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Autore: wolfsbane97    27/04/2014    5 recensioni
Ecco qui, la storia sulla mia migliore amica, Ale.
Ci ho messo l'anima, e spero tanto piaccia a tutti.
Come al solito, se avete pareri o critiche anche negative, non fatemi problemi a lasciare una recensione, ci tengo moltissimo al fine di miglioriarmi.
Ti voglio bene Ale, goditi questa storia.
xx
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto inizia con una città. Non di certo una qualunque, ma tutto parte da qui. Londra.
Tutto, dall’aria che respiro sino a ogni singolo sasso per terra, è sempre stato il mio sogno. È il mio unico grande amore.
Come ha fatto la mia migliore amica Giulia che si è trasferita in California, anche io ho deciso di inseguire il mio sogno. Ho 19 anni, sono nel fiore della mia vita, e voglio viverla al meglio. E dove se non nella città dei miei sogni?
Già dentro l’aereo mi sento così eccitata, non riesco a stare ferma. Decido di calmarmi, ascoltando i Panic At The Disco. Mi addormento con la loro musica nelle orecchie, per poi essere gentilmente svegliata dall’hostess che mi avvisa che l’aereo sta per atterrare. Ecco, ci siamo. È il momento in cui l’aereo tocca terra che mi emoziona. Non posso crederci. È Londra. Ce l’ho fatta.
La mia nuova vita inizia qui, adesso.
Mi sento una persona nuova, non sono più legata al mio passato, posso iniziare da zero. Certo, mi mancherà la mia famiglia. Ne ho passate tante a casa, in Italia, ma tutto ciò che mi è accaduto non è servito ad altro che a darmi la forza necessaria per compiere questa scelta, una scelta che penso fino ad ora sia la migliore che abbia mai fatto.
Metto un piede fuori dall’aereo, scendo gli scalini, e nel momento in cui tocco terra, ecco che sento una lacrima rigarmi la guancia. Il mio sogno si è avverato. Sono qui, e non c’è nessun’altro posto in cui vorrei essere. Sono a casa.
Svolgo la routine dell’aeroporto, esco, prendo un taxi che mi porterà alla mia nuova casa: un piccolo appartamento non molto lontano dal centro di Londra (20 minuti di bus). L’ho scelto perché conosco la mia coinquilina. Eh già. Una ragazzo che ho conosciuto su Efp: dopo aver preso abbastanza dimestichezza con la lingua e lo slang dell’Inghilterra tale da sentirmi pronta a trasferirmi, per esercitarmi ancora di più ho deciso di cominciare a leggere qualche fanfic in inglese. Mi sono tanto appassionata a una sua storia, parlava di questa ragazza, che un po’ come me, si trasferisce a Londra, e inizia a fare molte nuove esperienze. Beh diciamo che mi ci sono rivista molto. Mi è talmente piaciuta che ho voluto iniziare a parlare con l’autrice, e da allora siamo diventate amiche. Il suo nome è Amelie, è francesce, ma vive a Londra da 4 anni, quindi parla l’inglese perfettamente ed è completamente abituata alla vita qui a Londra. Mentre parlavamo è uscito fuori il discorso della casa, e che lei cercava una coinquilina perché il padrone di casa aveva deciso di aumentare un po’ i vari prezzi. E guarda caso, ne abbiamo parlato proprio mentre io cercavo qualche posto in cui stare. Forse il destino, forse una coincidenza, non lo so. So solo che andrà tutto bene, e per la prima volta, sono tranquilla all’idea di questa nuova vita.
Mentre sono nel taxi guardo fuori dal finestrino. Il tempo è grigio, come è tipico da queste parti, ma a tratti le nuvole lasciano spazio a qualche raggio di sole, che non fa altro che aumentare il mio buon umore.
Il tassista mi dice che stiamo per arrivare, quindi mi stacco dal finestrino spalancato, lo chiudo e inizio a mettere le varie carte e cartine nella borsa. L’auto si ferma di fronte a questa bellissima casa a due piani, attaccata ai lati a delle case identiche solo di colori diversi, non molto grande, tutta di mattoncini rossastri, con infissi bianchi laccati, e difronte una piccola zona di verde, con un paio di aiuole che fanno da recinto. Scendo, pago il tassista, prendo le valigie e mi fermo un’attimo per ammirare questa casa. La mia nuova casa. Cammino su un piccolo vialetto di ghiaia, salgo i due scalini prima della porta e suono il campanello argentato. La porta si apre dopo due secondi. È lei. È Amelie. Mi guarda per due secondi senza parlare, per poi abbracciarmi con le lacrime agli occhi. Avrei anche potuto non essere me, ma lei lo sapeva. Lei lo sa.
