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Autore: Jay_Myler    24/04/2014    1 recensioni
Racconto originale, che si ambienta in una cittadina che ricorda il londinese, all'incirca nell'Ottocento, in uno scenario un po' catastrofista governato da intrighi ed inganni dai signori dell'epoca, ma sopratutto da Lui, una figura enigmatica che si staglia contro i nostri protagonisti; eroi della nostra storia sono una ex contessina costretta a nascondere la sua vera natura ed un ex mercenario con cui condivide il suo segreto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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POV: Castiel
Martedì, 27 ore 01:30 am
Cancello interno sud-ovest della prigione di stato

Ormai erano settimane che me lo stavo chiedendo, e non sapevo darmi una risposta precisa, non riuscivo a capire quando la mia vita avesse preso questa strana ed imprevista svolta; quando è cambiata la mia vita? E' stato un attimo fugace a farmela ribaltare completamente, solo un breve ed intenso istante; sapevo quando aveva avuto una svolta decisiva, ma non capivo quando aveva preso questa piega pericolosa.
D'altronde sapevo a cosa andavo incontro, ma lei è diventata il mio tutto e nonostante ogni giorno vedessi nei suoi occhi, pericolosamente freddi, il destino che mi attendeva, continuavo a starle vicino; era diventata la mia droga, ne avevo assolutamente bisogno, cascasse il mondo io non mi sarei separato mai da lei.
Sono diventato debole.
Ecco cosa è successo; così, di punto in bianco, senza che me ne accorgessi e potessi mettere un freno a questa pazzia.
Ora anche io ho un tallone d'Achille, una cosa che mi rende vulnerabile al mondo esterno… Se solo sapesse da cosa è partito tutto questo: lei era il mio bersaglio, la mia preda, dovevo conquistarmi la sua fiducia ed invece è stata lei a conquistarmi.
E pensare che nemmeno avevo accettato all’inizio.
Dannazione, Castiel, tu e i tuoi sentimenti.
Cosa ho fatto mai per meritarmi un futuro incerto e pieno di pericoli? Oltre ovviamente ad aver scelto una vita dannata da mercenario doppiogiochista attaccato ai soldi, che come unica meta ha la vendetta personale.
Ma non posso perdere tempo a pormi domande esistenziali, il tempo non mi è amico per niente, devo sbrigarmi ad andare da lei; mi aspetta lo so, ma ora che sono un ricercato non so come fare ad avvicinarmi senza che prendano anche me.

Maledizione.

