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Autore: laragazzadislessica    27/04/2014    3 recensioni
Se non tutta la discendenza licantropa di Klaus fosse morta?
Se uno di essi fosse sopravvissuto allo sterminio di Mikael e se fosse dotato di un potente potere?
Storia che si allaccia all'episodio 01*13, ma che prosegue in un'altra direzione.
Genere: Drammatico, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah/Hayley, Klaus/Caroline, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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NEW BORN
“Connesso al mondo
Connesso a te stesso
Esteso, come una contrazione di una nuova nascita
E per l’amore a cui ti nascondi
E per l’amaro interno
Sta crescendo come un feto.
Quando hai visto troppo e al contempo sei ancora così giovane
I senza cuore sono ovunque."
Muse:New Born


Klaus aprì gli occhi, ma la vista sfocata gli rese tutto inverosimile. Li richiuse con forza cercando di pulire via gli aloni che rendevano la sua vista opaca e quando lì aprì, riuscì a riconoscere qualcosa. Quel bianco satinato e smorto doveva essere la pittura di un soffitto, almeno si trovava al coperto. Alzò la testa, o almeno tentò e gocce di sudore scivolate dalla fronte zuppa, si tuffarono negli occhi che bruciarono lievemente, ma non fu questo a bloccarlo. Klaus non riuscì ad alzare la testa perché semplicemente, non ne aveva le forze. Tentò di asciugarsi la fronte aiutandosi con la mano, ma era, anzi entrambe erano, immobilizzate da qualcosa. Provò a strappare qualsiasi cosa lo stesso trattenendo, ma erano anni che non si sentiva così debole. Nausea e colati di vomito apparvero all'improvviso e la sorpresa nel sentire quelle sensazioni troppo umane per lui che ne fu sconcertato. A ogni crampo lo sentiva. Sentiva qualcosa nella sua pancia di solido come... come... poi ricordò tutto. Sophie Doveraux lo aveva pugnalato e rammentò anche l’aggeggio avorio ce aveva usato come pugnale. Era da tanto tempo che era in giro e sapeva bene che il suo stato era sicuramente dato da quel dannato strumento infernale. L’arma di Papa Tunde. Doveva sbarazzarsene. Doveva liberare una delle sue mani, afferrarlo e strapparlo via dal suo ventre, ma era troppo stanco per farlo. Così stanco che non riusciva a tenere gli occhi aperti. Lì spalancò così forte che quasi gli fece male. Non doveva cedere. Non doveva lasciare che la magia di quel corno di mucca, o chissà quale altro animale, lo portasse giù con sé. Doveva resistere. Lui era l'ibrido. Era l'essere più forte presente sulla terra e non... e non... non doveva arrendersi. Che cosa gli sarebbe successo? Qualcuno dei sui fratelli lo avrebbe liberato? Soprattutto perché era lì? Domande futili adesso paragonate alla sua urgenza di chiudere gli occhi e lo fece. Scivolò in un sonno profondo accondiscendendo a quel potere decisamente più forte del suo, sperando segretamente in cuor suo, quasi pregando, che qualcuno lo salvasse, qualcuno che... qualcuno che lo amasse nonostante tutto. Nonostante... sì, nonostante tutto.
Da qualche parte in quel luogo, cioè un ospedale abbandonato da anni, quindici streghe stavano compiendo un incantesimo.
Capitanate da Celeste, Genevieve e Bastianna, le streghe messe in circolo, circondavano la cosa, o meglio dire, l’essere che sarebbe stato capace di sbarazzarsi una volta per tutte della famiglia Mikealson al completo.
Un lupo.
