Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Lady Five    01/05/2014    3 recensioni
All'improvviso, quella canzone, quelle note, quelle parole che graffiano l'anima. E' come ricevere in piena faccia un pugno spuntato dal buio... Sono vicina all'epilogo di una storia lunga 20 anni e non sono così certa di volerlo leggere.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Racconto scritto per un concorso su amore e musica, ma che poi non avevo spedito in tempo...
 

Le otto e un quarto di lunedì mattina. Di umore nero e in ritardo, come al solito. Mi avvio di malavoglia verso la metropolitana, barcollando sui tacchi e tirando la sciarpa intorno alla bocca, per non sentire l'aria umida e inquinata d'inizio inverno.
Scendo sulla banchina, insieme ad altre decine di persone assonnate e infreddolite. Mentre aspetto il treno, penso a quel tunnel che ogni giorno ingoia migliaia di vite anonime e le risputa in punti diversi della città, dopo averle pigiate e abbruttite per bene in quelle vetture soffocanti, tra rumori e odori sgradevoli.
La mia vita è più che anonima, è grigia. Una stoffa stropicciata, senza forma e senza alcuna utilità. Ho quasi 40 anni, sono impiegata nello studio di un commercialista, amico di papà. Sì, perché la figlia prediletta dello stimato professionista non è nemmeno riuscita a finire l'università. Frequento pochi amici e vivo ancora con i miei genitori. Non perché non abbia la possibilità di mantenermi da sola, ma per inerzia, perché non ho voglia né coraggio di prendere decisioni di alcun tipo, a parte quale abito indossare o quale film andare a vedere. I miei genitori non mi rimproverano mai. A parole. Ma io percepisco la loro disapprovazione in ogni loro gesto, in ogni loro sguardo. Non ho hobby e non mi piace viaggiare. Trascorro tutte le mie vacanze nella casa di famiglia al mare.
Mi correggo: la mia vita non è grigia, è un piccolo, perfetto inferno quotidiano. Se riuscissi a decidere di andare da uno psicanalista, sicuramente mi direbbe che sono depressa a causa di chissà quali traumi passati...
A tutto questo penso ogni mattina mentre aspetto la metropolitana. Una volta salita, mi immergo nella lettura di qualche libro ed ecco che fortunatamente subentra quella specie di oblio, una nebbia che anestetizza la coscienza e la memoria, che dura fino al mattino dopo.
Poi, un giorno, accade qualcosa. Percorrendo il solito corridoio per cambiare linea, sento una musica conosciuta. Sono distratta, quindi all'inizio non la riconosco. Ma la melodia diventa sempre più forte e distinta. E allora la metto a fuoco. E' una canzone che arriva dal passato, da un'altra vita, la mia vita, anche se sembra, appunto, quella di un'altra. E' una canzone che lui scrisse per me, tanti tanti anni fa. Non l'ho più sentita, da allora.
Lui era il mio ragazzo del liceo. Eravamo così giovani, poco più che dei ragazzini, ma eravamo innamoratissimi e, come spesso capita a quell'età, assolutamente certi che saremmo stati insieme per sempre. Dopo il diploma, io mi ero iscritta all'università, come si conviene a ogni ragazza di buona famiglia, mentre lui, che voleva fare il musicista di professione, aveva deciso di prendersi un anno sabbatico. E di andare per un po' negli Stati Uniti, dove - diceva - avrebbe potuto studiare con dei veri maestri e avere maggiori opportunità. Naturalmente io non ero troppo contenta di questa sua scelta. Avrei voluto andare con lui, ma chi l'avrebbe detto ai miei? Non avrebbero mai permesso che io me ne andassi così lontano dietro ai sogni di uno squinternato (tale lo giudicavano, in fondo, anche se mai esplicitamente)! Così lui mi scrisse una canzone, me la incise su una cassetta e partì, promettendo che sarebbe tornato presto, e intanto mi avrebbe scritto tutti i giorni e telefonato ogni settimana. Cose che fece, in effetti, per qualche mese. Io mordevo il freno, aspettando l'estate, così magari avrei potuto raggiungerlo per le vacanze, oppure sarebbe tornato lui... Invece a un certo punto non ebbi più sue notizie. Non arrivarono più né lettere né telefonate. Le lettere che spedii io tornarono indietro con la scritta “destinatario sconosciuto”. Non avevo un suo recapito telefonico. E quando mi rivolsi ai suoi, scoprii che avevano traslocato e nessuno sapeva dove fossero andati. Dire che ero disperata è nulla. Ascoltavo la cassetta con la sua canzone e piangevo per intere giornate. Temevo gli fosse successo qualcosa. Anche se avesse voluto lasciarmi - pensavo - qualcosa mi avrebbe detto, non era da lui sparire così. Ma non ci fu niente da fare. Era come se fosse stato inghiottito dal nulla, anzi, come se non fosse mai esistito. Tutti mi dicevano che, avendo 20 anni ed essendo un artista “dentro”, non era affidabile e sicuramente aveva incontrato un'altra, quindi era uno stronzo e io dovevo dimenticarlo. Ero giovane, carina, intelligente, non avrei avuto problemi a trovare un fidanzato come si deve.