Ripensando a quanto tempo abbiamo passato a parlare di noi, dei nostri sogni, delle nostre speranze, non riesco a non ricambiare l’abbraccio. È reale, finalmente, la ragazza con cui ho parlato per gli ultimi 14 mesi.
È bellissima. Alta poco più di me, di incarnato scuro, penso sia mulatta, ma con degli occhi da cerbiatto verde acceso, e una chioma di capelli riccissimi che le scendono lungo la schiena. Magra al punto giusto, sembra una modella. Addosso aveva un vestito color pesca, corto fino a metà coscia. Era davvero quasi perfetta. Del resto, tra i vari esami di pediatria faceva la modella, o almeno, le agenzie la chiamavano per varie pubblicità ogni tanto, e con questo arrotondava il suo lavoro da barista in un pub in centro. Era così impegnata, ma a quanto mi dice, riesce a fare tutto senza il minimo sforzo. “È la mia vita, se non mi impegno per renderla perfetta nessuno lo farà per me”. Questa frase me la scrisse molto tempo fa, e mi è piaciuta così tanto che è diventata un po’ il mio motto di vita.
Mi fa entrare, e mi mostra la casa. Appena entrate sulla sinistra c’è un’appendiabiti a muro bianco, a contrasto con la parete azzurrina. Accanto all’appendiabiti una piccola mensola bassa sormontata da un’enorme specchio, tutto bianco.  A terra, il parquet chiaro si intona a tutto il resto. Dritto difronte a noi c’è la scala che porta al piano superiore, e nel sottoscala una piccola lavanderia. Sulla sinistra in questo corridoio c’è la cucina/sala da pranzo (sono un unico spazio separato da un bancone), sempre sui toni del bianco e dell’azzurro, con vari inserti di vetro. Sulla destra c’è un bagno abbastanza piccolo, e una piccola zona lettura. Mi accompagna al piano superiore, mi mostra la sua stanza, il secondo bagno e finalmente mi mostra la mia stanza. È abbastanza spoglia, ma questo solo perché le avevo chiesto io di non comprarmi nulla se non l’essenziale, dato che avrei poi arredato io la stanza. C’era quindi il letto, totalmente bianco, una scrivania sulla sinistra, un armadio difronte al letto, uno specchio lungo tra l’armadio e la finestra che dava sulla strada, e poi eccola. La mia libreria. La nuova casa per i miei piccolini.  Tutt’intorno il muro celestino, tranne che alla parete dell’armadio, che era di un blu notte. Era davvero, davvero accogliente, come del resto tutta la casa e non di meno la padrona. Mi dice di mettermi comoda, chiude la porta dietro di me, mentre io lascio cadere le valigie a terra e mi guardo un po’ intorno, iniziando ad abituarmi alla mia nuova stanza. Inizio a disfare i bagagli, sistemo tutte le mie cose, e si sono già fatte le 8 di sera.
 Mi faccio una doccia veloce, mi lavo i capelli e con ancora l’asciugamano in testa vado in cucina da Amelie. È seduta sul divano accanto al tavolo a vedere la tv. Non appena mi sente entrare si volta, e con uno sguardo scioccato mi sgrida “Cosa stai facendo in queste condizioni??”, al quale io mi guardo da capo a piedi per capire cosa ci fosse di sbagliato nel mio pigiama o nelle mie pantofole. “È.. è un pigiama” dico nervosa. “Lo so benissimo che è un pigiama!” si alza e si avvicina verso di me, mi gira di spalle e mi spinge su per le scale fino in camera mia. “Vestiti, fatti i capelli e truccati. Stasera si esce” mi dice lanciandomi un sorriso e uscendo dalla porta e entrando in camera sua. “Hai un’ora di tempo” mi urla da lontano.
