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Autore: shimichan    29/04/2014    1 recensioni
Raccolta di piccoli momenti non-sense dei due nakama.
[...]
#14. In fondo tra loro è sempre stato così: riescono a cogliere, dell’altro, perfino ciò che non diventa mai suono. Empatia la chiamano, ma sanno entrambi che non è quello il nome del sentimento che li tiene legati, anche se non hanno mai avuto il coraggio di ammetterlo.
#15. La purezza era per loro qualcosa di astratto, vi erano stati strappati troppo presto per provarne nostalgia.
#16. Ti ha accompagnato per tutta la vita, eppure non ti sei mai abituato alla gelida presa della Morte.
#17. Vent’anni prima, in un’isola sperduta del mare occidentale, una donna si fermò dietro una porta ad ascoltare la voce di una bambina che parlava ad un sassolino.
#18. “Ora hai trovato il suo erede…” aggiunge in un tono allegro, smorzato dal mozzicone che stringe tra i denti “…ma che mi dici di te?[...]"
#19. “Non sono sciocchezze!” lo zittisce, perentoria. “Mamma guardava papà nello stesso modo e da quando non c’è più non l’ho più vista rivolgere a nessuno uno sguardo simile!”
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico Robin, Roronoa Zoro
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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SWEET DISCOVERIES




La schiuma frizza nel bicchiere, trabocca e si condensa in una goccia che scivola pigra oltre l’orlo, raccogliendosi sul bancone in un cerchio perfetto.
Zoro l’osserva pregustando già la sensazione di dissetante freschezza che promette quel boccale di birra. L’ha desiderato sotto il sole cocente di quella giornata, agognato tra la presa di Usopp e i rimbrotti del cuoco incaricati di fargli da ombre per evitare si perdesse, sudato per seminare quei due guastafeste, che lo stanno ancora cercando paventando la reazione di Nami, ed ora eccolo.
Lo afferra, se lo porta alle labbra trepidanti d’attesa, lo inclina, venendo inebriato dall’odore forte del luppolo, e…gira di colpo la testa.
Il sorso destinato alla sua gola arsa finisce per abbeverare il legno e colargli sulle scarpe.
Sconcertato, guarda la chiazza scura che ha davanti per notare poi alcuni petali di ciliegio vorticargli sopra il braccio. Gli stessi petali che vede alla finestra, dove una mano, radicata alla cornice, gli fa segno di uscire.
Irritato, l’ignora, ficcando le dita in tasca alla ricerca di altre monete con cui convince il barista a servirgli dell’altra birra, ma, mentre questa gli viene versata, due mani fiorite sul pavimento scrollano lo sgabello su cui è seduto, facendogli perdere l’equilibrio per ruzzolare a terra tra le risate schernitrici dei clienti.
Questa me la paga, si promette mentalmente, serrando i pugni ed alzandosi, livido.
L’attenzione del locale è rivolta a lui, quel tipo talmente ubriaco da non reggersi in piedi, ma bastano alcuni eloquenti sguardi per cancellare i ghigni dalle facce ebbre che l’accompagnano alla porta.
Marca furioso i passi sulla strada sterrata che si snoda attorno alla locanda e giunge sul retro, dove Robin lo aspetta a braccia conserte.
“Tu! Che c-?”.
Non riesce a dar sfogo all’imprecazione che gli preme in gola a causa delle dita spuntate dal nulla che gli tappano la bocca, facendolo imbestialire più di quanto già non sia. Invano si dimena davanti all’indifferenza con qui Robin gli volta le spalle per fissare alcune botti, accatastate in un angolo.
“Su. Vieni fuori. Nonostante le apparenze, non ti farà nulla. È un mio compagno”.
Le sue labbra si curvano in un sorriso rassicurante, materno, di quelli che sfoggia per mettere a tacere le angosce di Chopper o calmare l’irrequietudine del suo amante, ma Zoro non vede chi possa esserne il destinatario.
