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Autore: Camille VanHorn    30/04/2014    0 recensioni
Lui non era innamorato. Lei lo sapeva. La guardava come si guarderebbe intorno un uomo appena finito nella favola che sta leggendo, come se quel mondo nero su bianco gli si materializzasse intorno. Lui non era innamorato. Lei lo sapeva. Ma l'energia che scorreva tra di loro in quel momento era solo amore, non l'amore di una storia, l'amore di un istante, di un infinito istante.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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A pensarci bene lei non era una dea. Non era neanche una delle ragazze più belle. Ma aveva qualcosa di diverso, glie lo si leggeva addosso che aveva qualcosa di singolare.
Gli occhi erano marroni, normalissimi occhi marroni dalle ciglia lunghe e nere,
uno sguardo spesso perso, altrettanto spesso molto attento, attento ai dettagli, alle persone, alle parole,
un luccichìo di speranza e malinconia nascosto in un angolo appartato dell'iride.
Il naso era come doveva essere, un po' troppo ingombrante per i suoi gusti, goffo e con un'impercettibile gobbetta che andava a comprometterle il profilo.
Le guance erano morbide e lisce, o quasi, l'adolescenza spesso e purtroppo si porta sulla pelle, si sa.
Le labbra, quelle a detta sua erano la parte migliore;
la bocca era piccola, le labbra rosee, carnose, morbide, delicate come petali di rosa.
Si separavano ogni tanto di malavoglia per dar vita ad un sorriso che era, però, anche la loro unica consolazione: un sorriso sereno, di gioia.
C'è un termine preciso per descrivere un sorriso del genere, e se non c'è dovrebbero inventarlo.
Insomma non aveva niente di eccezionalmente bello, ma un sacco di speciale.
Sì non era così carina, ma era avvolta da una bellezza mistica, forse da un certo fascino che non era convinta di possedere, ma che percepiva ed, a volte, si divertiva ad usare.

A pensarci bene lei non era una dea, ma quando lui la guardò, per la prima volta, in quel ristorante, rimase incantato,
rimase perso da qualche parte tra loro due,
o forse da qualche parte nei suoi occhi,
oppure in quello stesso ristorante,
o in un mondo lontano.
Ma dovunque fosse, tutt'intorno era lei.
Era lei e quel suo non so ché di insolito.
Era lei e il suo sorriso.
Era lei e la sua schiena nuda sulla quale cadevano morbidi e disordinati i boccoli castani.
Era la sua goffaggine, la sua speranza, la sua malinconia che portava negli occhi.
Quel sentore di saggezza e sensualità che portava sulle labbra come un vino pregiato che solo gli intenditori si prenderebbero la briga di descrivere associandolo ad una bocca.
Quel suo modo di stare gobba e poi raddrizzarsi controllando che nessuno ci avesse fatto troppo caso.
Era lei.
Lei.
Come se fosse un interno mondo in cui lui si stava perdendo, felice di perdersi, anche solo per poco, anche solo guardandola.

Era innamorato? Probabilmente no.
Lei lo aveva notato? Oh sì. Lo aveva notato.
E aveva sperato che continuasse a guardarla in quel modo.
Erano destinati a stare insieme?
A baciarsi?
A vivere una breve intensa storia d'amore, o ad una notte di follia?
La follia c'era, quella sì.
L'intensità, quella pure.
Ma non era breve quello che stavano vivendo, anzi, sembrò durare secoli,
decenni,
eterni minuti,
infiniti secondi.
Lei aveva quasi sedici anni e quella la considerò una bella storia d'amore.
La sua prima storia d'amore fu quello sguardo.
Fu lui.
Fu l'aver incantato quel ragazzo, l'averlo condotto per mano in quel mondo, per tanto tanto tempo senza che nessuno lo sapesse, senza che loro dicessero niente.
Lui non si sa quanti anni avesse, trenta, quaranta, è difficile a dirsi.
Era perso e basta.
Quando si è persi il tempo diventa superfluo.
L'aveva guardata e aveva visto. Aveva visto. 
Perché era finito da qualche parte,
e lei lo sapeva,
ed entrambi sorridevano
e lei si lasciava guardare
e lui non guardò,
vide.

   
 
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