Come si sbagliavano!
La ragazza giovane, carina e intelligente cominciò piano piano a morire, in modo così lento e impercettibile che nessuno, nemmeno lei, se ne accorse subito.
Rallentai progressivamente il ritmo degli esami all'università, finché decisi di mollare tutto. Mio padre, stufo delle mie giornate vuote, mi trovò lavoro presso un suo amico. Provai a uscire con qualcun altro, ebbi qualche corteggiatore, ma nessuno mi interessava veramente. E così sono passati quasi 20 anni. E non sono più neanche giovane.
E' tutto qua, il mio trauma pregresso. Uno stupido amore di gioventù finito male, come per migliaia e migliaia di altre ragazze nel mondo. Come in un romanzo rosa di terza categoria. Solo che per me è stato come avere addosso un parassita, un mostro che ha distrutto ogni spinta vitale, ha divorato sul nascere sogni, progetti, speranze... Sono una debole? C'è stato qualche altro elemento che ha contribuito a questo sfacelo? Non lo so, non mi sono mai data la pena di indagare.
E adesso, quella canzone, quelle note, quelle parole che graffiano l'anima. E' come ricevere in piena faccia un pugno spuntato dal buio. Nessun altro può conoscerla, se non lui o qualcuno attraverso di lui. Devo assolutamente trovare chi la sta suonando. Magari è davvero lui. O forse soltanto qualcuno che l'ha incontrato, che può darmi sue notizie. Mi guardo intorno, mentre le gente che passa frettolosa mi urta e mi lancia occhiate severe. Farò tardi al lavoro, ma non m'importa. Comincio a camminare avanti e indietro, come una fuori di testa, come ce ne sono tanti in metropolitana. Non so se è per la mia agitazione, ma mi sembra che in questo caso la melodia rimbalzi da un corridoio all'altro, cambi direzione, mi insegua e mi sfugga al tempo stesso. Ma io devo trovare da dove proviene! Adesso! Stasera o domani potrebbe essere troppo tardi, il misterioso cantante potrebbe essere andato da un'altra parte, a un'altra fermata del metrò, o addirittura in un'altra città. Non riesco nemmeno a capire se quella voce potrebbe essere sua. Non mi sembra, ma è trascorso tanto tempo, io ricordo la voce di un ragazzo, ora sarebbe la voce di un uomo.
A un tratto, l'ultima nota si spegne. La canzone è finita e io rischio di non scoprirne la fonte. L'ansia mi chiude la gola, mi salgono le lacrime agli occhi. Ma per fortuna il menestrello nascosto riprende a cantare. Con mio stupore, è la stessa melodia di prima. E' come se lui mi stesse chiamando, stesse cercando di comunicare con me. Com'è possibile che non riesca a raggiungerlo? Mi accorgo di trovarmi in un corridoio deserto, poco illuminato e a me, che frequento quella linea da anni, del tutto sconosciuto.
Finalmente, in fondo a quel tunnel, lo vedo. Mi avvicino lentamente e lentamente lo metto a fuoco. E' un ragazzo biondo, un po' pallido. Potrebbe avere più o meno l'età che aveva lui quando lo vidi per l'ultima volta. Quando percepisce la mia presenza, alza gli occhi e mi sorride timidamente, senza smettere di cantare. Il suo sguardo per un istante ferma il mio cuore. Sembra il suo sguardo. Ma naturalmente non può essere. Vinco la mia consueta selvatichezza e gli rivolgo la parola. Non so perché, ma istintivamente gli parlo in inglese. E mi viene in mente una domanda strana. Gli chiedo perché si è messo proprio lì, dove non passa nessuno. Perché - risponde - ho scoperto che da questo tunnel il suono si diffonde in tutti i corridoi e le scale di questa fermata, come la filodiffusione, ed è bellissimo! Gli obietto che così non farà molti affari. Lui mi guarda stupito, anzi, quasi offeso. Non ha importanza - ribatte - l'importante è che la gente ascolti e sia più felice. Poi trovo il coraggio di domandargli ciò che mi ha spinto fin lì: dove avesse sentito quella canzone. Ho l'impressione - ma dura soltanto una frazione di secondo - che un'ombra di tristezza attraversi i suoi occhi chiarissimi. L'ho trovata su una vecchia musicassetta e mi è piaciuta.
