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Autore: cranium    28/04/2014    1 recensioni
Sono i tempi dei primi veri condom, quelli di gomma, guardati con sospetto e allo stesso tempo con ammirazione, quelli che gli uomini comprano di nascosto e portano contenti alle mogli o alle amanti.
Sono i tempi delle gonne lisce ad un palmo dalla caviglia per lasciare intravedere lo stivale, degli scolli ampi alla sera e dei primi strass.
È l’estate cruda della splendente Belle Époque, tuttavia questo lo ha potuto decidere soltanto il tempo.

Sullo sfondo di strass, velluto e polvere da sparo degli Usa, che stanno per dimostrare la loro forza durante la Prima Guerra Mondiale, marciano alcune donne di diversa età ed estrazione sociale, ma con un unico scopo: il diritto di voto a suffragio universale.
Che cosa le spinga a rischiare di perdere la famiglia, il lavoro, gli affetti, la dignità, è un quesito a cui è facile rispondere: sono le schegge di ferro sotto pelle, che ogni donna ha, le quali, come l’ago magnetizzato di una bussola, le conducono sempre per la via più insidiosa, ma che le porterà ad ottenere la loro rivincita.
È una storia di donne, di lotta, di amore, ma soprattutto di libertà.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
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PROLOGO

( *** )

SHARDS OF IRON UNDER SKIN

 

 

L’America è sempre stato il posto giusto per la gente sbagliata.

Appena ha messo piede sul suolo di New York, Olive Davies si è sentita subito spaesata. Non vi è nulla della sua cara Londra, della vivacità sobria delle sue strade, del rispetto dei suoi cittadini. Questo nuovo luogo, dove sta cercando di innestarsi come una pianta portata dalla brezza, le sembra arido e caotico, rumoroso e insignificante, ma spera comunque di riuscire a dare i frutti dovuti.

Intorno  a lei le persone si muovono senza attenzione, urtandola senza il minimo riguardo, le viene voglia di fermare tutti i passanti e obbligarli a scusarsi, ma si ricorda di essere un’inglese civile, ben educare e quindi desiste velocemente.

− Se avessimo preso una suite sul Titanic, il viaggio sarebbe durato molto di meno, e non ti saresti annoiata così tabto. – la rimprovera l’uomo che le sta al fianco, ma la donna finge di non sentire, per non dovergli di nuovo spiegare tutte le sue teorie sulle tabelle di marcia, che vanno rispettate, a costo di partire due settimane prima, per arrivare anche solo sette giorni in anticipo.

La voce dell’uomo le sembra così famigliare e rassicurante, se paragonata a quell’accento cantilenato, tutte quelle “erre” marcate, pronunciate sgraziatamente dalle persone, che le camminano vicino, anche se probabilmente è il suo olfatto ad aver più risentito del viaggio.

Le sembra singolare non essersi ancora abituata all’odore del mare, forse perché sul transatlantico è stata costretta a rimanere sempre all’interno, a causa della nausea, passando pochissimo tempo sui ponti. Spera solo non si sia attaccato ai vestiti che si è portata dietro.

 I suoi capelli sono rimasti scuri, mentre quelli dell’uomo che le sta accanto si sono schiariti, a causa della lunga esposizione al sole, a cui non erano abituati.

Si porta il fazzoletto al naso, e al suo accompagnatore non sfugge il gesto veloce.

− Cara cugina, spero che il vostro giudizio sulla città non venga -----, in fondo questo è solo il porto! – le fa notare amabilmente il consanguineo, prendendola sotto braccio.

Ezra Alexander Lawrence è quel genere di uomo, che, passando per strada, ignorerebbe volentieri il suo migliore amico, per lanciare un’occhiata ad una donna e venderebbe suo padre per riempirla di regali, anche solo dopo una minima infatuazione. Così, quando la sua adorata cugina ha espresso il bisogno di trasferirsi per un poco negli Stati Uniti, ha fatto i bagagli ed è passato a prenderla con la sua macchina nuova, rossa fiammante, un autista e due biglietti per il Titanic, che hanno poi scambiato senza profitto per due su un più modesto transatlantico.

Batte tre volte il bastone da passeggio, avvertendo i due ragazzi americani con i bagagli di muoversi, per arrivare in hotel il prima possibile.

− Ezra, mi meraviglio della tua inesperienza. – lo canzona vivacemente aumentando il passo, con la sua voce dolcissima, come un cucchiaino di melassa – lo sanno tutti che il valore di una città si riconosce dai sobborghi.