Un cucciolo di lupo dal pelo rosso. Seduto sulle zampe posteriori, guardava Celeste come se stesse aspettando un premio dal padrone. Era stata lei a scovare la leggenda e sempre lei era riuscita a far arrivare quella bestia a New Orleans. Quella, però, non era una semplice bestia. Sunna o anche detto Morg Sunna, oppure Wì Hé. Essenzialmente volevano dire sia per la lingua Norrena che Lakota, prole del sole. Come un lupo potesse essere stato definito così da queste due civiltà era un mistero, ma le streghe non si fecero tante domande. Il loro scopo era sbarazzarsi dei vampiri e soprattutto del capofamiglia Klaus e quando le capostipiti le proposero quella soluzione obbedirono e basta. Celeste iniziò a recitare le tre frasi del rito e da brave soldatine, le streghe la seguirono in coro. La magia di quel incantesimo si manifestò da subito. Dalle loro mani unite si innalzò una sottile striscia color oro che avvolse l’animale come un baco da seta. Si sollevò da terra e fluttuando nell'aria lo scudo iridescente emanò raggi di ogni colore. Intanto, la figura del lupo si stava modificando deformando l’ovulo d’orato in strane forme. La criniera si modellò in capelli che crebbero in ricci rossi fino a superare la metà del suo corpo. Le orecchie a punta vennero spinte al di sotto dei capelli diventando delle piccole orecchie umane. Il muso si schiacciò in un viso minuto. Le zampe posteriori si distesero in due gambe sottili e fragili. Il busto, con qualche esitazione in più, si compresse in un movimento che sembrò doloroso, anzi tutto quello che gli era successo doveva far un male cane, ma il non più lupo non emise neanche un lamento. Per ultimo si formarono le braccia e le mani, piccole ed esili tanto quanto tutto il resto del corpo.
Era una ragazza.
Una ragazza in carne ed ossa, che non dimostrava più di quindici anni. Come poteva essere lei la soluzione per una famiglia di vampiri originali, capitanati da un fratello bastardo?
L'alone stregato stava riportando la loro salvatrice per terra e non appena le sue dita dei piedi toccarono il pavimento, qualcosa nel suo corpo non funzionò e la ragazza cadde al suolo con un tonfo che rintronò per tutta la stanza.
- Wì Hè – la voce di Celeste provenne dalla sua testa china e le streghe si guardarono sconcertate sul da farsi. Dovevano imitarla? – Mi presto a te e alla tuo somma magnificenza, io strega e come tale tua serva. - continuava a stare china e stavolta Bastianna fece cenno a tutte di genuflettersi. - Il mio nome è Celeste. Sono stata io a trovarvi. Ho studiato il grande incantesimo per liberarvi. Grazie a me potete camminare su questa terra di nuovo sulle vostre gambe ed è per questo che vi chiedo di esaudire un unico desiderio che difronte alla Vostra immensa forza, è un'inezia. – Celeste fece una pausa e guardò Genevieve che restava lì ferma con una veste bianca in mano. La richiamò con lo sguardo e solo allora la strega uscì da uno stato di trans e si avvicinò alla creatura che aveva liberato per porle l'indumento, ma la loro divinità non si mosse di un millimetro. - Uccidete per me Klaus Mikaelson - la fine del discorso di Celeste toccò il segno, perché solo allora quel corpo minuto si animò. Fu più un espiro lamentoso lontano da quello che le nostre orecchie riconoscono come parole, ma probabilmente aveva detto qualcosa. Sunnà, o in qualsiasi modo si chiamasse, ripetette il lamento in un modo più deciso, ma la sua voce era un filo lieve e per un’ennesima volta nessuno riuscì ad udire. Celeste allora intimò Genevieve a fare qualcosa, e la strega, con mala voglia, ubbidì comunque. Avvicinò l'orecchio alla bocca di quella cosa semiumana, poi quello che successe subito dopo avvenne in un lampo.
Le minuscole mani della loro presunta alleata furono alle tempie della strega e la donna fu avvolta da sciami di elettricità blu. Dalla bocca di Genevieve uscirono delle urla di dolore che straziarono le orecchie delle altre, mostrando a loro che qualsiasi cosa avessero liberato, non era loro amica.
