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Autore: _Even    30/04/2014    7 recensioni
[Coppia: Mirco]
Una relazione clandestina tra personaggi di spicco.
Un Marco testardo e ingenuo.
Un Mika elegantemente fuori di testa.
Quattro interviste televisive.
Quattro liti esilaranti e insensate.
Una piccola OS senza pretese e piena di differenti punti di vista. O di intervista.
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questione di punti di (inter)vista

 Novembre 2013
Marco’s POV

 Quando ho sentito suonare il campanello, avevo già immaginato che potesse essere Michael. Solo che non potevo minimamente prevedere il modo in cui me lo sarei trovato davanti, quando ho aperto la porta.
Invece del suo solito, gioviale, rassicurante sorriso perenne, l’ho trovato con le sopracciglia aggrottate, gli occhi ridotti a due fessure e la mascella contratta in una smorfia accigliata.
È arrabbiato, e di brutto, anche. Spero che non ce l’abbia con me.
«Così non va beno, Marco!»
Ok, ce l’ha con me.
Lo lascio entrare in casa, chiudo la porta, dopodiché mi volto e mi preparo ad affrontare la sua sfuriata per qualsiasi cosa io gli abbia fatto, anche se non ho la più pallida idea di cosa sia.
«Su, avanti» lo sprono, a mio rischio e pericolo «che t’ho fatto?»
Lui mi punta il dito contro, sbarrando gli occhi. «Non fare finta che tu non sa. Ho visto tutto!»
“Ho visto tutto”. Le peggiori parole che un uomo possa mai sentire dopo “Dobbiamo parlare”.
Cerco di fare mente locale e di passare in rassegna tutti gli atti più o meno sconvenienti fatti di recente (o nel corso della mia intera esistenza, se è per questo), per capire a cosa si riferisca. Non mi viene in mente nulla eccetto quando l’altro ieri ho usato il rasoio di Marta per farmi la barba.
Quando si dice vivere pericolosamente, eh?
A ogni modo, non credo proprio che sia questo il motivo della sua ira.
Mi vedo costretto a insistere: «Dai avanti, dimmelo, non farmi…»
Michael mi zittisce con un gesto stizzoso, tira fuori il tablet dalla custodia e, dopo aver premuto qualche tasto, me lo piazza davanti al naso.
«L’intervista, Marco» sussurra come se stesse pronunciando una grave accusa nei miei confronti. «L’intervista.»
Guardo lo schermo: si tratta di un’intervista che ho fatto qualche giorno fa, in cui mi è stato chiesto com’è stato rincontrare “Mika” (non mi riabituerò mai a sentirlo chiamare in quel modo: per me è solo Michael ormai) dopo tanto tempo.
«Non vedo dove sta il problema» ammetto. «Non ho detto niente di strano, non ho minimamente accennato a noi due, non…»
«Tu ha parlato male di me!» sbotta.
Ora è il mio turno di aggrottare le sopracciglia. «Ma non è vero.»
«Ah no?» punta il dito sul tablet, leggendo e indicando col dito: «L’artista definisce Mika “parecchio tosto, un po’ cattivello, più critico di quanto possa sembrare”… Così non va beno, Marco!»
Ah, giusto, quello.
Ho detto proprio così?
Già, l’ho detto.
Oddio, sono un cretino. Un cretino coi fiocchi e i controfiocchi.