Sbarro gli occhi. Un’ora, e sono in queste condizioni! Dio, Dio, Dio, devo sbrigarmi! Almeno ho messo tutto nell’armadio, sarà più facile scegliere. Mi metto un paio di jeans bianchi, un maglioncino rosa pallido con disegnati sopra un paio di baffoni bianchi e infilo un paio di converse bianche. Scappo a truccarmi, un filo di eyeliner, molto mascara, un po’ di fard, del rossetto rosa chiaro e passo a farmi i capelli. Decido di asciugarli lisci alla meglio visto il poco tempo. Un’ora esatta. Amelie è giù che mi aspetta, quindi infilo il bolerino di pelle, prendo la borsa dello stesso colore del maglioncino mettendoci dentro di corsa telefono e portafogli, e scappo al piano di sotto. Usciamo di casa, entriamo nel suo piccolo fuoristrada bianco e ci avviciniamo al centro. Mentre siamo in macchina, dopo i soliti convenevoli del tipo “com’è andato il volo?” iniziamo a parlare di un sacco di cose, quando mi rendo conto che alla radio stanno passando Another Love. Io e Amelie ci guardiamo di scatto, perché quella è la canzone preferita di entrambe. Alziamo il volume e iniziamo a cantarla a squarciagola, per le vie di Londra. È tutto perfetto, e questa si prospetta una serata fantastica.
Arriviamo a questo locale, il Palace, a quanto pare abbastanza esclusivo. In effetti, fuori c’è una fila immensa per essere martedì sera. Riusciamo a entrare senza problemi, saltando tutti quanti, e ai bodyguard è bastato dire il nome di Amelie per poter entrare. “Amelie Montre, per due” ed ecco che i cordoni rossi vengono aperti e possiamo entrare. Amelie mi prende la mano e iniziamo a entrare. Mi avvicino a lei, devo urlare al suo orecchio perché la musica inizia a diventare abbastanza forte. “Come hai fatto a farci entrare?” le chiedo io. “Non ci pensare. Ti basta sapere che conosco gente”. Ah, bene, penso tra me e me. Conosce gente. Perfetto. Usciamo da quel corridoio scuro ed ecco di fronte a noi una sala immensa, stracolma di gente che dimena le mani in aria, il tutto illuminato da luci che cambiano colore a tempo di musica. Ai lati della stanza ci sono dei palchetti rialzati, con delle ragazze che a loro scelta salgono e ballano. Dio, sanno proprio bene come divertirsi.  Andiamo a lasciare i giubotti e le borse, per poi precipitarci nella pista da ballo. “Sai, qui c’è tanta bella gente. Magari conosci qualcuno” mi urla tra la folla. “Hahah, già!”. Eh. Magari.
“Sai che ti dico?” mi urla Amelie nelle orecchie, siamo quasi sorde per via della musica troppo alta. “Al diavolo tutto, stasera si festeggia! Saliamo su quel palco!” la guardo sconvolta. Ma poi penso, chi mi conosce qui? Ancora nessuno. Perché non festeggiare? Ha ragione, al diavolo qualsiasi cosa! Così mi tira per un braccio e saliamo sul palco. Balliamo fino allo sfinimento, ci sentiamo le più osservate. Di solito mi avrebbe dato fastidio, ma per una volta non faceva male sentirsi desiderata, sentirsi viva.
Scendiamo dal palco, andiamo a bere una birra al volo per poi correre di nuovo sulla pista da ballo e scatenarci di nuovo. Ballo un sacco, è una serata stupenda. Noto però che Amelie ha iniziato a ballare con un ragazzo alto, di colore, con degli occhi chiari magnifici. Faccio finta di nulla, e continuo a ballare difronte a lei, anche se con abbastanza imbarazzo.
Continuo a ballare, quando ecco che sento una mano su un fianco che mi stringe lentamente. Arriva anche l’altro mano sull’altro fianco. Qualcuno dietro di me mi ha presa e vuole ballare con me. Mica male come prima sera. Sento il respiro di questa persona sul mio collo. In effetti è molto vicino al mio collo. È alle mie spalle,e non ho ancora visto il suo viso. Ma chi se ne importa. È la mia prima sera a Londra, voglio solo divertirmi. Metto la mia mano dietro al suo collo, e le sue labbra sfiorano la mia spalla.
