stringo nella felpa scura e
incrocio
le gambe sul divano. “Ho avuto paura che potesse andar via di
nuovo, che
potesse avere una nuova donna ed una nuova famiglia”
“Pensi
che potrebbe esserne capace?”
Scuoto la testa,
“Non lo so”.
“Ciao
Care, Bonnie”
“Ehi”
sorrido incrociando le braccia e fermandomi a qualche decina
di passi da loro.
“Qualcosa
non va?” scuoto la testa sorridendo, tamburellando le
dita su un tavolino distante. Accorcio lo spazio che intercorre fra me
e loro e
sbatto le ciglia. “E’ che… è
da un po’ di tempo che volevo dirvelo…”
“Cosa?
Che Damon ti interessa è ovvio!” sbuffa la bionda.
“Lasciala
parlare” ride appena Bonnie. Passo le dita sulle
sopracciglia, delineando il loro percorso e innervosendomi ancora di
più.
“Mi
trasferisco. Ho trovato un lavoro ottimo a Manhattan, sarei
vicina a mio padre e Jeremy e… non so, non sarei riuscita a
dirlo alla piccola”
Deglutiscono
entrambe ed io un po’ mi dispiaccio, non era mia
intenzione ferire nessuno ma Bushwick era temporaneo, erano
sistemazioni che
non reggevano ed ora che ho trovato una stabilità non vorrei
perderla, l’unica
cosa reale dopo tre stagioni complicate.
“D’accordo,
sarai sempre la benvenuta qui da noi”
“Quando
vai via?” Bonnie inclina il capo ed io la osservo:
“Presto, a marzo”
“Siamo
a fine gennaio…” Caroline fa qualche calcolo e
conta i mesi
mancanti con le dita, chiude la mano a pugno e dopo qualche attimo ne
escono il
pollice e l’indice.
“Nemmeno
due mesi”
“Lo
so, ve l’avrei detto ma come?
Non sono in grado di lasciarvi andare, siete stata… la
grande famiglia che non
ho mai avuto”
Caroline prende
un respiro profondo. “Leighton ti pregherà, lo
sai, vero?”
Scarico la
tensione emettendo una brevissima risata, “Certo”.
La mia festa
d’addio non è stata come immaginavo: non ci sono
stati discorsi strappalacrime, torte e tartine, solo una cena come
tante e la
piccola che è scoppiata a piangere, poi si è
addormentata dopo convinzioni
dette da me e che ho stentato a credere, dopo rassicurazioni e sì con la
testa che hanno intenerito un
po’ tutti. Enzo e Caroline escono ufficialmente insieme da
una settimana, anche
se paiono mesi e stagioni e anni interi. Sono poggiata contro lo
stipite della
porta che da sulla veranda, le braccia incrociate e i capelli
spettinati.
“E
così… Manhattan” la voce suadente di
Damon risuona nelle mie
orecchie, facendomi trasalire e sorridere.
“La
grande mela”
Non so
perché gli altri guardano noi e vedono un noi,
non lo so poichè, anche se
lui è bello e dannato e con l’aria di uno che sta
soffrendo troppo per fartelo
capire, non ha fatto breccia nel mio cuore facendomi cadere ai suoi
piedi. E
viceversa.
E’
solo affascinante con il suo sorriso bianco e perfetto ed i
capelli un po’ così,
è
bello con il suo accento del sud e la sua gentilezza nel prendere il
solito da
Teréza –che, fra l’altro, è
praticamente impazzita saputo il mio trasferimento
– consistente in cappuccino e cornetto
all’albicocca. Lei ci prende gusto a
vedere le nostre colazioni simili, ride un sacco e ironizza come tutti,
praticamente.
“Non
dimenticarti di noi di Bushwick, allora”
Aggrotto la
fronte: “Non potrei mai, qui
c’è… una parte di me”
“Qui
c’è una parte di te” ripete con voce
bassa e lo sguardo
puntato in avanti, la notte che incombe su New York e una mattina che
sarà
calda perché il calore di Malibù sembra essere
improvvisamente ritornato.
IV
Primavera
“Katherine
delle Risorse Umane vuole vederti, Elena”
Deglutisco a
vuoto perché è un male, male davvero brutto
quando
senti queste parole: c’è solo una ragione per cui Katherine
delle risorse umane vuole
vederti, ed è quella più
semplice, il licenziamento.