Va bene, facciamo mente locale. Visto che ormai il danno è fatto, l’unica cosa che mi rimane da fare è cercare di rimediare alla bell’e meglio.
«Non pensavo che te la saresti presa!» ammetto, alzando le mani. «E comunque, guarda che l’ultima frase me l’ha messa in bocca l’intervistatrice.»
Michael, già sconvolto di per sé, mi rivolge una faccia stranita e chiede lamentoso: «Che tu ha detto, Marco?»
Ops, devo fare attenzione a non usare i modi di dire italiani con lui. Non li capisce tutti quanti.
Mi correggo: «Intendevo dire che è stata lei a dirla, io l’ho a malapena ripetuta, e poi…» tocco lo schermo del tablet in modo da far partire il video dell’intervista. «Senti. Senti, dico tante altre cose buone su di te.»
«L’ho già sentito quel…»
«No» insisto, esibendo un sorriso a trentadue denti. «Sentilo di nuovo.»
E lui si ritrova ad ascoltare la parte in cui lo definisco una persona squisita, allegra e molto easy. Sposta lo sguardo su di me, ancora lievemente scettico. Io continuo a mantenere il sorriso finché non sento che la mascella mi si sta spaccando in due.
Alla fine, di fronte al mio tentativo (patetico, aggiungerei) di intenerirlo, cede. «Oh, va beno. Per questa volta sei perdonato. Per questa volta.» mette via il tablet, sbrigativo, poi cambia completamente espressione e sembra anche parecchio preoccupato. «Ma dimmi… sono davero così cattivo come tu dice?»
Mi scappa una risata, mannaggia a lui e al suo italiano del cavolo! «Beh sì, un po’ lo sei. Qualche volta.»
«Sul serio?!»
Sto per continuare, ma mi blocco nel guardare il suo volto: aria contrita, occhi pieni di ansia e… che fa, si morde il labbro? Oddio, è nervoso, che carino!
Certo, sarei nervoso anch’io se il mio ragazzo dicesse a tutto il popolo italiano che io sono cattivo. Ma credo che non sarei altrettanto carino nel farlo.
Mi dispiace davvero per lui. Certo, è vero che è critico praticamente su qualsiasi cosa, ma evidentemente non lo fa apposta. Ora mi sento in colpa.
Credo che rimanderò la sincerità a un altro giorno e per questa volta ci passerò sopra. «Ma no, non sei proprio cattivo, sei... severo, ecco.»
Sul suo volto affiora un piccolo sorriso di sollievo. «Tu dici?»
«Certo che sì, ovviamente!»
A questo punto si rilassa, abbandona tutto quel nervosismo e quella rabbia immotivata, che non gli appartengono affatto, e torna il Michael dolce e allegro di sempre.
E mentre tiro un sospiro, pensando di averla scampata bella, lui mi attira a sé, senza preavviso. Finalmente mi rilasso un po’ e, tra le sue braccia, lascio andare tutta la tensione.
«No mi piace litigare con te per stupide interviste.» dice, e dal suo tono intuisco che sta sorridendo. «Tu lo sa, vero?»
Come si fa a non amarlo? Sì, magari a volte è impulsivo, ma ha questi scatti di tenerezza che mi fanno sciogliere.
Quasi mi dimentico il motivo per cui è venuto qui. O, per lo meno, in questo preciso istante non me ne frega più niente. «Certo che lo so.»
D’altronde, a chi non capita di dare di matto, una volta ogni tanto?