− Come il valore di un uomo si riconosce dalla donna, che lo accompagna. – si fermano davanti un taxi scuro, l’autista scende e carica le loro valigie, li guarda con l’acquolina alla bocca, è sicuro di ricevere una buona mancia. Sono dei grandi signori questi, li si noterebbe persino dall’altra parte della strada.

− Allora ritieniti molto sfortunato ad aver accettato di scortarmi. – la donna si siede e la vettura parte, lasciando dietro di sé una nuvola scura, e il rimbombo del motore.

− Hotel Plaza, grazie – il signor Lawrence comunica al conducente, mentre prende una mano della cugina e se la porta vicinissima alle labbra, lasciandovi sopra un soffio leggero, che sa di tabacco e di baci umidi – Olive, la tua compagnia è sempre una benedizione per me, e poi era tempo che volevo tornare a New York, queste ex colonie offrono sempre qualcosa di nuovo. Magari l’amore, chi può saperlo.

Lei non tenta di portare avanti la conversazione, appoggia il gomito fuori dal finestrino, per sentire il vento lambirne la pelle olivastra e ride civettuola, piano, pianissimo, ma fa in modo che lui la senta nel caos che circonda la vettura.

I palazzi prendono forma e poi la perdono facilmente, mescolati dalla velocità, dai colori e dai profumi, che avverte e dimentica immediatamente.

È la sua prima volta in America, e qualcosa le dice, che dovrà aspettare molto prima di tornare nella sua amata Londra, dalle sue compagne.

Si sente un pesce fuor d’acqua, ma non ha potuto che allontanarsi dal suo acquario perfetto, per fuggire in quel mare sconosciuto. Le circostanze non sono mai state fortunate per lei, ma ha deciso che si impegnerà a rendere il suo soggiorno obbligato il più proficuo possibile.

L’Hotel Plaza li inghiotte con la sua imponenza, sono scesi dal taxi da pochi secondi e già due facchini hanno preso i loro bagagli, per accompagnarli al check-in.

Olive rimane quasi ipnotizzata dallo sfarzo della hall, ma si avvia subito a prendere un giornale, lasciato su un tavolinetto basso vicino alla zona lettura.

Sul piroscafo avevano pochissime notizie dalla terra ferma, se non nulle, e non può che avvicinarsi la carta al viso, per sentirne l’odore così famigliare. Il New York Times titola:

 

16th April, 1912

TITANIC SINKS FOUR HOURS AFTER HITTING ICEBERG; 866 RESCUED BY CARPATHIA, PROBABLY 1250 PERISH; ISMAY SAFE, MRS. ASTOR MAYBE, NOTED NAMES MISSING. (*)

 

Porta una mano alle labbra, soffocando una preghiera per un dio che non hai mai posato il suo occhio su di lei, mordendo appena la pelle morbida dell’indice, per poi passare a quella inspessita sotto l’unghia. La buona sorte, forse, finalmente è dalla sua parte.

Il giorno successivo, il diciassette aprile 1912, milioni di europei alzeranno gli occhi al cielo, per osservare una delle eclissi di sole più straordinarie dei precedenti cinquant’anni. Qualcuno, in Inghilterra, in un salotto davanti a the e pasticcini, sorriderà, rigirando il cucchiaino nella bevanda con un po’ di latte, forse si capirà che perdere Olive Davies è stato come perdere una stella.

Ora brillerà dall’altra parte del mondo.

 

 

(§)

PRIMO CAPITOLO

 

MARIE OLYMPE DE GOUGES

“Le donne avranno pur diritto di salire alla tribuna,

se hanno quello di salire al patibolo”

 

Sono  i tempi dei primi veri condom, quelli di gomma, guardati con sospetto e allo stesso tempo con ammirazione, quelli che gli uomini comprano di nascosto e portano contenti alle mogli o alle amanti.

Sono i tempi delle gonne lisce ad un palmo dalla caviglia per lasciare intravedere lo stivale, degli scolli ampi alla sera e dei primi strass.

È l’estate cruda della splendente Belle Époque, tuttavia questo lo ha potuto decidere soltanto il tempo.

Sono i primi giorni di un novembre tiepido, il Ringraziamento è passato da poco ed uno dei club delle “ragazze” di New Town, piccola cittadina non lontana da Washington, da questa mattina conta un nuovo membro. È una novità inaspettata, una piccola scossa a turbare la loro vita liscia come l’olio. C’è un aria frizzante, elettrica, quasi esasperante. Le donne presenti si sentono osservate da una presenza sconosciuta, che filtra sotto la porta, dagli spifferi delle finestre.

