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Autore: Emily Alexandre    27/04/2014    3 recensioni
Londra 1857.
Chi è Edmond de Saint-Denis, conte de Penthièvre? Tutta la nobiltà londinese se lo domanda, da quando è corsa la voce che un ricco ed eccentrico francese ha affittato una villa nel Borgo reale di Kensington e Chelsea, portando con sé un'affascinante guardia del corpo e una misteriosa protetta che si sussurra sia in realtà l'amante. Eppure, dietro quella maschera di nobile schivo e seducente, Edmond cela un segreto che lo tortura da tredici anni, da quando non era che un giovane di belle speranze, perdutamente innamorato della sua Pearl. Un giovane accusato e condannato per un reato che non ha commesso. Non esisterà pace, per Edmond, finché la sua vendetta non sarà compiuta. Londra lo accoglie acclamandolo, ma Londra non sa quanto male gli abbia fatto uno dei suoi viziati figli, che voleva una donna che non gli apparteneva.
Novello Montecristo, compirà la sua vendetta o la sua mano verrà fermata prima di scagliare il colpo mortale?
"Non aspiro al Paradiso, ho conosciuto l'Inferno e non mi spaventa. Non ci sarà pace per me dopo la morte, ma può esservi ora, in questa vita e in questo mondo, nella mia Vendetta."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Età vittoriana/Inghilterra
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Sangue e inchiostro 

 
 

And live without shame
'Cause what's in a name, oh
I still remain the same
 
You can call it what you want
You can call me anything you want
You can call us what you want
You can call me anything you want
Remain Nameless - Florence And The Machine

 
 
 
II

La luna stava iniziando a crescere, in quel venti aprile stranamente privo di pioggia; Pasqua era trascorsa da due settimane e la Stagione mondana inglese, benché fosse ufficialmente iniziata a metà dicembre in coincidenza della Seduta del Parlamento prima del nuovo anno, era entrata nel suo apice, con balli, ricevimenti e spettacoli teatrali che tenevano occupata l’alta società in un vortice che sembrava inesauribile.
La maggior parte dei londinesi, però, quella che non contava, osservava da fuori, chi rallegrandosi della migrazione dalle campagne che aumentava i propri profitti, chi detestando il caos che ne derivava e chi era semplicemente troppo povero perché la Stagione potesse avere una qual si voglia rilevanza.
E poi c’era lei, che l’aveva osservata da fuori, nelle sue fughe notturne in carrozza, spiando attraverso le finestre i salotti illuminati a festa, e che l’aveva odorato sul corpo del Capitano –champagne e sigari e cognac e profumi pregiati- quando poco prima dell’alba rientrava nel suo letto e fingeva di credere che lei stesse davvero dormendo, rispettando il suo silenzio.
Cléopâtre aveva sempre saputo che le cose sarebbero cambiate appena avessero lasciato la Memento per mettere piede a Londra, che l’illusione di pace che negli anni avevano costruito si sarebbe sciolta come neve sotto quel sole primaverile, ma saperlo non aveva reso più facile l’accettazione. Il Capitano le aveva dato una scelta, l’aveva data ad entrambi, ma né lei né Miguel lo avrebbero mai lasciato andare da solo, non soltanto perché erano stati gli unici testimoni di quel desiderio di vendetta che in quegli anni si era nutrito di sangue e perle, ma anche perché qualsiasi cosa fosse successa, nel bene e nel male, volevano essere al suo fianco.
 
-Si fermi qui.
 