La macchina del fumo si accende, e tutta la stanza è riempita da questa nube colorata dalle luci stroboscopiche, e non si riesce a vedere granchè. La persona con cui stavo ballando mi gira, e solo pochi millimetri ci separano. Tutto ciò che riesco a vedere però sono degli occhi azzurri ammalianti. Così perfetti che mi perforano dritti l’anima. Stavo per baciarlo. Non so il suo nome, come sia fatto, quanti anni ha. Non riesco a pensare a nulla. Lui mi prende il viso, si avvicina sempre di più, sono convinta mi stia per baciare, quando però si discosta dalle labbra e si avvicina al mio orecchio. Intorno a noi la musica, la gente, tanto fumo e le luci a intermittenza. Eppure sento che siamo soli in quella stanza. “Sabato. Stesso posto, stessa ora. Mi riconoscerai” mi dice all’orecchio, e se ne va. Rimango completamente immobile nel bel mezzo della sala, tra la gente che balla e la nube che a piano a piano svanisce.
La serata continua abbastanza piatta. Amelie era sparita per una buona mezz’ora col suo nuovo amico, e al suo ritorno mi ha ritrovata al bar che bevevo una birra in santa pace. Arrivata l’una di notte decidiamo di tornare a casa, dato che il giorno successivo sarebbe stato molto impegnativo, quindi ci mettiamo in macchina e partiamo, stanche morte. Per tutto il tragitto locale-casa, l’unica cosa a cui sono riuscita a pensare sono stati quegli occhi blu. Ho i brividi al solo pensiero di quello che mi è accaduto.
Sabato. Perché sabato? Perché me? Ho così tanti dubbi in testa, ma sono troppo stanca per continuare a tormentarmi. È stata una serata spettacolare, e ho la sensazione che la mia vita qui sarà magnifica quanto la sensazione di vita vera che ho provato stanotte.
Torniamo a casa, stanche morte, ci buttiamo nei nostri letti e crolliamo nel sonno più profondo.
Nero. È tutto buio intorno a me. Sento della musica provenire da qualche parte. La musica si intensifica. La inseguo, ma sbatto contro qualcosa. Non vedo nulla, tocco la superficie di fronte a me. È una porta. La apro. È il locale. Le luci variano i toni di blu a seconda del ritmo della canzone, la gente si dimena. Devo trovarlo. Devo trovare lui. Mi faccio spazio tra la gente, e arrivo allo stesso punto in cui siamo state io e Amelie. Deve essere qui. Ecco di nuovo il fumo. Lo vedo avvicinarsi lentamente verso di me, cammina nel fumo più denso. Eccolo, è di fronte a me. Siamo a pochi centimetri di distanza, sta per appoggiare le sue mani sui miei fianchi, ma ecco che noto che la stanza è di colpo vuota. Non c’è più nessuno intorno a noi, solo una cappa infinita di fumo. Lui è ancora difronte a me, sposto lo sguardo di nuovo su di lui, e non appena incontro i suoi occhi tutt’intorno ritorna nero.  Vedo solo queste iridi così azzurre, solo quelle in tutto il buio che ho intorno, nient’altro. “Chi sei?” riesco a sussurrare. Mi prende la mano, per poi percorrere tutto il mio braccio lentamente. La sua mano arriva dietro al mio collo, e sento che il suo viso è vicinissimo al mio. Finalmente. Mancano pochissimi millimetri. Socchiudo gli occhi, e non appena sta per baciarmi, mi sveglio.
Era un sogno. Sono le 7, e io sono completamente fradicia di sudore. La sveglia continua a suonare, e io la spengo snervata. Mi mantengo la fronte, mi gira la testa. Vado a farmi una doccia, poi scendo in cucina con i capelli bagnati. Amelie è seduta sul divano a mangiare una tazza di latte e cereali mentre gira i canali della tv. “Buon giorno” le dico, e lei mi risponde con un sorriso. Sembra che viviamo insieme da così tanto.
Faccio colazione, salgo sopra, mi lavo i denti, mi asciugo i capelli, non proprio liscissimi, mi trucco e mi vesto. Aspetto che Amelie finisca di prepararsi, così entriamo in macchina e ci avviamo verso il centro. Mi accompagna a iscrivermi all’università. Facoltà di moda a Londra. Non riesco ancora a credere che mi abbiano presa. Non pensavo che i miei bozzetti sarebbero piaciuti così tanto, ma quando ho ricevuto la lettera d’ammissione, beh, chiunque potrebbe immaginare la mia felicità infinita. Ero così eccitata, eppure il pensiero di quel ragazzo mi tormenta.
Sembrerà patetico, ma non riesco a passarci sopra, non penso sia un ragazzo qualunque. Lo so, è strano, ma è una sensazione che provo quando ci penso. Deve esserci qualcosa di speciale. Non riesco a tenermi dentro più nulla, così le dico cosa è successo, mentre attraversiamo il centro di Londra, illuminata dal sole caldissimo oggi.