C’è qualcosa di tragico nello spezzare della loro monotonia, come il moto di un pendolo a cui si inceppa un ingranaggio.

Non potete capire va dicendo la padrona di casa da un buon quarto d’ora – è una donna così colta  e poi ha un portamento così elegante, ha un armadio da far vergognare ognuno dei nostri, mie care. Non ho visto in vita mia dei cappellini tanto deliziosi, come vanno adesso in Inghilterra. Vi ho accennato che viene da lì? parole così delicate sembrano fuori posto sulla lingua di Caroline Watson, la zitella-vedova (“dipende dai punti di vista” dice lei)  dell’allegro gruppetto: grassa come un maiale e spicciola come il più insignificante dei penny, figlia di quella borghesia agiata, ma semplice e diretta.

Per questa riunione ha tirato fuori il servizio da the buono, quello di porcellana fine con le decorazioni blu finto cinese, i cucchiaini d’argento ed è persino andata ad ordinare i pasticcini nella più famosa e cara pasticceria della città, ma non sembra averne abbastanza. Cammina avanti e indietro per la stanza, togliendo gli ultimi residui di polvere dai soprammobili e nascondendo quelli meno carini, per poi passare a requisire il cappellino di una delle presenti facendolo aderire meglio alla testa.

Ehi! si lamenta Tracy Morris dalla comoda poltrona sulla quale credeva di aver trovato pace.

Scusa, cara, ma abbiamo ospiti!

E noi non siamo ospiti, Caroline? la schernisce Marie Allen, dall’altra parte della stanza, mentre sfrega con le unghie sulla copertina del libro, del quale avrebbero dovuto discorre quel pomeriggio.

Voi siete mie amiche e mi aspetto che, da tali, vi comportiate in modo affabile, così da far diventare amica nostra anche la signorina del piano di sotto. – la donna si ferma davanti ad uno specchio, si sistema i boccoli scuri e gli orecchini, che riflettono la luce del lampadario.

Marie la guarda contrariata, si trovano così bene tra di loro, da anni, e non ha mai apprezzato i cambiamenti, quest’intrusa non può sconvolgerle i giovedì pomeriggio, con quale diritto arriva e prende il posto d’onore?

Suvvia, non arrabbiarti. Magari sarà una persona piacevole. le suggerisce un’amica, vedendo la sua perplessità.

È che tu, Tracy, vedi il bello anche dove io, più razionale, vedo un’incognita.

Da quando sei diventata così matura, Marie? Oh sì, giusto, da quando sei diventata la signora Allen! le risponde Miss Morris le risponde così, tentando di prendere un pasticcino dal vassoio sul tavolino al centro della stanza, ricevendo occhiate da tutte le presenti.

Dovresti cercarti marito anche tu Tracy. Hai quasi vent’anni e non puoi aspettare i cinquanta, o finirai come la nostra Caroline. alza la voce, Marie, per fare in modo che l’interessata la senta.

Parli bene, tu, ma io ho vissuto la vita nel modo migliore! Ho ereditato dalla mia famiglia tre negozi, dico io: tre! Quanto tempo avrei avuto da dedicare ad un uomo? E poi ho avuto anche io i miei flirt qua e là! risponde muovendo le mani convulsamente.

Ma se non sei mai uscita da *****!  dice Mrs. Thomas, facendo ridere le compagne.

E allora, mia cara Amber, dovresti stare attenta a tuo marito. le sorride complice.

Caroline ha una parola pronta per tutti: che sia il pastore di cui non le è piaciuto il sermone o una delle sue clienti che si lamenta, non risparmia niente a nessuno, come non risparmia nella vita.

Ha comprato da dieci anni un appartamento al terzo piano di uno splendido edificio e lo ha arredato come una reggia: i tendaggi migliori, tappeti italiani e lampadari di cristallo.

Riempie casa per riempire il vuoto che ha dentro, dicono alcuni, ma Marie è certa che quell’abitazione, per quanto pacchiana possa sembrare, è l’espressione di ciò che è Mrs. Watson: ricca in maniera spropositata, intelligente, per niente modesta e un poco permalosa.

È la sua celebrazione, un tempio che si è costruita intorno beandosi di sé stessa.