- Figlia del Sole, ma? – Celeste la chiamò con la traduzione del suo nome, ma la ragazza continuò a stringere tra le mani la testa di quella donna fino ad ucciderla e solo dopo si voltò verso le altre che in risposta fuggirono. Celeste tentò di chiamare i loro nomi, ma fu inutile. In pochi secondi, si ritrovò sola in quella stanza faccia a faccia con la bestia che aveva liberato. La vide mettersi faticosamente a quattro zampe e, anche se era in fattezze umane, tutto nelle sue movenze ricordò a Celeste un lupo. Poi un suono sordo come un osso che si spezza provenne da quella ragazzina e non fu l'unico. La sua spalla destra si deformò in una forma innaturale poi la sinistra. Fu il momento della schiena e poi a poco a poco, tutto fu deforme e inumano. Continuò così fin a quando spinta da un urlo alzò il viso. I suoi occhi che da umani erano di un azzurro chiarissimo divennero di un colore innaturale. Gialli.
Il corpo umano, era ritornato alla sua forma animale, stavolta però, era un lupo più grande, con una criniera più folta e un atteggiamento più aggressivo e pauroso. Sul capo nascevano delle striature del colore dell’oro che le percorrevano poi il corpo, fino a finire alla punta della coda, cosa assai insolita per un normale lupo. Sembrava proprio un… anzi era un licantropo. Con un balzo fu addosso a Celeste. Le urla della donna di panico e di paura raggiunsero le orecchie delle streghe più lente che non avevano ancora lasciato l'edificio, nessuna di loro si voltò indietro, neanche Bastianna, ultima anziana superstite, che pensò a mettersi in salvo da quella cosa e buttare alle ortiche il suo piano di vendetta.
 
Un suono acuto lo riportò alla lucidità e apri gli occhi, ma niente era cambiato. Anzi, si sentiva caldo, quasi febbricitante e la cosa non gli piaceva. Il sudore gli grondava dal viso e quando avrebbe pagato un sorso d'acqua adesso. - Elijah? - chiese perché aveva sentito una presenza vicina, però non ne era del tutto sicuro. Magari quel coso in pancia stava iniziando a dargli le allucinazioni.
- Bróðir -
Fratello. Il suo cervello tradusse automaticamente quella parola originaria della sua madre lingua e gli si materializzo in mente Rebekah. Alzò la testa per cercarla e la notò. Vedeva un alone rosso ai suoi piedi, ma non né riusciva a definire i contorni. Sapeva però che non era sua sorella.
- Chi sei? - chiese a quella cosa che ora emanava mugolii silenziosi. Era come se stesse piangendo. Chiuse gli occhi e li riaprì, perché era l'unica cosa che poteva fare per tentare di aiutare la sua vista annebbiata, ma come prima, non servì a niente. Poco dopo avvertì una pressione al ventre che lo fece urlare. Chissà forse il dolore aiutò a chiarirsi la vista perché ora vedeva. La vedeva. Una minuta ragazzina dai capelli rossi fuoco con le mani appoggiate al suo ventre.
- Che stai facendo? - le urlò chiamando la sua attenzione. Gli occhi celeste chiarissimo furono con uno scatto su di lui e finì tutto. Dolore. Sete. Nausea. Calore. Tutto sparito. Esattamente come se le avesse messo una flebo di antidolorifico in endovena. Guardò il viso minuto di quella ragazza ed ebbe la conferma che prima avesse davvero pianto, perché due linee bianche le rigavano il viso dagli occhi al mento. Aveva il corpo così sporco che le lacrime avevano marcato il loro percorso portandosi giù con loro il lerciume.