Non riesco ad essere lucido, gli occhi si chiudono ma non posso permettermi distrazioni, non capisco se è il sonno o l'astinenza da lei a procurarmi questa sensazione anche nello stomaco; è forte, è presente, ma soprattutto è reale, la sento girarmi le viscere mentre tento di non cadere a terra reggendomi a questo sudicio puro di cinta.
Ieri notte questa è stato il culmine della sua insopportabilità, era lacerante, mi stava logorando nel senso fisico della parola; e tutto questo perché me la sono vista portare via da sotto gli occhi senza che potessi fare niente e mi sentivo tanto male quanto impotente in quella situazione. Quei vigliacchi hanno agito con il calare della notte, mentre lei dormiva, o meglio mentre stavamo dormendo, ed io stavo ad un passo a loro, nell'ombra, a guardare la scena; ero lì, pochi istanti prima per guardarla dormire… era così bella e così tenera ed indifesa, un angelo, un angelo caduto in questo mondo infausto che l'ha fatta solo soffrire e perdere le ali.
E così, senza tanti giri di parole l'hanno presa e svegliata, mentre lei non capiva nemmeno cosa stava succedendo; l'avevano scossa urlandole in faccia, ordinandole di dire immediatamente dove mi trovassi io, ma lei non aveva aperto bocca, fu una vera fortuna che non avessero ancora capito chi lei fosse davvero, quel branco di scellerati non aveva la più pallida idea di chi aveva tra le loro mani. Vidi uno di loro alzare una mano per darle uno schiaffo, stavo per lanciarmi sopra di lui per impedirglielo, per fermarlo, nessuno poteva metterle le mani addosso, quando ci fu un boato che rimbombò nella casa per due minuti; vidi il panico negli occhi delle guardie, che senza pensarci la presero di peso e la portarono via prima che potessi fare qualcosa e senza accorgersene stavano portando a casa un bottino molto più lauto di quelli che erano venuti a reclamare.
Sapevo che il loro panico era più che giustificato, vidi nei loro occhi il panico che si manifesta solo nelle prede dei grandi cacciatori che sanno di essere spacciati quando si trovano il muso del predatore a meno di due centimetri dal loro; se ne erano andati per salvaguardare la propria incolumità, loro che potevano a differenza di una povera preda succube e vittima della presenza sovrastante di chi la cacciava.
Una volta anche io temevo quell’assordante boato, simbolo della più grande sventura che poteva avvenire: Lui era adirato e voleva ciò che cercava immediatamente, ma adesso era il silenzio a lacerarmi i timpani, il silenzio della solitudine che accertava che ormai avevo perso tutto ed ero rimasto da solo e per la prima volta questa cosa mi fece paura.
Ma quel rumore che aveva scandito i due minuti precedenti, indicava rientro immediato, con o senza il proprio obiettivo, anche se nel secondo caso a rimetterci sarebbe stata il predatore stesso, altro che ambasciator non porta pena, qui porta alla fine della propria esistenza.
Ora invece non mi importava più niente se Lui mandava il segnale o meno; quello che mi aveva portato il risentirlo di nuovo, era stato il perdere quello a cui tenevo di più con quell’assordante rumore di sottofondo: come una sgraziata musica da camera rovina una bella serata, quella sirena ha rovinato la mia vita.
Sento qualcosa di caldo e umido sulla mia guancia che lentamente scende sulle mie labbra, sento il sale inaridirmi le labbra che un secondo prima aveva bagnato l’acqua delle lacrime; probabilmente sono proprio queste le lacrime amare di cui si sente tanto parlare, un attimo prima ti saziano d’acqua ed un attimo dopo ti ardono la pelle.
Inutile, ragazzo hai anteposto tu la tua libertà alla sua ed ora stai anche piangendo, vergognati; non sei stato addestrato per questo, non ti sei mai fermato davanti ad una situazione critica e sei sempre andato avanti senza pentirti delle tue scelte.
Questa ragazza ti fa male. O sono io che ho fatto male a lei? Il suo malessere era già così grande ed io l’ho fatto ingigantire ancora di più senza che lei lo sapesse.
Quando mi scoprirà, non vorrà più vedermi; mi ucciderà con le sue stesse mani e non la biasimerò per questo, ha le sue ragioni più che giuste e fondate per farlo.
Sto facendo la guardia da più di due ore e non c'è anima viva qui fuori, il clima tetro del dentro si ripercuote anche qui, sotto la luce di poche fiaccole, in questi vicoli bui e deserti, coperti solo di un argenteo etereo che la luna dona di tanto in tanto; i muri completamente fatti di mattoni splendono sotto la luce lunare e da rossi sembrano quasi essere ricoperti del platino più puro, e al tatto sono così freddi che non riesco nemmeno a starci vicino, sento la loro umidità penetrarmi nelle ossa. Dentro il complesso sette ci sono due guardie, una volta sentii lo schema delle guardie mentre veniva esposto, ma non ricordo quando, e se faranno il cambio durante la notte.
Ora a mente lucida ho capito che è stata la cosa migliore rimanere in disparte, non farmi trovare da quegli avvoltoi in tunica nera, se per sfortuna mi avessero catturato insieme a lei chi ci avrebbe liberato? Oltre al danno la beffa, incriminati per un reato che non abbiamo commesso, ma non possiamo dimostrarlo, i veri fautori sono nelle cariche più alte e pure se trovassimo le prove più schiaccianti ci rinchiuderebbero lo stesso nelle celle reali e da lì non avremmo più via di fuga, tranne che la morte stessa.
Mi riposerò un po', cinque minuti vicino questo muro gelido, non possono che farmi bene… la stanchezza di certo non aiuterà i miei riflessi.