O meglio, non lo trova. Deve, infatti, abbassare lo sguardo di cinquanta centimetri buoni per scorgere l’esile figuretta di una bambina. Ha i capelli raccolti in due trecce, le mani chiuse sull’orlo del vestito, gli occhi castani, grandi e spaesati, puntati dritti nel suo.
Chi diavolo è?
Robin sembra riuscire a intercettare i suoi pensieri, mentre, accertandosi che non dia più in escandescenza, gli libera la bocca, guadagnandosi un’occhiata torva, che promette vendetta anziché ringraziare. “Si chiama Yuki” annuncia, stringendole amorevolmente una spalla ed invitandola a muovere qualche altro passo. “E si persa”.
“Allora?”.
Il tono seccato dello spadaccino fa comprendere bene quanto i suoi pensieri siano interessati alle sorti della bambina, di certo in secondo piano rispetto alla birra, pagata, che lo attende sul bancone, ma lei non demorde e, calpestando i suoi desideri come fossero foglie secche, prosegue nel suo intento. “Potresti guardarla tu, mentre io chiedo informazioni in giro? Non sa dove andare e non mi fido a lasciarla sola”.
Gli occhi della piccola si sgranano a quelle parole: probabilmente preferirebbe la compagnia di un cane rabbioso a quella del pirata che la scruta quasi fosse frutto della sua immaginazione, perciò si ritrae dalla presa di Robin, stringendole le ginocchia e nascondendo la paura tra le pieghe della gonna.
 “Certo la tua faccia non aiuta” sospira sconsolata, le sopracciglia distese in segno di rassegnazione.
“La…la mia faccia?!” tuona, riuscendo a controllarsi e a non aggiungere qualche altra parolina che la compagna intuisce comunque dalla sua espressione.  
“Fatti aiutare da qualcun altro! Io ho da fare!” e si volta, ricalcando celere i propri passi per tornare alla locanda.
Più si allontana, però, più l’intensità con cui marca lo sterrato si affievolisce, perde convinzione: c’è troppo silenzio. Conosce Robin e sa che non esploderebbe mai in una scenata sconveniente in mezzo ad una strada, eppure il fatto che non abbia tentato minimamente di fermarlo, gli puzza.
Si trattasse di Nami, la gente che cammina ignara per le vie sarebbe già stata attirata da grida ingiuriose, parole irripetibili e minacce di qualsiasi tipo, e lui avvertirebbe la testa pesante dei pugni che la navigatrice puntualmente gli assesta, ma, almeno, avrebbe dato sfogo alla sua irritazione, a quella stretta allo stomaco che stringe ogniqualvolta gli venga proposto qualcosa di assurdo. Invece, si tratta di Robin.
A lei le pressioni, verbali o meno, non servono.
Basta solo il pensiero di quanto è in grado di fare ad irretire Zoro, che prende ad accarezzarsi la base della gola.
'È molto semplice convincere un testardo': così gli aveva detto, una sera, con un sorriso che del divertito aveva poco in comune, accompagnando quelle parole con un eloquente gesto delle mani.
Si ferma alla fine della strada. L’opera subdola di Robin ha ormai seminato in lui il dubbio ed il suo prolungato mutismo non ha fatto che accrescerlo.
Quando si volta ed incrocia il suo sguardo falsamente stupito, impreca contro se stesso ed il suo essere tanto idiota: in fondo, Robin, non farebbe mai del male ad un compagno! Un’inoppugnabile costatazione che perde sicurezza alla vista del suo sorriso.
Non le riempie tutta la bocca. Le sue labbra, infatti, accentuano la curvatura solo da lato, mantenendo intatta la piega nell’altro, conferendo alla sua espressione ingenua un tocco sinistro, raccapricciante e pericoloso, che, anche se Zoro non lo sa, servirà a ricordargli, in futuro, di essere più accondiscendente.
“E va bene!” esala, stanco come se avesse discusso arduamente fino a quel momento.
Robin esulta in maniera composta, forza con dolcezza la piccola a voltarsi per mostrare un’espressione tutto fuorché entusiasta e si allontana, lasciandoli soli, entrambi a chiedersi cosa mai di male avessero fatto per meritarsi una simile compagnia.