- Chi sei? - le chiese di nuovo e di nuovo la ragazzina non gli rispose, però con una voce rotta e tartagliata la ragazza incominciò a recitare qualche verso. Balbettava e a stento riusciva a finire le frasi e ci volle un po’ prima che Klaus riuscisse a capire di che lingua si trattasse. Norreno. Bróðir, infatti significava fratello in norreno. Era stata lei a chiamarlo così? Perché? Klaus avvertì una spinta al centro del torace, lì dove prima al tocco di quella ragazzetta aveva provato tanto dolore e viscidamente la lama di Papa Tunde ritornò in superficie. Vide il manico rompere la pelle tra le costole e uscire allo scoperto. Perché non gli faceva male? Era lei che gli placava il dolore?
Appena il manico fu fuori la ragazza lo afferrò e il pugnale insanguinato sporcò le sue mani annerite di terriccio, poi successe una cosa che oltre tutto sembrò la più strana. Il pugnale si smaterializzò. Al suo posto nelle mani di quella ragazza c'era solo polvere avorio che si disperse nell’aria come borotalco.
Klaus stava bene. Si liberò da quello che gli bloccava i polsi, cioè da dei fermi fatti di fibbie, semplicemente strappandoli. Toccò il torace intatto. La ferita era guarita in un modo anche più veloce della sua guarigione da ibrido. La fronte non trasudava più e non avvertiva sete, nausea e febbre. Si alzò con facilità, come se si stesse appena alzando dal letto la mattina. Ora che era in piedi davanti alla sua salvatrice, si accorse che non aveva indumenti addosso. Prese al volo la sua maglietta nera, appoggiata allo schienale di uno scheletro di ferro che in tempi passati doveva essere stata una sedia, e aiutandola, gliela infilò. Le andava larga di chissà quante taglie e le cadeva a vestito.
Piccolina e minuta. Alta poco meno di un metro e cinquanta, gli arrivava sotto al torace e Klaus doveva abbassare la testa per guardarla in viso. I suoi capelli erano di un rosso vivo, ricci e arruffati. Riusciva a vederci dentro i residui della natura come foglie, terreno, rametti. Per non parlare della sua pelle annerita dal fango che le copriva il suo reale incarnato roseo. In tutto quel lercio però i suoi occhi azzurrissimi spiccavano. Ornati da ciglia corte, ma folte e incorniciati da due sopracciglia a forma di virgola, sempre di un colore rosso quasi arancio. Il naso era sottile e leggermente schiacciato, terminava in due narici appena tondeggianti. La bocca carnosa soprattutto il labbro inferiore, mentre quello superiore disegnato perfettamente.
Non l’aveva mai vista in vita sua.
- Chi sei? – le chiese stavolta in norreno e questa volta provocò una reazione nella ragazza che sorrise, ma non gli rispose. Gli afferrò i polsi però e Klaus perse il senso dell’orientamento. Si trovò immerso nel buio totale e intorno a lui non c'era assolutamente niente. Nessun odore, o rumore, o altro. Neanche i suoi sensi da vampiro originale funzionavano, ma non era come l’effetto del pugnale di Pupa Tunde, era una sensazione piacevole e colmante. Davanti a sé vide accendersi una sfera che si tese fino a diventare un vero e proprio schermo. Vi comparve un’immagine. Due bambini. Si riconobbe subito. Lui doveva avere sei o sette anni, forse. ma l’altra era una bambina molto piccola che non ricordava affatto. In piedi su due gambe paffute e incurvate, tipiche dei bambini che stanno appena imparando a camminare, veniva sorretta da lui che la teneva per le mani. Era vestiti negli indumenti tradizionali vichinghi, almeno lui. perché che invece la bambina aveva una tutina troppo colorata e sfarzosa di quanto permettesse la moda vichinga a quei tempi. Dietro di loro c’era un campo d’erba un po’ trascurato e lasciato andare, ma se lui era davvero lui a quell'età, quella doveva essere la Mystic Falls della sua infanzia. All’improvviso l’immagine si animò. Lui camminava all’indietro, mentre quella goffa bimba dai pochi capelli ondulati e rossi cercava di stagli dietro. Le stava insegnando a camminare. Come era possibile? Non ricordava niente del genere.