 Dicembre 2013
Mika’s POV

Marco mi ucciderà stavolta.
Posso già scrivere il testamento, chiamare il becchino e farmi preparare una bella bara su misura.
L’ho combinata proprio grossa.
Sono un uomo morto. Sono morto e sepolto, non mi resta che aspettare.
Sento bussare, è lui. Raggiungo a malincuore la porta, afferro la maniglia e mi preparo psicologicamente a essere strangolato a mani nude. Apro lentamente.
«A’ Michael, ma che cazzo stai a dì?!»
Marco entra a passo di marcia nell’appartamento e si piazza di fronte a me, infuriato come non l’ho mai visto prima. Ha tutte le ragioni di esserlo.
«Ok, so che tu mi vuole uccidere, ma prima io…» comincio.
Lui però mi interrompe. «Prima me fai una testa tanta co’ l’intervista mia –e così non va beno, e hai parlato male di me e quant’altro– e mo’ me fai di ‘ste cazzate in mondovisione e manco me dici niente?!»
Ma che cos’ha detto, si può sapere? Lo sa che non lo capisco quando parla così, perché si ostina a farlo? Certo è che ora non ho proprio il coraggio per chiedergli di ripetere. Tanto si capisce benissimo che non ha detto nulla di buono.
«Sì, tu ha ragione, ma mi è venuto… spontaneo!» trovo finalmente il termine che mi serve. «Io e il presentatore stavamo parlando e ho detto quella cosa in modo spontaneo. Non ho fatto apposta.»
«Nun te voglio sta’ a sentì!» urla.
Poi si ricorda della mia totale inettitudine per quanto riguarda i dialetti laziali e ripete, in italiano corretto stavolta: «Non voglio starti a sentire.»
«Ma io…»
«Hai detto in un’intervista in diretta, su un canale nazionale, che tu sei venuto a casa mia a mangiare il risotto e per di più ‘sto risotto ti ha pure fatto schifo!»
«Alt!» gli paro una mano davanti alla faccia e fermo il suo sproloquio. «Primo, non ho detto che io ho venuto a casa tua. Ho detto che io ero a casa di una persona
Marco sbuffa e si mette a braccia conserte, sa che ho ragione. «Sì, però quando il presentatore ti ha chiesto a casa di chi avevi mangiato questo famoso risotto che ti aveva tanto sconvolto l’esistenza, sei stato pessimo.»
Non posso che essere d’accordo.
Mi sono lasciato sfuggire, durante questa fatidica intervista in diretta televisiva, che circa una settimana fa sono stato a casa di qualcuno e che lì ho mangiato per la prima volta il risotto italiano. Sinceramente, io amo il cibo di questo paese, ma il risotto è un piatto che non ha senso. È sbobba, non è un pasto. O forse è il modo in cui l’hanno preparato Marco e Marta che non mi è piaciuto.
Comunque, quando il presentatore mi ha chiesto a casa di chi avessi avuto il dispiacere di assaggiarlo, invece di reagire in modo naturale e pacato come mio solito, mi sono messo a ridacchiare come un idiota, a balbettare e a ripetere che “non potevo dirglielo”.
Di certo non potevo rispondergli dicendo che ero stato a casa del ragazzo con cui attualmente tradisco il mio fidanzato e dal quale mi sono fatto promettere che non avremo mai fatto alcun accenno alla nostra storia, almeno non pubblicamente.
Ed ecco che proprio io, adesso, mi ritrovo a venir meno al nostro accordo.
La sostanza dei fatti non cambia, sono un idiota. Ma non ha senso adesso rivangare.
«Secondo, non ho detto che mi faceva schifo il risotto» mento.
Lui si mette a braccia conserte, con sguardo severo. «Ah, no? Perché mi sembrava di aver sentito, e cito testualmente: “Non è buono, non mi piace, è solo riso crudo con la salsa”.»
Beccato. Beccato in pieno e senza possibilità di rimangiarmi quello che ho detto.
Sposto lo sguardo verso il basso e cerco di impietosirlo con il migliore (e più sincero) sorriso di scuse in cui riesco a esibirmi.
Marco cerca di trattenersi dal commentare, ma non ci riesce.
«La prossima volta che io e Marta ti invitiamo a pranzo ti ordini una pizza, punto e basta. E te la paghi pure da solo, Mika
Oh, mi chiama col mio nome d’arte.
La cosa è seria.
«Tu mi vuole perdonare, vero?» cerco di accattivarlo come meglio posso.
«Neanche un po’.»
Niente da fare, per ora. Sbuffo. «Ma perché litighiamo sempre per interviste, noi due?»
Di fronte a queste parole, Marco sembra addolcirsi un po’ ed esitante borbotta: «Non è che è proprio un litigio questo… è un chiarimento, ecco.»
Un chiarimento? Perfetto! «Quindi mi perdoni!»
Marco fa repentinamente marcia indietro: «No.»
Scuoto la testa. Cercare di ragionare con lui è pressappoco impossibile, ma questo non mi impedisce di provarci.
Anzi, più fa il testardo, più mi viene voglia di perseverare nel mio intento. Quindi, lui mi perdonerà. Che lo voglia o no.
 