La carrozza si fermò pochi istanti dopo nei pressi di un locale alla moda davanti al quale si affollava la società benestante di Londra, giovani debuttanti in cerca di marito, uomini e ragazzi che chiacchieravano tra loro lanciando occhiate in tralice alle fanciulle e rigide matrone che supervisionavano quanto stava accadendo. Coperta da un mantello scuro Cléopâtre osservava in silenzio quelle giovani donne, chiedendosi cosa si provasse a possedere l’innocenza di chi non conosceva che il bello del mondo e che avrebbe lasciato la confortante casa paterna per dirigere l’altrettanto confortante e generalmente più gratificante casa del marito. Le invidiava?
In cuor suo, non avrebbe saputo dirlo. La sua casa era il mare, quella distesa immensa che sembrava promettere una gloria altrettanto infinita per chi avesse avuto il coraggio di donarle la vita in un patto che solo la morte avrebbe potuto spezzare e loro, pirati senza una Itaca in cui tornare, si votavano alla ninfa Calipso e solcavano gli oceani respirando l’odore della salsedine, padroni e vittime dei capricci di quella divinità. Eppure, prima che il Capitano la salvasse e la prendesse con sé, persino lei aveva avuto il suo debutto, grottesca parodia di ciò che si svolgeva ogni giorno a Londra, quando, appena tredicenne, era stata venduta dal proprio padre in cambio di poche monete ad uno sceicco desideroso di aumentare il suo harem.
Cosa rimaneva in lei di quella fanciulla che, urlando e scalciando, era stata trascinata in quell’inferno, costretta a giacere con un uomo molto più vecchio di lei e a subire le angherie delle donne che le invidiavano la giovinezza e la bellezza?
C’era, in quel personaggio che lei e il Capitano avevano plasmato negli anni a loro piacimento, un barlume di Amira?
Aveva perso quel nome il giorno in cui il Capitano l’aveva salvata: sulla Memento le aveva chiesto come si chiamasse e lei aveva risposto, semplicemente, che si sarebbe chiamata come lui avesse voluto.
Aveva scelto un nome di regina.
La nobiltà parlava di lei, ne era consapevole. Il conte di Penthièvre e Don Miguel erano diventati in breve tempo una presenza fissa nell’alta società, perché tutti sapevano che averli come ospiti in casa propria avrebbe implicato un afflusso di persone che avrebbe garantito il successo della festa; i migliori club maschili avevano tessere con i loro nomi e se il conte era solito rimanere in quelle sale a leggere e fumare il sigaro, non era insolito scorgere Don Miguel passeggiare all’aria aperta distribuendo sorrisi a fanciulle e signore e rubando i cuori di chiunque fosse la destinataria, nubile o sposata che fosse.
Che la casa di Edmond de Saint-Denis fosse gestita da una donna non era un mistero, e se ufficialmente per tutti ella era la protetta del conte, la parola amante, ancorché non pronunciata esplicitamente, attraversava la mente di chiunque parlasse di lei, scandalizzando deliziosamente quegli annoiati londinesi che si destreggiavano nell’ennesima identica Stagione mondana.
Eppure il conte l’aveva celata con esasperante accuratezza.
Non che Cléopâtre desiderasse appartenere a quella società, difficilmente vi si sarebbe trovata a proprio agio, abituata ormai com’era ad un mondo privo di formalismi e finti sorrisi che troppo le avrebbe ricordato Amira, e se doveva abbandonare il mare, accettava di farlo solo per i possedimenti di Penthièvre che Edmond aveva acquistato anni prima insieme ad un titolo rimasto privo di proprietario dopo la Rivoluzione: quello era il suo regno, plasmato a sua immagine e somiglianza, lontano abbastanza da Parigi da non rendere necessario alcuna etichetta, ma senza per questo essere isolato, con le porte perennemente aperte per far entrare l’aria e un giardino immenso, con aiuole di fiori rari, grotte naturali e un fiume che lo attraversava in parallelo, morendo infine nella Senna.
Eppure, quell’Inghilterra era la casa di Edmond, lo era stata per così tanti anni da rendere impossibile pensare che potesse averla dimenticata e nonostante asserisse di odiarla, la donna sapeva che una parte di lui sarebbe sempre stata legata a quel giovane appassionato di libri appartenente alla gentry, perdutamente innamorato della sua Perla.
La vendetta era qualcosa che lei comprendeva: per tre anni aveva desiderato la morte dell’uomo che l’aveva comprata e sapere che era deceduto a causa di una pestilenza, solo e abbandonato da tutti, aveva placato solo in parte la sua sete, perché più di tutto, ancor più che saperlo morto, ciò che voleva era che morisse per mano sua; e Miguel, anche lui desiderava la morte di chi aveva rovinato la sua vita e si trovava a Londra per compierla, ma se loro non avevano lasciato che la vendetta li consumasse, per il Capitano era stato un tarlo che, poco a poco, aveva fatto marcire quasi tutto ciò che di buono esisteva in lui.
Era fuggito da Londra per evitare la condanna a morte per un omicidio che non aveva mai commesso ed era diventato un pirata, un assassino, quasi volesse cercare un senso alla condanna che aveva subito, quasi cercasse espiazione in ogni morte, in ogni nave militare distrutta, in ogni perla nera poggiata sul corpo esanime dei capitano a reclamarne il brutale assassinio.
Non aveva idea di dove quel viaggio li avrebbe condotti.
 