L’immagine non riguardava più solo loro due. Si era aggiunto un uomo muscoloso, possente e vestito in una tunica multicolore nello stesso stile degli indumenti della piccola infante. Aveva i capelli rosso rame e due occhi blu cobalto. Sorrise ai due bambini e in quella smorfia si mostrarono due fossette alle guance. Klaus le notò subito. Erano proprio come le sue. Quella bambina lasciò le mani di quello che lui riconosceva come il sé stesso da piccolo e con brevi passetti raggiunse quell’uomo. Quando fu da lui, l’uomo meravigliato e sorridente, la prese in braccio
 e dalla bocca della piccola uscì un mugugno divertito, “dada”. Era suo padre? Dopo di che l’appoggiò a terra facendola sedere sul terriccio. Con passi fieri raggiunse l’altro protagonista. Sé stesso. Lo prese in bracciò issandolo su una spalla come si fa con i campioni che vincono una coppa. Il Klaus del passato rideva divertito e spensierato grazie a quell’uomo che il Klaus del presente non riconosceva affatto. L’uomo lo posò a terra e si inginocchiò verso di lui.
“Sei proprio un bravo bambino. Sono così orgoglioso di te.” gli disse concludendo con un affettuoso e carnale bacio sulla guancia. Perché quell’uomo gli aveva detto quelle cose? Perché tanto affetto? Perché non ricordava niente di tutto ciò? Le domande gli frullarono in testa e la connessione con quella ragazza, si rinforzò. Come se lo avesse sentito.
Arrivò dal nulla un'altra pallina illuminata. Mostrava lei a notte fonda, ma dei ceppi infuocati illuminavano fievolmente la scena. Aveva il viso rigato dalle lacrime ed era nascosta dietro a un macigno. La paura… PAURA? Nel suo petto Klaus sentiva quel sentimento. Quella non era una semplice connessione ai ricordi della ragazza. Klaus era connesso a lei, ai suoi sentimenti.
Dietro il masso, un alone nero e piatto stava lentamente diventando più grande. Un’ombra. Piano piano oscurò il volto della ragazza. L’immagine si allargò mostrando la persona che la stava terrorizzando così tanto. Mikael. Vestito e nell’aspetto di quando lui e tutti loro divennero vampiri originali. Alla sola vista Klaus rabbrividì. Ci volle un po’ per ricordare che per lui suo padre non era più una minaccia.
Mikael issò la spada sotto il mento della ragazza che si muoveva a scatti, scosso da singhiozzi silenziosi. Prima di scagliare il colpo finale, Klaus sentì la paura di quella ragazza ribollire in rancore. La vide alzare una mano e aprirla a palmo aperto verso l’antagonista. Da quel gracile arto si liberò un vero e proprio raggio abbagliante. Illuminò il buio della notte e colpì Mikael che urlante si inginocchiò a terra. Lo stava bruciando. Dalle mani quella ragazza poteva sprigionare la potenza del sole, riuscendo così a bruciare un vampiro. Si interruppe all’improvviso e quel ricordo tornò da dove era arrivato.
Cosa c’entrava suo padre con lei? Klaus era ancora confuso.
Di nuovo la ragazza gli mostrò un'ulteriore lucetta. Questa però non si limitò a stargli davanti, si allargò al punto tale da poterlo avvolgere. Klaus si trovò in quel ricordo. La connessione era completa. Era in un prato circondato da alberi e rovi. Questa volta lo riconobbe subito. Era lo stesso posto in cui aveva spezzato la maledizione che le streghe avevano fatto su di lui, bloccando il suo lato licantropo.
Davanti ai suoi occhi la ragazza che lo aveva salvato pochi minuti prima, giaceva svenuta in un cerchio di fuoco. Quello che lo sconvolse però fu un'altra cosa. Di fronte a lei c’era un'altra figura legata a Klaus. Esther. Sua madre. I piedi di Klaus si mossero prima del suo cervello e le fu vicino. Allungò una mano verso il braccio della madre, ma gli passò attraverso. Per un attimo lo aveva sperato di toccarla, con tutto sé stesso.
