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Autore: applestark    30/04/2014    0 recensioni
Tratto dalla storia: "-Credo di aver dato un passaggio a un fantasma!-
Lisa spalancò gli occhi azzurri. –Adoro questo genere di storie-
-Ma cosa cavolo dici?- intervenne Alex, facendo capolino dal salotto. [...]
-Labbra bianche, viso pallido…-
Aveva lo sguardo perso nel vuoto mentre parlava di lei, che le era sembrata un angelo.
Ma quella sera faceva troppo freddo fuori per gli angeli per volare.
-Ma cos’è, la canzone di Ed Sheeran?- intervenne Alex, e almeno questo strappò a Jack una risata. [...]"
Storia ispirata alla canzone "The A Team".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Gaskarth, Jack Barakat, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Under the upper hand
 

Capitolo I: White lips, pale face, breathing in snowflakes
 
Molly si strinse nelle spalle, piantando le mani nelle tasche del suo piumino verde, e lasciandosi sfuggire un sospiro di sconforto.
Quello era l’unico momento della giornata in cui poteva mostrarsi annoiata, stanca, distrutta.
Stava sul margine del marciapiede della strada più mal ridotta della periferia di Baltimora ; un piede sopra l’altro, il vento gelido che le faceva bruciare le gote, e il cielo all’imbrunire era di un fantastico blu intenso.
Non c’erano stelle ad illuminare tutto quel buio, e quella
Distesa d’ebano le ricordava la sua vita.
Diede un’occhiata furtiva all’orologio posto sul lampione alla fine della strada, e notò con disappunto che era quasi mezzanotte.
Aveva chiesto un permesso per tornare a casa prima quella sera, visto che lavorava come cameriera
in un locale notturno, ma stava fuori al gelo ormai da tempo. Sperava che il capo non l’avesse vista, o
sarebbe stata costretta a ritornare a lavoro; il che forse era più salutare del rimanere al gelo.
Si sentiva vuota, da un po’ di tempo a questa parte, ma non riusciva a placare quel buco nero nell’anima con niente. Un tempo i libri le davano sollievo, e anche la musica. Ma ultimamente non c’era più niente.
Stava attendendo da più di mezz’ora che un autobus passasse, ma non  c’era l’ombra di un mezzo pubblico nemmeno in lontananza.
Le cose nella sua famiglia avevano preso una brutta piega ormai da tempo. Suo padre lavorava in Svezia e
inviava a lei, la madre e il fratello, un contributo mensile che non soddisfava il fabbisogno economico della
 famiglia, i numerosi debiti.
Inoltre Molly studiava all’università, e vista la sua spiccante bravura, aveva deciso di non voler abbandonare gli studi,  e quindi era stata costretta a trovare un lavoro ben pagato, e soprattutto praticabile la sera, quando non era impegnata a studiare per i vari esami.
Ecco che la ragazza si era ritrovata ad essere una cameriera presso uno dei più sudici locali della periferia.
Quasi parallelamente a ciò, iniziarono anche a circolare numerose voci sul suo conto, e il passaparola delle persone aveva proposto un’immagina completamente distorta della vera Molly, che ormai non riusciva più ad avere nessun contatto con le persone.
Iniziò a camminare avanti e indietro lungo il marciapiede, e lo sguardo le finì casualmente sulla finestra illuminata di un palazzo proprio di fronte alla sua postazione. Desiderò ardentemente di trovarsi in quella stanza, magari al caldo di un piumone, con la televisione accesa e qualcosa da mangiare, un amico con cui scambiare quattro chiacchiere, insomma, qualcosa del genere.
Invece a Baltimora lei ci viveva da sola, in un appartamento spoglio quanto un albero d’inverno, e anche freddo allo stesso modo. Sua madre e suo fratello vivevano in una cittadina vicina, insieme alla sorella della madre, zia Judy, anche lei con una vita squilibrata.
Iniziò a soffiare un forte vento, e le sue gambe lunghe, lasciate scoperte da una minigonna di jeans, iniziavano a tremare, e a vacillare come se fossero di gelatina.