Casa sua è molto più semplice: un appartamento simile per dimensioni e colore delle pareti, ma arredato da una giovane coppia sposata da neppure due anni. Le piace pensare che crescerà con loro, magari si arricchirà come lo farà il loro amore e alla fine sarà un posto bellissimo per ospitare i nipoti per le feste, sedersi sul divano a fine giornata o guardarsi semplicemente negli occhi.

Suo marito è l’essenza del capitalista prudente: possiede una piccola attività che gestisce personalmente firmando scartoffie su scartoffie e mette da parte una porzione dei risparmi da investire in borsa nelle società che ritiene più opportune.

È un calcolatore Robert Allen, uno di quelli i cui calcoli hanno sempre un buon fine, e lei se ne è innamorata per questo: per la sua capacità di calcolare fin nel dettaglio ogni possibilità di errore e perché è un ottimo giocatore di carte proprio come lei.

Qualcuno bussa alla porta.

Deve essere lei! squittisce eccitata Caroline.

Spero che ne valga la pena. sbuffa Tracy guardando la pendola che segna la puntualità dell’ospite.

Una figura sguscia del salottino, seguendo Caroline, che le ha aperto la porta con molta enfasi, rivelandosi ai loro occhi, come un’immagine sacra tirata fuori dal portafoglio.

Oh, spero vivamente di valerne la pena signorina. – dice una voce, che ancora non conoscono, ma che tra poco sapranno individuare persino in mezzo ad una folla.

 

 

Olive Davies non è poi così male, anche se dell’inglese ha un po’ poco.

Ha i ricci neri impreziositi da un fermaglio argentato, le labbra carnose e il viso paffuto da donna ricca in vacanza e un sacco di lentiggini scurissime sotto gli occhi castani.

Mettendole vicino, Marie ci giurerebbe, parrebbe lei quella British, con i suoi capelli biondo slavato, il naso appuntito e un’altezza discreta, ma basterebbe una piccola frase uscita di bocca per far capire che lei, di inglese, ha solo le scarpe.

Olive Davies è davvero una donna deliziosa, dai modi gentili ed educati, e possiede anche un humour gradevole e non pesante.

− Raccontaci qualcosa della tua vita in Inghilterra. – le chiede Caroline, ammaliata, offrendole un altro pasticcino, un cannolo italiano, e tornando a sedersi sulla sua poltroncina beige.

− Anche là facevo parte di un club − risponde avvicinandosi alla finestra e scostando le tende bordeaux di broccato per guardare fuori, richiudendole subito, riportando la penombra nella stanza – un po’ particolare, direi, ed abbastanza numeroso.

− Di che si trattava? − chiede Marie, soppesando il silenzio che le ha circondate.

Si gira di nuovo verso le compagne e con un sorriso furbo azzarda:

− Sono una suffragetta.

 

**

 

Il letto di Marie è freddo, il corpo vicino al suo è lontano, sotto le coperte i piedi si sfiorano, le pagine dei libri vengono sfogliate rapidamente, come in una gara. Sono sincronizzati in modo patetico, sono sposati da solo due anni e respirano già alla stessa frequenza.

Eppure non vi è noia nei loro movimenti, solo la tacita scelta di fondersi in un unico essere molle, con due cuori e quattro occhi. Marie si chiede spesso se i loro pensieri siano connessi o gli stessi. Se potesse leggerle nella testa riderebbe?

Chiude il libro, Robert fa lo stesso, nell’identico momento, si voltano l’uno verso l’altro e forse ha già capito tutto e  vuole solo farla sentire una bambina stupida.

Robert?

Mh?

Le novità non le piacciono per nulla, le fanno venire delle orribile chiazze rosse sul collo e sul seno, le fanno prudere le braccia e quella donna ne ha portata una grandissima, che l’ha colpita in fronte come un sasso.

Le piace, non le piace, è troppo presto per capirlo, per sentirla propria.

Ti ho già detto che oggi al mio club si è aggiunta una signorina inglese? cerca un’unghia con i denti, ma si accorge di averle già mangiate tutte.

Davvero? Di buona compagnia, spero.

Non posso ancora saperlo con certezza… è di Londra, penso si senta un po’ spaesata. prende un respiro lunghissimo prima di aprire bocca e scoprire che non si ricorda dove ha messo le parole sai, lei è una suffragetta. dice, rivelandolo come un segreto terribile e dolciastro.

Robert sorride, non è poi così orribile allora, poi scoppia in una risata che copre il silenzio tra loro, qualche secondo, poi sente le lenzuola muoversi e lo vede girarsi su un fianco per poi cingerle la vita con il braccio con cui non si regge. Si avvicina al suo viso, le sorride, e la bacia.