Non so
perché da un’agenzia immobiliare sia diventata
giornalista
in un giornale emergente, discuto del design,
dell’arredamento, delle tendenze
d’interni e delle stagioni. Caroline e gli altri lo sapevano
– “lo sapevamo,
era certo!” –
me lo dicono
durante la cena
del venerdì sera
nell’appartamento a Bushwick.
“In
bocca al lupo” Camille incrocia le dita e sorride
amorevolmente, inclinando le labbra all’insù e non
promettendo nulla di buono.
“Quindi
sei stata licenziata?”
Enzo e la sua
perspicacia: non sarei di giovedì sera da loro,
altrimenti, con una bottiglia di birra in mano e gli occhi lucidi per i
sogni
andati in frantumi.
“Non
troverò mai un altro lavoro, sono passata dal nulla al
tuttofare, alla designer, giornalista e credo che suicidarmi sia
l’unica
opzione plausibile”
“Oh,
non dire così – potresti sempre sposare Damon e
vivere di
rendita per i seguenti sessant’anni”
Ormai Caroline
(e Bonnie e Teréza e Leighton ed
Enzo) ci rimpinzano di battute del
genere ogni giorno, motivo per cui non ci facciamo neanche
più caso e ci
ridiamo su come una coppia di ex.
“Lavoro
solo in un’agenzia pubblicitaria: non funzionerebbe mai,
non riuscirei ad arrivare a fine mese per le troppe spese di shopping o
di
cornetti al cioccolato”
Spalanco la
bocca, sorpresa: “Vorrai dire di quelli all’albicocca”
In tutto questo,
Leighton ride a crepapelle.
Da:Damon
A: Elena
Ristorante dei
quartieri alti adatto per Enzo&Bionda?
Da: Elena
A: Damon
Little owl,
Bedford Street, 90
PS.
Porquè?
Da: Damon
A: Elena
Vuole solo fare
il romantico senza darti fastidio xx
Da: Elena
A: Damon
D’accordo
xx
“Ci
siamo lasciati”
“Cosa?”
“Cosa?”
“Mamma?”
Caroline
sospira: “Leigthon, perché non vai da zio Damon?
E’
seduto lì che mangia la cheesecake”
“Non
sono piccola per capire” ribatte lei incrociando le braccia e
sbuffando rumorosamente.
Io e Bonnie
sbattiamo le ciglia, completamente scandalizzate.
“Come è
successo?” “Cosa è
successo?” esordiamo assieme mentre la piccola raggiunge
Damon che la prende in
braccio e lui, allora, inizia a giocarci.
“E’
stata l’altra sera, ad un ristorante a Manhattan…
mi ha
chiesto di sposarlo”
“Cosa?”
“Cosa?”
“Lo
so! E’ stato sbagliato e terribilmente impulsivo,
l’ha fatto
con nonchalance ed ha detto che non ne poteva più, potevamo
origliare le
conversazioni fra Damon ed Elena assieme come sempre ma con
l’unica differenza
di avere un anello al dito… non sarebbe cambiato nulla e
Leighton lo adora
comunque…”
“Non
potevate parlarne? Decidere che siete troppo giovani per un
matrimonio?”
“Ho
solo venticinque anni, Bonnie… io…”
Poi scoppia a
piangere e c’è solo la cioccolata a tirarle su il
morale… assieme a noi.
“Il
tuo amico ha fatto una gigantesca cazzata”
“La
tua amica è impazzita”
Damon mi passa
la birra fredda che condividiamo seduti per terra,
allo stipite della porta che da sulla veranda proprio come
l’inverno passato.
“Pensi
che troveranno una soluzione?”
Ride a quelle
mie parole ed un impercettibile soffio d’aria
fuoriesce dalle sue labbra umide.
E’
sempre sera, quasi notte, il profilo illuminato solo dalle luci
di Bushwick e dalla luna oggi piena.
Decido di
trascorrere la serata nel mio vecchio appartamento per
stare vicino a Caroline, giù di morale, e Leighton, troppo
su di morale per
tanta tristezza.
“Perché
la gente commette così tanti errori, Damon?”
Alza i
sopraccigli, “Dipende dall’errore, raggio di
sole”
“Perché”
inizio divertita, “se l’errore appare giusto anche
se
terribilmente sbagliato, tu continueresti a commetterlo?”
Mi guarda con i
suoi occhi caldi, il cielo di Malibù dentro:
“Anche tutta la notte”