Aveva trascorso due ore fuori da locali alla moda e case riccamente adornate, rubando istanti di vita e allontanandosi non appena qualcuno notava la sua presenza; al suo rientro, Cléopâtre si coricò in attesa di un sonno che, lo sapeva, non sarebbe arrivato finché il Capitano non fosse rientrato e sussultò quando questi, anziché credere che dormisse, la cinse con un braccio.
 
-Ti piace Londra?
-Vorrei vederla di giorno.
-Ti porterò a passeggiare davanti il Parlamento al tramonto… Si mostrerà nella sua veste migliore.
 
Non si era illusa neppure un istante che il Capitano avesse creduto che sarebbe rimasta in casa ad attenderlo: lei non era Penelope, che filava di giorno e disfava di notte la tela in attesa del ritorno del suo Ulisse, e lui ne era perfettamente consapevole.
 
-Stai bene?- domandò, mettendosi a sedere a gambe incrociate; superando il sottile tendaggio la luna si rifletté su quella pelle scura, coperta appena da una vestaglia. Non era color dell’ebano o del cioccolato, ma possedeva la pelle ambrata dei popoli arabi, cresciuti sotto il sole che si rifletteva nelle acque del Nilo. Cléopâtre era stata la bellezza del suo paese, da bambina, di quelle poche case fatte di fango e mattoni che sorgevano sulle sponde del fiume, ammirata e coccolata, finché la voce della sua avvenenza non era arrivata troppo in là, infrangendo i sogni di una ragazza che nella vita desiderava solo sposare il bel giovane che la corteggiava e mettere al mondo i loro figli.
 
-Lei è ovunque, anche quando non c’è.
 
Era anche lì, in quel momento, ma quando Cléopâtre fece scorrere le spalline lungo le braccia, scoprendosi, il pensiero di Victoria svanì poco a poco, lasciando il posto a qualcosa di più vivo, più presente, più reale: le sfiorò le caviglie, dove una mano esperta aveva inciso indelebile il ricordo della schiavitù, le baciò il collo, dove riusciva ancora a percepire il profumo del sole e della salsedine, nonostante fossero lontani dal mare da settimane, e la spogliò del tutto, trovando il proprio posto in quell’unica isola serena che avesse trovato in tutti quegli anni.
 