 
 
L’occhio sano di Zoro si assottiglia a tal punto da sparire sotto l’aggrottamento delle sopracciglia, cercando di mettere a fuoco l’insegna.
“Su! Vieni!” lo incita Yuki, sollevandosi sulle punte per poi lasciarsi ricadere di peso sui talloni.
La guarda. Fino a dieci minuti prima lo stava seguendo a capo chino, evitando il suo sguardo ogniqualvolta si voltasse a controllare che mantenesse un’andatura sostenuta.
Ora, invece, se ne sta ferma davanti al negozio ad osservarlo con cipiglio risentito ed impaziente.
“Ti muovi?!”.
E dà ordini!
Zoro digrigna i denti e costringe il suo corpo rigido a scollarsi dalla strada per compiere quei pochi passi che ancora lo separano dall’entrata.
“Finalmente ce l’hai fatta!” esclama, una punta d’irritazione nella voce, sbilanciandosi in avanti per poter aprire la porta ed entrare, rifiutando con un occhiataccia l’aiuto dello spadaccino che, infatti, torna ad stringere le katane, piuttosto scocciato.
L’aria, all’interno, è nauseante, pregna del profumo di fragola, panna, caramello e cioccolato.
Storce il naso, appena le sue narici colgono anche l’odore stomachevole di vaniglia, e rimane immobile sotto stipite, sperando che un leggero venticello ricicli l’ossigeno o meglio ne riempia il negozio, vista la sua assenza quasi totale.
“Chiuda la porta per favore!” gli intima la commessa dietro il bancone e lui, seppur reticente, obbedisce.
Intanto la piccola emette uno strillo eccitato, schizzando da una vetrina all’altra, con occhi colmi di meraviglia, ed indica i dolciumi di cui è ghiotta alla commessa, che sorride al suo entusiasmo.
Meno compiacente è Zoro. Il sacchetto di carta in mano alla donna si gonfia sensibilmente ad ogni “Questo” e “Quelli lì” e più le caramelle aumentano, più le sue tasche sembrano alleggerirsi.
“Tu non vuoi nulla?”.
Lo chiede con educazione e un pizzico d’ingenuità, Yuki, senza però voltarsi e vedere così la sua espressione schifata.
“A meno che non vendano rhum sotto banco, no grazie!” risponde piccato, marcando le ultime parole con la lingua premuta sugl’incisivi.
La battuta gli costa un’occhiata riprovevole da parte della venditrice, che scuote la testa senza smettere di pigiare i tasti della cassa. Quando gli passa lo scontrino, Zoro perde un battito, ma Yuki è già fuori a gustarsi alcuni bonbon e così paga, sbattendo violentemente le monete sul banco e guadagnandosi un altro rimprovero silenzioso. Non è proprio la sua giornata.
Tutto per colpa di Robin, che gli dovrà ben più di una birra!
Esce tra mille rimbrotti e un’ombra scura sul viso che scema non appena vede la piccola, dall’altro lato della strada, agitare le braccia e chiamarlo. Si affretta a raggiungerla, predicando più discrezione: l’ultima cosa di cui ha bisogno al momento sono gli sguardi dei passanti puntati su di loro. L’idea, poi, che tra questi possa nascondersi qualche suo compagno gli serra la gola, facendogli aumentare il passo.
“Dove vai?”.
Si volta, rallenta per scorgere quella mocciosa ancora ferma, s’arrabbia.
“Il patto era che ci spostassimo su una zona meno trafficata! Datti una mossa!” urla, dilatando le narici e respirando a fondo per cercare di calmarsi. Yuki, però, non sembra ascoltarlo.
Si ficca in bocca un bastoncino di zucchero, squadra annoiata lo spadaccino e gira i tacchi, prendendo la direzione opposta.
“Di qua! Quella è la direzione per il porto!”.
E, nel seguirla, la testa incassata tra le scapole per celare in qualche modo la frustrazione che gli smuove comunque lo stomaco, Zoro pensa che Robin gli dovrà molto, molto, molto più di una birra!