“Seriamente? Non sai nemmeno com’è fatto! E se poi esce fuori che è un ragazzo bruttissimo? Se fosse un maniaco? Se fossero stati due nani uno sopra all’altro? Può succedere eh!” scoppio a ridere, l’idea di provarci con due nani mi distrugge. Mi riprendo.
“Amelie, non so. Sento che non è nulla di cattivo. Lo sento.”
“Oh, sentirai anche la delusione! Ascolta, non voglio buttarti giù, ho solo paura che tu sia così eccitata all’idea di Londra da vedere tutto ciò che ti accade come parte di una favola. Non voglio deprimerti, ma non voglio che tu ti faccia illusioni o che, peggio, ci rimanga ferita.”
Apprezzo molto che si preoccupi per me, ma il mio istinto mi dice di fidarmi. È un sesto senso.
“Lo giuro, non ne rimarrò ferita. Non preoccuparti, davvero. Se non andrà come previsto imparerò la lezione e fine. Sono qui per fare nuove esperienze no?”
Ci sorridiamo. Il tempo di fermarci a prendere un caffè a uno Starbucks nei paraggi e arriviamo in facoltà. La giornata continua tra carte, documenti, librerie, uffici e negozi. Torniamo a casa sfinite, ma sono davvero felice che lei sia stata così disponibile ad aiutarmi con tutte queste cose.
Sono solo felice. Tanto.
La settiamana va avanti abbastanza tranquilla, ma il vero dilemma arriva quando siamo a Sabato. Amelie aveva incontrato il bellissimo ragazzo con cui aveva ballato al locale nel pub in cui lavora lei, e si sono dati appuntamento anche loro al locale per stasera. Insomma, non abbiamo perso tempo martedì. Decido di prendermi un giorno di pausa dalla frenesia dell’università, e approfitto del fatto che non ci siano lezioni il sabato per dormire fino a tarda mattina, che per me sarebbero le 10. Sì, direi di essere abbastanza mattiniera.
Mi svago un po’ tutta la mattina, mentre il pomeriggio io e Amelie decidiamo di fare una piccola spa in casa. Andiamo a comprare tutto l’occorrente, per poi farci maschere e cose del genere. Non mancano nemmeno le fette di cetriolo sugli occhi! Mi aiuta molto, almeno sono più rilassate per stasera.
Oh, ma chi voglio prendere in giro. Ceniamo alla velocità della luce per poi impiegare due ore buone a prepararci alla perfezione. Non è più martedì sera, è sabato, e sono a Londra. No, jeans converse e maglioni sono fuori discussione. Ci vuole qualcosa di particolare. Decido di mettere un vestitino corto nero, con un profondo spacco dietro la schiena, tacchi neri semplici e la giacca di pelle. Abbandono i vestiti sul letto, e ancora in pigiama corro in bagno per truccarmi e farmi i capelli. Il trucco è il solito, solo fatto con più cura: eyeliner con coda, molto mascara e rossetto rosso scuro su precisa richiesta di Amelie. I capelli li lascio mossi alle punte, e li fisso con un bel po di lacca. Torno in camera a vestirmi, e mi guardo allo specchio lungo. Non sto così male. Quasi quasi mi piaccio. Raggiungo Amelie in camera sua. Era stupenda. I capelli riccissimi e lunghi le ricadevano su una spalla sola, e aveva messo un vestito rosso corto e aderente, con uno scollo a barca e maniche a tre quarti. Aveva una collana dorata, una di quelle corte, intorno al collo. I tacchi bianchissimi con sul bordo qualche dettaglio dorato che riprendeva la collana. Aveva le labbra color carne, e un trucco scuro sugli occhi. Si gira verso di me sentendomi entrare.
“Mio dio. Stai incredibilmente bene. Quelle iridi azzurre si scioglieranno, ne sono sicura!”
“Esagerata! Comunque stai benissimo anche tu. Molto.”
“Ma stai zitta, questi capelli mi stanno facendo impazzire!”
“Va beeene, ti aspetto giu!” dico uscendo dalla stanza. Meglio lasciarla sola col dilemma dei suoi capelli.
Dopo dieci minuti scende anche lei, e si sono fatte le 10 e mezza. Ci mettiamo in macchina e raggiungiamo il Palace. Ci controlliamo ogni due secondo agli specchietti, ma è normale. Il nervosismo si respira tanto quanto l’ossigeno, qui dentro.
