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Autore: Francesco Coterpa    01/05/2014    2 recensioni
È destino dell'uomo di sottostare al dolore; vanto il non lasciarsi vincere e atterrare da esso.
Arturo Graf
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ricordo suo mi strazia ancora il cuore, il mio inerme muscolo che pulsa involontariamente. Ancora per poco. La sera si tingerà presto di un freddo e vivo rosso, un colore acceso e sgargiante che impressiona al primo sguardo. La malinconia che mi pervade è immensa. Ho paura del dopo. Cosa viene dopo la morte? Chi mi accoglierà?

I pensieri escatologici non sono mai stati il mio forte. Non sono mai riuscito a ragionare troppo, non sono mai stato uno studente modello, anzi esattamente l'opposto. Ero stato sempre un tipo più pratico. Meccanica e tecnologia erano i miei principi.

Il sole non batteva da tempo e le stelle non scaldavano.

La mia vita è stata un travaglio fin da quando sono nato. La mia famiglia non pensava molto ai figli in generale ma ai soldi, anche se mio pare e mia madre non riuscirono ad accumulare molti beni, nonostante gli sforzi vari e le rinunce, spesso non molto sofferte. Ero il più piccolo di tre fratelli e non ebbi mai molte attenzione da parte dei miei genitori, della mia famiglia, anzi penso da tutti. Nessuno si era mai preoccupato realmente per me, se non lei, l'unica.

Il freddo era giunto ad attanagliare la nostra carne già straziata dalla pioggia e dalla fatica.

Ebbi una vita monotona e triste. Non amavo nulla in particolare. Andai a scuola fino aver ottenuto la licenza di terza media poi decisi che non potevo seriamente fare quella vita ma seguire i miei sogni. O meglio ciò che odiavo di meno, che non mi creava noia.

Le scuole le affrontai con una passività che avrebbe fatto sicuramente felice un insegnante amante del metodo cattedratico. Quegli ignoranti non capivano nulla. Erano solo palloni gonfiati che pensavano che grazie ad un pezzo di carta immeritato potevano imporsi, con violenza anche, su dei poveri ragazzi che ricercavano ideali, morale, giustizia, futuro! Cercavo più altro io. Un rapporto umano o un reciproco scambio di conoscenze, qualcosa che attivasse e non spegnesse la mente delle persone arrivando a renderle tutte uguali.

Volava qua e là un filo o due d'erba alzati delicatamente dal vento.

Pensavo che avrei potuto aiutarli anche io, che avrei potuto insegnare loro qualcosa. Ma non fu affatto così. Metodo del “riempire il sacco vuoto di stronzate” e poi il vuoto. Non erano docenti ma capi di mandrie che allevavano persone e non animali. Fu forse in quel periodo che la mia vita mutò drasticamente e imparai ad apprezzare ciò che a loro non piaceva. La guerra.

La terra su cui si reggeva la mia schiena era molto friabile ed al primo colpo avrebbe ceduto facilmente.

Era quello il periodo in cui la mia vita mutò in meglio. Lì conobbi lei in un pomeriggio di dolce autunno. Lì conobbi la felicità, la gioia, la vita. Il suo sorriso era la luce della mia speranza e la forza di poter andare avanti. Ricordo chiaramente come se fossero ancora impressi sulla mia pelle i suoi baci, le sue carezze ed il suo profumo dolce come miele. Non riuscivo a pensare di riuscir a far qualcosa senza di lei, lei, lei era diventata la mia forza vitale. Lei era l'acqua che mi permetteva di vivere, era la terra su cui potevo sempre poggiare, era il cielo che potevo sempre desiderare e le stelle che potevo sempre fissare con stupore, contemplare, ammirare.

La sua era la luce del sole stesso che irradiava il mio cammino oscuro. Un cammino fino a quel momento insignificante e vuoto. Triste.

Partì il primo colpo dal fronte avverso.

Non potevo più vivere senza di lei, era il mio stesso ossigeno. Dopo poco tempo decidemmo di sposarci. Io avevo ventiquattro anni, lei ventuno. Fortunatamente il lavoro non mi mancava. Avevo deciso di seguire le mie passioni e di entrare in una media officina di periferia che mi permetteva di lavorare il giusto ed essere retribuito quanto bastava per vivere dignitosamente. Lei lavorava in casa. Era scrittrice, aveva continuato gli studi fino a terminare le scuole superiori di secondo grado ed appassionandosi sempre più agli studi letterari. Purtroppo la sua carriera fu stroncata dalla realtà, lei veniva da una famiglia molto povera ed i costi universitari erano inaccessibili, era già stato un vero e proprio miracolo che fosse riuscita a studiare così a lungo. Ma nonostante le varie difficoltà lei guardava avanti e riusciva sempre ad affrontarle con una determinazione stupefacente. Era alla fine divenuta una scrittrice di fama notevole. Si era affermata con la sua forza di spirito. Con le sue parole taglienti più di lame di ghiaccio.

Ecco la prima foglia caduta dall'albero assassino della vita.

Passammo così circa sei anni insieme fino a che non scoppiò la guerra. Avevo appena compiuto trentanni quando trovai nella casella delle lettere una busta sigillata con il simbolo delle forze armate. Lei pianse molto, troppo. Ma ero costretto ad andare avendo dato il mio nome come volontario anni prima. Piansi lacrime amare e pesanti, provai un dolore lancinante al petto. La abbracciai forte a me e respirai per l'ultima volta la delicatezza dei suoi lunghi capelli neri, convinto che non l'avrei più rivista. Convinto che tutto non sarebbe mai finito. Convinto che la speranza fosse solo una debole illusione degli ottimisti e convinto che quella guerra avrebbe messo la parola fine alla mia vita.

Caddero molte frasche dall'albero nostro ed la loro linfa irrogò il terreno.

L'ultima volta che la vidi lei era alla finestra del salotto e guardava attentamente il cielo sperando che tutto fosse una farsa e non sarebbe realmente accaduto nulla. Era un'ottimista eccessiva. Ma forse la presi anche io quella leggerezza sella realtà e la vita che la caratterizzava da sempre. La mia partenza fu come nascere una seconda volta, o meglio morire per la prima, non riuscivo a respirare dal forte dolore che squarciava il mio petto. Lei piangeva. Era in cinta.

Si avvicinavano.

La mia vita mia aveva portato all'apice del dolore. Un giorno mentre camminavo col mio plotone per le montagne di confine per raggiungere la zona prestabilita, ci accampammo in una zona sufficientemente protetta e lì ci raggiunse un soldato con delle lettere in mano verso il calare del sole. Pregai molto che non fosse diretta a me una delle tante lettere che teneva in mano, pregai affinché le parole tacessero. Non fu così invece. Le varie lettere raggiunsero molti miei compagni e poi anche me. Non volli levare il sigillo di cera sulla lettera subito, ma fissare il cielo di notte. Ancora una volta, bastava solo una volta ancora. Sapevo che quel bastardo di un cielo che non aveva mai ascoltato lei mie preghiere e non mi avrebbe di certo ascoltato nemmeno questa volta, ed infatti fu così. Lei non c'era più.

Erano oramai qui.

Mi sedetti comodo sul un lato della trincea e aspettai che i pensieri della mia vita terminassero velocemente in modo che le ultime lacrime potessero scendere e potessi provare l'ultimo sentimento, il primo della vita e l'ultimo della morte, il dolore. Estrassi dalla fondina l'arma e la inserii in bocca cercando di non tremare. Chiusi gli occhi ed arrivò la sua voce calma, gentile e calda ad accogliermi. Poi solo il vuoto.

  
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