Gennaio 2014
Marco’s POV

Eccomi qui, a strozzarmi con la birra e a tossire come un dannato davanti al televisore.
Ma come potrei fare altrimenti?!
“Guarda la mia intervista di stasera” mi ha detto lui, appena poche ore fa “Ho un regalo per te”
Così ho fatto. E mentre me ne stavo lì, buono buono sul divano, con la faccia incollata al televisore, all’improvviso chiedono a Michael di parlare dell’amore.
E qui mi si mozza il respiro e mi va la birra di traverso, tanto che rischio seriamente il collasso. Ma cerco comunque di trattenermi, con l’intento di ascoltare quello che lui ha da dire al riguardo.
L’amore, a detta sua, cambia.
Perché è un’evoluzione continua, perché anche lui è sempre in cambiamento.
Perché se l’amore muta, e gli viene data questa possibilità, allora sì che ha una vera chance di continuare per davvero.
Parole sue.                                                       
Ho sentito solo a grandi linee, naturalmente, tra un colpo di tosse e l’altro, ma ciò che sono riuscito a cogliere mi basta e avanza.
Anche se non posso avere la certezza matematica che stesse parlando anche di me (oltre a parlare del suo odioso fidanzato, Mister Perfezione, ovviamente), non posso non ammettere che ci spero da morire. Glielo chiederò, presto.
Per ora, tutto quel che posso fare è restarmene qui sul divano ad ammirare l’uomo che, in questo momento, non esiterei a definire come la perfezione assoluta, mentre mi dona il suo regalo. Forse il più prezioso che lui potesse farmi.
Un regalo che parla di amori impossibili e straordinari, del sogno di lasciarsi tutto alle spalle e di non tornare mai più.
Mi dedica una canzone, e non una qualsiasi. Appartiene a lui ma sembra parlare di noi. Chiudo gli occhi e mi perdo immediatamente tra quelle note.

Underwater.

Uno squillo, due squilli, tre squilli.
Non può essere andato a dormire. Sono solo le tre di notte. Lui è un nottambulo, lo sanno tutti, no?
Al quarto squillo comincio a pensare che forse, dopo l’intervista, era stanco ed è andato a dormire.

Rispondi, dai!
Al quinto squillo comincio a spazientirmi. Mi metto a tamburellare con le dita sul ginocchio, in un’attesa snervante.
Se non mi risponde ora, lo crocifiggo.
«Allô?» biascica finalmente la sua voce, in francese.
«Parlavi di me, sì o no?» mi affretto a dire.
Lui mugola appena. «Marco?»
«Prima, nell’intervista, quando ti è stata fatta quella domanda sull’amore, parlavi anche di me?» gli chiedo di nuovo, tutto d’un fiato. Devo saperlo in questo preciso istante.
Pausa.
Una lunga pausa.
Ma è ancora in linea?
«Michael?»
«Va te faire foutre, Marco!»
Non sembra che abbia detto una cosa molto carina. Anche se in francese risulta comunque adorabile.
«Quindi è un sì?»
Sbuffa sonoramente. «Sì, Marco. Certo che parlavo anche di te.»
Mi scappa un sorrisetto eccitato. «Ok grazie, scusa il disturbo. Buonanotte, ti amo.»
«Aspetta, mi hai chiamato per chiedermi questo?»
Ops.
Mi ero dimenticato che appena sveglio Michael è in fase “mostro di Loch Ness” e qualche volta fa l’acido. Certo, forse influisce il fatto che io l’abbia svegliato alle tre del mattino, ma può darsi anche di no.
«Sì.» ammetto, alla fine.
«Va t’empaler encule!»
Questa volta l’ho capito, cos’ha detto. Faccio per replicare, ma lui mi ha appena attaccato il telefono in faccia.
Questo è stato davvero poco carino da parte sua.
È mai possibile che riusciamo sempre e comunque a litigare per via di qualche intervista? Bah. Questo ragazzo è impossibile.