Lo rivedro, e magari lo vedrò come si deve. Sono così agitata. Voglio vederlo. Voglio sapere chi è. E non voglio rimanere delusa. Dio, ho bisogno di vederlo, ma sono così dannatamente spaventata.
Siamo arrivate. Scendiamo dalla macchina, ci avviamo verso l’entrata e con una stranissima nonchalance, Amelie ci fa entrare, cosa al quantro strana, perché in macchina non faceva altro che lanciare urlini isterici e battere le dita sullo sterzo. Siamo sotto la soglia. Prendo un respiro profondo ed entro. Che il gioco abbia inizio.
La sala è piena di gente, è davvero stracolma. Una canzone parte, ma dato il forte volume delle casse non riesco a riconoscerla.
“Oh, e Ale” si gira Amelie, che camminava avanti a me “Surprise…” mi dice con un’accento francesce, per poi allontanarsi, presa per mano da quel ragazzo stupendo di martedì sera. Surprise? Sono sola nel bel mezzo della folla. Mi guardo intorno, cercando di capire.
La canzone di sottofondo finisce, e sento una voce annunciare la canzone successiva. “La prossima è Nicotine, solo per voi” dice una voce maschile. Mi giro immediatamente al suono di quella voce, che riconosco benissimo. È lui. Sono loro. Sono i Panic! At The Disco.
Mi sento svenire, non posso crederci. Sono loro. E ci sono io. Insieme a loro. Nella stessa stanza. Ossigeno? Dove sei?
Ecco che parte, Nicotine. Dio, quanto mi piace. E quanto mi piacciono loro. Ogni loro movimento su quel palco infondo alla sala è perfetto. Il tutto illuminato da luci colore rosso/fucsia. Nulla potrebbe essere più perfetto. Mi abbandono alla canzone, cantando a squarciagola e saltando a ritmo di musica, in mezzo a tutta questa folla che si limita a ballare con i propri accompagnatori. Chi li capisce.
Mi dimentico quasi di ciò che deve succedere stanotte. Forse è un bene, vivrò ciò che dovrà essere vissuto, senza timori ne preoccupazioni. È tempo per me di godermi tutto, e non c’è tempo per l’ansia.
“Sapete è ora è? No? Beh, ve lo dico io” dice Brendon, nella pausa di assolo di Nicotine. “È mezzanotte. Sapete cosa vuol dire qui al Palace?” tutte le persone urlano, agitando le mani in aria, tutti completamente elettrizzati. Non capisco. “Smoke Time, people!” urla Brendon.
Ho capito, ecco perché lui aveva detto così. “Stesso posto, stessa ora”. Quelle parole rimbombano nella mia mente, e mentre tutti iniziano di nuovo a scatenarsi, io mi gaurdo intorno disperata, alla ricerca di quegli occhi che mi hanno tenuta incantata tutta la settimana. Mi fermo, disperata, mi metto una mano nei capelli, non so più dove cercare.
Qualcuno mi prende da dietro, mi tiene stretta. “Non ti girare.” Mi dice la sua voce, dritta sul collo. “E perché, non ti vedrei comunque” gli dico io, continuando a fissare difronte a me. “Voglio capire se sei speciale come penso. Quindi, non ti girare”. Era quasi severo, ma incredibilmente eccitante.
Balliamo con movimenti lenti, mentre lui continua a farmi venire i brividi baciandomi il collo.
Non ce la faccio più, mi giro e gli afferro i capelli. “Sono stanca di fare il tuo gioco. Ora giochiamo secondo le MIE regole”. I suoi capelli sono ricci, e già questo mi rende felice, data la mia ossessione per i ricci.
“Come desideri”. Eccoli lì, che brillano in mezzo a tutto il fumo nella sala. Il soggetto di ogni mio sogno/incubo questa settimana. Quegli occhi del colore del mare. Sono come un colpo al cuore, mi perforano dritti nel petto. Mi sembra di rivivere le ultime notti, risento tutti i brividi che, per quanto inquietanti mi elettrizzano incredibilmente.
Siamo vicinissimi, i nostri occhi sono fissi gli uni addosso agli altri, e balliamo, per tanto tempo, incantati a vicenda. Non riusciamo a staccarci.
Si avvicina ancora di più, e sento il suo respiro sulle labbra. Vuole baciarmi, ma io non ci sto.