“Dove sono?” la ragazza era appena rinvenuta “Mikael!!” si alzò di scatto cercando con gli occhi quello che pareva essere anche un suo nemico.
“Lui non c’è.” rispose Esther, mantenendo il distacco.
“L’avevo quasi ucciso. Cosa è successo? Che sta succedendo?” indicò il fuoco che la imprigionava.
“Ti ho fermata io.” Esther la stava guardando nello stesso modo in cui guardava lui, con occhi pieni di disprezzo e senza nessuna traccia d’amore.
“Perché? Madre!”
MADRE. Klaus si voltò verso la ragazza che aveva appena chiamato sua madre, madre. Che cosa significa?
“Non avresti dovuto accettare la proposta di Ayanna. Ti ha trasformato in un abominio.” urlò Esther.
“Lei mi ha reso più forte e l’unico abominio qui è quel pazzo di vostro marito.”
Klaus sorrise all’inaspettato temperamento di quella ragazza. In fondo aveva ragione.
“Ha ucciso tutti. Ha ucciso mio padre. Lo stesso uomo a cui avevate promesso che un giorno ci saremo riuniti come una famiglia. Lo ha ucciso a sangue freddo come potete stare dalla sua parte?” continuò urlando e qualcosa nel cielo iniziò a muoversi. Delle nuvole grigie si stavano muovendo veloci raggruppandosi tutte sulle loro teste.
Perché Esther avrebbe promesso a quella ragazza una famiglia? Chi era quella sconosciuta?
“Uccidendo i licantropi darà sfogo alla sua ira." Esther mostrando la sua fedeltà al marito, un po’ troppo tardi, rapì l’attenzione di Klaus.
“Ucciderà anche Niklaus. Madre dobbiamo fermarlo.” urlò disperata la ragazza nel cerchio di fuoco.
“E’ tutta colpa sua e arriverà anche la sua ora.” fredda come il ghiaccio sua madre, vomitò quelle parole. Sua madre. Klaus si dannò solo per aver voluto toccarla.
“ LA COLPA E’ VOSTRA.” urlò a squarcia gola la ragazza dai capelli rossi e i suoi occhi si riempirono di lacrime di ira. Klaus fu stupito da quella foga che dimostrava la ragazza verso di lui “No. Io non permetterò che accada.” continuò spalancando le braccia. Per la terza volta Klaus rivide l’onda che quella ragazza era capace di creare, ma stavolta ebbe un altro effetto. La terra. La colpì violentemente facendola tremare. Stava inducendo un terremoto. “Non compirò lo stesso errore di mio padre, io riuscirò a salvare mio fratello dalle…” la mente di Klaus viaggiò prima che la riproduzione passata di quella ragazza potesse finire la frase. Quella ultima informazione completò un puzzle che il suo subconscio aveva già afferrato, ma che la sua mente razionale non riusciva ad ammettere. FRATELLO. Finalmente quel ricordo gli aveva rivelato chi fosse quella minuta e gracile quindicenne. Lui era suo fratello. Lei era sua SORELLA. Quella ragazzina era la seconda figlia nata dalla relazione di sua madre con quell’uomo licantropo. Il suo vero padre.
“Mi dispiace, ma non hai fatto bene i conti ingenua Brynhild!"
BRYNHILD. Ecco come si chiamava. Klaus si sforzò andando indietro con i ricordi, ma quel nome non gli diceva assolutamente niente.
La madre venne circondata da una crepa scatenata da quel sisma soprannaturale. La terra, sotto ai piedi di Esther si inclinò, ma lei non si impaurì minimamente. Incominciò a recitare delle parole in rima. Un incantesimo.