Infondo sono solo cinque minuti...

                                                                       ***

«Joyce, vieni qui!»
«Eccomi» scattai in piedi come un vero soldatino; mi divertivo a farlo spesso in quella situazione, il mio prendere in giro tutti quei burattini mal addestrati che loro chiamano soldati era l’unico passatempo che avevo lì in mezzo.
Sapevo già cosa mi volevano dire, ero stato avvisato già dal mio informatore personale, non mi faccio mica trovare impreparato su queste cose, è vero che ora lavoravo per Lui, ma non mi fidavo lo stesso di nessuno, sono stato addestrato così e sono cresciuto così, per dubitare, per svolgere il mio lavoro senza interferenze, senza ostacoli che essi fossero persone, animali, i miei sentimenti o Lui in persona. Avrei preferito non accettare quello che mi stavano per proporre, erano affari interni che a me non interessavano affatto, ma mi avevano mandato a lavorare qui perché dicevano che ero il più qualificato, che cercavano solo il meglio, che io ero il meglio.
Sapevo di essere il meglio, lo sono sempre stato, e quando mi avevano chiamato non mi ero affatto stupito, anzi mi aveva fatto rimanere un attimo attonito il fatto che ci avessero messo tutto quel tempo per notarmi ed arruolarmi… o almeno loro così dicevano loro, che mi avevano arruolato; non si può arruolare un mercenario, come non si può addomesticare una pantera.
Con questa missione si andava sul personale, lui ce l'aveva personalmente con quella famiglia, e non ho mai compreso il perché, non che mi interessasse, ma era così strano che affidasse una missione così particolare a me, che ero entrato a collaborare con i suoi uomini da meno di un anno; non credevo potesse dare così tanta fiducia al primo pivellino che passa di lì; sono sempre l’uomo migliore che ha in tutto il regno, ma lui non poteva avere la certezza della mia fedeltà nei suoi confronti. Non sapevo tutti i dettagli, ma sapevo di dover intraprendere questa missione per suo volere specifico; probabilmente aveva un'alta considerazione di me, ed ero entrato nelle sue grazie in men che non si dica, in questo caso era tutto a mio vantaggio.
Bene, meglio averlo come amico che come nemico; se amico si può chiamare questo tipo di rapporto: era più un “o rimani fedele a me o la morte”.
Un'ampia scelta direi.
Mi incamminai in mezzo alla tendopoli che si era costruita intorno all’accademia; era qui che mi avevano sistemato per il mio addestramento... come se ce ne fosse bisogno poi: in men che non si dica sono passato dall’andare a seguire i corsi all’insegnare ai cadetti come comportarsi e come combattere. Un avanzamento di grado molto veloce, o almeno così mi dicevano, nessuno mi vedeva di buon occhio, dicevano che non era giusto che una simile feccia come me dovesse vivere insieme ad eroi come loro e fare carriera molto più velocemente di qualsiasi di loro scelto a caso; ragazzi non era mica colpa mia se siete sempre stati un branco di incompetenti, ma capisco la vostra ovvia invidia nel vedere un vero portento all’opera. Il loro rancore era il mio pasto quotidiano. Scorsi da lontano la tende più grande, di un forte verde bottiglia che sovrastava sia in altezza che in grandezza tutte le altre là intorno.
Una volta entrato salutai con il saluto militare il comandante in carica – sì, mi divertivo un sacco a prenderli i n giro senza che loro se ne accorgessero – e feci finta di non sapere niente ed ascoltando attentamente tutte le informazioni che mi stava dando.
Mentre parlava notai che il comandante aveva una grossa ferita sull’occhio destro e non capivo come un uomo che nella Grande guerra abbia combattuto solo un’insignificante battaglia nelle retrovie metropolitane, potesse portare tutte quelle medaglie che gli appesantivano la casacca per una semplice, banale cicatrice su un occhio. Se lui con quella sciocchezza aveva tutto quell’oro addosso, io con tutte le mie ferite sarei stato ricoperto da medaglie e meriti, o almeno credo , non mi sono mai interessato di queste stronzate burocratiche; ma più fissavo i suoi occhi neri, più mi sembrava quella cicatrice un suppelletto decorativo, un po’ come il trucco che usano le donne per rendersi graziose; ecco quella ferita era graziosa e le ferite di guerra non sono mai graziose, chissà magari se l’era fatta mentre si rasava, sbattendo la testa in qualche mobile.