L’orologio intanto segnava Mezzanotte in punto, se il capo l’avesse vista sarebbe successo un  vero e proprio bordello, quindi decise di incamminarsi a piedi verso casa. Nonostante fosse conscia che ci avrebbe messo più di mezz’ora, nonostante quelle strade le facessero paura, e Baltimora di notte non fosse la culla della sicurezza.
Mosse qualche passo, ma i piedi che tutto il giorno erano stati costretti su un paio di tacchi alti , le facevano tanto male, e il freddo sembrava trafiggerle le ossa, e spaccarle una ad una le costole.
La mattina seguente avrebbe dovuto seguire un corso all’Università, ma qualcosa le diceva che avrebbe fatto l’ennesima figura di merda, con quel viso pallido, lo sguardo della stanchezza.
Sospirò, e iniziò a canticchiare il motivetto di una canzone, una di quelle che qualche sera prima aveva cantato nel locale notturno. Da quando il capo aveva capito che armoniosa fosse la sua voce, capitava che la mettesse a cantare, tra un alcolico e l’altro.
Mentre proseguiva il cammino, sentì la voce di qualcuno provenire da un vialetto buio, e quasi meccanicamente sobbalzò, e camminò più veloce, tanto da sentirsi le piante dei piedi bruciare.
-Oh, chi sei?-
Questa volta si fermò, nascondendosi dietro un cespuglio, alla luce arancione di un lampione.
Si trattava di una voce maschile, una voce allarmata.
Rimase immobile lì dietro nascosta perché aveva paura, e finalmente riuscì a capire a chi appartenesse la voce.
Era un ragazzo, più di vent’anni sicuro, era alto e con i capelli scuri.
Parlava al telefono, quindi probabilmente la domanda precedente non era nemmeno rivolta a lei.
Molly si sentì sollevata, e come una ladra riprese a camminare. Tuttavia, nonostante non avesse voluto, finì con l’incrociare lo sguardo con gli occhi scuri del ragazzo, che aveva appena posizionato il suo bell’Iphone nella tasca dei jeans.
La guardò con un’espressione indecifrabile, e una sorta di sorriso stranito stampato sulle labbra.
La ragazza era terribilmente imbarazzata, così abbassò lo sguardo e fece per andarsene.
-Scusa la domanda indiscreta ma… che ci fai qui?-
Finalmente il ragazzo, Jack, si decise a rompere quel gelido silenzio, e lei allora balbettò qualcosa sottovoce.
-E tu che ci fai invece?- farfugliò, con evidente imbarazzo.
-A dirla tutta mi sono perso, ero diretto a un locale dove solitamente io e i miei amici passiamo i giovedì sera… ma ho clamorosamente sbagliato strada- ammise, stringendosi nelle spalle.
Nonostante era evidente che non avesse meno di 23 o 24 anni, Molly trovò che nei modi fossi veramente giovane, un po’ bambinone.
-E quanto a te, invece? Che ci fai in giro a quest’ora… con… con quella gonna?-
Non poté fare a meno di quell’accorgimento, ed ovviamente Molly desiderò di sparire, di voltargli le spalle, correre via il più lontano possibile.. eppure non lo fece.
-Niente, niente lascia stare. Io devo andare- disse frettolosa, ed anche leggermente urtata.
Ormai aveva sempre quella sensazione che la gente la giudicasse apriori, e quindi evitava ogni rapporto con gli altri.
Gli voltò le spalle e mosse un passo, però il ragazzo sembrava cocciuto, infatti le prese il polso nella sua mano grande, ed ovviamente Molly si ritirò, mostrando senza scrupoli il suo fastidio.
-Se vuoi ti accompagno a casa. Voglio dire…potresti essere mia sorella… se ti succedesse qualcosa ti avrei sulla coscienza-
La ragazza alzò lo sguardo verso di lui, e con un espressione statica fece solo un cenno con la testa. Infondo si trattava di arrivare a casa. E, visto che viveva in un grattacielo, lui non avrebbe mai notato in che schifo vivesse. Da fuori sembravano tutti appartamenti normali.
-Oh , allora quella è la mia macchina-
-Non devi più andare in quel locale?-
-Vorrei accompagnarti a casa, ti ripeto, se ti succedesse qualcosa…-
-Va bene- sussurrò Molly, e dopo essere entrata in auto, volse lo sguardo fuori al finestrino.