“Credete che uno stupido incantesimo di un’infima strega come voi… ahhhh...” il ginocchio destro di Brynhild si curvò all’interno spezzandosi.
“Sei vulnerabile adesso e non mi farò scappare questa occasione. Hai passato tutta la giornata lontana dal sole, stupida ragazzina." rispose la madre in un battibecco che Klaus non riuscì a seguire.
“Cosa mi state facendo?” le chiese la ragazza mentre il suo corpo veniva travolto da un milione di fratture. Esther non la rispose e continuò a recitare quelle parole. Klaus vide crescere dalla pelle, di quella che ora sapeva essere sua sorella, del pelo. Pelo rosso. Brynhild oppose resistenza e dal quel cielo, inspiegabilmente nuvoloso, dei lampi squarciarono l’orizzonte. Una pioggia forte e corposa iniziò a cadere spegnendo il cerchio di fuoco che la circondava. Una Brynhild dolorante incominciò a muoversi verso sua madre, ma cadde a terra. Entrambe le sue gambe erano rotte. Le sue urla di dolore straziarono le orecchie di Klaus. Stesa, Brynhild guardò la madre che con la magia le stava rompendo a una a una tutte le ossa del corpo e le rivolse uno sguardo d’odio puro. Come poteva muoversi? Brynhild ringhiando infilò le dita nella terra e facendo forza tirò il suo corpo. Si stava trascinando usando la forza di quelle esili braccia. Come un serpente Brynhild si muoveva sul terreno che non smetteva di tremare, ma Esther provvedete subito alla cosa. L’osso uscì dalla carne rivelando il sangue fluido e rosso. Brynhild cambiò braccio. Klaus non riusciva a crede ai suoi occhi. Esther le stava affliggendo ogni tipo di pena e lei non aveva supplicato neanche una volta, né aveva rinunciato a quella mossa suicida. Tutto per salvare lui?
Un fulmine dal cielo colpì un albero vicino a Esther.
“Mi hai mancata figliola.” disse fiera e compiaciuta la strega stringendo una mano a pugno, allora Brynhild lanciò uno degli urli più strazianti che Klaus avesse mai udito, e lui ne aveva sentiti tanti. Esther aveva vinto.
A terra, al posto della cocciuta e caparbia ragazza giaceva un lupo svenuto. Esther l’aveva trasformata in un animale. Non un licantropo, solo un semplice lupo.
“Non posso ucciderti, ma posso esiliarti. Per sempre.” disse poi a quella bestia che non poteva sentirla.
"Ecco la tua nuova forma. Un semplice e vulnerabile lupo. Prendilo come un regalo per ricordare tuo padre.” e sul sorriso compiaciuto di Esther quell'immagine svanì.
 
Klaus sentì un'ultima spinta. Questa volta le immagini corsero come un filmato messo in funzione avanti e scorrendo veloci gli stavano mostrando come sua sorella era arrivata a New Orleans. Come le streghe l’avevano liberata. Gli mostrò Celeste. Gli mostrò la sua vita da lupa e come aveva vissuto finora. Le volte che aveva tentato di trovarlo, ma non riusciva perché... perché Esther... il medaglio e...
“Basta, ho capito.” Klaus disse nella sua mente sapendo che l’avrebbe sentito. A quel punto la connessione finì risucchiata in un vortice al centro di quella oscurità. Si ritrovò di nuovo nella stanza di quello squallido ospedale e di fronte a lui Brynhild, sua sorella appena tornata da un millennio da lupo. Sua sorella si staccò da lui e in quel preciso istante i suoi occhi blu rotearono all'indietro e perse l'equilibrio. Klaus l'afferrò prima che si accasciasse a terra. Non sapeva esattamente cosa aveva fatto o cos'era sua sorella, ma di certo aveva consumato troppe energie per mostragli la verità. La prese in braccio e Klaus avvertì il suo peso leggerissimo, anche per un vampiro come lui.
- Andiamo sorella, ti porto a casa. –
   
 
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