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Autore: Blulululle    23/04/2014    3 recensioni
Lilike ha diciannove anni. Lunghi capelli neri, occhi scuri e pelle olivastra.
Siamo durante la seconda guerra mondiale, e la città dove abita viene presa dai tedeschi. Scappa, insieme ai suoi vicini. Cosa accadrà durante il lungo viaggio che durerà lungo tutta la durata della guerra? Quali amori, quali vicende e avventure sconvolgeranno la vita di Lil?
Genere: Avventura, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 1
 
Lilike era seduta davanti al suo pianoforte e suonava una allegra marcia. L'aveva già fatto mille volte, sembrava che quella melodia piacesse molto ai russi. Ridevano  e cantavano parole che lei non capiva bene. Era circondata da uomini in uniforme, erano militari ed erano appena tornati da una battaglia. Avevano vinto contro i tedeschi e questo li aveva fatti diventare davvero di buon umore. Le truppe che erano sul fronte e che erano sopravvissute erano state rimandate a casa e sostituite da giovani più freschi e riposati. Quegli uomini non vedevano una vasca da bagno da mesi, erano sporchi, maleodoranti e ubriachi.
Una combinazione che non piaceva affatto a Lilike.
L'unico che parlava un po' di ungherese disse a Lilike di suonare l'inno nazionale russo. Stavano lì da ore a bere e a fumare, cantando a squarciagola. Dopo l'ultima strofa alzò per andarsene, erano le cinque del mattino e aveva finito il suo turno,  il locale stava per chiudere. Uno di loro la trattenne per la vita.
"Mica ci lascerai qui, così insoddisfatti?" le disse in un ungaro incerto e biascicato, da ubriaco.
"Mi lasci, o chiamerò il buttafuori!" gli urlò. Lui la lasciò e lei corse via tra le risa degli altri militari.
"Vuoi che ti accompagni a casa, Lil?" le chiese il proprietario, parlando la lingua di lei, un ometto basso, tarchiato e con due grandi baffi neri.
"Non si preoccupi signor Peskov, è tutto a posto. Tra poco il sole sorgerà." gli rispose, ma non ne era tanto sicura. Le strade, con tutti quei soldati ubriachi in licenza non erano sicure.
"Arrivederci Lilike" la salutò mentre lei usciva dal locale.
Non appena arrivò a casa si butto sul letto, esausta.
Ma alle undici fu svegliata da un rumore insistente e odioso. Lanciò un cuscino sulla porta.
La sua casa era composta da un'unica stanza, e il letto occupava la maggior parte dello spazio. E l'affitto era già abbastanza alto per lei. Avrebbe dovuto vivere in una casa con altre persone, come spesso accadeva ancora a quei tempi, affittando solo una stanza, ma da quando lavorava in quel locale riusciva a permettersi di vivere da sola. Per lei era stato entusiasmante avere per la prima volta della privacy.
Il rumore continuava. Si alzò per aprire, era ancora vestita, e sbirciò dalla porta, aprendo solo uno spiraglio. Era il suo vicino, il signor Kolinov. Aveva sui trent'anni, era piuttosto piacente con i suoi capelli neri corti, i suoi occhi azzurri e i baffi sottili. Ed era anche sposato.
Lui e la moglie erano operai nella stessa fabbrica, e per causa di un incidente sul lavoro che aveva tolto al signor Kolinov la parte di gamba destra dal ginocchio in giù, non era stato chiamato  dall'esercito. "Salve" gli disse Lilike.
Il suo volto era pallido, gli occhi sgranati. Nel vederlo in questo stato Lilike si preoccupò.
"Stanno entrando in città, Volgograd sta per essere occupata."
Non c'era bisogno di precisare da chi. I tedeschi, che erano stati ricacciati il giorno prima su un fronte, ora si stavano concentrando sull'altro. Le leggende e le dicerie sulla scia di stupri e di violenza che i tedeschi portavano dietro di se spaventava, così le strade erano così affollate di gente che cercava di scappare che non c'era modo di muoversi sulle strade principali.
Il signor Kolinov, sua moglie, i loro due bambini e Lilike scesero in strada per fuggire insieme.  Guardando quella folla infinita a Lilike vennero le lacrime agli occhi.
"Venite" gridò Kolinov.
Rientrarono nel palazzo, salirono le scale, il signor Kolinov arrancando con il suo bastone e appoggiandosi alla ringhiera, e gli altri al suo seguito.