Era arrivato in Egitto per caso, spinto da una tempesta. Se avesse creduto in qualcosa, il Capitano avrebbe potuto affermare che fosse stato il destino a condurlo in quel luogo in quel momento, ma il pirata non credeva in nulla tantomeno in fili invisibili intrecciati da mani impalpabili che decidevano dell’altrui vita: era l’uomo a plasmare la propria strada. Furono le urla ad attirarlo, un vociare che non comprendeva ma che prometteva odio e ostilità al punto da far accapponare la pelle persino a lui, ad un assassino; richiamò gli uomini con un cenno e si addentrarono nella piazza cercando di comprendere cosa stesse accadendo e gli sguardi ostili spinsero la calca di persone ad aprirsi per lasciarli passare. Fu solo quando arrivarono quasi sotto il baldacchino delle autorità che la vide, sporca di terra e sangue, con un occhio nero e i capelli ridotti ad un intrico impossibile da sciogliere, le mani e le caviglie legate ad etichettarla come schiava. Sopra di lei, un vecchio riccamente vestito la osservava compiaciuto. Attorno a lei, soldati distribuivano pietre.
Gli bastò un istante per comprendere cosa stesse per accadere.
-La lapideranno perché ha tentato di fuggire dall’harem.
Un uomo del suo equipaggio tradusse ciò che un magistrato stava proclamando e il Capitano non stentò a crederlo: c’era una fierezza in quello sguardo, una indomita fiamma che bruciava nonostante gli sputi e le ingiurie, nonostante le percosse subito e il destino che la attendeva. Era stata consapevole del rischio, quando aveva scelto di fuggire.
Meglio la morte che la schiavitù, dicevano quegli occhi neri. Meglio la morte, che sopportare le continue violenze di quell’uomo.
-Capitano…
La voce di Miguel tremava e, voltandosi, egli lesse negli occhi dei pirati lo stesso dolore, la stessa risoluzione. Bastò un cenno perché tutti insieme attaccassero, cogliendo tutti talmente alla sprovvista che quando compresero quanto stava accadendo, erano tutti ben lontani, quasi sulla nave. Con lei.
 
 
-Cléopâtre.
Un sussurro. Un gemito. Il suo cuore apparteneva alla sua Perla, ogni suo gesto, negli anni, aveva avuto un unico fine, ogni suo pensiero rivolto al giorno in cui l’avesse rivista, ma Cléopâtre era un’anima affine alla sua, come Miguel, e insieme erano stati la sua ancora in tutti quegli anni, l’albero maestro su cui poggiare la sua vita. Victoria era ovunque, ma come un sogno, anche allora che poteva vederla ridere e parlare, che poteva percepirne il profumo –iris e legno-, rimaneva comunque lontana, impalpabile…
Cléopâtre, invece, era lì, solida e calda tra le sue mani.
 
***
Ogni qual volta tornava da una visita agli uffici, Sir Doyle faticava a celare la stizza: aveva ereditato una florida impresa di famiglia, che sin dall’epoca di re Giacomo I commerciava con le Americhe rendendo i Doyle sempre più ricchi e conducendoli, da semplici membri della borghesia, fino al titolo di baronetti a metà 1700, ma negli ultimi anni un crescente numero di attacchi di navi pirata lo avevano privato di gran parte del carico, con conseguente minor produzione in Inghilterra. Ironico come non avessero mai avuto problemi nel periodo in cui la pirateria era più florida e li avessero in quel momento, quando dei famigerati marinai dalla bandiera nera rimaneva ben poco, complice la forte repressione del secolo precedente. Eppure nessuno sembrava essere in grado di fermare quel dannato capitano delle perle nere, che depredava e devastava senza sosta, forte di una flotta che, se avesse voluto, avrebbe potuto competere con il grande impero navale inglese.
Fortunatamente, una economia sempre oculata e l’affitto di alcuni villini a Londra permettevano loro di sostenere lo stile di vita elevato che da sempre li caratterizzata, ma ciononostante Sir Doyle era alla ricerca di un investitore che potesse aiutarlo… E forse l’aveva trovato.
 