Va t’empaler encule… volgare ma di classe. Dovrò usarlo anch’io, qualche volta. 

Aprile 2014
Mika’s POV

«Passami una carta. Allora, è ufficiale?» mi chiede, senza ancora riuscire a crederci.
Faccio come mi ha detto. «Sì, porca miseria, è ufficialissimo!» esclamo, ridendo. «L’hai vista sì o no l’intervista al programma di Alessandro? Sì, io faccio X Factor di nuovo.»
In realtà gliel’avevo già anticipato da tempo, ma lui pare non farci caso, anzi, sembra aver appena realizzato che passerò ancora molti altri mesi in Italia, a Milano, insieme a lui.
Gli spunta un sorriso ebete sulle labbra, sorriso che cerca di trattenere senza riuscirci. Alla fine, scuote le spalle e si rassegna a tenersi quella stupida espressione stampata in faccia.
Dio, quanto lo amo.
Nel frattempo piazza sul tavolino del suo salotto un quartetto di regine, guardandomi con aria di sfida. Fingo indifferenza, quando invece sono irritato da morire: perché a burraco mi batte sempre?!
Lui continua a fissarmi con quel sorrisetto sghembo, dondolandosi sulla sedia.
«Che tu vuoi?» gli chiedo direttamente, ricambiando il sorriso.
Non risponde subito, fa una lunga, lunghissima pausa prima di dire: «A’ Michael, ora che sei in Italia lo facciamo o non lo facciamo ‘sto duetto, io e te? Se lo aspettano tutti!»
Scuoto la testa, sghignazzando. «Scordatelo, Marco. Te lo ripeto per l’ultima volta: io e te non duetteremo mai. Non mi voglio esponere troppo con te, lo sai bene.»
Invece di sbuffare o di protestare, come mi sarei aspettato da lui, Marco scoppia a ridere gettando la testa all’indietro e tenendosi la pancia.
Capisco immediatamente di aver sbagliato a dire qualcosa.
«Ma che “esponere”, Michael? Esporre, si dice, esporre!»
«Oh, cazzo, questa lingua è troppo difficile!» mi lamento, ma questo non fa che far aumentare le risa di Marco, che per poco non cade giù dalla sedia. Per un attimo, ho seriamente paura che si faccia male. «Ora che ti prende?»
«Mi prende che non dovevo insegnarti a imprecare in italiano» riesce a dire tra le risate. «Sei troppo buffo quando lo fai!»
Io lo ignoro elegantemente (o almeno spero) e tento di combinare qualcosa con le carte che ho in mano. Doppioni. Solo e unicamente doppioni. Che tristezza. Devo decisamente insegnarli un altro gioco con le carte. Un gioco in cui vinco, magari.
A un certo punto, mentre io predo rassegnato un’altra carta e Marco si riprende dal suo attacco di ridarella, un amaro aroma familiare inizia a farsi sentire nella stanza.
«Oh, caffè è pronto» sospiro, pregustandolo già. Dio, adoro il caffè italiano.
Marco storce il naso, mentre si alza dalla sedia per andare a spegnere la caffettiera e a versare il caffè in due tazzine. «Sai, magari a fare il caffè non sarò bravo quanto quella bella ragazza che somiglia tanto a Katy Perry» sottolinea, con una punta di veleno nella voce «ma spero comunque che non ti faccia schifo quello che preparo io.»
«Ecco qua, ancora non avevamo litigato per questa ultima intervista!» sbotto, ma in realtà non sono affatto arrabbiato con lui. Al contrario, trovo il tutto esilarante.
«Ma è vero. Tu hai fatto apprezzamenti sulla ragazza dei cappuccini… e ti ci sei fatto pure la foto insieme!» mi punta il dito contro.
«Perché somiglia davvero a Katy Perry. Ammettilo!» puntualizzo.
Lui si limita a sbuffare, borbottando qualcosa in dialetto che non capisco.
Certo, come se non avessi capito cosa gli è appena preso: è trasparente. Mi volto a guardarlo, poggiando il mento su una mano. Sogghigno tra me e me.