 
 
Giunti su uno spiazzo verde, fuori dal paese e dalle vie commerciali dell’isola, sente di potersi finalmente rilassare.
Così si accascia ai piedi di una grande quercia e, sistemate con cura le sue preziose spade, socchiude l’occhio, sperando che dove non è riuscito l’alcol, riesca il sonno. Una sottile brezza gli scompiglia i capelli e fa oscillare i suoi orecchini, producendo un lieve e confortante tintinnio, l’ultimo rumore che sente sempre prima di appisolarsi.
Tuttavia la piacevole pace che avverte viene ben presto soppiantata dalla sgradevole sensazione di essere osservato.
Quasi con timore solleva appena la palpebra, scoprendo di aver ragione.
Yuki, infatti, se sta immobile, davanti a lui, gustandosi con ingordigia un lecca-lecca e arriccia, all'improvviso, le labbra in quell’espressione contrariata che evidentemente tutte le donne possiedono fin da bambine e che non preannuncia nulla di buono.
“Non sei un granché. Sei rude, maleducato, pigro, irritabile e…”. Si sporge in avanti. “…detto tra noi, ti serve un bagno!”.
Sviscera quella sentenza con una naturalezza disarmante che lascia a Zoro giusto il tempo di comprenderne il significato, prima di rificcarsi in bocca lo stecco.
Un formicolio prende a corrergli lungo schiena per arrampicarsi poi sul collo e lì biforcarsi, afferrandogli le tempie, che iniziano a ingrossarsi e pulsare.
“Senti tu! Piccola…” sbotta, appigliandosi a quella poca pazienza rimastagli per evitare termini offensivi, che gli si bloccano sulla lingua, trattenuta, in via precauzionale, tra i denti.
L’immaginazione porta la bambina a pensare che lo spadaccino si gonfierà per poi esplodere come un palloncino di rabbia repressa, ma resta impassibile a fissarlo, trovandolo, in tutta sincerità, piuttosto buffo.
“Robin, invece, è bella…”.
Il corpo di Zoro pare ricordarsi solo in quel momento della forza di gravità, perché di colpo si rilassa, piegandosi contro il tronco.
“Cosa c’entra questo?!” inveisce.
“C’entra, c’entra…” riprende, come fosse custode di una verità a lui preclusa e, vista l’arcuatura delle sue sopracciglia, piuttosto ovvia.
“Allora…è bella o no?”.
Non ha nessuna intenzione di affrontare una conversazione simile, ma il tono imperioso della piccola è difficile da ignorare, chissà che prestandole attenzione per qualche minuto, si stanchi e lo lasci finalmente riposare. Così stira le gambe e incrocia le braccia dietro alla testa, meditabondo.
La sua esperienza riguardo alle donne è talmente ristretta da non permettergli un confronto, tuttavia pensa agli sguardi che Robin attira su di sé e per un attimo quel pensiero suscita in Zoro un insensato desiderio di possesso.
“Si, immagino di sì. A chi piace il tipo” sbuffa, seccato, perché, in fondo, il tipo piace anche a lui.
Yuki si schiarisce la voce. Ha un’altra constatazione. “Ed è intelligente!”
Su questo non ci sono dubbi. Prima d’incontrarla, infatti, non credeva possibile che una persona potesse leggere più di due libri in tutta la sua vita né che esistessero tante parole che vogliono dire la stessa cosa!
“Già…è l’unica al mondo in grado di decifrare una qualche lingua”. Rotea una mano in aria e sbadiglia, mentre lo sguardo della piccola si riempie e svuota nel giro di un istante: quella confessione aumenta i suoi dubbi.
“È paziente!”.
Indifferente sarebbe il termine più adatto, ma lo spadaccino emette comunque un verso di consenso.
“E furba!”.
“Già” schiocca la lingua, piccato. Purtroppo per lui!
“E poi è buona!”.
Zoro spalanca l’occhio e lo punta sulla fronda trafitta qui e là dai raggi del sole, il sopracciglio teso all’insù per dimostrare tutte le sue riserve al riguardo. Non è certo un esperto, ma crede che affidargli una mocciosa mentre è al culmine di bevuta non sia esattamente annoverabile tra le definizioni di bontà. “Dipende dai punti di vista!”.