Quando la carrozza giunse dalla periferia al centro della città, il baronetto la fece fermare, preferendo proseguire a piedi fino a casa; la cattedrale di San Paolo svettava a pochi passi da lui, simbolo di quella città che amava e da cui mai si sarebbe allontanato. Scambiò un cenno di saluto con numerosi uomini passeggiavano approfittando del sole, parlando di affari e politica, mentre le donne sedevano ai tavolini dei locali sfoggiando i loro abiti migliori.
Fu davanti a uno di questi che una matrona, incurante della sua aria cupa che indicava chiaramente la poca propensione al dialogo, lo fermò.
-Sir Doyle, buongiorno.
 
L’uomo non riusciva assolutamente a ricordarne il nome, ma la salutò cordialmente, cercando di ignorare le occhiate frivole della figlia, di forse sedici, diciassette anni al massimo.
Sir Patrick Jonathan Doyle, nonostante l’età non più giovane, continuava a suscitare l’ammirazione delle fanciulle londinesi con i suoi occhi neri come la pece, la sua aria perennemente annoiata e la fama da uomo peccaminoso, ma nonostante le numerose pecche che gli appartenevano e nonostante la passione per le belle donne fosse tra queste, non si era mai avvicinato in maniera disdicevole ad una ragazza non maritata. O, quantomeno, non da quando aveva sposato la molto più giovane Victoria Middleton che, benché non potesse vantare un’estrazione sociale sua pari né una dote particolarmente ricca, possedeva un volto che sembrava appartenere ad altri tempi e una eleganza rara.
Non era stato un matrimonio d’amore, né un matrimonio felice, non dopo lo scandalo, ma in pubblico la coppia appariva perfettamente in sintonia, come due ballerini che avessero provato e riprovato lo stesso pezzo così tante volte da poterlo eseguire senza neppure pensare.
 
-Un ottimo clima per una passeggiata, non trovate?
 
Convenevoli sciocchi, pane quotidiano di quella società. Si congedò rapidamente, diretto a casa: aveva bisogno di parlare con sua moglie, sapeva che Victoria quel giorno non si sarebbe mostrata in pubblico, concedendosi un momento di riposo nel vortice di eventi sociali della Stagione, ma per il bene della loro famiglia si sarebbe sacrificata, facendo visita ad una persona.
La trovò in salotto, con la figlia e un sarto.
 
-Non comprenderò mai il perché di tutti questi abiti, manca ancora qualche anno al debutto.- commentò notando che il sarto era lì per la piccola e non per sua moglie, che preferiva fare acquisti alle boutique.
 
-Perché siete un uomo, marito.- Victoria non si voltò neppure a guardarlo, limitandosi a far cenno al sarto di sistemare una manica. –Al debutto, molti giochi son già compiuti; nostra figlia è grande abbastanza per accompagnarmi ad alcuni ricevimenti pomeridiani ed è opportuno che si mostri al meglio.
 
In realtà, Victoria non lo faceva per mettere in mostra sua figlia come merce in vendita e se fosse dipeso da lei l’avrebbe tenuta al sicuro a casa, ma la piccola adorava uscire ed inoltre sarebbe parso strano se lei sola non l’avesse portata agli incontri, così si consolava comprandole abiti nuovi, coccolandola come lo era stata lei stessa.
 
-Mio figlio?
 
-Con l’istitutore. Ve lo faccio chiamare?
 
-No, non c’è bisogno, sono qui per voi. Devo chiedervi un favore.- Sir Doyle si spostò alla finestra, impedendole di ignorarlo. –Mi è giunta voce che il conte de Penthièvre è qui con una donna. Mi sorprende che, in qualità di Presidentessa dell’Associazione delle donne della regina Vittoria ancora non le abbiate fatto visita.
 
Victoria sobbalzò appena a quel commento, celando il turbamento, -In realtà, mi è stato detto, e quando ho fatto presente che se la poveretta non si mostra in pubblico di certo non vorrà una nostra visita, in molte si sono offerte per prendere il mio posto.
 
Donne pettegole, che avrebbe ucciso pur di dare un’occhiata a quella creatura del mistero.
 
-Ritengo opportuno che le facciate visita.
 