Salirono all'ultimo piano e l'uomo sfondò con il suo bastone la porta di legno del tetto, fu abbastanza facile perché il legno era marcio e i cardini arrugginiti. Iniziarono a correre sul tetto. Presero una trave e la misero con le estremità appoggiate sui vicini cornicioni dei due palazzi. La moglie di Kolinov, Myka, e lui presero i bambini e li lanciarono dall'altra parte uno alla volta. Atterrarono sul sedere e non si fecero male. Poi Lilike attraverso velocemente la trave, Myka aiutò il marito che avanzava con molta difficoltà sulla trave, stretta.
Arrivarono così fino ad una strada meno trafficata. Sfondarono una altra porta sul tetto e scesero. Iniziarono a correre, compreso il pover'uomo zoppo, che si sforzava di non rallentare gli altri.
Volgograd era completamente bloccata, le macchine erano state abbandonate dai loro passeggeri, che avevano ritenuto più veloce andare a piedi. Raggiunsero la periferia e poi le campagne, a est.
I bambini, Zoya e Gavril, erano esausti e la bambina piangeva.
"Zoya, smettila di piangere, oppure vuoi che gli altri ti chiamino plaksa?" la rimproverò il padre. Zoya smise di piangere lentamente. "Prozor, cosa facciamo ora?" chiese Myka al marito.
Prozor Kolinov ci pensò su. Si era seduto su una roccia, aveva il mento poggiato sulla mano destra e gli occhi chiusi. Lilike lo trovò bellissimo.
Avrebbe voluto che la moglie e i figli si fossero persi per strada in modo da avere l'uomo solo e tutto per se. Si rimproverò per quei cattivi pensieri e si diede un pizzicotto sul polso senza farsi vedere dagli altri.
Zoya si sedette sulle gambe della madre. Era bionda come la madre, aveva la pelle chiara e gli occhi azzurri di Prozor. La mandre, Myka, era una bella donna, ancora giovane ma dall'aria stanca: il lavoro in fabbrica, i bambini, la guerra, non rientravano nel suo progetto di vita. Lil provò pena per lei.
Lil era invece nel fiore dell'età, aveva diciannove anni, e nessun legame. Non appena finita la guerra, se fosse sopravvissuta, avrebbe trovato i suoi genitori e si sarebbe ricongiunta con loro.
Quando il suo paese era stato invaso i suoi genitori l'avevano messa su un treno, insieme ad un amico di famiglia, che era stato ben contento di prendersi cura di una ragazza così carina. Nonostante tutte le galanterie che quell'uomo le aveva fatto durante il viaggio lei non aveva ceduto e non aveva accettato di divenire la sua amante lì, in Russia. Allora, non appena arrivati, lui l'aveva piantata alla stazione, da sola, in un paese straniero di cui non sapeva nemmeno parlare la lingua. Dopo poco era scoppiata la guerra e la sua abilità nel suonare il piano le avevano concesso di lavorare come musicista per i soldati, che non appena ritornati in patria erano soliti spendere tutta la loro licenza nei bar. Dopo sei mesi passati in Russia stava incominciando a capire qualche parola.  "Lil, vuoi continuare la strada con noi? Forse ti saremmo solo d'impiccio" le chiese Prozor, che parlava bene l'ungherese, a differenza della moglie.
"Se non vi spiace, vorrei continuare con voi: mi sentirei molto più sicura." rispose. Prozor sorrise.
Dopo la breve pausa continuarono a camminare verso est, lontano dai tedeschi. Prozor aveva deciso che era meglio allontanarsi dalle campagne e rifugiarsi in una qualche piccola città che i tedeschi non avevano scopo di conquistare. Si avviarono verso Ėlista, che distava vari giorni di viaggio nelle deserte campagne.
Quando arrivarono chiesero alloggio e Prozor pagò con i pochi soldi che aveva. Lil aveva le mance che giorni prima quei russi ubriachi le avevano infilato nel vestito, nessuno aveva portato altro a parte quello che già aveva indosso. Lil sentiva il bisogno di un bagno, di cibo e di dormire, ma mantenne queste cose per se, non voleva seccare i suoi protettori. I bambini invece non si facevano questi scrupoli, Gavril, che aveva sette anni e assomigliava al padre in tutto e per tutto, pestava i piedi per terra e insultava la sorellina minore, che aveva ripreso a piagnucolare. Nella locanda dove alloggiavano gli servirono una brodaglia annacquata e una fetta di pane nero. Divorano tutto, ma dopo avevano ancora fame. Prozor divise la sua fetta di pane in due e diede le parti ai figli. Lil trovò quel gesto molto nobile e i sentimenti che provava per quell'uomo le fecero girare la testa, complice anche la stanchezza e la fame, e svenne.
Prozor la portò in camera, comune a tutti e cinque e la lasciò riposare.
  
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