Ne possiamo parlare domani mattina? le chiede, accarezzandole il viso.

Marie ride, avrà tutto il tempo il giorno seguente per parlarne.

Ha altro a cui pensare in questo momento.

 

**

 

C’è una donna, seduta scompostamente ad una scrivania scura, scrive veloce, precisa, decisa. È concentrata, lo dimostrano le rughe sulla fronte e le dita che stringono la penna d’oca in modo innaturale. Non è molto giovane, ma il suo viso è fresco e limpido, il rimasuglio di una purezza che l’ha lasciata tempo addietro.

Un uomo, sdraiato su un letto poco distante da lei, sbuffa irrequieto alzandosi da quella comoda posizione.

Qu’est-ce que tu fais?(**) le chiede avvicinandosi.

È completamente nudo, non ha nemmeno la buona creanza di raccogliere le brache sul pavimento e indossarle.         

Scrivo. risponde mentre si sposta un poco per lasciargli leggere il titolo. Lui si appoggia come un uccellino curioso alla sua spalla, le posa un bacio sulla pelle candida lasciata scoperta dalla vestaglia, sotto il collo lungo e magro. Sbircia tra i suo capelli sciolti, li morde.

Déclaration des Droits de la Femme et de la Citoyenne(***)? Mar… legge, quasi non ci pensa, se lo rigira tra i denti e quasi si strozza con la propria saliva quando capisce.

Ho preso dei contatti con Maria Antonietta. rivela la donna, intingendo la piuma nel calamaio.

L’uomo muta completamente espressione, è preoccupato, porta le mani al viso.

 In che guaio ti stai cacciando? Robespierre ti odia e non è l’unico, scrivi pure tutto quello che ti pare, ma non immischiarti nella politica, non è il momento. Non adesso, c’è una rivoluzione là fuori! Non compromettere di più la tua situazione.

… ne parli come se la vita in gioco fosse la tua. ride voltandosi verso di lui che ha già ripreso posto sul letto.

Ti ho mai detto che sei la mia vita?

Je ne croix pas(****). – ride, raggiungendolo e baciandolo con una delicatezza che li sorprende entrambi.

Sei bellissima. le sussurra a fior di labbra, e riprende a baciarla sempre con più passione.

Intanto sulla scrivania la carta è irrequieta, incompleta, scalpita per essere finita, ma Olympe ha altro a cui pensare, nonostante abbia  poco tempo prima della sua fine.

Una testa rotola sul patibolo, il boia l’ha tagliata, ed il sangue scorre come prima scorrevano le parole.

La Francia non ha più la sua Olympe, ha una martire di una guerra combattuta da troppi pochi per esser definita tale.

Robespierre guarda la testa che continua a rotolare, l’emblema di un cranio che ha dato tutto per ciò in cui credeva.

 

Il risveglio dall’incubo è veloce, traumatico.

L’amaro ancora in bocca e un mattino ancora lontano.

Muove le dita fino al collo per vedere se tutto è ancora al suo posto.

In fondo la testa saltata non è la sua.

 

 

 

 

 

Nda: prima di iniziare un papiro voglio lasciarvi due note.

(*) è il vero titolo del New York Times del 16 Aprile 1912, l’ho trovata sul sito del giornale, dove sono disponibili alcuni numeri “storici” davvero interessanti, se ha qualcuno può servire questo è il link.

(**) “Che stai facendo?”

(***): Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina.

(****) “Non ci credo.”

Allora questo capitolo è dedicato al mio personaggio storico preferito: Marie Olympe de Gouges, che durante la Rivoluzione Francese scrisse veramente la Dichiarazione e fece davvero la brutta fine sopradescritta, perché contro la pena di morte per i reali e perché era un personaggio parecchio scomodo per Robespierre. Vi lascio anche il LINK per leggere la Dichiarazione se può interessarvi, è molto breve non vi prenderà più di cinque minuti scarsi.

Piano piano tutti i personaggi salteranno fuori, si legheranno insieme alle donne famose a cui dedicherò ogni capitolo con un breve flashback. Il prologo e il primo capitolo hanno dovuto presentare tutta la storia, ma dal prossimo prometto di entrare più nel particolare. Questa storia tratterà della lotta per il diritto al voto negli Stati Uniti, attraverso la vita di alcune donne, che dovranno lottare per cambiare la propria vita in meglio.

Spero vi sia piaciuto, a presto!

  
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