Tacque e Victoria saggiò il clima, cercando di capire quanto in là potesse spingersi; congedò il sarto e la figlia, poi si alzò per versare del brandy per il marito.
 
-Posso domandarvi il motivo?- chiese, porgendogli il bicchiere.
 
-So che il conte è interessato al commercio con le Americhe, vorrei proporgli un affare, ma certamente sarà più facile in un clima cordiale che solo voi donne sapete creare.
 
Al solo pronunciare di quel nome, il cuore di Victoria aveva vibrato, toccando corde che credeva sopite per sempre: si erano incontrati spesso, in pubblico, ma se Don Miguel era sempre pronto a chiacchierare, il conte era schivo e taciturno, a dispetto di qualsiasi tentativo di attaccar bottone. Senza dubbio anche suo marito doveva averci provato, inutilmente, così aveva elaborato quella seconda tattica, ignorando il fatto che sua moglie non aveva la minima voglia di avere contatti con il conte e, soprattutto, con la sua amante. Non poteva esimersi, davanti ad una domanda così esplicita, soprattutto alla luce delle finanze sempre più precarie: se suo marito fosse crollato, lei lo avrebbe seguito.
 
-Va bene.- convenne, non senza fatica. –Volevo chiedervi una cosa anche io però…
 
Sir Doyle annuì appena: se fosse stata un uomo, sua moglie sarebbe stata un osso duro con cui mercanteggiare.
 
-Si terrà un’asta domani ad Holborn, ci sarà un quadro di Turner che vorrei possedere. Mandereste qualcuno a comprarlo per me?
In quanto donna, Victoria non disponeva di proprie finanze, non poteva concludere contratti, e per quanto detestasse chiedere al marito, non aveva alternative se desiderava qualcosa.
 
-Provvederò. Divertitevi con la signora de Penthièvre, signora.- commentò allontanandosi.
 
***
Inchiostro nero su una pelle che, seppur scura, rispetto alla sua appariva quasi chiara; Cléopâtre sfiorò le lettere con un dito mentre Miguel riposava sulle sue gambe, in un momento di rara quiete. Il Capitano aveva deciso di recarsi in uno dei club maschili che aveva iniziato a frequentare, ma lo spagnolo, ancora provato dai bagordi delle sera precedente, aveva preferito rimanere a casa a farle compagnia.
Quelle lettere le ricordarono la notte in cui erano state incise, una notte di luna piena e freddo, nell’isola dei pirati al largo delle coste dell’America del Sud.
 
L'uomo dei tatuaggi viveva in una casa squallida e sporca nella baia dei pirati, ma dicevano fosse un artista e così si erano affidati a lui, tutti e tre, benché il Capitano avesse asserito fino all'ultimo momento che li avrebbe solo accompagnati. Aveva iniziato lei, come sempre accadeva quando dovevano decidere qualcosa insieme: l'ultima parola era del capitano ma la prima era sempre sua. Un cerchio spezzato sulla caviglia sinistra, perenne memento di quella che aveva portato per anni, simbolo di una schiavitù a cui era riuscita a fuggire, per non piegare mai più il capo davanti ad alcuno. Quanto a Miguel, il suo era un canto antico, parole di un popolo fiero e libero, nomade nello spirito con l'orizzonte come unico confine.
-E voi Capitan P?
L’uomo aveva osservato il tatuatore per un istante, prima di scoprirsi il petto. Era inchiostro, quello che avrebbe usato, lo stesso che ancora, dopo anni, non aveva smesso di macchiargli le mani, perpetuo memento.
 
Le sfuggì un sospiro, quando ripensò alla parola incisa a chiare lettere sul petto del Capitano, vicino al cuore, lì dove era solita posare il capo per addormentarsi ascoltando il battito.
 
-Cosa succede?
-Nulla.
Miguel sorrise –Tesoro, ti conosco, so perfettamente che non è nulla. Ne hai parlato con lui?
Avete parlato di lei?
 