Dilettante.

Ogni mia ferita e cicatrice era stata impressa con non poca fatica dai miei avversari e se ne portavo ancora i segni portavo merito a chi me le aveva procurate, come di dovere; chissà se lui dava merito allo spigolo che gli aveva così “amaramente deturpato” l’occhio destro; così era scritto sul suo fascicolo personale nei segni distintivi. Tranne per quella piccola cicatrice quell’ometto era del tutto insignificante, capelli scuri, occhi scuri, carnagione olivastra, stretta di mano molle e tanto ego per nulla.
Scoprii nuove cose su quello che mi era stato assegnato: non c'era un vero e proprio collegamento con la famiglia Spencer che ossessionava Lui, l'unico collegamento che il mio obiettivo e la loro casata aveva, era che era andato stoltamente ad abitare nella loro vecchia magione che era disabitata ormai da tempo, e lo sapevo per esperienza: molte volte ero stato mandato in ricognizione per cercare i segreti di quella reggia con scarsi risultati, fino a quando non si stabilì che era una semplice casa, senza passaggi segreti e scheletri nell'armadio, anche se Lui non si dava certamente per vinto e cercava disperatamente il modo di far rivivere gli spettri di quelle persone di cui si era sbarazzato molto tempo prima.
«Il soggetto che dovrai avvicinare è un personaggio che non abbiamo nei nostri archivi, è uno straniero, ma sospettiamo che possa sapere qualcosa sulla casa. Nessuno sano di mente si stabilirebbe lì sapendo l’interesse che Lui nutre per quella magione. Quindi quello che interessa è capire se è solo uno stolto che non conosce le nostre regole o è una spia addestrata che è stata mandata qui, essendo in possesso di informazioni che a noi interessano. Ora sta a te andare e comportarti di conseguenza»
Dovevo controllare una persona della quale era dubbia l’appartenenza ad un gruppo delle forze armate scelte? Neanche da piccolo mio padre mi mandava fuori in missione per così poco, senza una dovuta documentazione non avevo intenzione di muovermi. Per un dubbio non mi schiodavo neanche dalla mia branda.
Mi sentivo indignato.
«Mi mandate per una missione di ricognizione? Potrebbe essere un falso allarme, mi avete retrocesso?»
«Capisco il tuo disagio Joyce, ma Lui pensa ai suoi interessi, se è un falso allarme non c'è niente di problematico, farà eliminare il soggetto e via, ci siamo tolti il dente; se invece sono informazioni che gli interessano vuole che nessuno ne venga a conoscenza ed esige solo il personale più adatto e qualificato e questa volta ha fatto un nome preciso: il tuo. Solo il migliore ha detto.»
Non potevo davvero crederci; da quando ero il galoppino di qualcuno; la gente mi ha sempre pagato a peso d'oro, e solo se la cosa mi poteva vagamente interessare la prendevo in considerazione prima di accettare il lavoro. In quella situazione però, io ero dalla parte svantaggiata, dovevo sottostare senza poter proferire parola, senza un lamento o anche uno sbuffo se tenevo ancora alla mia vita. Ma non mi sono mai fatto mettere i piedi in testa e quella di certo non sarebbe stata la prima volta.
«Mi dispiace, ma non credo che questo compito spetti a me. Comprendo la fiducia che mi è stata riposta ma lo ritengo comunque un incarico indegno per il mio calibro; non sto dicendo di voler andare contro una Sua decisione, ma di certo non mi scomoderò ad andare a fare da balia ed un essere senza alcun valore. Vorrei prima cartelle, documentazione; devo conoscere contro chi sto per mettermi. Sono un mercenario, lo sono sempre stato e sempre lo sarò; ho lavorato sempre e solo per i miei bisogni, ora sto collaborando con Lui, è vero, ma ciò non vuol dire che debba scendere a questi livelli. Mi dispiace ma non accetterò un incarico simile» dissi risoluto scorgendo negli occhi del comandante un barlume di rispetto e di ammirazione in un mare di paura e terrore nei Suoi confronti e delle sue decisioni.