«Marco, tu sei geloso per caso?»
Posa i caffè sul tavolino, accanto alle carte e, con una calma disarmante, risponde: «Assolutamente sì. Ovvio che lo sono.»
Rimango attonito per qualche secondo.
Non è la cosa più adorabile di questo mondo?
Senza pensarci troppo su, gli afferro il mento e gli stampo un bacio su quelle tenere labbra, che parlano decisamente troppo, e menomale che lo fanno, altrimenti sarebbe una noia. Lui nemmeno si stupisce, è abituato ai miei slanci passionali. E, a ogni modo, non è che gli dispiacciano più di tanto, a giudicare dal modo in cui ricambia.
Continuiamo a baciarci da sopra il tavolino, pericolosamente instabili, ma in questo momento non ci importa. Abbiamo del tempo perso, un sacco di tempo che dobbiamo necessariamente recuperare, in qualsiasi modo e in qualsiasi momento.
«A’ Michael, se litighiamo sempre così me faccio l’abbonamento» sussurra tra le mie labbra, inebriato dal momento.
«Zitto e baciami» è tutto quel che mi esce di bocca.
Il bacio si fa sempre più profondo, più intenso, più bisognoso, finché non è Marco stesso a interrompere il contatto, gettandosi ansante sulla sedia.
«Non puoi capì quanto me fai sangue, Michael.»
Ridacchio, senza capire. «Che tu ha detto?»
«Poi te ‘o spiego» sussurra appena.
Mi guarda dritto negli occhi, e io mi ci perdo praticamente dentro. Ogni volta rimango incantato dalla profondità del suo sguardo, da quegli occhi scuri, mediterranei e…
«A’ Michael, e te sbrighi a mettere giù ‘ste benedette carte?! Qua facciamo notte.»
… e ha appena rovinato il mio momento di romanticismo.
Sgrano gli occhi e spalanco la bocca (e già che ci sono prendo ancora un’altra carta, visto che le mie sono completamente inutili). «Tu sei tremendo.»
«Mai quanto te, enfant terrible» mi prende in giro, per poi mettere giù tutte le carte che aveva in mano fino a poco fa e chiudere così la partita. «E comunque ho vinto ancora.»
«Complimenti, ancora» mi congratulo.
«Che cosa vinco, Michael?» mi chiede, in un sorriso.
Nonostante il suo atteggiamento sia del tutto innocente e senza malizia, ciò che leggo nel suo sguardo è “Prendimi adesso”.
O almeno, questo è quel che mi sembra di vedere. Potrei anche sbagliarmi, ovvio: magari in realtà allude a qualcos’altro e sono io che in questo momento ho gli ormoni in circolo praticamente ovunque. Potrebbe essere soltanto una questione di punti di vista.
Ma, come ho già detto, abbiamo del tempo perso da recuperare. E, nel dubbio, di certo non mi farò pregare.
Magari lo scopro da solo che vuol dire “fare sangue”.

 

 

La soffitta dell’autrice:

Che dire? Ogni coppia ha i suoi alti e bassi, perfino ‘sti due. E quale occasione migliore per litigare, se non delle dichiarazioni sconvenienti? Essere personaggi di spicco ha i suoi svantaggi, belli de zzia.
A parte questo, era da tempo che volevo scrivere una Mirco un po’ “leggera”, con quel pizzico di humor inglese che ti fa appena appena accennare un sorriso… Spero di esserci riuscita e, in caso contrario, esigo che mi massacriate.
Oh, e se vi siete persi una di queste interviste, andate a vederle di corsa, mi raccomando!
Perdonatemi il bislacco nonché pessimo gioco di parole del titolo, ma è stato proprio quel bislacco nonché pessimo gioco di parole a farmi balzare in testa l’idea di una OS del genere.
Un male? Un bene? A voi l’ardua sentenza.
Baci, risotti e caffeina a tutti voi

  
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