La bambina lo fissa stranita per un secondo, ma rinuncia ad indagare oltre, ciondolando sul posto, esprimendo la propria perplessità con uno sbuffo che lui interpreta come il primo segno di una resa ormai vicina.
“E dimmi….è brava a combattere?”.
“È una che se la sa cavare…” sospira, pregustando il silenzio che la voce leggermente più fievole di Yuki preannuncia.
“Allora proprio non capisco!”.
L’urlo stridulo fora le orecchie di Zoro, facendolo sobbalzare di colpo per indirizzare uno sguardo sconcertato su quello irreprensibile della piccola, che tiene le labbra tanto serrate da apparire bianche e raggrinzite e la fronte aggrottata in una serie di rughe, raccolte in mezzo agli occhi in un solco di profondo dissenso.
Punta perfino i piedi a terra ed è tutta rigida, in posizione da rimprovero, con i pugni premuti ai fianchi e le trecce penzolati oltre le spalle, mentre lo squadra dall’alto al basso.
Lui solleva le mani senza uno scopo preciso, se non quello di proteggersi perché, dal modo in cui trema la sua bocca, ha capito che le prossime parole di Yuki usciranno in un tono tutt’altro che pacato. “Come fa una come Robin ad essersi innamorata di uno come te!”.
Ecco l’inattesa, imprevista, sconquassata deduzione che lo spiazza.
Zoro si concentra sul proprio respiro che si è incagliato in qualche risacca tra la gola e il fondo dei polmoni. Butta fuori l’aria e resta in apnea per qualche secondo, assumendo un buffo color porpora. Poi inspira più forte che può, al punto da sentire male ai muscoli del petto.
Il respiro, questa volta, scende con regolarità, ma non serve per far sparire la bambina che ha di fronte e i lineamenti contratti del suo volto che manifestano assoluta incredulità.
“Non…non…dire sciocchezze!” cerca di difendersi, nonostante la sua voce manchi di decisione ed esca come una serie di borbottii sconnessi.
“Non sono sciocchezze!” lo zittisce, perentoria. “Mamma guardava papà nello stesso modo e da quando non c’è più non l’ho più vista rivolgere a nessuno uno sguardo simile!”.
Quelle parole rimangono sospese tra loro, nel silenzio della valle, come una verità che nessuno ha voglia d’indagare o la forza di contraddire.
Poi una voce giunge in aiuto di Zoro, rimasto basito a fissare i suoi grandi occhi nocciola inumidirsi.
“Yuki!”.
Si girano. In fondo alla strada, una donna allarga le braccia e s’inginocchia, aspettando che la bambina la raggiuga per chiuderla in un abbraccio sollevato. “Mamma!” strilla e corre via, incurante delle caramelle che semina al suolo e dello spadaccino, bloccato nella stessa posizione da un tempo indefinito.
Le vede stringersi, scambiarsi alcune battute che non può udire, chinare il capo davanti a Robin in segno di riconoscenza.
È lei, ora, a riempire la sua intera visuale.
Bella. È il pensiero che lo sfiora e, si accorge, non per la prima volta.
Ma Robin non è bella perché ha gli occhi azzurri, i capelli lisci o le curve al punto giusto: la sua bellezza non può essere liquidata come semplice tratto somatico.
Robin è bella perché capace di far vedere ciò che è realmente, nonostante non assomigli a ciò che immaginava d’essere, perché possiede il fascino di chi ha conosciuto e sofferto la solitudine, ma non si è arreso alla disperazione, perché nasconde le sue fragilità dietro ai sorrisi, nonostante le labbra siano segnate da quanto ha perduto.

Le saluta con un gesto garbato della mano e volta, avanzando alcuni passi verso di lui, che pare non accorgersene.
Intelligente. Sarà sempre questo il divario incolmabile tra loro. È degradante ammetterlo.