-Ne parlerò con te. Che tipo è Lady Doyle?
Quando il sorriso si gelò improvvisamente sulle labbra dell’uomo, Cléopâtre lo scacciò con ben poco garbo dalle proprie gambe.
-E così ha irretito anche te.
Di tutta risposta, quello sfoggiò un’espressione colma di offesa. –Irret… Cléopâtre, non si addicono ad una signora certe parole volgari.
La donna fece per rispondere, ma poi ci rinunciò: era inutile cercare di rimanere seri e maldisposti davanti all’eterna battaglia di Miguel con l’inglese. Non immaginava, in quel momento, che quel sorriso sbarazzino era molto meno sereno di quanto apparisse, perché, sì, Lady Doyle aveva irretito anche lui, con quegli occhi nocciola perennemente velati da un antico canto di dolore che lui conosceva bene. Era lo sguardo di tutti loro, di chi aveva perso, era crollato e si era rialzato con infinita fatica. Possibile che nessuno, in quell’ipocrita nobiltà, se ne fosse accorto?
Si affacciò alla finestra udendo una carrozza che si fermava davanti la villa, e quando vide chi vi scendeva si preparò al peggio, perché lui non era pronto a rivederla, lei non era pronta a conoscerla… E il Capitano era lontano.
 
-Lady Doyle.
-Sì,- annuì Cléopâtre, -di lei ti ho chiesto.
-No,- Miguel scosse il capo, provando a sorridere, e quando il campanello suonò ribadì ancora, -Lady Doyle.
 
La donna scattò in piedi, osservandosi velocemente allo specchio: era in veste da camera con i capelli sciolti sulle spalle e non era decisamente l’immagine della tipica donna vittoriana. L’altra ne sarebbe rimasta scandalizzata? Scoprì che l’idea la stuzzicava. Uscì dalla stanza senza attendere che il maggiordomo la andasse a chiamare ma, giunta sulla sommità delle scale, si fermò nell’ombra, concedendosi qualche istante per osservarla senza essere vista.
Era ferma nell’atrio, con il capo eretto su cui spiccava una elaborata acconciatura, mentre l’abito era semplice, in linea con la moda del tempo, blu così scuro da sembrare nero, con intarsi più chiari all’altezza del corpetto.
Si ritrovò a pensare alle donne che aveva osservato nei dieci anni trascorsi nell’harem, donne succubi che chinavano il capo senza neanche provare a reagire, donne che si erano ribellate e che erano state domate e donne che, come lei, si erano piegate senza però spezzarsi, con la fierezza nello sguardo e la tacita promessa che non avrebbero mai rinunciato alla ricerca della libertà. Per anni aveva immaginato il volto di Pearl chiedendosi che tipo di donna fosse, ma quella che aveva davanti non rispondeva affatto all’idea che si era fatta di lei e la odiò all’istante, perché comprese solo allora perché lui l’amasse così tanto: al di là della bellezza, Mary Victoria Doyle, la sua Perla Nera, era una donna per cui valesse la pena lottare e morire.



 

 
 
Note: ed eccomi di nuovo qui, vi ho fatto aspettare un po' ma spero ne sia valsa la pena. La trama si sta pian piano delineando, i personaggi -spero- anche così come le varie relazioni. Nelle recensioni avete perfettamente trovato il tema centrale, la vendetta, ispirata a Edmond Dantés e al suo mondo... Ma il parallelismo sarà davvero così scontato? :) Vedremo. Intanto ringrazio le fanciulle che hanno trovato un attimo di tempo per lasciarmi una recensione, chi ha aggiunto la storia alle ricordate/seguite/preferite, Acqua per il betaggio e per la consulenza e Cri per aver sopportato le mie chiacchiere.
Per chi volesse trovarmi anche fuori da efp, vi lascio i contatti facebook, gruppo e pagina, e il blog.
Un abbraccio,
Ems
   
 
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