Di chi era quella musicassetta - gli chiedo con voce sempre più tremante.
Era di mio padre.
Mi appoggio al muro con una mano, perché ho paura di non riuscire a sopportare quella verità così a lungo cercata. Sono vicina all'epilogo di una storia lunga 20 anni e non sono così certa di volerlo leggere. Lui si spaventa, fa per sostenermi. Sento che gli devo una spiegazione. Riprendo fiato e inizio a parlare, a rievocare un passato che davanti al mondo avevo finto di dimenticare, mentre era sempre lì, in bella vista in ogni angolo della mia mente e del mio cuore. Gli dico che sono io la ragazza a cui è dedicata la canzone, gli racconto di un ragazzo come lui che voleva fare il cantante e che aveva promesso di tornare a prendermi, ma che poi era sparito nel nulla, e io per tutto quel tempo avevo avuto paura per lui. E' una specie di miracolo che io sia passata qui questa mattina e abbia sentito la tua musica e abbia deciso di seguirla. Adesso devo sapere. Devo sapere che ne è di tuo padre.
Lui ascolta educatamente. Non sono sicura che creda a tutto quello che gli dico. Ma di fronte alla domanda su suo padre alza le spalle e dice che in realtà lui non l'ha mai conosciuto. Aveva trovato la musicassetta nella casa dove aveva sempre vissuto con sua madre, in fondo a un vecchio baule. Tutto ciò che sapeva di lui era che aveva avuto una breve relazione con sua madre e che se n'era andato prima che lei scoprisse di essere incinta, quindi non sapeva nemmeno della sua esistenza. A parte quella cassetta dimenticata, di lui non aveva nient'altro, neppure una fotografia. Sua madre dopo qualche anno si era sposata con un brav'uomo che gli aveva fatto da padre e quindi lui non aveva mai sentito il bisogno di cercare quello vero. Finché non aveva trovato la cassetta. E aveva scoperto di dovergli probabilmente il suo talento musicale. E, visto che suo padre era italiano, aveva deciso di andare in Italia a cercarlo.
Non so se ridere o piangere. Dopo 20 anni ho trovato per puro caso un legame con il mio perduto amore, e questo legame a sua volta è alla ricerca di un padre perduto. Un vero scherzo del destino. Una beffa. Perché nessuno dei due è in grado di aiutare l'altro. L'unica certezza è che il sogno americano non si era avverato: se fosse diventato famoso, almeno laggiù, la madre del ragazzo avrebbe saputo come rintracciarlo. In Italia io ho cercato per anni di sapere qualcosa, senza successo, quindi è piuttosto improbabile che ci riesca lui, che non ha nulla in mano. Non so che cosa fare. Mi dispiace lasciarlo così. Gli chiedo dove alloggia. All'ostello della gioventù, risponde. Ecco, se avessi una casa mia, potrei ospitarlo, ma come faccio a presentarlo ai miei genitori? Mi rendo conto una volta di più di come la mia vita sia cristallizzata, ferma alla mia adolescenza.
Mi viene un'idea. Potremmo sfruttare quelle trasmissioni televisive che rintracciano le persone scomparse o le mettono in contatto con i loro cari dopo anni. I suoi genitori, se sono ancora al mondo, potrebbero vederle, potrebbero farsi vivi. Per una ex fidanzata di cui magari nemmeno si ricordano non lo farebbero, ma per un nipote forse sì. Gli dico che lo aiuterò a cercare suo padre, o almeno la sua famiglia. Gli do il mio biglietto da visita e gli chiedo se ha un cellulare. Anzi, fissiamo subito un appuntamento per sabato pomeriggio, così io avrò il tempo di studiare una strategia e di fare qualche telefonata. Per la prima volta dopo anni ho uno scopo nella vita. Lui mi ringrazia. Ci salutiamo. Mentre mi allontano, lui ricomincia a suonare la mia canzone.

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Lady Five