Tuttavia l’intelligenza di Robin non si mostra nei libri che legge, ma nella sua sensibilità: non gliel’ha mai fatto pesare, neanche quando si burla di lui perché conosce troppo bene l’impotenza e la frustrazione che si prova nel sentirsi esclusi.

Nota alcune caramelle sparse a terra quasi fossero una scia e ne raccoglie un paio con uno sguardo incuriosito che diviene interrogativo nel momento in cui si rende conto da dove essa parta.
Paziente. È vero, ignora la maggior parte delle cose che non rientrino nei suoi interessi, ma aver coraggio non significa solo affrontare il proprio destino. Significa anche sopportarlo, resistere, pazientare. Nonostante l’attesa costi vent’anni.
“Vi siete divertiti allora…” commenta, agitandogli davanti al naso le carte vuote delle caramelle, che, a giudicare del colore della sua lingua, di un rosso acceso, erano alla fragola. La sua voce è melliflua, insinuante, una voce usata deliberatamente come uno strumento, che non ha niente d’impulsivo o di non premeditato.
Zoro solleva la testa di scatto.
Nel suo sguardo appare qualcosa d’insolito. Robin lo nota subito e distende la fronte, emettendo un verso di sorpresa.
“Affatto!” si affretta a dire, alzandosi e voltando il capo per cercare di nasconderle il viso, che sente vezzeggiato dal disagio. Uno stato di torpore che aumenta, quando s’incamminano verso il porto, dove, a detta di Robin, i loro compagni li stanno aspettando per il pranzo.
Discendendo lo sterrato, la studia, guardingo.
I suoi occhi chiari non lasciano intendere nulla di quanto ha supposto quella bambina impertinente. Lui almeno non riesce a scorgerlo.
“Sei strano”.
Lo è davvero. I suoi tendini sono in allerta, avverte le giunture scricchiolare e i muscoli rigidi appiccicati alle ossa, sintomi di un’emozione che raramente ha occasione di provare e che lo irretisce.
“Quella mocciosa era una seccatura!” bofonchia distratto, pensando che è inutile rimuginarci tanto, che le parole di Yuki erano solo frutto di una fervente immaginazione.
“Si” sospira lei, fermandosi e pinzandosi il mento con due dita, il gomito sorretto dal palmo che tiene conserto al petto, assumendo l’espressione pensierosa di chi sta elaborando una complicata teoria. “Faceva delle domande davvero indiscrete…”.
Il seme dubbio alimentato da quella considerazione lo blocca a pochi passi di distanza.
“È per questo che me l’hai affibbiata?!” sbotta, smosso dall’orgoglio, accecato dalla rabbia di aver subito l’ennesimo raggiro.
In tutta risposta, Robin, si mette a ridere, in un modo bellissimo, e ridendo si piega leggermente in avanti, arrivando a sfiorargli, con i capelli, la spalla, in un gesto che non ha nessun imbarazzo, ma solo sconcertanti esattezze.
Che Robin non è furba, ma diabolicamente astuta.
Che pretenderà con gli interessi il pagamento del pegno per lo smacco subito.
Che quella guastafeste con le treccine aveva torto marcio, perché lo sguardo di Robin non è mai cambiato. L'ha sempre guardato così.








Angolo Autrice
YEAHHHHHHHHH!!!!!! Ce l'ho fatta finalmente!!!! Ho aggiornato!!!! XD Ammettetelo non ci speravate più....beh nemmeno io! -.-
Eh, che dire...Come potevo resistere all'immagine di Zoro babysitterperungiorno? Credo che quell'episodio (sebbene filler) rimarrà per tutti i fan del paring uno dei più divertenti! Diciamo che io l'ho modificato, sfruttando l'idea per i miei loschi scopi...
Bene, sperando di non metterci un'altra vita a partorire una storia decente, vi lascio, augurandovi vi rivederci al più presto!

besos


ps: SCUSATEMI MOLTISSIMO PER IL RITARDO T___T
ps: per chi volesse comunque ho iniziato una nuova raccolta zorobin arancio-rossastra...se volete darci un'occhiata io non mi offendo ^///^
 

 
   
  
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