«Io... come vuole Joyce. Non starò certo qui ad elencarle gli svariati motivi per i quali non si nega niente a Lui; li conosce bene, anche fin troppo bene. Non creda che la sua identità sia un mistero per tutti... io la conosco e so il suo segreto. Non mi guardi con quella faccia, non lo dirò a nessuno, deve solo sperare che non si venga mai a sapere nelle alte cariche o per lei sarà finita. Direi che questo è il motivo che batte sicuramente tutti gli altri; verranno fatte ricerche su di lei, per vedere come può essere ricattato e metterla alle strette. Ma cosa sto facendo? Sto mettendo in guardia un mercenario. Anzi, Il Mercenario. Ora vada»
Non persi tempo a discutere ancora con quell'uomo, non valeva il mio tempo. Lo aveva capito anche lui, e per quanto potesse sapere su di me o sul mio passato, aveva giurato di non dirlo. Ma si era scordato una regola molto importante: mai dire ad un mercenario che si sa troppo, perché potrebbe condurti al riposo eterno.
Ma non c'era tempo da perdere con quel tenete da quattro soldi, mi sarei occupato di lui in altre circostanze, non c'era di certo fretta. Quello che più mi premeva ora era come avrebbe reagito Lui, al sentire il mio secco rifiuto. Lo avrebbe saputo di lì a pochi minuti, i suoi galoppini sono così tanti che le stelle sembrano pochissime al confronto. E di certo io non sarei entrato in quella massa senza cervello, oscurata da Lui in persona. Sarebbe stato di certo il posto ideale dove trovarmi a compito fatto, ma ora non era né il luogo né il momento; l'occasione si sarebbe presentata e non poteva essere una sciocchezza del genere. Per farmi affidare tutto da Lui, perfino la sua stessa vita dovevo aspettare che il colpo si facesse grosso, molto grosso. Uno straniero alle prese con una casa di cui non conosceva neanche gli ex proprietari, tanto meno la loro storia, non poteva essere altro che una perdita di tempo. Tra l'altro anche una cosa poco sollazzante per me.
Ero abituato a confrontarmi con i più grandi guerrieri di tutte le epoche, senza scrupoli, con sangue freddo, che come unico obiettivo avevano la morte del proprio avversario; non si fermavano davanti a niente, anche con un arto in meno continuavano ad essere validi avversari, anzi ancora più temerari. Quelli sì che erano bei tempi, al confronto con questo ultimo anno era oro colato; ma bisogna pensare in grande e con calma ero arrivato ai piedi del monte della vendetta che stavo scalando, lentamente, ma è pur risaputo che la vendetta è un piatto che va servito freddo.
Non avevo altro che per la mente quella stupida richiesta di ricognizione; come poteva essere un uomo tanto ossessionato da una sola famiglia?
Ne sapevo qualcosa, ma i miei motivi mi erano palesi, i suoi di certo non potevo conoscerli, non ancora, ma di lì a poco avrei saputo tutto sulla realtà delle cose. Molte azioni, pensieri, e missioni avrebbero avuto un senso, una volta che lui mi avrebbe spiegato tutto.
«Joyce...»
«Eccomi»

Entrare in quella stanza fece cambiare molto della mia vita.

C. Jay Myler
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