Poteva ritenersi fortunata per quella sera, aveva trovato un anima buona.
Ovviamente non avrebbe mai detto al conducente ciò che pensava, infatti si limitò a spiegargli dove viveva.
-Hai freddo?-
-Un po’- ammise, e il ragazzo accese prontamente la stufa dell’auto.
Molly provò sollievo, era come se i suoi muscoli si stessere rilassando solo in quel momento, dopo tutta la giornata.
-Posso sapere come ti chiami?- domandò ancora lui, passandosi una mano tra i capelli scuri con qualche ciuffo biondo.
-Tu come ti chiami?-
-Mi chiamo Jack. Jack Barakat. E tu comunque rispondi alle domande con altre domande…-
Sbuffò, ma Molly si limitò a sorridere.
-Puoi lasciarmi qui- disse cinque minuti dopo, proprio quando erano giunti sotto casa di Molly , accanto a un fast food.
-Ma… il tuo nome, ti prego!-
Aprii la porta dell’auto e si soffermò un secondo sul marciapiede, poi si decise a dire il suo nome.
Il suo nome quello vero.
-Melissa-
Nessuno la chiamava così, lei era semplicemente Molly. Molly Hernandez.
-Buonanotte Melissa-
Guardò Jack negli occhi, non ebbe nemmeno il tempo di sussurrare un “grazie”, che lui già era andato via.
Quello era stato un segno del destino, sicuramente. Ed era arrivata sana e salva a casa anche quella sera.
 
 
Jack sfrecciò verso casa di Alex, il suo migliore amico. Gli amici gli avevano annunciato che non ci sarebbe stata nessuna “serata sbronza”, visto che Rian, il batterista, aveva la febbre. E senza di lui non sarebbe stata la stessa cosa. Quindi Jack preferì andare dal suo amico, e raccontargli della ragazza alla quale aveva dato un passaggio. Iniziava quasi a pensare che lei fosse stata una visione, un fantasma. Magari se l’era immaginata, o era stato vittima di quelle leggende metropolitane che narrano di fanciulle perdute che vagano da sole in periferia, chiedendo passaggi agli sconosciuti.
Guidò veloce, tenendo il piede sull’acceleratore, e quando giunse da Gaskarth parcheggiò in fretta e furia, e quasi spaventato da quanto accaduto poco tempo prima bussò incessantemente al campanello.
Ad aprirlo fu la ragazza del suo migliore amico, Lisa.
Non ebbe nemmeno il minimo scrupolo che forse aveva interrotto qualcosa tra i due, che iniziò a parlare a voce alta.
-Credo di aver dato un passaggio a un fantasma!-
Lisa spalancò gli occhi azzurri. –Adoro questo genere di storie-
-Ma cosa cavolo dici?- intervenne Alex, facendo capolino dal salotto e muovendo la mano, come a dire ai due di avvicinarsi a lui.
-Sediamoci. E tu Jack.. racconta-
-Giuro che non ho bevuto!-
Si sedettero tutti e tre vicini.
-Spara.- esclamò subito Lisa, così il ragazzo iniziò a raccontare di Melissa.
Il racconto fu dettagliato e preciso, ma Alex era comunque molto scettico a riguardo. Invece la sua ragazza ci credeva completamente, tanto che le erano venuti i brividi sulla pelle.
-Ha detto di chiamarsi Melissa- aggiunse Jack, pensieroso.
-Descrivila- domandò Lisa, portandosi le ginocchia al petto, curiosa.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, e cercò di figurare il momento esatto in cui l’aveva vista.
-Labbra bianche, viso pallido… capelli castani e ondulati, occhi grandi…-
Aveva lo sguardo perso nel vuoto mentre parlava di lei, che le era sembrata un angelo.
Ma quella sera faceva troppo freddo fuori per gli angeli per volare.
-Ma cos’è, la canzone di Ed. Sheeran?- intervenne Alex, e almeno questo strappò a Jack una risata.
L’indomani si sarebbe recato nel luogo dove l’aveva lasciata, e finalmente avrebbe saputo la verità.

  
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