“Non te la darò vinta così semplicemente” gli dico fermandogli le labbra con un dito. Le percorro da un angolo all’altro, mentre lui continua ad avvicinarsi, nonostante lo tenga a bada.
“Va bene” mi sussurra, per poi prendermi per mano e scappare da quel locale. Usciamo, lui cammina davanti a me, e ancora non riesco a vederlo. Entriamo in un vicolo poco distante, mi prende e mi sbatte al muro.
Oh mio Dio. È lui. È davvero lui.
È Daniel.
Ecco perché i suoi occhi mi colpivano così tanto. Logico, li ho scrutati così tanto negli ultimi anni, erano la perfezione per me.
“Sei contenta ora?” i suoi occhi mi guardano dall’alto verso il basso, dato la sua altezza infinita.
Le sue parole sono più che altro ansimi, entrambi fremiamo dalla voglia di saltarci addosso, ma non so per quale strana masochista ragione, siamo qui, a giocare entrambi.
“Non ancora” riesco a dire io, appena prima che la passione ci travolga. Lo prendo per la maglietta e lo strattono contro di me, mentre lui mi avvicina prendendomi da dietro il collo. Ci baciamo con una tale foga da non avere quasi più il respiro. È un bacio lungo, lento e tremendamente eccitante.
È un po’ fuori dal mio standard di bacio. Già, io sono più una ragazza da ‘bacio del vero amore’, dato in circostanze molto romantiche. Sì, sono una ragazza che crede nelle storie d’amore come quelle delle favole.
Ma chi si lamenta? Ho proprio bisogno di una botta di vita come questa. E qualcosa di così passionale, poi, non l’avevo mai provata. E figuriamoci se l’artefice di tutto ciò fosse il signor Sharman, il mio unico sogno da 3 anni a questa parte.
Le lingue si cercano disperatamente, senza fermarsi, e le sue mani percorrono tutta la mia schiena.
Non so quanto tempo esattamente stia passando, ma mi sembra tutto così veloce. Come si dice, i piaceri sembrano durare poco.
Ci stacchiamo, per riprendere fiato, mentre lui continua ad ansimare dallo sforzo.
“Dio, dove sei stata tutto questo tempo?” mi dice prendendomi da dietro la schiena.
“Non lo so, dimmelo tu” gli fisso le labbra, che si allungano da un lato, a formare un piccolo sorriso.
Affonda di nuovo le sue labbra sulle mie, ma stavolta è più dolce.
“Alessia, comunque” riesco a dire a fatica.
“Daniel”. ‘Oh, credimi, lo so benissimo’ avrei voluto dirgli, ma tento di fare la sostenuta.
“Quindi, Daniel, finisce qui?”
“Perchè una cosa così bella che è appena iniziata dovrebbe finire?”, mi prende da dietro il collo dolcemente.
“Tesoro, è appena iniziato. E la fine, se ci sarà mai, sarà parecchio lontana.”
Lo afferro per i capelli e lo bacio di nuovo. È perfetto. Lui, noi, tutto. È ciò che ho sempre voluto.
 
 
SEI MESI DOPO
Dopo quel sabato al Palace (e in quel vicolo), ci siamo scambiati i numeri, e ci siamo sentiti regolarmente per una settimana. Il tempo passava tra appuntamenti in giro per Londra, o incontri ‘ravvicinati’ a casa sua o nella mia stanza (scusami per le urla, Amelie). E ora? Beh, ora.. ora stiamo insieme, ufficialmente. Non passano pomeriggi che non veniamo tormentati da fotografi impazziti, ma finchè saremo insieme staremo bene. E nulla potrebbe essere iù perfetto di così. Mi ha anche proposto di andare a trovare Giulia a L.A., con cui non parlo da molto molto tempo, ma con cui, a quanto ci siamo dette nell’ultima telefonata fatta qualche giorno fa dopo mesi di messaggini stupidi, avremmo molto di cui parlare. E, a quanto dice Daniel, cosa che mi ha al quanto inquietata, abbiamo degli amici in comune. Strano.
Amelie è innamorata totalmente di quel ragazzo, che poi ho scoperto chiamarsi Dakai, e le cose tra loro si fanno davvero serie. Non potrei essere più felice per lei.
Insomma, devo proprio ammettere che Londra mi ha cambiato la vita. Devo tutto a questa città, la città dei miei sogni.
God Bless United Kingdom.
  
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